venerdì 16 agosto 2013

La contrada di San Rocco

Oggi, 16 agosto festa di San Rocco, è doveroso ricordare l'antico centro abitato, ubicato tra Piscinola, Marianella e Capodimonte, che dal Santo pellegrino prende in nome: la località di San Rocco. 
 
La contrada è spesso chiamata impropriamente "San Rocco di Capodimonte", solo per la sua vicinanza al Bosco di Capodimonte, ma di fatto appartiene amministrativamente al quartiere di Piscinola, almeno fino al lato del ponte nuovo.
Vallone di San Rocco, con il vecchio ponte omonimo
Le origini di questo centro abitato non sono precise, secondo alcune testimonianze storiche, alquanto lacunose, durante la peste del 1656 alcuni nobili napoletani fecero voto a San Rocco, protettore appunto contro l'epidemia della peste, di salvarsi e, lasciando la città, realizzarono le loro nobili dimore in quel punto della collina posto a ridosso del profondo vallone, poi chiamato "Vallone di San Rocco", in quanto apprezzato per l'aria buona e la natura rigogliosa. Scampati all'epidemia, questi nobili sciolsero il voto e chiamarono quel luogo "San Rocco". In seguito fecero erigere una cappellina in onore del Santo taumaturgo. All'epoca la contrada apparteneva al Casale di Marianella. 

Nel XIX secolo fu eretta una chiesa più grande, in stile neogotico, con accesso dalla nuova Via Santa Maria a Cubito. La strada vecchia di San Rocco, con il suo ponte storico, tuttora esistente e conservato, ha rappresentato per secoli la principale via di collegamento di Marianella e Piscinola alla città di Napoli. In prossimità del ponte, intorno al 1830, fu eretto  un drappello di dogana, appartenente alla nuova cinta muraria, chiamata:  "Muro Finanziere". 
Per la nuova strada provinciale Santa Maria a Cubito, in corrispondenza del vallone di San Rocco, fu realizzato l'imponente ponte in tufo, con altissimi pilastri. Il primitivo ponte ottocentesco fu, purtroppo, abbattuto dai Tedeschi in ritirata, nell'ottobre del 1943 e rifatto successivamente nel dopoguerra, come lo si vede oggi.
Salvatore Fioretto
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Nella foto a lato, la statua d'argento di San Rocco portata in processione a maggio, in S. Chiara. La statua è conservata nella Real Cappella del Tesoro di San Gennaro di Napoli, appartiene al novero dei Santi Compatroni della città di Napoli. Poco dietro, per pura coincidenza, quella di S. Alfonso dei Liguori...
 


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mercoledì 14 agosto 2013

A Miano, l'ultima "tazza 'e cafe"!

Con questa pagina vogliamo ricordare un grande napoletano, che trascorse gli ultimi anni della sua vita abitando nel centro storico del popoloso quartiere di Miano: il poeta Giuseppe Capaldo.

Capaldo scrisse, tra il 1906 e il 1919, i versi di molte canzoni napoletane,  tra cui le celebri "Comme facette mammeta!" e "L’arte d’o sole": entrambe musicate dal bravissimo (e autodidatta) Salvatore Gambardella, poi "Balcone 'nchiuso", "'A marina 'e Tripoli", "Hanna turnà!", "Cinematografo Cinematografà", "E llampadine" e "Tammuriata cafona!" (di queste ultime due scrisse anche la musica!), ma il suo gioiello più bello è stata la spassosa "'A tazza 'e cafe", musicata da Vittorio Fassone,... si dice scritta ai tavolini del Cafè Persico. 
Eccola:

Vurría sapé pecché si mme vedite,
facite sempe 'a faccia amariggiata...
Ma vuje, quanto cchiù brutta ve facite,
cchiù bella, a ll'uocchie mieje, v'appresentate...
I' mo nun saccio si ve n'accurgite!
Ma cu sti mode, oje Bríggeta,
tazza 'e café parite:
sotto tenite 'o zzuccaro,
e 'ncoppa, amara site...
Ma i' tanto ch'aggi''a vutá,
e tanto ch'aggi''a girá...
ca 'o ddoce 'e sott''a tazza,
fin'a 'mmocca mm'ha da arrivá!...

Qualcuno tracciando la biografia di Capaldo ha fantasticato che il poeta, che fu da giovane cameriere del celebre caffè napoletano "Caffè Tripoli", l'abbia dedicata ad una avvenente cassiera del "Caffè Persico", di nome Brigida e per la quale perse completamente la testa, ma credo che queste sono perlopiù leggende metropolitane da caffè...! Si racconta ancora che un giorno alcuni turisti ascoltando la celebre canzone de "'A tazze 'e cafè", suonata dall'orchestrina del Caffè, abbiano chiesto al poeta chi fosse lo scrittore di quella bella melodia, e che poi questi rimasero stupiti e decisamente increduli quando Capaldo si dichiarò l'autore. Capaldo ebbe una grande stizza, al punto che si tolse in quell'istante la giacca di cameriere e decise di non esercitare più la professione...!
La canzone "Comme facette mammeta" si classificò seconda al  concorso di audizione della Piedigrotta del 1906, venne interpretata e fu cavallo di battaglia della celebre Elvira Donnarumma.
Ecco alcuni versi di Comme facette mammeta:

Ciento rose 'ncappucciate,
dint'a màrtula mmescate......
Latte, rose, rose e latte,
te facette 'ncoppo 'o fatto!...

....
nu panaro chino, chino,
tutte fravule 'e ciardino

Mèle, zuccaro e cannella:
te 'mpastaje 'sta vocca bella...

(A lato la foto della cantante E. Donnarumma)

La vita di Giuseppe Capaldo non fu rosea, ebbe due figli dal suo matrimonio, e riuscì a stento a sopravvivere alla misera.... Trascorse gli ultimi anni della sua vita in povertà, come peraltro capitò a moltissimi compositori e musicisti nel periodo d'oro della canzone napoletana. Abitò in un piccolo e umile appartamento di vico I Parisi, nel centro storico di Miano, ove morì il 26 agosto del 1919, a soli 45 anni, a seguito di una brutta malattia, quasi dimenticato dai napoletani!
Giuseppe Capaldo fu uno dei veri cantori dell'animo popolare di Napoli, semplice e modesto, ma dalla grande nobiltà d'animo, come lo fu anche Vincenzino Russo.
Oggi, a distanza di quasi 100 anni, dobbiamo dire che, purtroppo, a questo grande artista della bella Napoli, non è stata dedicata nemmeno una lapide in suo ricordo, nel popoloso quartiere dove trascorse l'ultimo periodo della sua vita... 
Ma c'è sempre tempo per rimediare....!
Salvatore Foretto
(Tutti i diritti per la pubblicazione dei testi del blog sono riservati all'autore, ai sensi della legislazione vigente)


Alcune strofe della canzone "'E llampadine":




I versi di "A marina 'e Tripoli":



Mo ch''a marina 'e Tripoli è d''a nosta
n'ata Santa Lucia n'avimm''a fá:
Attuorno â riva tutte risturante
cu 'e puóste 'e ll'ostricare 'a ccá e 'a llá!
E tanta voce belle pe' cantá!

Accussí sti Ttripuline,
accussí sti Ttripuline,
nc''e ffacimmo paisane,
nc''e ffacimmo paisane...
Tanto cchiù ca só' schiavone,
'e vvestimmo 'a Luciane...
'E vvulimmo fá cantá...
Napulitano!
....








domenica 11 agosto 2013

Via Miano Agnano: la prima tangenziale di Napoli...


Fu costruita tra gli anni '20 e '30 dell''800, la lunga e tortuosa strada collinare destinata a collegare la piana campana a nord di Napoli con la zona flegrea, i laghi  e il mare. Ma l'obiettivo fondamentale fu collegare l'ampio, e ai più sconosciuto, lago di Agnano, circuitando le strade del centro di Napoli. Questo asse stradale, così importante, fu chiamato "Strada dei Canapi Agnano-Miano". 

Lo scopo di questa via di comunicazione, dettato dalla monarchia borbonica, era preciso: permettere ai contadini, provenienti dalle campagne a nord di Napoli, di poter trasportare il lino e la canapa, da essi prodotti, e raggiungere agevolmente il lago di Agnano, da secoli utilizzato per la macerazione di queste fibre tessili, un tempo molto importanti per l'economia locale e del Regno.
Per permettere la costruzione di questo imponente asse stradale, molto importante per l'epoca (che partendo da Secondigliano, collegava Piscinola, Marianella, Frullone, Cangiani, La Pigna, con Fuorigrotta e Agnano), fu acceso un prestito con alcuni facoltosi imprenditori, che furono poi i realizzatori dell'opera; il prestito fu riscattato a rate dai cittadini dei Casali utilizzatori, pagando una apposita imposta governativa, fino alla seconda metà del secolo. Il pagamento si prolungò oltre, per alcuni decenni ancora, perchè l'opera andò molto a rilento (ma non è una novità oggi!) e occorse altro tempo per completarla.   
La strada fu progettata da ingegneri e da architetti della Regia Scuola dei Ponti e delle Strade di Napoli. Purtroppo pochi anni dopo l'Unità d'Italia, a causa dei miasmi e degli odori pestiferi che il lago di Agnano emanava verso i villaggi circostanti, proprio per la fermentazione della canapa e del lino, nonché per i numerosi episodi di malaria trasmessi agli abitanti dalle zanzare infette, più volte fu tentato di smistare il flusso degli utilizzatori verso gli altri laghi dei Campi Flegrei, più distanti da Napoli, come il lago Fusaro e l'Averno. Il termine di Fusaro si crede che derivi proprio di questa pratica di macerazione delle fibre tessili (dal termine "Infusarum"). 

(La mappa riporta l'opera di bonifica completata, e la zona come si presentava nella prima metà del '900)
Verso gli ultimi decenni del '800, lo Stato Italiano decise di far essiccare il lago di Anniano (Agnano) e bonificare l'intera area destinandola all'agricoltura. Allo scopo fu creato un emissario artificiale sotterraneo, che dal lago permetteva di far defluire le acque raccolte nel bacino idrografico verso il mare, in prossimità della spiaggia di Bagnoli. L'opera lunga circa 1,5 km è ancora lì perfettamente funzionante.
Gli abitanti del Circondario di Casoria e dei Casali e Comuni limitrofi (fra cui Piscinola e Marianella), ebbero modo di sollevare una protesta verso lo Stato per il divieto di utilizzare il lago di Agnano, divieto che subentrò subito dopo l'esecuzione della bonifica, considerato che pagavano ancora il canone di costruzione. La controversia si risolse indirizzando le varie comunità agricole a lavorare le loro fibre tessile verso il Lago Patria. Successivamente, dopo le opere di bonifiche, il luogo per la macerazione fu scelto quello corrispondente la foce dei Regi Lagni, che fu attrezzato allo scopo, con vasche e aree scoperte per l'essiccazione delle matasse. Tale pratica è stata perpetuata fino agli anni '50 del secolo scorso.

Agli inizi delgli anni '70 la strada in parola è stata intitolata a Vincenzo Janfolla, noto giurista potentino e deputato del Parlamento Italiano, purtroppo senza legami con questo territorio..., ma sotto la lapide toponomastica si può ancor leggere "già via Miano Agnano". La strada è stata giustamente menzionata, in piu fonti, come la "Prima tangenziale di Napoli", perchè, e sono molti a non saperlo, al contrario del Corso Vittorio Emanuele (completata solo nel 1860), è stata la prima grande arteria stradale, dell'era moderna, a circumvalicare veramente la città di Napoli.

Salvatore Fioretto
(Tutti i diritti per la pubblicazione dei testi del blog sono riservati all'autore, ai sensi della legislazione vigente)


(Mappa con sopra evidenziato lo sviluppo dell'arteria stradale)


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venerdì 9 agosto 2013

Navi in collina!

Curioso a dirsi, ma è proprio così, le tre navi di epoca romana rinvenute durante gli scavi in piazza Municipio, per la costruenda stazione della metropolitana di Napoli, si trovano oggi ricoverate (da oltre 8 anni) nel deposito del metrò di Piscinola-Marianella, in via G. A. Campano, in appositi ambienti climatizzati, insieme a molti altri reperti archeologici rinvenuti durante le campagne di scavo, condotte nei vari cantieri del metrò cittadino.  Le navi, di epoca imperiale, vennnero sollevate da una potente gru con un braccio di 14 metri e portate qui con appositi pianali di trasporto. Uno degli scafi è lungo 12 metri e pesante 21 tonnellate!


 




L'area di cantiere, ove furono rinvenute, coincide con l'antico porto imperiale di Neapolis. Le tre imbarcazioni sono state restaurate dalla Sovrintendenza di Napoli e Caserta e attendono il completamento della stazione Municipio, per poter adornare il grande sottopasso che collegherà le due stazioni ferroviarie (Metropolitane "linea 1" e "linea 6") con la stazione Marittima, opera progettata dall'architetto iberico Siza.
Piu' volte è stato lanciato l'auspicio, qui su internet, che almeno una di queste tre imbarcazioni romane, assieme ad altri reperti archeologici trovati nei cantieri e nelle nostre zone, rimanessero in questo quartiere per poter allestire una piccola sezione archeologica locale, magari proprio nella costruenda stazione della metropolitana di Scampia. 

Chissà forse i potenti mezzi del web consentiranno di poter far leggere questa semplice richiesta a chi di dovere e quindi consentire di realizzare questo sogno, che aiuterebbe sicuramente a migliorare la vivibilità dei quartieri interessati e poter donare ai cittadini la consapevolezza di un miglioramento sociale, attraverso l'aiuto della cultura. 
Salvatore Fioretto
(Tutti i diritti per la pubblicazione dei testi del blog sono riservati all'autore, ai sensi della legislazione vigente)

(Vista dall'alto del deposito-officina di Piscinola-Marianella)

mercoledì 7 agosto 2013

Le colline di Napoli, e il mare: il paradiso decantato da Matilde Serao...

Leggevo stamattina questa bella introduzione alla leggenda "Il Mare" che è contenuta nel libro scritto da Matilde Serao, dal titolo "Leggende Napoletane", nella quale si elogia la natura di Napoli, il mare e le sue colline... Ve la propongo stasera ...!
Salvatore Fioretto 
(Tutti i diritti per la pubblicazione dei testi del blog sono riservati all'autore, ai sensi della legislazione vigente)
"Ognuno sa che Iddio, generoso, misericordioso e magnifico Signore, ha guardato sempre con un occhio di predilizione, la città di Napoli. Per lei ha avuto tutte le carezze di un padre, di un innamorato, le ha prodigato i doni più ricchi, più splendidi che si possano immaginare. Le ha dato il cielo ridente ed aperto, raramente turbato da quei funesti pensieri scioglientisi in lagrime, che sono le nubi; l'aria leggiera, benefica e vivificante, che mai non diventa troppo tagliente;  le colline verdi, macchiate di case bianche e gialle, divise dai giardini sempre fioriti; il vulcano fiammeggiante ed appassionato; gli uomini belli, buoni, indolenti, artisti ed innamorati; le donne piacenti, brune, amabili e virtuose; i fanciulli ricciuti, dai grandi occhi neri ed intelligenti. Poi, per suggellare tanta grazia, le ha dato il mare. Ma si soggiunse  che il Signore Iddio, dandole il mare, ha saputo quel che si faceva. Quello che sarebbero i napoletani, quello che vorrebbero, egli conosceva bene, e nel dar loro la felicità del mare, ha pensato alla felicità di ognuno. Questo immenso dono è saggio, è profondo, è caratteristico. Ogni bisogno, ogni inclinazione, ogni pensiero, ogni fibra, ogni fantasia, trova il suo cantuccio dove s'appaga: il suo piccolo mare nel grande mare".


Piscinola dall'alto, ripresa da un aereo americano, nel 1943.


Vista aerea del quartiere di Marianella e di Piscinola, anno 1943









lunedì 5 agosto 2013

Piscinola e il "suo" Salvatore: Una comunità civile che ricorda...!


Il dilemma se persiste ancora una realtà comunitaria nel nostro quartiere non è recente, infatti, dibattiti, studi di sociologia e di antropologia si sono sprecati nei decenni scorsi, possiamo dire anche oltre misura. Per chiarire questo dubbio, soprattutto dopo gli scellerati interventi di decostruzione e ricostruzione del secolo scorso, che seguirono quello infausto sisma del 1980, dobbiamo ricorrere all'osservazione della realtà e constatiamo, infatti, che gran parte degli interventi perpetuati su larga scala al tessuto urbanistico di Piscinola, in maniera diremo forzata, non hanno raggiunto gli obiettivi prefissati, che erano di sviluppo e di crescita sociale di questa parte di periferia, facendo prevalere l'anonimia, la disaggregazione, il degrado urbano, la perdita dei legami umani, la perdita delle tradizioni e il dissolvimento dell'aggregato comunitario. Ma non proprio tutto è andato perso...
Piscinola, 6 agosto.... come ogni anno a questa parte...a qualsiasi piscinolese, verace che si rispetti, la data non può passare inosservata, ma sta a significare "la festa di Piscinola", la rievocazione annuale del suo Protettore...
Decenni sono trascorsi, tante generazioni si sono succedute... ma qui resiste per fortuna questo "baricentro" inossidabile, che non si dissolve, perché millenario, perché il Santissimo Salvatore, oltre che Dio, è per Piscinola anche un emblema, un simbolo nel quale si identifica l'intera comunità Piscinolese... è il Suo Protettore storico!
Non sappiano esattamente da quanti secoli questa antica comunità ha assunto Gesù Trasfigurato quale proprio Patronus; forse, come attestano le fonti storiche, già a partire dal X secolo, ma probabilmente ancora prima... Qui le tracce storiche si perdono nella notte dei tempi, quello che però sappiamo è che, allora come oggi, da secoli e secoli lontani, il Salvatore è stato considerato l'essenza civica di questa comunità, la sua Anima, il suo Vindice, il suo Nume Tutelare... il Patrono... Un Protettore secolare a cui intere generazioni, in pace e in guerra, con invasioni e con devastazioni, con peste e con carestie, nelle vicissitudini varie della vita, lieti e tristi, hanno riposto in Lui le proprie speranze, le proprie aspettative. Un Santo civico, pur essendo la Divinità, è soprattutto un "simbolo" di aggregazione sociale, che da secoli, se non da millenni, viene considerato come un “Padre anziano”, a cui confidare le proprie amarezze e le proprie speranze.
Tanto è radicata la Sua figura storica e la Sua valenza civica, che in antico tempo, fuori alla chiesa del Salvatore si soleva far adunare l’Università di Piscinola (Comune), per discutere dei problemi urgenti, perché era un luogo sacro e caro a tutti i piscinolesi, richiamando i cittadini con il suono delle campane, a distesa… In una carta celebrata nel 1323 si legge: "I paesani di questo villaggio avuto avessero un culto speciale verso il Santissimo Salvatore....!".
Quando anni fa iniziai a raccogliere le testimonianze su Piscinola e progettai i primi rudimenti del mio Libro, non ebbi esitazioni nell'intitolarlo al Salvatore, richiamando l'antico toponimo di Piscinola: la "Terra del Salvatore", proprio per rivitalizzare questo antico legame del Salvatore con Piscinola, infatti nelle pagine introduttive del libro, così scrissi: "Questo culto particolarissimo verso il Santissimo Salvatore, oltre al toponimo, ha sempre contraddistinto e accompagnato, per oltre mille anni le vicende civili e religiose, sia liete che tristi, della intera comunità piscinolese e per tale motivo questo libro ne ha assunto il titolo, con l'intento di rendere omaggio a Piscinola, "la Terra del Salvatore".
Il Salvatore, quindi, oltre al significato sacro, è anche un simbolo civico, che aggrega, unisce una comunità intera, che ogni anno si ritrova insieme, unita al Suo cospetto, nella sua festa delle feste... quella del 6 agosto... Viva il Salvatore!!
Salvatore Fioretto 
(Tutti i diritti per la pubblicazione dei testi del blog sono riservati all'autore, ai sensi della legislazione vigente)

venerdì 2 agosto 2013

Le eccellenze di Napoli Nord


In riferimento alle eccellenze di Napoli Nord, delle quali parlo nella mia recensione al libro di Franco Maiello "Immagini di Scampia" eccovene un piccolo esempio. Si tratta del Singing' Glory Gospel Choir , che si è esibito nella serata finale del V Simposio di Arte Internazionale a CasArcobaleno a Scampia! Una vera Stella!!!
Questo il link al loro sito ufficiale:

RECENSIONE del libro di Franco Maiello " IMMAGINI DI SCAMPIA" ed. Marotta&Cafiero

https://www.facebook.com/notes/rosa-bianco/recensione-del-libro-di-franco-maiello-immagini-di-scampia-ed-marottacafiero/10152100949034815

A Franco, amico di cuore e di penna.
Franco Maiello, il carissimo prof. Maiello, che da alcuni anni conduce con successo il Caffè Letterario del Centro Hur...tado a Scampia, centro culturale di eccellenza, non solo di Napoli Nord, ma dell'intera città, retto dal gesuita Fabrizio Valletti, con il suo ultimo libro "Immagini di Scampia" offre uno spaccato fotografico di eccellente qualità di un quartiere, nato nel corso degli anni '70 dello scorso secolo, figlio delle dinamiche urbanistiche, politico-amministrative di quegli anni. Luogo pensato per la deportazione di intere frange della popolazione napoletana, da altri quartieri della città devastati, in quella campagna florida "La Scampia", l'immenso "mare verde", che si perdeva a vista d'occhio e che faceva parte di quello che un tempo era il Casale di Piscinola-Marianella. Terra pregna di storia, di tradizioni e di orgoglio civile, del tutto ignorati e tracimati dall'avanzata del cemento. Franco Maiello, originario di Grumo Nevano, abitante a Scampia da 30 anni, innamorato di questo quartiere, ha dedicato a esso i suoi tre libri: "Passaggio a Scampia" Ed.Pironti, "Lettere da Scampia" Ed.Guida, e quest'ultimo "Immagini di Scampia" Ed.Marotta & Cafiero: una trilogia come per ogni autore che si rispetti. Quest'ultimo documenta la realtà a mosaico di Scampia, dove convivono parchi di civili abitazioni e lotti di case popolari, iniziative aggregative e culturali di eccellenza e gruppi di criminalità organizzata, monumentali edifici pubblici, come la Municipalità con il Parco pubblico, ma sfiducia nelle istituzioni da parte della cittadinanza, attraverso la raccolta di foto, scattate e conservate appassionatamente in un ventennio, corredate talvolta da brevi frasi, anche in chiave lirica, forma e sostanza dell'animo di un uomo, che non si rassegna allo stereotipo di Scampia, "non-luogo" degradato e piazza di spaccio, ma che si impegna, lotta e si schiera in prima persona ogni giorno! Ma non é solo: il libro di Franco Maiello è stato pubblicato, grazie a 500 co-produttori dalla casa editrice Marotta&Cafiero, tra i quali me, che hanno creduto nel suo progetto documentale e che insieme alle tante associazioni culturali, educative, sportive, ambientaliste, di volontariato, alle scuole e alle chiese di frontiera ( si ricordi che nella VIII municipalità di Napoli vi è il più numero di associazioni della città) e a tanti ignoti, uomini e donne, migranti e rom, che non fanno notizia per i media ( perché il bene non fa notizia, il male si!), e cioè, in definitiva, alla maggioranza della cittadinanza di Scampia, chiedono, urlano, pretendono nulla altro che l'ordinarietà dalle istituzioni e dalle amministrazioni per il proprio territorio. Basta con le politiche emergenziali! Scampia è un caso di "ordinaria emarginazione urbana", voluta e perpetuata negli anni da politiche scellerate, ma che ha in sè tutti i numeri, le forze, le capacità e le potenzialità per assurgere a quel grado di vivibilità e di normalità, non seconda a nessun altro quartiere della nostra città o di altre nel mondo. E il libro di Franco documenta tutto questo! Grazie Franco, per essere il fratello che sei per tutti noi!!


martedì 30 luglio 2013

Alfonso di Marianella: Il santo degli ultimi...un santo delle periferie!


La ricorrenza del 1 agosto, dies natalis al cielo di sant'Alfonso, quest'anno ci induce a delle considerazioni molto particolari, che riguardano da "vicino" noi suoi conterranei. Ci soffermeremo a rispondere ad una domanda, in particolare, alla quale non possiamo più sottrarci: Alfonso de Liguori come ha vissuto la sua vita in rapporto con la sua terra natale, vale a dire con il casale di Marianella e suoi dintorni?? Come visse la sua infanzia in questo territorio?
Della sua lunga vita si è scritto molto, ma poche sono le notizie che narrano della sua vita trascorsa a Marianella. Proviamo a ricostruire gli episodi dalle fonti biografiche e agiografiche in nostro possesso.

In primis apprendiamo dai biografi la nascita e i primi giorni della Sua vita:
Don Giuseppe de Liguori, che possedeva una casa di campagna nel Casale di Marianella, ereditata dal padre Domenico, volle che il suo primogenito vedesse qui la luce, circondato dalla natura e aria salubre e da tanta calma e serenità; questo usanza fu poi estesa a tutti gli altri discendenti della sua casata, che seguirono Alfonso. Alcuni giorni dopo la nascita, i genitori portarono il loro bambino nella dimora cittadina, nel loro palazzotto situato nel popoloso quartiere dei Vergini e qui Alfonso dopo 3 giorni ricevette il battesimo nella parrocchia dei Vergini.
Di quest'avvenimento cosi descrive Theodule Rey-Mermet, nel libro su Sant'Alfonso: "Il santo del secolo dei lumi":
“A dì 29 di settembre 1696 di sabato. Alfonso, Maria Antonio Giovanni Francesco Cosimo Damiano Michele Angelo Gasparro de Liguori figlio del Sig. D. Giuseppe de Liguori ed della Signora D. Catarina Anna Cavaliero Coniugi, fu battezzato per me D. Giuseppe del Matteo parroco e fu tenuto a Gratia Porpora - nato a 27 di detto, ore 13”.
Allora a Napoli, come in tutto il resto della penisola, il suono dell'Angelus della sera mezz'ora dopo il calar del sole determinava i giorni e le ore; nella seconda quindicina di settembre alle ore 13, le nostre attuali 7, i rintocchi dell’ Angelus del mattino della vicinissima chiesa di Marianella e di tutti i campanili di Napoli riempivano l'aria.
I genitori intendevano con il nome di Alfonso far rivivere nel loro primogenito la memoria del nonno e del trisavolo con i nomi di Antonio".
E ancora in questo passo, pur escludendo la frequentazione continua a Marianella:
"All’inizio del Settecento Napoli, raggomitolata in modo pauroso dentro la cinta fortificata all’ombra di Castel Sant’Elmo con i suoi 214.000 abitanti, soffocava all’interno dei bastioni come una matrona costretta nel busto di un’indossatrice; solo nel 1717, con l’arrivo degli Austriaci, le violente proteste di una popolazione asfissiata strapperanno al viceré, il conte di Daun, l’autorizzazione a costruire all’esterno delle mura, che si comincerà ad abbattere non prima del 1740 Tuttavia, a dispetto delle ordinanze di Madrid, il viceré Pietro di Toledo, a metà del XVI secolo, aveva lasciato sorgere extra muros grossi agglomerati, tra i quali, al di là di Porta S. Gennaro, il Borgo dei Vergini, ai piedi delle pendici verdeggianti che si arrampicano verso Capodimonte.
In questo quartiere relativamente nuovo, arieggiato e purificato dalle piogge che scorrevano dall’alto, e non a Marianella, il piccolo Alfonso crescerà fino ai suoi undici anni, nella casa che i giovani sposi Giuseppe e Anna de Liguori avevano scelto non lontano dal palazzo Cavalieri e dalla trireme ammiraglia, la Capitana, ancorata nel porto militare raggiungibile facilmente per via Toledo. [...]".
Sul fronte dell’arco che prospetta l’ultima tesa della scalinata al 1° piano e la stanza, una lastra di marmo è apposta con queste parole:
"Nella Camera in cui questa porta immette
Alle ore 13 del 27 Settembre 1696, nacque
S. Alfonso M. De’ Liguori
Fondatore dei redentoristi, Vescovo di S. Agata de’ Goti
e Dottore della Chiesa universale"
Si narra che un giorno, incontrando il pio gesuita, Francesco de Geronimo, i coniugi de Liguori vollero da questo impetrare una speciale benedizione per il bambino. Il futuro santo gesuita, a vederlo rimase alquanto stupito, quasi scosso e poi profetizzò che il bambino sarebbe vissuto fino ad oltre novant'anni, sarebbe stato vescovo e avrebbe fatto grandi cose per Gesù Cristo. Di questo avvenimento è conservato un dipinto sull'altare della cappella della casa di Marianella.
San Francesco De Geronimo predice sulla vita di S. Alfonso
Per la cronaca, tutto quello che predisse Francesco Geronimo si verificò puntualmente e ancora di più, è singolare scoprire che Alfonso fu canonizzato ed elevato agli altari proprio nello stesso giorno di San Francesco de Geronimo, il 26 maggio del 1839.
La prima bella testimonianza di Alfonso ragazzetto è riportata dal biografo Rev. P. A. Berthè, nel suo libro "Sant'Alfonso de Liguori", che così scrive:
"Ogni domenica , i padri dell’Oratorio conducevano i loro giovani congregati in qualche villa dei dintorni, perché giocassero e si divertissero a loro piacere. Un giorno, mentre si trovavano a Capo di Monte, nella villa del principe di Riccia, i giovanetti proposero un giuoco che Alfonso non conosceva. Egli quindi ricusò di prendervi parte; ma, dietro le reiterate istanze dei suoi compagni, si mise a giocare con loro. Disgrazia volle che egli vincesse un numero considerevole di partite, ed in conseguenza di poste, con grande stupore dei compagni, che finirono col rimproverarlo amaramente per averli ingannati. - Tu dicevi di non conoscere il giuoco! - esclamò uno dei perdenti incollerito e con parole oltraggiose - Come! - riprese Alfonso, - per poche misere monete, voi non temete di offendere Dio!". E commosso fino al fondo dell'animo, gettò per terra il denaro che aveva guadagnato, voltò le spalle ai compagni e disparve in un boschetto vicino. I giovani continuarono fino a sera i loro giuochi senza più occuparsene di Alfonso; ma quando venne il momento di tornare, siccome egli non compariva, si misero a chiamarlo e a cercarlo per tutto. Quale non fu lo stupore di quei fanciulli inconsiderati, quando lo ritrovarono in ginocchio, al piede di un vecchio lauro, ai rami del quale egli aveva attaccata l'immagine della Madonna, che portava sempre seco! Assorto in un santo accoglimento, non si accorse del rumore che si faceva intorno a lui. I fanciulli, stupiti, lo consideravano con rispetto. Colui che lo aveva offeso, punto da vivo rimorso, non potè fare a meno di dire ai compagni: "Egli è un santo ed io , sciagurato. l'ho offeso così vivamente". Alfonso finalmente apri gli occhi, come se uscisse da una lunga estasi, scorse i compagni e non poté dissimulare la confusione che provava, vedendosi sorpreso in quel atteggiamento. D'allora in poi i giovani dell'Oratorio lo guardavano, non senza ragione, come il privilegiato della Madonna".

Nella biografia di Antonio Maria Tannoia si legge che Alfonso nel 1752 organizzò una missione nella sua Marianella:
"Consolò ancora Alfonso in questo tempo colla Santa Missione il Casale di Marianella; e fecelo con maggior piacere, perché quivi goduta aveva la luce di questo Mondo. Al ritorno, passando per Napoli, andò a scavalcare nel nostro ospizio, cioè in uno scomodo quartino di casa sua, cedutane ai nostri per limosina l'abitazione del fratello Don Ercole"

Dopo questa missione, e quella organizzata a Porta Piccola di Capodimonte, forse per l'eccessivo dispendio di energia, Alfonso si ammalò gravemente, tanto da temere per la stessa sua vita.  Una volta ripresosi gli fu consigliato di passare un periodo di riposo a Scala, in provincia di Salerno, tappa che  segnò l'inizio della fondazione della Congregazione del SS. Salvatore, nome poi tramutato dal Papa in: Congregazione del Santissimo Redentore.
Statua d'argento di San Alfonso nella Cappella del tesoro di san Gennaro a Napoli
A riguardo le ore liete che la piccola famiglia dei Liguori si concedeva di tanto in tanto a Marianella, ancora il Theodule Rey-Mermet, nel libro su Sant'Alfonso: "Il santo del secolo dei lumi" così scrive:
[...] "Durante l’inverno la squadra (ndr.:. le galere di Don Giuseppe, padre di Alfonso) si rilassava nel bacino di Baia e nei mesi estivi e autunnali i funzionari, dal viceré fino ai rematori delle galere, a meno che il “Turco” non si spingesse a cacciare nei paraggi, godevano di parziali vacanze. Anche i coniugi Liguori con il loro allegro piccolo mondo potevano allora riguadagnare per qualche settimana il paradiso di Marianella e ritrovare lo “zio” e vicino Nicola de Liguori (fratello del futuro vescovo di Lucera), forse anche la sorella, la giovane “zia” Antonia (Donna Antonia Salerno), una pittrice da tutti ammirata. "
E ancora in un altro passo:
 "[...] Non abbiamo il coraggio di imporre al lettore il dettaglio dei passi, delle suppliche, dei rifiuti sgarbati, delle umiliazioni, che segnarono ancora una volta nel corso del 1752 la vita napoletana del fondatore, impegnato contemporaneamente da predicazioni e da missioni sfibranti: Marianella, la chiesa dei Pellegrini, ecc. Alfonso fu costretto a vivere nuovamente il calvario degli anni 1747- 1748 .
Vi aggiunse macerazioni da far rabbrividire, perché l’Opera votata alla salvezza degli abbandonati potesse continuare a vivere. Una sera, arrivato in casa del fratello Ercole al quartiere dei Vergini tra gli schiamazzi dei perdigiorno a causa del suo asino, della sua barba, del suo vecchio mantello, si chiuse in camera e l’indomani non vedendolo comparire si dovette forzare la porta: sul letto, completamente vestito, non dava segni di vita e i medici, chiamati in fretta, scoprirono che un orrendo cilizio lo faceva venir meno per lo strazio. Se aveva rischiato la morte per il dolore, credette poi di morire per la confusione d’essere stato scoperto nelle sue penitenze." (nella foto Sant'Alfonso e la Regola).
Quando Alfonso decise di farsi sacerdote e rinunciò alla primogenitura di casa Liguori, gli rimase solo la proprietà del Carduino a garantire il reddito occorrente per l'Ordinazione: La proprietà del Carduino è proprio il tenimento di terreno con masseria nel quale oggi si trovano i resti archeologici della villa romana!:
“[...] Non pensiamolo per questo sul lastrico! (si riferisce al papà di S. Alfonso) Gli restavano tre palazzi (Via Toledo, Supportico Lopez e Marianella), un’altra grande casa a Marianella, più di venti bassi dati in affitto, diversi terreni (giardini, frutteti, boschi) per un totale di circa venticinque ettari e altre opulenti rendite.  Aveva lavorato bene per il suo primogenito, credendo così di legarlo saldamente al mondo ma aveva fatto i conti senza la forza del Vangelo."
Madonna dipinta da S. Alfonso
Poi:
“Alfonso divenne chierico tonsurato nell’autunno del 1724, dopo che Don Giuseppe gli ebbe assegnato sulla proprietà Cardovino a Marianella il patrimonio di 40 ducati annui richiesto dal diritto canonico. [...]."

E ancora:
 "[...] Personalmente Alfonso non poteva lamentarsi: aveva vitto e alloggio in casa, un patrimonio di quaranta ducati annui da percepire sulle rendite della proprietà Cardovino (o Carduino) a Marianella, la pensione del collegio dei dottori e la sua parte delle entrate del Seggio di Portanova. Però chi conosce il padre e la storia della prima sottana di Alfonso è autorizzato a pensare che una parte notevole finisse nella scarsella paterna, una volta onorata la sua partecipazione alle opere di misericordia: Incurabili, sacerdoti della Misericordiella..." (nella foto la Madonna dipinta da sant'Alfonso).

Più volte i membri della famiglia dei Liguori si recarono a Marianella per placare i loro immancabili momenti di apprensione, sia Don Giuseppe e lo stesso Sant'Alfonso; il più famoso, raccontato da tutti i biografi di Sant'Alfonso, è quello del padre quando seppe della rinuncia del figlio alla già fulgida carriera forense:                                                                                                          

"Dovendo andare D. Giuseppe al baciamano (ndr. Si riferisce alla cerimonia del baciamano dei nobili napoletani verso il Vicerè in carica), disse ad Alfonso, che si fosse composto anch'esso. A tale invito si scusa freddamente Alfonso, non so con qual pretesto, ma premendolo il Padre, più freddo rispose: Che vengo a farci? tutto è vanità. Montando in furia D. Giuseppe, per una tal risposta, tutto fuoco gli disse: Faccia ciocchè vuole, e vadane ove vuole. Entra in iscrupolo Alfonso, vedendolo disturbato, e con umiltà soggiunse: Non v'inquietate Signor Padre; eccomi qua, son pronto a venirci. Non ammettendo D. Giuseppe, alterato com'era, la sommissione del Figlio, infuriato replicò di nuovo: Faccia ciocchè vuole; e voltandogli le spalle, cala di casa, s'incarrozza, ed anziche a palazzo, sen va così crucciato, e pieno di amarezza nel suo casino  in Marianella. Restò Alfonso molto mortificato, anzi afflittissimo per questo disturbo del Padre: Mio Dio! esclamò, se ripugno, fo male; se mi offerisco, fo peggio. Io non so come regolarmi. Così afflitto esce anch'esso di casa, e vassene a dirittura, volendo trovar sollievo al suo spirito, nella Casa degl'Incurabili".                   


Il papà di Alfonso, Don Giuseppe de Liguori, trascorse gli ultimi anni della sua vita a Marianella, dilettandosi a dipingere:
Di certo rimane la sorprendente pagina di B. de Dominici pubblicata nel 1745 nelle Vite de’ pittori: “D. Giuseppe di Liguoro, Cavaliere napoletano, si applicò ancor egli con gran genio al disegno, e volle per maestro Francesco Solimena, con la di cui direzione fece qualche cosa, copiando l’opere sue. Ma lasciando poi di colorire a olio, si volse a dipingere in miniatura, ed in tal modo ha fatto moltissime cose con sua lode, da poiché, virtuosamente applicando il tempo, è venuto a guadagnarsi il nome di Virtuoso, ed a far Si che il suo nome resti meritevolmente eternato. Egli, acciocché non venghi disturbato dalle cure domestiche, suole per lo più ritirarsi a Marianella, casale vicino Napoli, ove, benché fatto vecchio, tuttavia dipinge le sue miniature, delle quali suole far dono ai suoi più cari amici, e ad altre persone di merito” .
Questa pagina di storia minore, scritta a caldo e con una punta di iperbole mentre il vecchio ufficiale era ancora in vita (morrà all’uscita del libro nel 1745, cioè due anni prima di Solimena), se non apre a Don Giuseppe le colonne delle enciclopedie d’arte, dà a noi la possibilità di lanciare uno sguardo sui suoi gusti e sulla sua cultura, sul suo riposo tranquillo e, soprattutto, sulla formazione pittorica del suo primogenito Alfonso, che quindi crebbe non solo in una galleria di quadri, ma anche tra i colori e i pennelli. Come non pensare allora che il maestro di pittura e senza dubbio di architettura datogli dal padre non sia stato quello stesso del quale anche il genitore seguiva le lezioni?" 
Un'altra pittrice della casa dei Liguori fu Antonia de Liguori, definita da Theodule Rey-Mermet:  "...la delicata pittrice di Marianella".
Reliquario contenente le ossa di sant'Alfonso a Pagani
Il padre di sant'Alfonso, Don Giuseppe, morì proprio nella sua casa di Marianella, ecco la testimonianza di Theodule Rey-Mermet
"Se si fosse trattata di una popolazione meno difficile (ndr. quella della diocesi di Foggia presso la quale Egli si trovava per una Santa Missione), Alfonso l’avrebbe senz’altro lasciata in altre mani, per correre all’inizio di novembre a Marianella, dove si spegneva il padre. In sua vece mandò al capezzale il P. Saverio Rossi, che durante il suo lungo ritiro a Ciorani aveva ricevuto le confidenze e si era guadagnato l’amicizia del vegliardo. Degli altri due figli sacerdoti, solo Don Gaetano potette assistere il moribondo, perché il benedettino Antonio (Don Benedetto Maria) era morto a quarant’anni il 3 agosto 1739.
“Don Giuseppe de Liguori morì, timorato e fervoroso, la domenica 14 novembre 1745, dopo 50 anni e sei mesi di matrimonio, all’età di 75 anni. Alfonso, che durante il suo prossimo passaggio per Napoli sarebbe venuto a consolare la madre Donna Anna Cavalieri assicurò da Troia al padre il suffragio delle messe sue e dei confratelli e le preghiere di quel popolo toccato e riconoscente".

Il fratello di S. Alfonso, don Ercole, ebbe il suo terzogenito che volle chiamare Alfonso Maria in omaggio al nostro santo, il cui battesimo fu celebrato personalmente da Sant'Alfonso nella chiesa parrocchiale di Marianella il 5 agosto del 1767; singolare fu il battibecco che Egli ebbe con il parroco di Marianella, per gli encomi che egli poco gradì, ecco quanto riporta Padre Antonio Tannoia nel libro "Della vita ed istituto del venerabile Servo di Dio Alfonso M. de Liguori...."
 
"Essendosi sgravato tra questo tempo in Marianella D. Marianna Capano Orsini sua cognata, avendolo partorito un bambino, volle la consolazione il di lui Fratello D. Ercole, che col Battesimo, per mezzo suo, il bambino rinato fosse alla Grazia.
Lo compiacque Monsignore; e volle D. Ercole, per sua maggiore consolazione, che anche Alfonso nominato si fosse. Saporito è quello accadde con quel Parroco. Assistendolo questi, ripetevali l'Eccellenza in ogni voltata di lingua. Soffrillo Monsignore la prima, e seconda volta, per non interrompere la funzione; ma più non potendo, Signor Parroco, li disse, se mi volete dare l'Illustrissimo, fate come volete, o trattatemi da tu a tu, che fate meglio."

E ancora:
"[...] Il 5 agosto 1767, in pieno soggiorno napoletano di Alfonso, venne al mondo un terzo figlio e lo zio, condotto a Marianella, gli diede il battesimo e il nome: Alfonso Maria.

Nel 1780 il fratello di Sant'Alfonso muore nella casa di Marianella:
"[...] Il fratello Ercole era morto improvvisamente a Marianella l’8 settembre 1780 e la primogenita Maria Teresa, consigliata dallo zio, con scelta matura, era entrata nel convento di S. Marcellino, facendovi la professione il 2 luglio 1783".

Prima di concludere c'è da aggiungere che Alfonso fu contemporaneo del barone Gennaro Maria Sarnelli, anche egli giovane avvocato del foro di Napoli, il cui genitore aveva un tenimento sito tra Polvica e Chiaiano, nel quale dimorava con la sua famiglia a Napoli. Considerando l'antica amicizia che regnava tra i due, sicuramente nei verdi anni della giovinezza Alfonso e Gennaro si sono frequentati e hanno trascorso insieme il loro tempo libero, esplorando e percorrendo il territorio tra Chiaiano, Marianella, Piscinola e Mugnano. Purtroppo di tutto questo non abbiamo testimonianze scritte. Il padre di Gennaro, il Barone Angelo Sarnelli, donò poi a Sant'Alfonso un'ala del suo castello a Ciorani, che costituì la prima casa dei padri Redentoristi. Gennaro abbandonò anch'egli la toga di avvocato per seguire Alfonso nelle sue opere. Gennaro Maria Sarnelli è stato beatificato nel 1994.


E' nostro auspicio aver, con le suddette testimonianze raccolte, colmato il vuoto biografico che esisteva in merito al personaggio Alfonso, soprattutto in rapporto alla Sua terra natia e di aver quindi risposto alla domanda iniziale. Noi speriamo che altri volenterosi ricercatori ci potranno deliziare in futuro, con altre notizie inedite, affinché Alfonso possa essere ancora di più stimato e venerato nella Sua cara Marianella e nell'intera Area Nord di Napoli.

Salvatore Fioretto
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Con la solennità di sant’Alfonso, si ricorda il dottore, l'asceta, il vescovo, il predicatore, il teologo, il musicista, il poeta, il confessore, lo scrittore di 111 opere .... nato a Marianella, ma per noi rappresenta un grande concittadino del nostro territorio…!
La gloria di Sant'Alfonso (casa natale di Marianella)