domenica 19 maggio 2019

Gli Osci, gli antichi nostri progenitori...

Sicuramente la nostra cultura, la lingua napoletana e i nostri concetti di armonia e di vita a contatto con la terra e la natura, sono retaggi che provengono da molto lontano, da un passato lontanissimo diverse migliaia di anni...; essi sono un condensato di esperienze di vita e di culture di tanti popoli che hanno contaminato nei secoli la vita degli abitanti della Campania. Un posto di rilievo in questa disamine storica è riservato a un antico e importantissimo popolo, definito "Pre-romano" o "Italico", che ancor prima dei Romani e dei Greci hanno popolato la Campania e l'Italia meridionale, parliamo degli Osci.
Tempio italico
Descrivere in poche pagine la storia di questo popolo è un'impresa assai ardua e faticosa, perché sulla materia esistono tantissimi trattati e opere, sia antiche che moderne, spesso anche contraddittorie tra loro: tante sono, che risulta un'impresa difficile condensarle tutte in un così breve scritto, quale è la dimensione di un "post"; tuttavia proviamo qui a tessere i caratteri storico-antropologici fondamentali ed essenziali, per descrivere questo popolo, nostro antico progenitore.
Molto frammentarie e incerte sono le tracce storiche che testimoniano l’origine e la cultura degli Osci, perché rare sono le notizie storiche che narrano dell’esistenza e della distribuzione territoriale di questo antico popolo campano.
Guerrieri
Secondo molte fonti storiche attendibili, il popolo degli Osci, nel periodo pre-romano occupava l’attuale Campania, prediligendo la pianura per la fertilità del terreno e la vicinanza con il mare.
Secondo Plinio (il Vecchio) prima della comparsa degli Osci, il territorio campano era abitato da altre popolazioni antiche, tra cui gli Opici e gli Ausoni. 
Il Devoto, trattando degli Ausoni, dice che a questo popolo era anche attribuito il nome di "Opikoi" (in latino Osci), talora anche in Greco "Oskoi". Altre volte si rinviene il termine "Opsci", che condurrebbe sempre al significato di "lavoro" e di "lavoratori". Qualche storico, tuttavia, asserisce che gli Osci furono il frutto dell'integrazione degli Opici con i Sanniti. Le più recenti scoperte archeologiche nel territorio, che si estende dal Volturrno a Napoli, testimoniano la presenza della civiltà osca, sulla quale era già intervenuta l'influenza greca, etrusca e sannita.
Diffusione degli Osci e della lingua osca
Diversi storici di cose campane si sono avventurati nel cercare notizie di questi popoli, a partire dal Devoto, Mommsem, Alessio, De Sanctis, fino a giungere a Gaetano Capasso; e si può dire che, anche se con qualche contraddizione tra le loro tesi, il quadro che emerge sulla storia particolare risulta essere ben delineato.
In passato non è mancato chi ha sostenuto la tesi delle invasioni, in tempi lontanissimi, di popoli sia indoeuropei che italici, i quali avrebbero notevolmente rivoluzionato l'assetto della nostra regione. Ma studi più recenti e molto autorevoli ammettono che le popolazioni italiche sono di fatto originarie dei territori mediterranei e la loro cultura è tipica di tali zone. 
Alcune statue della dea "Mater Matuta", del Museo Archeologico Campano


Data la scarsità dei reperti archeologici, che danno indicazioni specifiche su tale materia, è stato lo studio delle lingue antiche a dare un contributo sostanziale per chiarire queste lacune, confermando che ogni popolazione italica, con una propria lingua, è il risultato di un avvenimento storico indipendente, ancor prima dell'arrivo dei coloni greci, che si stanziarono sulle coste campane; anche se il passaggio tra i vari popoli non fu immediato ma graduale in un arco di tempo molto ampio, dell'ordine di millenni... 
Gli Osci era un popolo mite, dedito al lavoro dei campi, come indicherebbe il termine greco "Opskoi". 
Alcune statue della dea "Mater Matuta", esposte nel Museo Archeologico Campano (Capua)
Nell'antichità non ebbero una definita organizzazione sociale e amministrativa. Comunque la cellula fondamentale della loro aggregazione fu la famiglia, organizzata con un sistema di tipo patriarcale, a cui capo era posto il capostipite del ceppo, il quale regolava la vita e l'attività di tutti i suoi componenti. Anche se c'era una forma di sudditanza tra i suoi componenti, paragonabile alla presenza di servi, nei nuclei familiari degli Osci regnava la libertà; la schiavitù vera e propria fu invece introdotta con l'arrivo dei Greci. Nell'ambito comunitario i nuclei familiari si comportavano autonomamente, data l'assenza di un capo riconosciuto, anche se i rappresentanti delle famiglie si riunivano tra loro per decidere su alcune questioni comunitarie.
Gli Osci abitavano in villaggi realizzati con capanne. Era un popolo diremo alquanto rozzo, se lo rapportiamo a quello greco, dato che gli individui, per le loro usanze quotidiane utilizzavano vasi in argilla alquanto privi di decorazioni, realizzati molto grossolanamente, anche se muniti di impugnature e manici. Qualche decorazione geometrica era eseguita sulle superfici del vasellame, mediante l'incisione, prima della loro cottura oppure prima dell'essiccazione al sole.
La loro principale attività, che garantiva loro la sussistenza, era ovviamente l'agricoltura, anche se praticata con strumenti rudimentali e in modesti appezzamenti di terreno, spesso vicini ai loro capanni. Persistevano delle forme di allevamento del bestiame, specie quello bovino. Lungo le coste e i corsi d'acqua venivano esercitate anche delle pratiche di pesca. Di queste ultime sono stati i rinvenimenti archeologici di vasi a darcene testimonianza, per la presenza di figure di pesci. Per l'allevamento dei bovini, non è azzardato affermare che la pratica molto locale dell'allevamento delle Bufale, costituirebbe un antico retaggio derivante da questo popolo campano, che allevava i bovini allo stato brado e in terreni resi paludosi dai corsi d'acqua del Volturno e del Clanium (la palude Palus Literina citata dai Romani)
Alcuni scritti in lingua Osca
Ricordiamo che il fiume Clanium (Clanio) era il primitivo corso d'acqua proveniente dal nolano, che sfociava nello specchio d'acqua litorale, che oggi chiamiamo Lago Patria; questo corso d'acqua è quello che oggi viene indicato come "Regi Lagni", dopo le massicce opere di bonifiche e d'instradamendo condotte nell'antichità, in particolare nel corso dei secoli XVII e XIX. 
Il territorio abitato dagli Osci era fertilissimo fin dall'antichità, sia per i residui alluvionali dei fiumi e sia per i depositi minerali precedentemente apportati durante le attività vulcaniche dei Campi Flegrei, oltre che per la presenza costante e abbondante d'acqua.
Reperto con una scritta in lingua Osca
La religione degli Osci dovette essere molto semplice e fondata su elementi naturali, quali: il Sole e la Terra, collegati al culto della "Mater Matuta", ossia la dea della terra e della fertilità, protettrice delle nascite, come attestano le varie raffigurazioni statuarie conservate nel Museo Campano di Capua.
Per la sepoltura dei defunti, gli Osci praticavano l'inumazione, in tombe realizzate con spesse lastre di tufo, spesso coperte con tegole di terracotta o semplicemente con altre lastre di tufo. All'interno dei loculi ponevano oggetti di uso domestico, come vasi e olle, oppure armi e elementi che indicavano lo stato sociale del defunto. La localizzazione delle tombe avvenne in maniera sparsa, spesso lungo i sentieri o vicino gli abitati, senza alcun raggruppamento. La conformazione delle necropoli venne introdotta solo nei secoli seguenti.
Reperto con una scritta in lingua Osca
L'arrivo de Greci sulla coste Campane (dei coloni calcidensi), a partire dall'VIII-VII secolo a.C., fu pacifico e determinò principalmente l'edificazione dei primitivi insediamenti ellenici a Ischia (Pithecusa) e soprattutto la nascita della città di Cuma (Cumae), che risultò in ogni periodo la principale città greca campana. Seguirono Pozzuoli (Dicearchia), Napoli (Neapolis), e altri importanti centri ellenici. I Greci rispettarono l'autonomia dei popoli indigeni e, quindi quella degli Osci, anche se contribuirono in maniera non indifferente alla loro civilizzazione. 
Reperto con una scritta in lingua Osca (la scrittura procedeva da sx verso dx)
Questa contaminazione fu proficua per gli Osci, che estesero le loro colture in appezzamenti di terreno sempre più vasti, migliorandone le tecniche e le attrezzature utilizzate. In tale circostanza gli Osci arretrarono i loro insediamenti nell'entroterra campano, popolando praticamente tutta la regione fino ai piedi della dorsale appenninica.
Con i Greci, gli Osci instaurarono degli importanti rapporti commerciali, basati principalmente sullo scambio dei prodotti dell'agricoltura. 
Nel trascorrere del tempo, gli insediamenti “oschi” divennero più stabili e organizzati e sorsero altre importanti città quali: Atella, "Liternum", "Volturum", "Suessola" (Sessa Aurunca), "Sinuessa" (Mondragone), e tante altre: alcune di esse sopravvivono ancora oggi, mentre altre si sono estinte nei secoli passati.
In questo periodo descritto, contestualmente allo sviluppo dell'agricoltura e del commercio, iniziò anche la realizzazione delle primordiali vie di comunicazione nella regione; tracciati stradali che furono poi ripresi e ampliati con l'avvento dei Romani. 
In pratica, nel quadrilatero che racchiudeva i primitivi centri campani, capeggiati da Capua, fu attraversato da un numero consistente di arterie stradali, alcune principali altre secondarie, come il percorso dell'attuale "Domiziana", che avrebbe collegato coi romani, Capua (Capoe) con Pozzuoli (Dicearchia), passando per: "Sinuessa" (Mondragone), per la scomparsa città di "Liternum"  e per quella "Volturnum" (Castel Volturno); come la strada detta "Antiqua", che avrebbe collegato "Liternum" con Atella; come la strada chiamata "Consolare Campana", che avrebbe collegato Pozzuoli con Capua; e come quella che sarà poi chiamata dai romani Appia, arteria che avrebbe collegato "Sinuessa" (Mondragone), con Capua, per raggiungere "Casilinum" (Teano), "Suessola" (Sessa Aurunca), "Calatia (Caiazzo), "Saticula" (S. Agata dei Goti), e poi Beneventum... fino a Brindisi.  Da Pozzuoli esisteva l'antico tracciato stradale che si collegava a Napoli (diventerà con i Romani, la strada per colles), mentre il centro di Napoli era collegato ad Atella e Capua, con la via Atellana, passando per "Grumum" (Grumo) e "Paternum" (S. Pietro a Patierno). 
Maschera delle fabule atellana
Altre vie secondarie dovevano collegare Atella con Cuma (via Cumana), e Atella con "Cales" (Teano).
Anche se il nucleo centrale del loro insediamento fu l’entroterra del Golfo di Napoli, fino agli Appennini, tuttavia numerose testimonianze rinvenute, soprattutto linguistiche, fanno risalire la presenza degli Osci in un’area assai più ampia, che si estendeva sia verso Est sia verso Sud dell’attuale Italia meridionale, fino a lambire le terre della Calabria. La città principale osca restò Capua, che fu purtroppo distrutta durante un'inscursione saracena, intorno all'IX secolo d.C. Il suo posizionamento geografico era corrispondente all'attuale città di Santa Maria Capua Vetere.
Dal V secolo a.C. gli Osci furono inglobati dai Sanniti, popolazione, di origine “osco-umbro”; inizialmente i Sanniti erano stanziati più a nord del territorio abitato dagli Osci, principalmente sulle catene montuose. 
Maschere delle fabule atellana
Da allora i due gruppi finirono sostanzialmente per coincidere, distribuendosi in una variegata colonia, che sopravvisse per lungo tempo, resistendo ai reiterati tentativi di conquista romana, fino alla capitolazione avvenuta con le famose guerre sannitiche, nel IV secolo a. C.
Al termine delle guerre sannitiche, gli Osci furono quindi assoggettati alla potenza di Roma, pur conservando la loro cultura, la lingua e le tradizioni, come dimostrano molte testimonianze storiche e soprattutto archeologiche rinvenute a Pompei. Infatti nella cittadina vesuviana sono stati trovati graffiti con iscrizioni in lingua “osca” che testimoniano come la cultura e soprattutto la lingua di questo popolo furono presenti ancora nella civiltà romana, almeno fino al I secolo a. C.
La lingua “osca” conobbe un vasto uso letterario, attraverso la diffusione delle "Fabule Atellane", che erano delle farse popolari, originarie della città di Atella.
Tali rappresentazioni teatrali, in gran parte improvvisate e messe in scena da attori-mimi con l’aiuto di costumi e maschere, ebbero un vastissimo successo nel mondo romano, al punto tale che furono rappresentate perfino a Roma, intorno al 391 a.C. Secondo alcuni storici, molte maschere della "Commedia dell'arte italiana" e anche di altre nazionalità d'Europa, deriverebbero dalla commediografia osca, a partire da Pulcinella, che sarebbe un erede della maschera di "Maccus"
Alcuni termini “osci” furono utilizzati nella lingua latina e sono tuttora usati nella lingua italiana.
"Mater Matuta" (Museo Aech. Capua)
Dopo le contaminazioni Sannitiche ed Etrusche, gli Osci svilupparono grande esperienze nei lavori edili ed idraulici. Secondo una leggenda, gli Osci insieme ai Troiani, che erano esperti di architettura e di ingegneria, edificarono le mura difensive della città di Capua. L’opera muraria che circondava la città fu molto apprezzata nel mondo antico. Si sa che Polibio paragonava le mura di Capua a quelle di Troia e di Atene. Anche l'instradamento delle acque del fiume Clanio e la bonifica delle aree palustri vengono attribuiti al popolo osco-sannita.
Nelle loro attività lavorative, gli Osci usavano come misura di superficie il "Vorsus", che secondo gli antichi gromatici (Varro, Frontino, Hygino), corrispondeva a 8640 piedi quadrati romani e questa informazione ha consentito al Nissen di determinare l'estensione del "piede osco", in metri 0,275.
Della presenza di quest’antico popolo anche nel nostro territorio lo dimostrano le testimonianze raccolte dai racconti degli anziani, che narrano di numerose tombe scoperte nel secolo scorso e, purtroppo, fatte rapidamente sparire, con il rinvenimento di molte suppellettili e armi attribuibili alla popolazione “osco-sannitica”.
Lapide stradale "Via Osci" a Piscinola
La primitiva strada osca che permetteva il collegamento del nostro territorio a Neapolis, è stata, a pareri di molti storici, l'antica strada che dalla odierna località detta dei "Ponti Rossi", raggiungeva Mianella e Miano, attraverso la fenditura esistente tra le colline di Capodichino e di Capodimonte. La strada è tutt'oggi un'importante via di comunicazione con la città di Napoli e il suo entroterra.
A ricordo di quest’antico popolo, pochi anni or sono, il Comune di Napoli ha denominato una strada di Piscinola, "Via Osci", ed è questa una delle pochissime testimonianze toponomastiche esistenti in Campania (ci risulta che altre dediche si trovano nei comuni di: Maddaloni, Santa Maria C.V. e S. Arpino e nella località di S. Nullo-Licola (CE)), che dona una degna valorizzazione a una parte importante della nostra storia antica.

Salvatore Fioretto
 
Tombe rinvenute a Secondigliano, alla fine del secolo scorso.

domenica 12 maggio 2019

Maggio dei Monumenti 2019 a Piscinola: "Un viaggio nella storia di Piscinola"



Ecco alcuni filmati ripresi durante la visita guidata per la kermesse del Maggio dei Monumenti 2019, nell'antico borgo di Piscinola, dal titolo "Viaggio nella storia di Piscinola".
Commento storico a cura di Salvatore Fioretto. Lettori: Imma Cuozzo e Natale Cuozzo, canti del gruppo folk "Mammamà". Riprese cine-foto di Biagio Palumbo, assistenza fono, Marco Barone. 
I brani poetici sono stati tratti dal libro "Piscinola, la terra del Salvatore", ed. The Boopen 2010, di S. Fioretto.


Buona visione e ascolto... (cliccare sui link sottoelencati)

Introduzione e Omaggio alla Ferrovia Napoli Piedimonte...

Omaggio all'umanità di Piscinola antica

Ricordo del prof. on. Raffaele Chiarolanza 

Ricordo della banda musicale di Piscinola 

Omaggio alla Virtus Piscinola Basket e al suo Fondatore 

La leggenda del Principino 

La leggenda e la storia della Madonna delle Grazie 

Altri video saranno integrati nell'elenco quando ci perverranno.
Salvatore Fioretto




lunedì 29 aprile 2019

Passando da Nord a Sud, ecco le tante località d'Italia che si chiamano come "Piscinola" di Napoli

Ogni giorno, utilizzando la moderna rete dei trasporti cittadina, soprattutto la "Linea 1" della metropolitana di Napoli, ricorrente è trovare scritta l'indicazione del quartiere di Piscinola, sia sulle locandine segnaletiche delle stazioni, che sugli orari dei treni. 
Anche attraverso gli altoparlanti, viene ripetutamente annunciato, da una "voce spiker" registrata, sia sulle banchine delle stazioni che a bordo dei treni, il sopraggiungere di un treno diretto a Piscinola; l'annuncio viene letto anche in lingua inglese, per i tanti turisti che visitano la città di Napoli: "Train to Piscinola" oppure "Piscinola Station"...
Lo stesso avviene per la linea metropolitana interprovinciale della "EAV" (Ente Autonomo Volturno: Piscinola - Aversa, linea lunga 10 chilometri), battezzata già dall'inaugurazione come: "Linea Arcobaleno", perché contiene per le decorazioni di ogni stazione un colore "a tema", scelto dall'iride dell'arcobaleno. Il capolinea di "Piscinola-Scampia", che rappresenta la stazione terminale del lato napoletano, contiene tutti i sette colori dell'arcobaleno...
Stazione di Piscinola-Scampia (Linea EAV)
Possiamo quindi affermare che oggi il nome di Piscinola, antico quartiere di Napoli, è conosciuto e diffuso in ogni angolo della città.
Tuttavia, c'è da dire che il toponimo di "Piscinola" non rappresenta un unicum della città di Napoli e della sua provincia, ma altre località, villaggi e frazioni d'Italia hanno la stessa denominazione della "Piscinola" di Napoli.
La più importante tra queste, anche dal punto di vista storico, è "Piscinola" (o Piscinula) borgata di Roma, situata nel quartiere di Trastevere, la cui origine è similmente attribuita, come nel nostro caso, al ritrovamento nella zona di un'antica cisterna per contenere l'acqua. Alcuni studiosi ritengono che il luogo sia stato in epoca romana la sede di uno stabilimento termale, con la presenza di vasche e piscine, delle cui vestigia il centro di Roma era un tempo colmo e, probabilmente, ne abbia condizionato il suo toponimo.
In questo luogo dell'Urbe, furono erette tre antiche e importanti basiliche cristiane: "San Benedetto in Piscinula", "Santo Stefano in Piscinula" e "San Lorenzo in Piscinula".
Della chiesa di S. Benedetto in Piscinula, l'unica oggi esistente, sappiamo da fonti quasi leggendarie, che fu eretta, nel 543 sulle rovine della Domus Aniciorum (o casa degli Anici), da parte di una nobile ed antichissima famiglia romana alla quale sarebbe appartenuto S. Benedetto da Norcia. La struttura muraria ed alcuni capitelli della chiesa rivelano l'antichita dell'edificio. Dopo il saccheggio di Roberto il Guiscardo, avvenuto del 1084, la chiesa fu riedificata e ampliata.
Chiesa di San Benedetto a Piscinula (Trastevere RM)
Le prime notizie documentate risalgono al 1192, quando Cencio Camerario, nel suo Liber Censuum, menziona la chiesa "San Benedetto de Pescina". Nel XV secolo fu restaurato il tetto, ad opera dell'antica e nobile famiglia dei Castellani. Nel 1678 fu rifatta la facciata e ai lati furono costruiti il collegio di S. Anselmo, adibito ai Benedettini di passaggio a Roma, e l'ospedale fondato da don Lami e funzionante fino al 1726, ossia fino a quando Filippo Raguzzini, per incarico di Benedetto XIII, inaugurò l'Ospedale dedicato a S. Maria e a S. Gallicano; entrambe opere poi scomparse nei secoli successivi. 
Il campanile, in laterizi con elementi di spoglio in marmo, è a pianta quadrata, conserva anche la più antica campana di Roma datata 1069. L’interno, a tre navate con colonne risalenti ai primi secoli dell’Impero, custodisce un pregevole pavimento cosmatesco in porfido e serpentino, del XII secolo ed un dipinto, del XIV secolo, posto sull’altare maggiore, che raffigura la Vergine con il Bambino.
Chiesa di San Benedetto a Piscinula (Trastevere RM)
Molto importante il piccolo oratorio, a pianta trapezoidale con volta a crociera, impostata su quattro colonne dall’alto plinto, con capitelli medioevali del secolo VIII. Costruita, intorno al XIII secolo, nel lato sinistro del portico, troviamo la ben nota Cappella della Vergine. L’altare, consacrato nel 1604 ed abbellito da una bella lastra in porfido di tipo cosmatesco, custodisce il venerato affresco trecentesco della Madonna con Bambino, denominata "Madonna della Misericordia". Da questo oratorio si accede in una cella molto angusta che la tradizione vuole sia stata la dimora ed il luogo di penitenza del giovane Benedetto da Norcia, durante la sua permanenza romana, intorno all'anno 495.
Di notevole importanza storico-monumentale è la presenza nella zona della nobile residenza della famiglia Mattei.
Ettore Roessler Franz, "Via Piscinula" a Trastevere
In questa borgata di Roma un tempo c'erano numerose Taverne, e alcune sono state immortalate in celebri dipinti, come quello del pittore danese, Ditlev Blunck, nel 1836, intitolato "Osteria la Gensola" (l'osteria si trovava sulla via che da Piazza Piscinula menava verso il Tevere). Scorci della Piscinula romana scomparsa, sono stati immortalati anche negli acquerelli del celebre pittore tedesco Ettore Roessler Franz, alcuni riproposti in questo post.
Tra le antiche testimonianze storiche, sappiamo che nell'anno 1556, Tullia d'Aragona, celebre cortigiana, scrittrice e poetessa del Rinascimento italiano, viveva in una taverna in Piazza San Lorenzo a Piscinula, di Trastevere.
Ditlev Blunck, "Osteria la Gensola"
A Roma esistevano anche le chiese di "Sant'Andrea in Piscinula" e "San Tommaso in Piscinula", Nella toponomastica romana troviamo, oltre la "Piazza Piscinula", anche la citata strada, denominata "Via Piscinula".
A Sessa Aurunca (CE) un tempo esisteva la "Certosa di Santo Stefano in Piscinola". Nel libro "Memorie critiche-storiche della chiesa di Sessa Aurunca", scritto da Mons. Giovanni Maria Diamare; ed. Artigianelli, anno 1906, pag. 147), si legge: [...] La certosa di Santo Stefano in Piscinola più non esiste ma nelle pertinenza di San Castrese, verso il territorio di Cellole, esiste il fondo chiamato Piscinola, che già apparteneva a' Cassinesi e vi era un'abazia. [...]
Piazza Piscinula a Trastevere
Dalle carte antiche si scopre che in questo territorio esistevano, oltre la chiesa di Santo Stefano, anche quella dedicata a Sant'Erasmo, martire a Formia nell'anno 303, e la chiesa di San Marco ad Anticolo (rif. Bolla di Atenulfo, Metropolita di Capua, dell'anno 1032).
Ancora oggi qui troviamo presente la chiesa di "San Giuseppe in Piscinola", che in antichità faceva parte di un complesso monastico appartenente all'abbazia di Montecassino. Non si conosce il periodo di fondazione della chiesa, ma essa viene già citata in alcune visite pastorali del XVIII secolo. Questo territorio è stato abitato fin dal periodo neolitico, come dimostrano i rinvenimenti archeologici e, ancor prima della occupazione Romana, era abitato dalle popolazioni italiche degli Ausoni e degli Aurunci.
Via Piscinola, a Spigno Saturnia
A Sessa Aurunca si trova anche una piccola località di nome "Piscinola", contenente una "Masseria Piscinola".
A Spigno Saturnia (LT) una strada è intitolata "Via Piscinola". Nella cittadina di Gianola (provincia di Latina) abbiamo un altro importante riferimento toponimo riguardante una località che porta il nome di Pescinola. Nel libro sull’architetto ”Palladio”, scritto da De Luca, nel 1990, Vol. 3-4, nella nota 9), a pag.22, si legge: “La zona è denominata “Pescinola” e in effetti alla foce del fiumicello vi sono i resti di una peschiera fin sotto al primo stabilimento balneare. Un’altra peschiera era nell’insenatura del Fiume Gianola, le cui strutture sono ancora visibili sotto i moli del porticciuolo costruito dal marchese Afan de Rovera. Questi impianti dovevano certamente appartenere al complesso residenziale del promontorio.
Via Pescinola a Trastevere
Sempre a Gianola (LT) troviamo oggi due strade del centro civico dedicate a Pescinola: Via Pescinola e Via Santo Janni a Pescinola.
Discorso particolare merita "Piscinola dei Marsi", che si trova nel comprensorio del comune di Pescina (AQ), come rilevasi  nel testo: "Collezione degli atti dell'amministrazione delle imposte dirette, del catasto e del macinato del Regno d'Italia", ed. Italia - Dir. Gen. Imposte Dirette", anno 1916, a pagina 348, sotto il territorio di Pescina, sono elencate le località di "Bisegna, Cocullo, Collarmele, Ortona dei Marsi e Pescinola". A Pescina hanno avuto i natali personaggi illustri della storia d'Italia, come Ignazio Silone e il Cardinale Mazzarino, successore del Cardinale Richelieu alla corte francese.
A Piscinola dei Marsi è nata anche Regina Rossi in Milli, educatrice e madre della celebre scrittrice e poetessa Giannina Milli.
Vicino l'Aquila, esiste anche un castello chiamato "Castello di Piscinola".
Nei Comuni di Civitanova del Sannio (BN) e di Rocca Imperiale - Nocara (CS), si attestano le presenze di contrade di nome "Piscinola".
Via Pescinola e Via Santo Ianni a Pescinola, Gianola (LT)
Tra i rilievi di origine vulcanica dei Campi Flegrei, esiste la "Montagna di Piscinola".
A Boscotrecase (NA) e a Locorotondo (TA) troviamo, invece, due località denominate "Piscinella" similmente alla Piscinella napoletana: località menzionata nelle antiche carte medioevali, forse primitivo insediamento da cui nacque la nostra Piscinola.
In Toscana, in terra di Siena, troviamo ancora un'altra località omonima, chiamata: "Piscinola di Quirico".
Clamoroso è l'errore storico commesso nel XVIII secolo, allorché in alcuni documenti fu confuso il Casale di Piscinola con quello di Pisciotta. Infatti, nel libro "Corografia, storica e statistica dell'Italia delle sue Isole", di Attilio Orlandini Zuccagni, vol. II, Firenze, anno 1845, si legge: "[...] Ridicolo poi si rese il benedetino Beretta confondendo la borgata di Pisciotta con Piscinola Casale di Napoli, distante 90 e più miglia.
Di questa erronea attribuzione toponima si fa cenno anche in una lettera indirizzata al biografo e scrittore Giovanni Bernardino Tafuri.
Veduta esterna della doppia stazione di Piscinola-Scampia


Sapere che "Piscinola" non è soltanto napoletana, è motivo di curiosità letteraria, ma anche di interesse storico-antropologico, perché dimostra che dei popoli, vissuti nei secoli scorsi, in territori distanti anche diverse centinaia di chilometri, hanno voluto indicare similmente i loro luoghi, per le importanti caratteristiche orografiche o per le opere idrauliche ivi esistenti. Sono state infatti le presenze di vasche e cisterne, utilizzate negli antichi insediamenti, sia per il fabbisogno umano e per le pratiche agricole e sia, come si è visto, nell'allevamento ittico, a determinare l'attribuzione di questo antico toponimo.
Oggi, quindi, sappiamo che il quartiere di Piscinola non è l'unico centro d'Italia a chiamarsi così, pertanto sarà buona consuetudine indicare in futuro il nostro quartiere come: "Piscinola di Napoli".
Salvatore Fioretto 

Le foto inserite in questo post sono state liberamente tratte dai siti web dove erano pubblicate, sono qui utilizzate senza scopi di lucro o altri fini, ma solo per la libera diffusione della cultura.


sabato 13 aprile 2019

Santa Croce ed Orsolone: ricordo di due antichi Casali di Napoli...



Ritornando sull'argomento della ricerca e della rievocazione storica di alcuni centri urbani situati a Nord della città di Napoli, dei quali purtroppo si stanno perdendo le tracce del loro glorioso passato e delle loro origini storiche, ci piace oggi rinverdire il ricordo delle origini di due Casali a Nord di Napoli, chiamati Santa Croce e Orsolone. Per questa riscoperta storica, prendiamo in prestito due interi articoli pubblicati nell'opera "Santa Croce ai Camaldoli - 1688-1988, Ieri, Oggi e Domani", a cura di P. Camillo Degetto (nelle pagg. 33-35-36).
[...]
S. Croce e Orsolone
"S. Croce ed Orsolone erano due casali distinti, pur essendo certamente, verso la fine del '600, ville, villaggi o borghi della città di Napoli, per cui venivano comunemente indicati nell'uno o negli altri modi; ciò significa che il Casale, almeno in tale epoca, non doveva essere necessariamente Università, cioè un Comune autonomo, quindi casale e Università o "Communità" o Comune sono due cose distinte.
Antonio Chiarito, il noto storico dei Casali di Napoli, non fa cenno alcuno di Orsolone, Nazareth, Guantai e S. Croce. Lorenzo Giustiniani, invece, nel 1804 scrive per Orsolone: Villaggio nel territorio di Napoli sulla collina verso occidente, a distanza di due miglia incirca ed abitato da 1700 individui, il territorio è ameno, vi si respira buona aria e tra l'industria degli abitanti è quella di nutrire bachi da seta". E per S. Croce: "Villaggio nel territorio di Napoli sulla amena collina verso occidente ove respirasi aria buona ed è abitato da .... individui.".
Il Giustiniani appare poco chiaro circa il numero degli abitanti ed è probabile che nei 1700 abitanti di Orsolone abbia compreso anche quelli di Nazareth e S. Croce. 
La confusione continuò anche dopo il decreto del 1811 quando, cioè, l'Orsolone fu ascritto al circondario Avvocata, quartiere di Napoli, perché i Comuni Riuniti di Chiaiano, Polvica e S. Croce pretesero di esercitare la giurisdizione amministrativa anche su di esso.
E anche quando, nel decreto del 1816, Orsolone fu omessa dai borghi della sezione Avvocata, la Gran Corte dei Conti, con sentenza del 1831, ritenne che con la mentovata Legge del 1816 non si era parlato affatto di Orsolone per i Comuni Riuniti di Chiaiano, Polvica e S. Croce, per cui tale rione rimaneva nel quartiere Avvocata, giacché "dove le disposizioni di legge nuove tacciono intorno alle disposizioni di leggi antiche o non le revocano espressamente, rimangono quelle in vigore". Comunque, dopo il 1831, la sentenza fu modificata e Orsolone entrò a far parte del territorio di S. Croce e, quindi, del territorio dei Comuni Riuniti di Chiaiano, Polvica e S. Croce.
E' certo, però, che in tale confusione il territorio di Orsolone continuò a far parte della giurisdizione della Parrocchia di S. Croce, per cui la stessa diventa tipica sia per la vastità del territorio di giurisdizione che per le continue trasformazioni avute nel tempo.
E' tipica, infatti, perché nel 1688 la giurisdizione parrocchiale, oltre a comprendere un territorio urbanizzato cioè compreso nel territorio della città di Napoli, comprendeva anche parte del Casale e, agli inizi del 1800, anche parte del Casale infeudato di Polvica, cioè la contrada o rione dei Calori e, agli inizi del 1800, anche un territorio del quartiere Avvocata. E' tipica per i continui mutamenti che subisce nel tempo con cessioni ed acquisizioni di nuovi territorio e, quindi, di cura di anime; ciò, come già detto, per la pluralità dei confini con parrocchie di altri territori urbani o di casali come Arenella, Avvocata, Capodimonte, Marianella, Chiaiano, Marano e Pianura.
Probabilmente dall'impianto, e certamente a fine '800, il territorio di giurisdizione della parrocchia era così composto; uscendo dalla chiesa, sul lato destro, per via Caracciola, raggiungeva la proprietà di Parisi al confine con la parrocchia di Capodimonte;
al lato sinistro del ponte vi era il fondo della parrocchia di S. Arcangelo all'Arena e confinava con la parrocchia di Marianella; nell'interno della strada provinciale vi era la proprietà del marchese Bisogni e, in continuazione, con la proprietà Giannini a confine, ancora, con la parrocchia di Marianella, dalla Caracciola, scendendo a sinistra, vi era l'antica strada di Toscanella che si estendeva fino a Toscanella nel fondo che si appartenne, poi, al presidente Andriani, al confine con la parrocchia di Polvica e tutta la parte superiore della via del Portone che da Toscanella portava al Frullone e che comprendeva la masseria dei Quaranta; 
dalla strada di fronte alla chiesa, scendendo a destra, si prolungava fino ai Calori di Basso alla proprietà che fu, poi, del Barone de Concilis al confine con la parrocchia di Chiaiano; dalla stessa strada di fronte alla chiesa, sul lato sinistro, vi era la strada che portava ai Cangiani e si estendeva fino al fondo o latifondo di Orsolone al confine con la parrocchia dell'Arenella; nel largo dei Cangiani vi era una strada, l'attuale via S. Ignazio di Loyola, che portava al villaggio di Nazareth e tutto il lato destro salendo fino a Nazareth a confine con la parrocchia di Pianura; dal villaggio di Nazareth la strada continuava sul lato destro e terminava col fondo Perillo al confine con la parrocchia di Marano; girando sempre sul lato destro, raggiungeva la Rotondella vicino Vrito a confine, ancora, con la parrocchia di Chiaiano.
Nel 1714 le anime della parrocchia di S. Croce erano 700, di cui 456 maggiori degli anni otto e 244 di età inferiore. Il borgo principale, cioè quello di Orsolone, in cui era il luogo di S. Croce con la parrocchia, era formato da 48 nuclei familiari, di cui 169 persone agli anni otto, i cui capofamiglia erano... (segue elenco dei nomi).
Dai 700 del 1714, gli appartenenti divennero 1309, nel 1794, con un incremento di circa il doppio in ottanta anni.
Oltre al rione principale di Orsolone, in cui trovavasi compreso, S. Croce, facevano parte dello stesso i rioni di Calori, Quaranta, della Decima, delli Solli, Toscanella, Cappella Cangiani e Nazareth."
[...]
La parrocchia di S. Croce nel luogo detto Orsolone
"Nel 1646, nel luogo detto "Orsolone", esisteva un'antica cappella detta di S. Croce, che apparteneva alla Mensa Vescovile di Napoli.
Aveva un altare in pietra ben accomodato, non è dato sapere se a tribuna o meno. [...].
Della cappella avevano cura gli abitanti delle masserie vicine, e, particolarmente, Francesco Albenzio, proprietario di una di esse. Questi aveva cura di far celebrare Messa nei giorni festivi, mentre il Sacerdote Roberto Roberti, di Napoli, andava a confessare e ad insegnare dottrina cristiana.
Sotto la cappella vi era la "terrasanta" per la sepoltura dei cadaveri dei convicini. I diritti di sepoltura venivano corrisposti alla Mensa Vescovile. Dopo che Santa Croce, nel 1811, fu riunita ai Casali di Chiaiano e Polvica e fu costruito il cimitero, venivano corrisposti al Municipio. [...]
Accosto alla Cappella vi era un pezzo di terreno di mq. 333 con un albero di fichi e sei viti, su cui, nel 1704, sarà dalla Curia autorizzata la costruzione della Arciconfraternita della Beata Vergine del Rosario.
Nel seicento dipendeva, come Cappella rurale, dalla Parrocchia di S. Maria delle Grazie a Capodimonte, che il Card. Alfonso Gesualdo, aveva istituito, assieme ad altre 22 nuove parrocchie, con decreto del 13 febbraio 1597, a seguito della riforma delle circoscrizioni parrocchiali della città, per il progresso spirituale della Diocesi, dato il notevole aumento della popolazione a Napoli.
E' probabile che, in precedenza, la cappella dipendesse dalla chiesa di S. Giovanni in Porta.
Il 20 ottobre 1688, il Cardinale Antonio Pignatelli - divenuto poi nel 1693 papa con il nome di Innocenzo XII - a seguito delle istanze degli abitanti del luogo e considerata la notevole distanza da Capodimonte, che rendeva difficoltoso ai fedeli l'amministrazione dei Sacramenti, specie agli agonizzanti, decretò la erezione in parrocchia di tale cappella, sotto il titolo di S. Croce nel luogo di Orsolone.
Assieme a quella di S. Croce istituì anche la Parrocchia di Fonseca e, poco dopo, quella di S. Vitale a Fuorigrotta.
Quindi, è certo, che nel 1688, Santa Croce era già Villa o Villaggio, faceva parte dei "borghi" della città di Napoli, cioè era stata già assorbita nel territorio della città di Napoli.
E' noto che una Parrocchia non poteva essere istituita senza un beneficio o congrua (per un dignitoso sostentamento), per cui il Cardinale Pignatelli, previo breve apostolico, distaccò dalla Mensa Vescovile una rendita annua di 36 ducati sui beni dell'abolita cappella di S. Croce ai Ferri Vecchi al Pendino e l'assegnò alla Parrocchia di S. Croce. 
Tale cappella era quella del Mons. Annibale di Capua, assieme ad altre 163 - aveva abolite o distrutte, in preparazione della riforma delle circoscrizioni parrocchiali di Napoli del 1579. (Si citano delle rendite assegnate alla nuova parrocchia).
Inoltre furono assegnati in dotazione alla nuova parrocchia un quadro della S. Croce (oggi irreperibile) e un reliquario contenente un frammento della Croce di Gesù."
  

Durante la lettura dei testi, qui pubblicati, il caro lettore avrà notato le ricorrenti citazioni di tantissimi toponimi e nomi riguardanti: luoghi, strade, masserie, selve, tenimenti; un tempo usati per indicare i luoghi rimarchevoli di un territorio, a noi molto vicino, purtroppo oggi dimenticati o quasi del tutto perduti. La ricerca storica e la diffusione dei risultati raggiunti, hanno proprio questo scopo, cercare di rinvigorire la conoscenza civica, e fissare quelle radici affinchè diventino dei "caposaldi" che saranno le basi della riscoperta del territorio, soprattutto da parte dei giovani di oggi e delle future generazioni.
Salvatore Fioretto