sabato 20 gennaio 2024

Quel medico lungimirante, che per primo in Italia realizzò case di cura private per i malati di mente! Giuseppe Santoro.

Riprendiamo un argomento trattato nel nostro blog nell'anno 2015 in due puntate, con a centro della storia la fondazione a Miano della casa di cura per malati di mente, conosciuta come "Villa Russo".
Descrivemmo, nella prima parte, che nell'anno 1825 un medico dell’ospedale di Aversa, di nome  Giuseppe Santoro, dopo aver ottenuto l'autorizzazione dal Ministero degli Interni, ebbe la brillante idea di prendere in fitto un appartamento della famiglia Quattromani, sito ai margini dell'antico borgo di Miano e, complice il paesaggio goduto nel luogo e la vicinanza con la Capitale, impiantò il primo stabilimento di cura privato per matti, vale a dire il primo manicomio privato del Regno di Napoli e, salvo smentite, forse il primo in Italia…!
La struttura si sosteneva con le rette mensili pagate dai familiari dei pazienti. Questo medico, infatti, ebbe la lungimiranza della reale remuneratività dell’investimento e della potenzialità di guadagno derivanti dall’esercitare pratiche di cure offerte in forma privata. Conoscendo bene i problemi di affollamento e di promiscuità dei pazienti ospitati nell’ospedale di Aversa, sapeva quanto fosse sentita la necessità di riservatezza da parte delle classi agiate e dell’aristocrazia di quel tempo, che cercavano un trattamento di riguardo e soprattutto la riservatezza per i loro familiari malati, quindi erano disposti a pagare delle rette mensili non trascurabili...
I risultati dell'investimento si dimostrarono subito brillanti, tanto che nell'anno 1839 il dottor Santoro riuscì a acquistare l'immobile di Miano, dal proprietario Cav. G. Quattromani, per la somma di 1300 ducati, con l'aggiunta di altri 121 ducati e 32 grani di interessi, da pagarsi in quattro rate, entro l'anno 1839. Lo stabilimento aveva una ricettività di circa 12 stanze, procurando al Santoro un reddito annuo di circa 1200 ducati.
Nel 1833 il dottor Santoro fu sicuramente l'artefice della fondazione di un’altra casa di cura privata, sorta poco distante dalla prima, in località Ponti Rossi. Questa struttura era inizialmente un casino di villeggiatura che fu rilevata dal profumiere Giuseppe Bayl che, dopo un infruttuoso tentativo d'investimento, cedette la proprietà a un certo Pietro Fleurent; anche se, a detta degli studiosi, fu un'operazione condotta per conto dello stesso Santoro...
Ma chi era questo dott. Santoro, dimostrato un eccellente imprenditore nella Sanità d'altri tempi?!
Il dottor Giuseppe Santoro si laureò in medicina nella antichissima Università di Salerno, il 25 Luglio 1808. Si specializzò subito per curare le malattie cosiddette mentali. Fu assunto medico assistente al Reale Manicomio di Aversa, già a partire dalla fondazione avvenuta nel 1813.
Nel 1825 abbandonò, come già detto in premessa, l'ospedale per fondare il Manicomio di Miano, che istituito con approvazione reale, nell’Aprile di quell’anno.
Santoro si dedicò anche alla ricerca scientifica. Infatti nel 1827 pubblicò un libro sulle malattie mentali, che ebbe per titolo "Trattato sull’alienazione della mente umana", dedicato a Sua Real Maestà Francesco I Re delle due Sicilie, il libro fu pubblicato attraverso la tipografia Chianese di Napoli. In questo interessante trattato, Santoro, effettuava una accurata diagnosi dello "spirito", che era messo in rapporto con l’organismo metabolico dell’uomo. Ebbe modo di dimostrare l'errore spesso commesso da quelli che programmano di trattare la pazzia con i metodi brutali e al di fuori dalla logica umana.
Il trattato ebbe come seguito il libro "Appendice e Regolamento generale", nel quale si descriveva la gestione e la direzione di un manicomio; in questo lavoro è spiegato molto accuratamente l'opera svolta dagli assistenti e dai "camerieri", il particolar modo il modo di procedere alla disinfestazione delle stanze, i turni ai bagni, la distribuzione delle medicine, il tempo e i percorsi da dedicare alle passeggiate e alle attività ludiche e di distrazione. Altri insegnamenti contenuti erano la scelta dei cibi e delle bevande da somministrare ai pazienti, per ciascun giorno della settimana e nelle diverse stagioni dell’anno; Santoro era dell'opinione che tutti questi parametri e aspetti della vita dei pazienti in un ospedale psichico avrebbero avuto una grande influenza sullo spirito e sulla natura umana del malato. Ad ogni modo, considerato il periodo della pubblicazione di questa Appendice, possiamo concludere che il Santoro ebbe modo di dimostrare con le sue ricerche le profonde e sagge cognizioni, igienico-tecniche, che egli aveva maturato nella disciplina medica assistenziale dei malati di mente.
Monumento dedicato al secondo proprietario
della casa di cura di Miano, da cui prese il nome
Il Santoro fu soprattutto un appassionato cultore della sua scienza; di fronte ai discordi pareri ed ai controversi sistemi scientifici sul trattamento dei pazzi, egli, con assillante angoscia si diede all’investigazione, all'osservazione ed all'analisi di nuovi mezzi per la cura degli alienati.
Condannò i crudeli sistemi del ferro rovente applicato sulla nuca del collo, del letto di forza a reprimere il furore, e del bagno freddo di sorpresa sbadatamente somministrato nei casi di follia, per i quali l’infelice il più delle volte soccombeva tra strazi impressionanti, per orientarsi verso nuovi criteri più umani e scientifici.
Fu così che con la nuova scuola i malati di mente furono trattati come uomini normali, attentamente vigilati ed osservati; si diede loro la possibilità di discutere col direttore, con i medici e gli  assistenti, onde ricondurli il più che possibile al ragionamento, di consumare i pasti l’uno vicino all’altro, e di avere alcune necessarie libertà nell’ambito del sanatorio.
Santoro morì a Miano, nel mese di giugno del 1866, lasciando il suo nome illustre legato alla antica casa di salute, da lui fondata, che volle con la forza di volontà farla diventare e considerare in quei tempi una delle prime d’Italia.
Per onorare la sua memoria, il Villaggio di Miano dedicò al suo nome una delle vie principali del borgo.
Giuseppe Santoro ebbe due fratelli: Tommaso, che fu canonico nella Collegiata di Marcianise, uomo dotato di eletto ingegno e di squisito senso di amore del prossimo; l'altro fu Domenico, che coprì la carica di segretario capo al Comune di Marcianise.
 
Nota che si legge nel Bollettino delle Scienze Mediche, ed. a Bologna, Volume 7 - Anno 1833

La narrazione della storia del dottor Giuseppe Santoro è un'altra dimostrazione di quanto sia importante questo territorio, che seppur periferico e posto al margine nord della grande città, ha una storia di degno rispetto, non seconda a nessun quartiere di Napoli, per opere, eventi, personaggi e cultura in generale...! 
 
Salvatore Fioretto






sabato 13 gennaio 2024

Ricordando Padre Francesco Bianco, a 10 anni dalla scomparsa...

Sono trascorsi ben dieci anni dalla Sua scomparsa, è ci accingiamo la prossima settimana a ricordarlo, sia come comunità civile che religiosa, ci riferiamo al compianto sacerdote Don Francesco Bianco, che è stato parroco per tanti anni della chiesa parrocchiale del SS. Salvatore in Piscinola.
Inutile sottolineare che "Padre Bianco" (così tutti lo chiamavano affettuosamente), ha lasciato un grande vuoto, non solo nella comunità ecclesiale di Piscinola, ma anche in quella civile, perché elevate sono state le sue doti umane e spirituali e soprattutto le opere lasciate per il bene collettivo.
Per le sue particolari caratteristiche di essere stato un sacerdote moderno, anticipando di diversi decenni la cosiddetta modernità della Chiesa, è stato uno dei primi sacerdoti ad applicare con gran efficacia i dettati del Concilio Vaticano Secondo, aprendo la parrocchia di un quartiere periferico alla intera comunità civile, chiamando per la prima volta i laici a impegnarsi assiduamente nella gestione delle strutture parrocchiali e nei vari ministeri presbiterali, coltivando poi con assiduità i vari gruppi catecumenali, che egli organizzava invitando giovani e meno giovani del territorio.
Anni giovanili, con l'abito dei Redentoristi di S. Alfonso
Egli ha esercitato la sua missione sacerdotale dedicandola interamente ai giovani, che amava smisuratamente, al di sopra di ogni cosa. La sua vita e le sue forze le ha dedicate per raccogliere, redimere e indirizzare sulla strada della rettitudine centinaia di ragazzi e ragazze del quartiere, ma anche tanti adulti. Amore che è stato ricambiato dai tantissimi che l'hanno conosciuto e frequentato, tanto da considerarlo come un padre, come un fratello, chiamandolo affettuosamente e semplicemente "Padre Bianco"...
Per illustrare brevemente la sua vita, riscriviamo la biografia essenziale del presule, già da noi pubblicata nel precedente post che gli dedicammo dieci anni or sono.
"Francesco Bianco nacque a Napoli, il 9 maggio 1937 (da una famiglia di contadini, abitanti in una masseria di Piscinola, situata al confine con il comune di Mugnano, chiamata "Masseria Grande").
Ha completato gli studi umanistici e teologici in preparazione al sacerdozio presso la Congregazione dei padri Redentoristi.
Ordinato sacerdote in data 14 marzo 1964.
Ha conseguito la specializzazione in Teologia  presso la Facoltà Teologica di Napoli nel 1975.
Ha conseguito la laurea in Sociologia presso l'Istituto Universitario Orientale di Napoli il 4 maggio 1981.
Ha assunto l'incarico di professore presso la scuola statale "V. Irolli" di Napoli e, dal 1981, presso l'XI liceo scientifico di Napoli a Piscinola.
Dal 1969 ha ricoperto l'incarico di vice parroco presso la parrocchia di "Cristo Re" di Secondigliano Napoli e, dal 1973, per oltre un quarantennio fino alla morte avvenuta il 17 gennaio 2014, quello di vice parroco e parroco della millenaria chiesa del Santissimo Salvatore in Napoli a Piscinola.
Profondendo tutti i suoi personali guadagni e risparmi derivatigli dall'insegnamento e dall'esercizio del sacerdozio e con l'aiuto pecuniario e lavorativo di molti laici fortemente impegnati, ha realizzato in questi anni e lasciate alla chiesa parrocchiale, per l'intera comunità piscinolese, importanti e significative opere."
 S. Messa del Bicentenario dell'Arciconf. del SS. Sacramento, 1977

Il compianto sacerdote don Francesco Bianco si spense, serenamente, nell'abitazione canonica della Chiesa del SS. Salvatore, il 17 gennaio del 2014.
 
Tra le opere realizzate da don Francesco ricordiamo: 
-la casa di accoglienza per ritiri spirituali presso il comune di Campoli (BN) alle pendici del Monte Taburno, struttura complessa, su tre livelli, completa di cappella, cucina comunitaria, salone, refettorio, molte stanze singole e multiple.
- la costruzione dell'oratorio parrocchiale, realizzato con l'acquisto della "proprietà Chiarolanza". L'oratorio comprende: un campo di calcetto, un campo di pallavolo/pallacanestro, un campo di bocce, un bar, i giardini, un ampio teatro, i locali per la Caritas Parrocchiale e, al piano superiore, una casa canonica per sacerdoti ed ospiti e altri immobili adiacenti.
- la ristrutturazione statica e decorativa dell'edificio parrocchiale e della sacrestia, con l'acquisto di tutti gli arredi sacri in legno.
- l'assistenza dei poveri e dei bisognosi del quartiere, realizzando, con l'associazione "Banco Alimentare", la distribuzione continua e per molti anni, di pacchi viveri.
-un significativo sostegno economico alle opere missionarie per la realizzazione di un centro di recupero della gioventù in Perù e presso il centro missionario di Visciano.
-moltissimi raduni ecclesiali "Dei gruppi Cursillos", raduni spirituali comunitari nella Casa del Taburno, a Rimini e in altri centri di accoglienza.

Appariva di carattere riservato, schivo, e soprattutto fuggiva dall'apparire. Egli detestava il protagonismo, specie quando c'era da raccogliere riconoscimenti; infatti, pur gioendo in cuor suo, preferiva seguire a distanza l'efficacia delle sue opere!
Pochi mesi dopo la sua scomparsa, il 25 ottobre 2014, fu ricordato in un convegno tenutosi nella chiesa parrocchiale di Piscinola, dal titolo "Sulla personalità e le opere realizzate da Rev. Francesco P. Bianco", che registrò significativa partecipazione popolare, con numerosi interventi di coloro che vollero dare una testimonianza. Nella domenica seguente, dopo la celebrazione della messa in sua memoria, alla presenza del vescovo ausiliario di Napoli, S. E. mons. Lucio Lemmo, del Parroco, del Presidente della VIII Municipalità e dal rappresentante del Sindaco di Napoli, fu apposta la targa commemorativa in piazza B. Tafuri, sulla facciata dell'ex municipio di Piscinola; la targa fu realizzata a spese della VIII Municipalità  (approvata con delibera n.9 del 20/6/2014), riportante questa iscrizione:
La comunità piscinolese, grata, ricorda il Rev. Sacerdote Don Francesco Bianco testimone di Cristo e pastore irreprensibile nell'arco di un quarantennio, per le sue preziose doti umane e le tante opere realizzate per la millenaria chiesa del Salvatore.
VIII Municipalità di Napoli, 26 ottobre 2014.
 
Al termine di questo breve ma doveroso post che pubblichiamo in ricordo del grande sacerdote piscinolese, riportiamo due suoi scritti tratti dal giornalino della Parrocchia del SS. Salvatore: "L'Amico", un'opera editoriale che è stata un'altra bella iniziativa voluta dallo stesso Padre Bianco, con pubblicazione ultraventennale
Al margine dei due brani, riportiamo anche una delle tante testimonianze scritte poco dopo la morte del sacerdote, che abbiamo scelto perché ritenuta bella e commovente, soprattutto per l'eredità lasciato dal Padre Bianco, scritta da Alfonso Aspromonte  e riportata nell'edizione straordinaria del giornalino "L'Amico", numero speciale, nel XXVII anno di pubblicazione.

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L’Amico n.135
ottobre 2004

"Carissimi,
la nostra comunità ha sempre dimostrato un amore particolare per le missioni e i missionari.
Chi non si ricorda i lebbrosi di P. Frascogna? Le tante cappelle fatte costruire dal defunto parroco in India?
A tutt’oggi c’è ancora chi è in contatto con il P.I.M.E. e raccoglie fondi per le missioni in India. Qualcuno è in contatto con dei missionari in Brasile.
Adesso, sistemata la casa del Taburno, bisognosa di continua manutenzione, che ci ha permessi di essere missionari nel nostro quartiere con i ritiri spirituali, fatto l’oratorio perché la nostra comunità trovi spazio per aggregarsi e crescere insieme,
trovandoci sul punto di iniziare e chiudere i lavori della Chiesa, penso sia giunto il momento, come comunità, di riprendere un cammino missionario, sposando lo spirito e le iniziative di un istituto missionario. A tale scopo ho invitato un missionario dei S.P.T.M. (Servi dei Poveri del terzo Mondo).
Egli ci illustrerà le finalità del suo istituto missionario e le opere missionarie a favore dell’infanzia abbandonata nella città di Cuzco (Perù).
E’ già da tempo che sto in contatto con questi missionari e mi risulta che stanno operando molto bene con grande entusiasmo e chiedono collaborazione sposando il loro spirito e le loro iniziative missionarie.
Il missionario che verrà alla fine di ottobre si chiama P. Vincenzo Miro e resterà con noi sabato 30 e domenica 31.
Il 24 sempre di questo mese ci sarà la giornata missionaria mondiale.
Rendo noto che si è formato un gruppo missionario che manterrà vivi lo spirito missionario nella nostra comunità.
A loro facciamo gli auguri di buon lavoro e di santità.
Chissà se un giorno non avremo la gioia di una vocazione missionaria nella nostra comunità.
P. Bianco"

Foto del convegno celebrativo tenutosi nella chiesa del SS. Salvatore. Foto di Fabio Sasso
 
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L’Amico n.137
novembre 2004

"Carissimi,
la fine di quest’anno liturgico è stato ricca di benedizioni da parte di Dio, nei confronti della nostra comunità. Siamo perciò chiamati a rendere grazie al Signore per tutto quanto ha fatto per noi.
Il gruppo dei catechisti è cresciuto di numero e sta operando bene. Si è formato il gruppetto missionario, che è chiamato a mantenere vivo lo spirito missionario nella nostra comunità.
A conclusione del mese missionario abbiamo conosciuto P. Vincenzo Miro dei S.P.T.M. che operano a Cuzco a 3500 metri di altezza sulle Ande Peruviane. E’ stata una bella esperienza, che ci ha fatto vivere la vita dei missionari tra i bambini poveri. Ci siamo impegnati a sostenere la loro missione con la preghiera e con le opere, nella speranza di condividere con la loro ricompensa che il Signore ha promesso agli operai del Vangelo.
Si è formato anche il gruppo animatore ACR. Hanno preso contatto con il centro Diocesano e con grande entusiasmo, si stanno preparando per animatori qualificati.
Un grazie e un incoraggiamento a tutti gli altri gruppi che operano in comunità come responsabili dell’oratorio, del bar, dell’ingresso, delle pulizie, della S. Vincenzo, e dell’evangelizzazione. Infine ultimo dono che il Signore ci ha fatto è stato l’inizio dei lavori in Chiesa.
Siamo certi che il Signore non ci farà mancare il suo aiuto perché questi lavori possano essere portati a termine. Nel chiedervi collaborazione e tanta preghiera, vi benedico e vi ringrazio.
P. Bianco".
 
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Dall'edizione straordinaria de "L'Amico", pubblicato alla morte di don Francesco Bianco (Numero speciale an. XXVII):

"La vita di noi tutti è fatta anche e soprattutto di incontri più o meno fortuiti e casuali con persone che lasciano un segno, una traccia indelebile nei nostri ricordi, nel nostro vissuto. 
Per me una di queste persone è stata sen'altro Padre Bianco.
Lo conobbi da bambino, quando arrivò nella nostra Parrocchia e subito noi "piccoli" fummo attratti ed affascinati dal suo modo di fare sbrigativo, dalla ventata di "modernità" che portava  nella nostra comunità. Fu, per esempio, grazie a lui che i giovani iniziarono a partecipare attivamente all'animazione della liturgia eucaristica con canti nuovi e con l'utilizzo di vari strumenti musicali, cosa che gli fece guadagnare subito la simpatia dei tanti ragazzi che armeggiavano con chitarre, tastiere quant'altro. 
Con passare del tempo capimmo sempre più che dietro il suo modo di fare a volte un po' burbero si nascondeva in realtà la solidità e la saggezza che gli derivavano dalla sua origine contadina... spesso egli stesso si vantava in maniera ironica di provenire dalla "Masseria dei Ciucciari", volendo con ciò sottolineare la sua concretezza, il suo stare con i piedi per terra e la sua ostinazione nel voler raggiungere lo scopo che si era prefissato, quello cioè di annunciare e predicare il Vangelo senza fronzoli, senza allettare nessuno con "pillole indorate", ma presentando il messaggio della salvezza di Cristo nella sua essenzialità. Tale approccio "missionario" aveva la sua radice negli anni trascorsi nella Congregazione dei Redentoristi, fondata da Sant'Alfonso Maria de' Liguori ed il fatto che io portassi il nome del grande santo nostro concittadino lo induceva ogni tanto ad apostrofarmi tra il serio e il faceto con la frase "Alfò, se tu avessi anche tu solo un decimo delle qualità di Sant'Alfonso!" Credo che questa sia la grande eredità che Padre Bianco lascia alla comunità di Piscinola ed in particolare a chi ne ha raccolto il testimone come guida e pastore: la concretezza al servizio dell'annuncio evangelico, il distacco dalle cose terrene, la dedizione totale alla cura spirituale e morale dei giovani. Sappiate amici della Parrocchia del SS. Salvatore che l'eco dell'opera di Padre Bianco è giunta anche nella Parrocchia di Cristo Re di Bologna dove porto avanti il mio piccolo impegno di catechista e presidente parrocchiale dell'Azione Cattolica, avendo raccontato con gratitudine ed affetto di un sacerdote che tanta parte ha avuto nella mia crescita e nella mia maturazione come uomo e come cristiano (scritto da Alfonso Aspromonte)".

Padre Bianco seppe trasformare questi ideali e propositi in opere tangibili e concrete, che sono tutt'oggi sotto gli occhi di tutti!
Grazie Padre Bianco!
 
Salvatore Fioretto
 



giovedì 4 gennaio 2024

Acqua, vento, neve, gelo, freddo e caldo... Condizioni meteo descritte nei termini e nelle espressioni dialettali!

Nevicata alla masseria "Renza Vascio", primavera 1984, foto di Ferdinando Kaiser

Considerando il rapporto così antico e profondo avuto dagli abitanti di questo quartiere con l'acqua, tanto da attribuirvi il toponimo del luogo, di "Piscinola" (sicuramente per la presenza di numerose vasche e cisterne interrate e a cielo aperto), abbiamo pensato di raccogliere in un post tutti i termini, le invocazioni, i "paraustielli" e tant'altro ancora, per dimostrare come l'importanza dell'acqua e più in generale delle condizioni meteoreologiche, abbiano influito in maniera sensibile anche sull'idioma napoletano  con l'uso di termini all'uopo coniati nel linguaggio corrente; nel mentre riscontriamo, poi, che alcuni di essi erano usati esclusivamente solo qui da noi...!
Sicuramente, leggendo questo post, molti lettori ricorderanno, forse anche con un po' di nostalgia, i loro nonni e i loro genitori, quanto erano in vita e citavano questi termini e detti nei loro discorsi...
Buona lettura. 

"Passeggiata sotto la pioggia", dipinto di Cristiano Banti, Pinacoteca Metropolitana "C. Giaquinto" Bari
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Quando nel territorio si verificava un temporale, si usava dire agli assenti, che non avevano assistito all'evento meteo: "è succìeso 'o pata pata 'e ll'acqua!": il termine "Pata pata" è un termine cosiddetto onomatopeico, ovvero ritmato e calzante, ma senza significato, usato solo per sottolineare, forse imitando il rumore dell'effetto, l'avvenimento di qualcosa di stupefacente e di temibile, in questo caso per indicare l'intensità e il fragore della precipitazione...!
In caso di una perturbazione particolarmente copiosa d'acqua, che si manifestava in una durata di tempo breve (oggi diremmo "bomba d'acqua"...), allora si diceva:
"...ha vuttato ll'acqua 'nterra 'a cantero!" oppure "...ha saputo chiovere!" oppure, ancora: "'o Pataterno s'è scurdate 'e ll'acqua!".
Già il presagire dell'imperversare di un temporale era indicato con: "s'è fatt''o cielo niro niro comm''a mezanotte", oppure: "...niro niro comm''a pece" oppure "'sta pe' venì 'na scatastata d''acqua!". Il verificarsi di qualcosa di più violento, soprattutto per il vento forte (evento non raro anche nei tempi antichi, con abbattimento di alberi, che oggi gli esperti metereologi definiscono "tornado"), si descriveva utilizzando il termine di "'o ciclone" oppure "comm''a 'nu ciclone", mentre se l'intensità del maltempo era di intensità minore rispetto ai primi (ai cicloni), si preferiva usare il detto più mite: "'na tempesta d'acqua", eventualmente accompagnato al commento di "se arrevutato 'o tiempo..." oppure "è venuto 'o diluvio 'e ll'acqua!" e anche con: "nu maletiempo ca faceva appaura...!". Quando, poi, queste intense e copiose precipitazioni generavano corsi d'acqua che defluiva nel territorio, lungo le strade in pendenza (le cupe), ecco che si aveva: "a lava 'e ll'acqua" oppure "'nu sciummo d'acqua"; mentre se poi si formavano lungo ai tragitti ampie e stagnanti pozzangare, si diceva che c'era: "o llavarone"... Di contro, quando le precipitazioni erano modeste oppure scarse, i termini usati erano: "'sta schizzecheanno", per indicare poche gocce (schizzi) d'acqua oppure di avere "quatte gocce d'acqua" oppure "chiove fino, fino...", mentre un evento meteo moderatamente intenso, ma di brevissima durata e con bassa quantità di pioggia, era indicato con: "na frusciata d'acqua". Quando, poi, le precipitazioni erano insistenti nella durata, si diceva: "chiove e nun lèva l'acqua a terra".
C'erano, poi, le precipitazioni costanti durante
l'anno, che si verificavano nel corso di alcune fasi del raccolto nei campi, come a maggio, in coincidenza della maturazione delle ciliege; queste ultime e immancabili precipitazioni, che duravano per diversi giorni consecutivi, erano indicate con la frase: "'a trumbea d''e cerase". Mentre, più in generale, i termini utilizzati per indicare l'avvenuta pioggia e la sua conseguente conclusione, erano: "chiùoppete" e "schiùoppete".
Contrariamente alla stagione delle piogge, i periodi di siccità, anche questi non rari in passato, si apostrofavano con: "s'è fatto 'o llastreco 'ncielo!".

Gli antichi e saggi contadini del passato, per loro opportunità, erano abili anche a fare delle previsioni meteo, spesso osservando la direzione del vento, oppure il colore e la forma assunti dalle nuvole, infatti quando il cielo nuvoloso assumeva l'aspetto luminoso di bianco intenso, si interpretava, senza ombra di dubbio, che era giunto il momento di porsi a riparo per l'arrivo di un violento temporale, dicendo: "a sole ghianco fuje da 'o campo!", mentre per le inoffensive nuvole
sparse nel cielo, si pronosticava con: "è sola 'na nuvola 'e passaggio...!"; un'altra previsione utile era quella di valutare l'intensità del vento, pertanto se esso era forte, si diceva: "è viente 'e tempesta!" e, più in generale, si utilizzavano gli scontati epiteti, del tipo: "fa cchiù rammaggio ll'acqua ca 'o ffuoco! oppure "quanno 'o cielo se chiude, 'o Pataterne se scorde 'e ll'acqua...!" oppure "o sole s'è annascuso mmiez''e nnuvole...".
La brina mattutina, riscontrata nel periodo estivo, era chiamata "ll'àcquazza", mentre la gelata che si constatava al mattino nel periodo invernale era detta: "'o masco" oppure "'a maschiata". Un'intensa gelata, distruttrice di raccolti, era apostrofata a malincuore con: "ha fatto 'o ggelo stanotte...! oppure: "'o ggelo ha fatto rammaggio (dal francese antico "damage" o "dammage", che qui sta a significare: ha fatto danni)".
La grandine era la precipitazione più temuta dai contadini, e che chiamavano "'e rànnule". L'approssimarsi di una grandinata, durante un temporale, era esclamanta con la rassegnata e ironica profezia: "'e vviglioche 'e cunfietti...!". Non era insolito che i chicchi di grandine avessero dimensioni ragguardevoli (si verificavano anche nei tempi antichi, quando delle "mutazioni climatiche" nemmeno di parlava...!) e in tal caso si usava dire: "so' rànnule gruosse comm''e nnoci".
I fulmini e i conseguenti tuoni si indicavano con: "'e lampi" oppure "'e saette 'ncielo" e "sta 'ntrunanno".
La giaculatoria invocata dagli anziani durante i temporali particolarmente intensi, con i temuti fulmini, era questa: "tuono e lampe fatte a rasse cheste è a casa e santu Jasse (Biagio). Santu Jasse e San Simone (o San Salvatore) chiesta è a casa e nostro Signore".
L'evento di una precipitazione nevosa, rara per la verità nel nostro territorio (le ultime significative sono state quelle degli anni 1956, 1972, 1984 e 2018), erano apostrofate con: "sciocca" oppure "sta sciùccanno". Mentre per indicare la presenza della nebbia si diceva  "'a neglia" e per marcare la sua intensità, si aggiungeva anche "...è comm''a 'na fùmeta".
Per le folate di vento, era coniato il termine di "vìntiata". Caratteristico e più temuto dai contadini durante i lavori invernali era il vento freddo di "Tramontana", qui chiamato curiosamente come: "'o vìente 'e terra". Mentre l'impercettibile brezza marina, che specie in estate arrivava a lambire anche il nostro territorio, era detta: "aria 'e mmare". Inoltre, il fastidioso Scirocco, quando spirava, era accolto con l'epiteto: "mèna 'o viente 'e scirocche ca 'nfiacchisce 'e coscie...!" Curioso il fatto che, durante la calura estiva, si invocava il refrigerio di un venticello rinfrescante e si diceva: "nun mèna (nun scìoscia) 'nu filo 'e vìento!" oppure "facesse 'na frùsciata 'e vìento!". Quando il vento diventava sostenuto, allora si diceva: "mèna 'nu viente accussì forte ca te taglia 'a faccia!" oppure "'mèna 'nu vìente ca pare che te porta...".
La calura estiva opprimente era chiamata "afa"; nelle giornate estive, quando si prevedevano picchi di temperature alte, si diceva: "'o ssole s'è 'a poco aizato e abbrucia già...!", mentre, durante le lavorazioni nei campi, spesso era necessario porsi a riparo e si diceva: "miettete contra viento" oppure "miettete 'nu poco a 'o frisco 'e ll'ombra".
Gli effetti dell'acqua per le strade e per i camminamenti sterrati era la formazione del fango, che veniva indicato con il termine di: "'a lota", termine poi divenuto anche un aggettivo dispregiativo, proprio per sottolineare, in analogia, qualcosa che appariva fastidioso per lo sporco correlato...
Quando il freddo invernale era valutato grave, si diceva: "fa 'nu friddo oggie che te trase dint''a ll'ossa...!".
Anche per descrivere gli effetti dell'acqua sulle persone erano state coniate espressioni molto
caratteristiche e comuni, come, ad esempio: "te si 'nzuppato d'acqua" oppure "te si 'nfuso comm'a 'nu pullicino" oppure "tengo l'acqua fino a dint''e cazettine" oppure "me pare 'na paparella" oppure "lèvate 'e panne 'nfuse 'a 'ncuollo" e le più antiche: "arreparate, miettete 'nu sacco 'ncuollo" oppure "asciuttete vicino a 'o fuculare", oppure "arreparammece sott''a 'o pagliaro" e, più in generale: "nun te fa chiovere 'ncuollo (o 'ncapa)". Mentre gli effetti sui luoghi erano sottolineati con: "tanto che ha chiuvuto ca se so' appilate tutt''e saittelle!"
Il sopraggiungere dell'invocata acqua, soprattutto dopo la siccità del periodo estivo, era salutato con: "finalmente chiove, accussì s'ammassa 'nu poco
'e povere" oppure "chiove, 'nce vuleva, pecchè 'a terra è arse d'acqua!" e ancora "mo sì che arrìciatammo 'nu poco...".

 via Cupa Grande-ponte Ferrovia Piedimonte d'Alife, anni '70, foto giornale L'Unità

Mentre al sopraggiungere del bel tempo, dopo un temporale, si diceva: "s'è schiarato 'o cielo!" oppure "s'è araputo 'o cielo...!".
Concludendo, per sottolineare che forse la mutevolezza del clima non è poi un fenomeno solo dei nostri tempi, gli antichi usavano già dire in passato: "se so' cagnate 'e staggione!" e, ancora: "nun è cchiù 'o tiempo 'e 'na vota!"...

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Auguriamo ancora ai cari lettori un buon anno 2024, aggiungendo l'augurio, stando in tema di questo post: "...che schiarasse 'na bella ghiurnata!"

Salvatore Fioretto

Ringraziamo per la cortese collaborazione, l'amico Pasquale di Fenzo. Ringraziamo Ferdinando Kaiser per averci fornito la foto della masseria Renza Vascio.


Via Cupa Grande (Miano) e relativo ponte della Piedimonte, durante un allagamento, anni '70


Alveo dei Camaldoli con pineta, presso Mugnano-Calvizzano, anni '70 ca.