sabato 16 novembre 2013

Vincenzo Aruta, detto "'o pazzariello", uno spirito geniale...!


Vincenzo Aruta, durante una pausa pranzo di lavoro

Non era proprio un giovanotto di primo pelo nonno Vincenzo Aruta ‘o pazzariello quando fu costretto a partire per la maledetta guerra del ’15/’18: aveva già una moglie, la bella Michela, e una figlia, Angela. L’ultimo anno di quella terribile guerra portò la vittoria dell’Italia ma anche un terribile flagello: l’epidemia di un’influenza mortale, la Spagnola, diffusa in Europa dalle truppe americane. E fu così che, quando ritornò dal fronte, a nonno Vincenzo successe quello che viene descritto in una famosa canzone napoletana: “Nennella toia è morta e sta atterrata”; la giovane moglie era morta, lasciando orfana la piccola Angela. 
La preoccupazione più grande del nonno, distrutto dal dolore, era per la figlioletta: come badare a lei? A chi affidarla durante le lunghe ore di lavoro sui cantieri? Una matrigna non l’ avrebbe trattata male? Fu per questo che amici e parenti gli consigliarono di sposare la sorella della moglie defunta, la diciottenne Anna, detta Nanninella. La giovane cognata non aveva il giudizio e la bellezza della sorella ma possedeva una grande qualità: era la bontà fatta persona, e fu soprattutto questa qualità, che la caratterizzò fino alla morte, a far decidere nonno Vincenzo per il sì.  Il connubio fu saldo, anche se sembrò sempre stranamente assortito: il nonno era un bell’uomo e, soprattutto, era dotato di uno spirito geniale, tanto da diventare uno degli uomini più popolari e amati di Piscinola; la nonna, invece, visse nella sua ombra, dandogli altri nove figli (di cui due, frutto di un parto gemellare, morirono in culla) e, molte volte, nella sua mitezza, subì sorridendo gli scherzi del marito, come quando le fece credere che un cocchiere avesse agganciato, con la sua frusta, la coda di un aeroplano che aveva sollevato fino al cielo carro, cavallo e cocchiere. 
Il pazzariello abitava, con la numerosa famiglia, in un vecchio palazzo situato in via Vittorio Emanuele, tra la sede dell’associazione del Sacramento e la macelleria di Chianculone e, dal balcone della casa, risuonavano spesso in strada le vivaci battute che si scambiavano i genitori, le sei figlie e i due figli minori. Nonno Vincenzo era un abilissimo carpentiere e, grazie alla sua bravura, nel periodo tra le due guerre, il lavoro non gli mancò; anzi, spesso fu chiamato alla realizzazione di importanti opere, anche in altre regioni d’Italia; ma quello che lo rese indimenticabile non fu tanto la sua fama di grande lavoratore quanto quella di animatore nelle più importanti manifestazioni e nelle varie circostanze della vita di quartiere. “Ieri ho chiesto a mia figlia Angela di accorciarmi i pantaloni”, raccontava in tram agli amici, mentre si recavano al lavoro ” Mi ha detto che non poteva perché aveva da fare. Allora l’ho chiesto a Maria, poi a Michela, a Vera, a Pasqualina, a Salva, ma mi hanno dato tutte la stessa risposta. Sono uscito di casa molto dispiaciuto. Poi, le mie figlie, pentite, hanno cambiato idea e, così, senza dirlo alle altre, ognuna di loro mi ha accorciato i pantaloni…e stammatina, invec’e nu cazone, me so’ truvato na mutanda!”; e qui, la gente, che aveva fatto capannello intorno a lui, si spanciava dalle risate; come pure quando tirava fuori dalla tasca una camicina da neonato e vi si soffiava il naso, fingendo che le figlie gliel’ avessero data per errore invece del fazzoletto; o quando iniziava a grattarsi dalla testa ai piedi nel tram affollato, facendo spazio intorno a sé perché chi non lo conosceva bene lo credeva infestato da pulci e pidocchi. 
La famiglia Aruta. Vincenzo Aruta è il primo a destra
Nonno Vincenzo era amante della vita, delle belle donne e del buon vino e non si sottraeva mai agli inviti della collettività piscinolese quando c’era bisogno di un animatore dotato di carattere e di umorismo; il “contranome” che avrebbe, da lui in poi, contraddistinto la sua famiglia fu ‘o pazzariello proprio perché non disdegnò di andare in giro, bardato di tutto punto, a pubblicizzare i nuovi esercizi con delle trovate irresistibili; né mancò mai al suo compito di banditore d’asta, condotto al palco in sella ad un asinello e scortato dalla banda, nel corso della festa del SS. Salvatore; in quelle occasioni, si trasformava in un vero e proprio showman e la folla dei Piscinolesi, anche di quelli più severi, si sganasciava dalle risate; nel corso di una di queste aste, ad esempio, nel presentare alla folla un enorme reggiseno donato da una merceria, lo fece passare come appartenente a Maria, la più prosperosa delle sue belle figlie; inutile dire che le offerte per quel capo di biancheria salirono alle stelle, fra il divertimento generale. 
Poi, purtroppo, nel 1940 arrivò in Italia una nuova terribile guerra e le cose cominciarono ad andar male un po’ per tutti, specialmente per chi lavorava nel campo dell’edilizia perché, ormai, le case non si costruivano, anzi venivano distrutte dalle bombe. Per nonno Vincenzo e per la numerosa famiglia cominciarono tempi molto duri; come in tutte le famiglie in quel triste periodo, furono i giovani a doversi arrangiare come potevano; la fame dilagò e finirono le feste e l’allegria. 
Nel dopoguerra, la patologia cardiaca, di cui nonno Vincenzo soffriva, si aggravò e non gli permise più di condurre la vita di prima. 
Quando, all’inizio degli anni ’50, quest’ uomo indimenticabile morì, al suo funerale partecipò tutto il quartiere, tributandogli un omaggio di lacrime e di affetto. 
Io non ho avuto il piacere di conoscere nonno Vincenzo perché scomparve poco dopo la mia nascita ma vive in me attraverso le infinite leggende che mi sono state raccontate da amici e parenti e attraverso l’eredità, del suo folle e geniale umorismo lasciata ai figli, specialmente a Raffaele, Vera e Tonino, e alla schiera dei nipoti a cui ho l’onore di appartenere.
AnnaMaria Montesano
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giovedì 14 novembre 2013

Angolo poetico del venerdì: "Virtus Piscinola, basket ma... non solo"

Sabato prossimo sarà presentato il bel libro di Giuseppe De Rosa, dedicato alla storia della Virtus: squadra di basket, fondata a Piscinola nel 1945.
La rubrica de "L'angolo poetico del Venerdì" vuole omaggiare il libro che sarà presentato e la bella pagina di storia di Piscinola, che è la Virtus; realtà sportiva del quartiere che ha visto impegnati, per quasi 70 anni, tanti giovani piscinolesi, tutti accomunati dalla stessa passione per lo sport. 
Rimandiamo, tuttavia, a un prossimo post la trattazione storica di questa importante realtà culturale e sportiva di Piscinola.

Il libro di Giuseppe De Rosa, dal titolo "Virtus Piscinola, basket ma... non solo", sarà presentato sabato 16 novembre, ore 18:30, presso i locali del campo sportivo: "Don Domenico Severino", sito in via Nuova Dietro La Vigna - Piscinola. 
Non mancate!
Salvatore Fioretto


lunedì 11 novembre 2013

I gigli di Piscinola... una gioventù calpestata dalla guerra!

Oggi pochi ricordano, ma il quartiere di Piscinola ha pagato un tributo salato in termini di perdite di giovani vite, a causa e in dipendenza dell'ultima guerra mondiale. Direttamente o indirettamente decine di ragazzi hanno perso la vita o hanno subito gravi ferite, a causa di ordigni bellici esplosi accidentalmente, ma anche per errore o per volontà umana! 
Purtroppo, per la maggior parte di questi racconti, si tratta di episodi appurati solo attraverso alcune testimonianze orali, raccolte dagli anziani del territorio, che devono essere confermate con fonti e testimonianze documentate.
In via Vecchia Miano, poco dopo l'8 del settembre del 1943, tre ragazzini giocavano spensierati nel cortile antistante la strada comunale, quando qualcuno trovò delle bombe a mano tedesche, che divennero oggetto dei loro giochi innocenti e spensierati.... Purtroppo un bimbo strappò a sua insaputa la spoletta di un ordigno e saltarono tutti in aria, a causa del grande scoppio. Un bambino morì sul colpo, mentre un altro, gravemente ferito, morì poco dopo il ricovero in ospedale. Un terzo bambino sopravvisse perdendo un occhio.
Altro episodio analogo, ben più grave, avvenne nei pressi di Via Plebiscito, e qui, secondo le testimonianze, non poco contraddittorie, i bambini morti furono almeno una decina, di cui una bambina che si stava preparando per ricevere la prima comunione. La camera ardente fu allestita nella scuola T. Tasso, la bimba fu vestita col suo vestitino bianco. L'episodio cruento sarebbe avvenuto il 14 gennaio 1944.
Un fratello appena trentenne del sacerdote don Gennarino Musella fu ucciso in piazza B. Tafuri da una raffica di mitraglia tedesca, perchè pare che la sua permanenza indisturbata in piazza, allo sfilare di una pattuglia di perlustrazione, sarebbe stata considerata dai gendarmi tedeschi sospetta e, così, preferirono falciarlo, senza nemmeno fermarlo ed interrogarlo.
In prossimità della località Cancello, vicino ai binari della ferrovia Napoli-Piedimonte d'Alife, un ragazzino sarebbe stato fucilato per errore, perché scambiato per una spia.

Nella località di via Cupa Perillo (detta 'o Saglio e scinno"), la giovane e innocente Giuseppina Bianco, abitante in una masseria di Piscinola, divenne purtroppo oggetto di attrazione morbosa per un soldato di colore (forse marocchino delle truppe di liberazione), il quale con la forza delle armi tentò di abusare della ragazza, mentre era intenta a raccogliere il grano nei campi, assieme alla madre e il fratellino. La giovane tentò di scappare, ma il soldato, irritato e forse ubriaco, non esitò a spararle alla schiena, mortalmente. Giuseppina spirò tra le braccia della madre, nella cappellina della masseria vicina; perdonò il suo assassino... raccomandandosi alla Vergine di Pompei! 
L'episodio destò sconcerto tra gli abitanti di Piscinola e dintorni, tanto che le cronache raccontano dell'imponente funerale celebrato nella chiesa del SS. Salvatore, con grande partecipazione popolare e la messa funebre officiata dall'arcivescovo di Napoli, card. Alessio Ascalesi. Non è dato di sapere se il soldato assassino fu arrestato e processato. In ricordo di questa ragazzina, che oggi riposa tra i giardini del cimitero di Miano, è stata eretta una stele monumentale e dedicata una stradina, in prossimità di Via Aldo Moro (strada che si sviluppa a confine, tra l'attuale quartiere di Scampia e il  comune di Mugnano) ed è stato avviato il processo di beatificazione.
Abbiamo più volte sollecitato gli amministratori preposti, anche se verbalmente, di intitolare un giardino di Piscinola in memoria di tutti questi ragazzi vittime di una guerra non loro; come ad esempio l'area verde che si trova in Via Vecchia Miano, luogo dove avvenne il primo incidente raccontato, che non risulta avere ancora una denominazione nella toponomastica cittadina. Sarebbe bello che d'ora in avanti fosse intitolato: "Giardini dei Gigli di Piscinola", in memoria di questi sfortunati bambini, vittime della guerra. 
Uno spazio del quartiere andrebbe dedicato anche alla sua martire: Giuseppina Bianco.
Non disperiamo!
Chiediamo a quei lettori a conoscenza e in possesso di altre testimonianze fondate su questi episodi e su altri casi analoghi, ma dimenticati, di farcene trasmissione, affinché si possa approfondire lo studio e si possa trasmettere la loro memoria in futuro.
Salvatore Fioretto
(Tutti i diritti per la pubblicazione dei testi del blog sono riservati all'autore, ai sensi della legislazione vigente)

Ringraziamo l'amico Pasquale di Fenzo per la gentile collaborazione.

venerdì 8 novembre 2013

Don Lurenzo e Giusuppina... tra cantina e taverna!



Don Lurenzo e Giusuppina: erano fratello e sorella in arte cantinieri, vinai, che conducevano la loro cantina vendendo vino sfuso e preparando pranzi e cene a menù fisso.
Dapprincipio sul banco c’erano capienti "pizzipaperi" in terracotta smaltata poi sostituiti con contenitori di zinco da cinque litri con collo a becco, che riempivano direttamente dalle botti nel piano interrato, distinti per qualità: Sansevero rosso di Puglia, Gragnano, Terzigno, Guardiolo di Benevento, Zibibbo e vini di Sicilia che arrivavano in damigiane da 54 litri.
Vino che secondo le richieste, versavano nelle misure in vetro da 1 litro, mezzo litro e un quarto, inoltre vendevano birre in vetro, gazzose, aranciate, Coca-Cola e, poi bottiglie da un litro di "Spuma Rosa", una bevanda che ebbe un notevole quanto effimero successo, come il gelato SOAVE.
Sul bancone c’era una botticella di creta smaltata con piccolo rubinetto "Amaro Alpino" che recava impressa, su un lato, una bella ma curiosa e sconosciuta, a noi meridionali, stella alpina che in seguito seppi era il fiore dell’edelweiss dai petali lanosi, da dove mescevano minuscole prese d’amaro su richiesta dei clienti.
In seguito adottarono un più igienico impianto a fontanelle che succhiava vino direttamente dalle citate botti per riempire le bottiglie, ma la botticella con la stella alpina rimase sempre in bella vista sul bancone mentre i vecchi "pizzipaperi" messi a lucido da Zichi Baki (conosciuto stagnaro abitante in Abbascio Miano), andarono a rimpinguare la batteria di pentole in rame stagnato che campeggiava sulla retrostante cucina piastrellata, caratterizzando e rendendo antico e familiarmente piacevole l’intero ambiente, con i tavoli lunghi a otto posti, le sedie con gli schienali e sedili di paglia intrecciata e le immancabili tovaglie e salviette a quadroni rossi, bianche e blu e alcune mensole dove si esponevano fiaschi impagliati di vino rosso e bianco: i rossi del Chianti, la Valpolicella veneta, il rinomato Montepulciano, il bianco Est Est Est di Montefiascone, il Verdicchio di Jesi, i rossi e bianchi siculi della casa Regaleali, i Corvo di Salaparuta, i Pinot e tante bottiglie di Vermouth bianco e rosso, di Marsala all’uovo, qualche bottiglia di Strega e alcune di rosolio di anice e di liquore alla fragola.
I due germani si alternavano nella vendita, ma più spesso donna Giusuppina era affaccendata ai fornelli per quegli avventori che desideravano pranzare o cenare.


Tratto da "Cantine storiche di Piscinola" – parte I, di Luigi Sica
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Piazza del Municipio a Piscinola e al centro la storica cantina e taverna - cartolina anni '40 circa

giovedì 7 novembre 2013

Angolo poetico del venerdì... ..110: "Piscinola P.zza Tafuri - P.zza Garibaldi"...

Lo spazio di questa settimana è dedicato a un dolce ricordo: a quello che ha rappresentato, per decenni, la più frequentata ribalta..., la scena di tante storie ed episodi, "recitati" da una umanità ricca e variegata, che viaggiava a bordo del nostro mitico autobus di linea  "110"...!
Storie di uomini semplici, storie di normale quotidianetà... 
Quante liti, quante battute e risate collettive, ma anche la rabbia, la gioia, i comizi politici improvvisati e le proteste sociali, quanti incontri amorosi e anche di scontri furiosi, abbiamo assistito un po' tutti a bordo delle sue vetture, spesso sgangherate e rumorose... che procedevano lente, in mezzo a un fiume di lamiere...!
Questo oggetto rappresenta, simbolicamente, la gioventù di almeno tre generazioni..., che, per recarsi a scuola o a lavoro, ha trascorso ore e ore della propria vita seduti in scomodi sedili o stando in piedi, appesi a freddi sostegni di alluminio; spesso anche sospinti dal suo andamento traballante e dalla calca...
L'autobus della linea "110" rappresenta ormai, per tutti, un pezzo della nostra vita...!



lunedì 4 novembre 2013

Una scuola per tutti dall''800... Nel 1929 nasce la nuova scuola "Torquato Tasso"!


Cartolina anni '40 (collezione L. Sica)
L'insegnamento statale pubblico (di primo livello) nei quartieri a nord di Napoli e in particolare nel quartiere di Piscinola, presenta delle radici storiche profonde e prestigiose; leggendo questa ricostruzione si avrà un'idea chiara di quanto sia fondata questa affermazione...
La scuola elementare di Piscinola ha avuto sede, prima del 1929, nel palazzo Grammatico, in via del Salvatore, ed era denominata "Scuola Guglielmo Pepe". Tra i suoi prestigiosi insegnanti, che si sono alternati nell'insegnamento, è annoverato persino un beato...! Parliamo di Arcangelo Palmentieri, meglio conosciuto con il nome di beato Fra Ludovico da Casoria, grande amico di Bartolo Longo, che fu tra quelli che incoraggiarono il famoso avvocato della Valle di Pompei, alla costruzione della basilica del SS. Rosario.
Scolaresca primi del '900, presso via SS. Salvatore (collezione V. Tomo)
Già nella metà del 1800 il Consiglio Provinciale di Napoli aveva sollecitato il Comune di Piscinola ad ampliare le strutture scolastiche presenti sul territorio, per accogliere anche le bambine e separando i maschietti dalle femminucce; mentre nell'Annuario del 1842 si trova scritto: "...i comuni di Massa, San Sebastiano, Piscinola, Soccavo e Poggiomarino, non ne hanno uno di maestri delle scuole e uno solo ne ha Casoria con una popolazione di 7775 abitanti."
Verso la fine degli anni venti del '900, il regime fascista in un'ottica di aumento demografico e di incentivi per la natalità, approvò la costruzione di diversi complessi scolastici, soprattutto nella cerchia della cosiddetta "Grande Napoli", vale a dire nella cintura suburbana della metropoli, che era stata ampliata negli anni 1925-26, annettendo molti comuni autonomi alla città di Napoli.
Cartolina anno 1930, foto del giorno dell'inaugurazione (collezione privata)
Anche Piscinola ebbe il suo maestoso edificio scolastico, che fu intitolato al compositore della Gerusalemme Liberata, vale a dire al poeta Torquato Tasso, che fu sorrentino di nascita.
La nostra scuola si presentò fin dalla inaugurazione, avvenuta ufficialmente nell'anno 1930 (anche se completata già nel 1929) con importanti numeri...: tre piani fuori terra e un ampio seminterrato, una trentina di aule molto capienti, distribuite in due "ali", con altrettante scale indipendenti, un'ala per i maschietti e una per le femminucce, con capienti servizi igienici per ogni lato e per tutti i piani e, poi, una cucina, un refettorio, l'ambulatorio medico, l'ambulatorio dentistico, una sala di musica, una palestra coperta, un ampio cortile esterno scoperto per le attività ludiche e ginniche, la direzione e la segreteria. 
Durante il "ventennio", quando la propaganda fascista promosse la raccolta del ferro in dono alla Patria, fu smantellata la bella recinzione in ferro esistente lungo il confine con la via Plebiscito e al suo posto fu edificata un'orrenda e alta cortina in tufo che, difatti, isolò la bella scuola dal contesto del quartiere, quasi a volerla ghettizzare...!
Con lo scoppio della seconda guerra mondiale, le attività scolastiche furono sospese e la scuola fu militarizzata, divenne infatti sede di una Compagnia del "X Reggimento Autieri" del Regio Esercito Italiano. 
Foto scolaresca, anni '30 (foto collezione Mastroianni)

Con l'avvento dell'Armistizio e l'occupazione Anglo-americana, l'edificio divenne sede del comando Alleato Militare delle truppe occupanti.  Si registrano ottimi rapporti, anche di amicizia, tra i militari e la popolazione locale.
Il maestro don Mastropaolo e la sua scolaresca, fine anni '40 (foto collezione  Rosiello)
Con la partenza delle truppe anglo-americane, avvenuta agli inizi del 1945, l'edificio ritornò ad essere sede della scuola elementare e di un asilo comunale.
Nel dopoguerra fu realizzato un altro piano sopraelevato all'edificio (il quarto), con altrettante aule e servizi, come presenti nei piani inferiori.
Nella nostra scuola hanno esercitato la professione valenti insegnanti, molti dei quali provenienti dal centro cittadino e molti anche dalla provincia di Caserta. Quelli napoletani, utilizzavano (almeno fino agli anni '60) il tram "38", mentre quelli della provincia la mitica ferrovia "Napoli-Piedimonte" (fino al 1976).
Ricordiamo i temuti insegnanti Mastropaolo e Mola, soprattutto per la loro severità.
Scolari vestiti da balilla, inizi anni '40 (foto collezione Palladino)
Riportiamo una bella dedica alla scuola T. Tasso, scritta dalla sua insegnante  Giovanna Altamura: "...Un solo dono fece la città al piccolo paese assorbito. Gli costruì, proprio al centro, un grandioso edificio scolastico, il più moderno e ampio che si possa pensare, così bello da destare la gelosia e l’invidia degli altri rioni cittadini.
Quella scuola e le due chiese sono i fulcri intorno ai quali gravida ancor oggi la vita religiosa e civile del paesino, diventato appena un lembo d’uno dei rioni estremi della città".
Negli anni '90 del secolo scorso la sede della scuola elementare è stata trasferita interamente nel nuovo complesso di Via Vittorio Emanuele. 
Il vecchio edificio è stato completamente ristrutturato riportandolo alle linee architettoniche originarie, inoltre è stata riposta la cancellata perimetrale in ferro, demolendo finalmente il brutto muraglione in tufo. La facciata è stata inoltre dotata di un impianto di illuminazione notturno. 
Cerimonia di fine anno scolastico, in primo piano il corpo insegnanti e il parroco don A. Ferrillo (Collezione Mastroianni, anni '60)

Nella struttura oggi trovano posto gli uffici dell'anagrafe comunale, la sala presidenziale della VIII Municipalità e altri uffici tecnici comunali. Inoltre l'ultimo piano del complesso è stato concesso all'Istituto Professionale per il turismo "V. Veneto", che forma giovane hostess e giovani stuart. 
Salvatore Fioretto
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Scolaresca anno 1958 (foto collezione V. Cozzolino)

Scorcio della piazza B. Tafuri, con la congrega e la ex scuola "T. Tasso" (foto S. Fioretto)
Foto dell'edificio scolastico di notte, illuminato dalle luci artificiali dell'impianto esistente.

Edificio ex scuola T. Tasso, appena restaurato, con inizio di demolizione del muro di cortina (anno 2006)  Foto S.  Fioretto
L'edificio Municipale come si presenta ai nostri giorni (foto anno 2012)



sabato 2 novembre 2013

Miniello... Il ricordo di un eroe silenzioso! di A.M. Montesano



In questi giorni, in cui si parla con giusto orgoglio delle quattro giornate di Napoli, mi balza alla mente il ricordo di una famiglia fieramente antifascista: quella di Carmine Cascella. 
Ho conosciuto questo signore, chiamato Miniello, negli anni ’50, quando ero piccolissima e lui, ormai, alla fine della sua vita. Mi ricordo di un vecchietto piccolo, curvo e fragile; eppure, Miniello era stato uno dei più fulgidi esempi di antifascismo. Proprietario di un accorsato negozio di barbiere, nel corso del ventennio fascista fu continuamente bersagliato dalle rappresaglie delle camicie nere: quando tutti chinavano la testa e, pur di lavorare, si piegavano ad attaccare sulla giacca l’emblema dell’odiato dittatore, quel piccolo uomo resistette all’incendio del negozio, alla miseria che ne seguì e a tutto l’olio di ricino che fu costretto a ingurgitare. 
Discreto ed equo nei suoi giudizi, sopportò in un dignitoso silenzio tutte le angherie ed ebbe parole di sereno conforto anche nei confronti di chi, suo malgrado, era costretto ad accompagnare al confino i dissidenti politici. 
Quando fu possibile, Miniello riprese la sua attività in un nuovo negozio situato in via Vittorio Emanuele, poco dopo il largo don Carlo, dove, ormai provato e stanco, fu affiancato dai figli Antonio(Totonno) e Paolo(Pauluccio). 
Don Carmine trasmise la sua passione politica a tutta la famiglia: oltre che a Paolo e a Totonno, diventato poi uno dei più conosciuti parrucchieri di Piscinola, alla moglie Lucia, una casalinga riservata e sempre intenta al benessere della famiglia, ai figli Maria(Marittina), Flora, Salvatore e Gigi. Fra questa famiglia, che abitava nel mio stesso palazzo in via Vittorio Emanuele, e la mia a volte si accendevano appassionate discussioni ma non nacquero mai screzi; anzi, fra noi, ci furono sempre  un grande affetto, rispetto reciproco e collaborazione. 
Ecco, io credo che anche di questi uomini si debba parlare, oltre che di quelli che hanno combattuto sulle barricate, di questi eroi silenziosi che non hanno rinnegato la propria fede, nonostante le violenze subite, credendo, fino alla morte, in un ideale di pace e di uguaglianza.
AnnaMaria Montesano
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Scorcio dell'antico "Cape 'e Coppa" a Piscinola, anno 1978 (via V. Emanuele)