sabato 15 aprile 2023

I racconti della Piedimonte: Storia di un operaio napoletano...

Ecco un altro bel racconto ambientato sul treno della ferrovia Napoli Piedimonte d'Alife, tratto dal romanzo: "Storia di un operaio napoletano”,  di Salvatore Cacciapuoti –Editori Riuniti – I^ edizione, Luglio 1972.

Il viaggio di ritorno” (pag. 103-107)


Era il 20 agosto, dopo il “23 luglio”. Uscimmo dalla Badia di Sulmona. Nel grande cortile del vecchio monastero i carabinieri ci vennero incontro manette alla mano. Volevano i polsi. Protestammo: niente da fare, dovevamo andare in città ammanettati. Ci rifiutammo di porgere i polsi, poi accettammo il compromesso, un polso legato e uno libero. Così una manetta per due compagni. Arrivammo dopo una mezz’ora circa al carceretto giudiziario di Sulmona e là ci ammucchiarono in piccole cellette soffocanti, senza aria, con piccole “bocche di lupo”, e il caldo si agosto, si boccheggiava. Ma era cosa da ridere per noi, all’indomani saremmo ripartiti ognuno per le nostre case.
Dopo due lunghi giorni, il foglio di via. Finalmente libero alla stazione di Sulmona! Ero vestito non so come, ai piedi avevo un paio di zoccoli, non sapevo camminare e non per via degli zoccoli; avevo perduto l’abitudine a camminare. L’aria libera, mi rendeva euforico. Mi sentivo quasi ubriaco, mi girava la testa. Il treno che mi doveva portare verso Napoli non arrivava mai. Chissà quanto tempo dovetti aspettare, forse poco, ma per me l’attesa fu lunga. Finalmente il treno arrivò. Piccolo assalto. Con grande sforzo riuscii a salire. Ero in treno! Il corridoio della carrozza era affollato di uomini e valigie. Spinto dalla calca, mi trovai in uno scompartimento. Non c’era posto né per me, né per la mia valigia che avevo legato con una corda. Potevo mettere la valigia nel corridoio su altre valigie ma avevo paura che me la rubassero. Le cose che c’erano dentro mi erano molto care: alcuni stracci di biancheria, un pullover, un paio di pedaline una cuffia da notte multicolore fatta ad uncinetto, ricavata da fili di lana di vecchi indumenti, che a loro volta erano stati ricavati da altrettanto vecchi indumenti… in carcere niente si distrugge!
La cosa che più mi preoccupava erano alcuni libri sui quali avevo “studiato” per anni. Quella valigia doveva arrivare a casa ad ogni costo. Decisi di passarmi la corda sulla spalla. Nello scompartimento non c’era spazio per tutti e due i piedi, dovevo cambiare piede continuamente. I piedi incominciavano a gonfiarsi, la corda sulla spalla con il peso della valigia sospesa produceva i suoi danni alla mia povera spalla. Gli occhi dei passeggeri erano rivolti alla mia persona, così come ero vestito, con la testa rapata a zero e con quella valigia custodita come un tesoro. Forse pensavano chissà chi è, cosa avrà in quella valigia. I loro sguardi non erano ostili, c’era fastidio in qualcuno, ma gli altri mi guardavano con commiserazione, qualcuno con pietà. Ero penoso per me. Come potevo badare a quella valigia, al dolore della mia spalla, al piede che si gonfiava, al fastidio che arrecavo ai passeggeri e ai loro sguardi? Non potevo uscire dallo scompartimento, non potevo neanche cadere; se avessi potuto, l’avrei fatto, ma non c’era un centimetro di spazio.
Il controllore mi salvò. Tutti mostrarono il biglietto, io il foglio di via, lo esaminò, mi guardò dalla testa ai piedi e disse:
- Politico?
-
Sì, comunista.
Il ferroviere mi sollevò la valigia dalla spalla e mi domandò per quanti anni mi avevano tenuto dentro. Mentre lui parlava, i viaggiatori cercavano di farmi un po’ di spazio, era impossibile. Il controllore prese la valigia e, scavalcando pacchi, valigie e uomini accoccolati, mi condusse nella cabina del vagone postale. Finalmente potei sedere e distendermi, senza neanche la preoccupazione di guardarmi la valigia, era con me, e io ero solo nella cabina. Mi sdraiai, fui colto da un sonno profondo. Mi svegliai all’alba, il treno era fermo, mi affacciai dal finestrino, la mia carrozza era su un binario morto, non so dove. Dopo qualche ora l’agganciarono al treno per Napoli. Il treno si mise in moto, io mi godevo la cabina e il paesaggio. Venne un nuovo controllore, mi parlò di bombardamenti su Napoli e mi portò in uno scompartimento dove c’era un comodo posto per me e per la mia valigia.
Il treno correva come una lumaca. Ad un certo momento si fermò del tutto, ma non c’era nessuna stazione, era in mezzo alla campagna a qualche chilometro da Capua. I ferrovieri dissero che tutti dovevano scendere ed arrangiarsi, era stata bombardata Capua e colpito il ponte della stazione; il treno non poteva proseguire. Capii, dal vociare di alcuni viaggiatori diretti a Napoli, che bisognava raggiungere a piedi la stazione della Piedimonte d’Alife, e che bisognava percorrere qualche chilometro. Mi misi in cammino con la valigia sulle spalle, cecando di seguire alcuni che dovevano raggiungere Napoli, ma non avevo la forza. Gli zoccoli avevano prodotto ai calcagni delle vesciche che si erano rotte e mi producevano un dolore atroce. Restai solo sulla lunga strada che conduceva alla stazione della Piedimonte. Camminavo come potevo, con fermate continue.
Mi avevano detto che l’ultimo trenino per Napoli sarebbe partito ad una certa ora, non so a che ora: perduto quello sarei rimasto la notte sul marciapiedi della stazione. Dovevo camminare, ma i piedi non obbedivano, la volontà non riusciva a farli camminare, mi sdraiai a terra e poggiai la testa sulla valigia. Da dove io venivo, cioè dalla stessa strada che avevo percorso, vidi che arrivavano centinaia di persone. Era arrivato un altro treno diretto a Napoli e anche questo dovette fermarsi prima del ponte della stazione. Decisi di accordarmi, c’erano due che camminavano con fatica, avevano uno zaino sulle spalle e una valigia per ogni mano. Andavano a Napoli, mi dissero. Questa volta riuscii a seguirli perché portavano un grosso peso e si fermavano continuamente per riposarsi. Cosa che facevo anch’io. Mentre camminavo per percorrere un’altra piccola tappa, vidi la gente che incominciò a scappare e buttarsi nella campagna. Io non capivo niente. Poi grandi boati. Stavano bombardando Capua (a Capua c’era lo spolettificio mi dissero); mi buttai in un fosso laterale alla strada senza lasciare la mia valigia. Rimasi lì accovacciato per alcuni minuti quindi mi rimisi in cammino. Vedevo del fumo in lontananza, sentivo ancora spari della contraerea. Ma io ero come un bambino che non conosce il pericolo.
All’imbrunire arrivai a questa famosa stazione della Piedimonte, in tempo per prendere l’ultimo treno per Napoli. Era la stazione di S. Maria Capua Vetere! C’erano anche i due con le valigie e lo zaino a tracolla. Uno di loro mi domandò guardando la mia valigia: “Paisà, cosa sei riuscito a trovare? Hai trovato i fagioli?”, “Sì. Qualche chilo”. “Noi anche l’olio”, disse. Il treno arrivò, c’erano anche posti a sedere mi piazzai seduto, avevo un posto tutto per me. Tirai un gran respiro, mi sentivo quasi a casa. Dopo alcuni minuti di corsa il mio treno si fermò, si vedevano grandi riflettori che esploravano il cielo. I viaggiatori lasciarono le carrozze e scapparono nella campagna. Stavano bombardando Napoli. Io rimasi immobile al mio posto, non avevo più forza, guardavo quello spettacolo, per me nuovo, di quei riflettori che si incrociavano. Passo del tempo e la luce dei riflettori scomparve dal cielo, i viaggiatori tornarono nelle vetture. Il treno si rimise in moto. Camminava con le luci spente e lentamente. I viaggiatori parlavano soltanto di bombardamenti, di quartieri distrutti e di contrabbando. Io avevo l’indirizzo di casa, ma non sapevo dove fosse “salita” Pontenuovo, durante la mia permanenza il carcere, i miei avevano fatto il 4 maggio tre volte. E’ una vecchia tradizione napoletana cambiare casa il 4 maggio, in quel giorno a Napoli, si incontrano per tutte le strade camions, camioncini, carretti, carrettini, ecc. pieni di masserizie che si spostano da un punto all’altro della città.
Mi spiegarono che si trovava verso la metà di via Foria, verso S. Giovanni a Carbonara. Gran pasticcio. Ma il problema era arrivare a Napoli, poi avrei pensato a trovare la casa dove abitavano i miei.
Mezz’ora ancora e il treno si riferma.
- Si scende, siamo a Napoli, - disse il manovratore.
- Ma questo non è il capolinea! – disse qualcuno.
- Sì, è lo scalo merci della Doganella, il treno non arriva al capolinea, (piazza Carlo III, angolo Via Foria) disse questa volta il controllore. Iniziai, con la mia valigia in spalla, l’ultima tappa. Napoli era al buio e c’era il coprifuoco. Discesi l’ultima rampa della Doganella e mi trovai a Piazza Carlo III. Qui fui fermato da un “alt” e subito un ufficiale mi esaminò con una pila. Dovetti dare spiegazioni del perché a quell’ora ero in strada. Quindi mi chiese i documenti, gli mollai il foglio di via. Nuovo esame con la pila dalla testa ai piedi, poi la luce della pila cadde sulla valigia che nel frattempo avevo poggiato a terra. “Vediamo in quella valigia”, disse. Io agii con la massima sollecitudine, ma impiegai più del necessario ad aprirla con tutte le corde e cordicelle da sciogliere. Guardò nei miei stracci, lesse il titolo di qualche libro, e, rivolto ai suoi della ronda disse: “è istruito il signorino. Puoi andare”. Rilegai alla meglio la valigia e di nuovo mi misi a camminare; un piccolo tratto e una fermata, un piccolo tratto e una fermata. Arrivai così all’altezza dell’Orto Botanico. Lì mi sdraiai a terra, i piedi erano gonfi, non ce la facevo più. E poi come potevo indovinare dove si trovava questa benedetta salita Pontenuovo. Non avevo a chi domandare, non circolava anima viva. Sarei rimasto ancora per un pezzo se non avessi capito che dopo non avrei avuto più la forza di rialzarmi. Mi alzai di scatto e camminai fino al distretto militare. All’angolo girai a sinistra, a caso. Mi sentii sbattere forte il cuore. Avevo visto, illuminato dalla luna, un uomo seduto sulla soglia del suo basso. Prima di raggiungere l’uomo mancavano alcuni metri, incominciai a salutarlo per timore che si ritirasse nel basso. Lo raggiunsi, mi fermai, e, con un fare cortese e umile, gli domandai dove fosse salita Pontenuovo. Mi disse: “Alle monacelle, girate alla prima traversa e siete arrivato”. Lo ringraziai. La traversa era in salita, niente di male, ormai le forze m’erano venute. La strada era quella ma dovevo trovare il numero civico. Decisi di entrare in tutti i portoni e gridare il mio cognome. Gridai parecchie volte, come un pazzo, nel primo e nel secondo palazzo. Niente, nessuno rispondeva. Rischiavo di ripetere questa storia molte volte, c’erano portoni a destra e a sinistra. Entrai nel terzo, e facendo imbuto davanti alla bocca con le mani, mi misi a gridare più forte, l’unico mezzo a mia disposizione era quello di chiamare “famiglia Cacciapuoti”. Dopo aver chiamato alcune volte, la voce di mio fratello Raffaele dall’alto pronunciò il mio nome. […]"

Come sempre capita, dalla lettura di questi racconti, tratti da storie realmente accadute, traspaiono in essi tutte le sofferenze e l'umanità di un periodo molto buio della storia di Napoli (anno 1943), ma anche molto commoventi ed edificanti. Rimandiamo il lettore appassionato a continuare la lettura di questo romanzo, che troviamo molto bello e appassionato.

Salvatore Fioretto

mercoledì 5 aprile 2023

Quei mitici "110" e "22": ricordi di viaggio dei lettori di Piscinolablog...

Alcune settimane fa, dopo la pubblicazione sulla pagina rivista di "Amici di Piscinolablog", di due foto storiche, che riprendevano gli autobus delle linee "110 e "22", abbiamo registrato una piacevole mole di racconti e ricordi scritti dai lettori della pagina, che condividevano loro esperienze di viaggi a bordo dei due autobus. Abbiamo quindi deciso di raccoglierli in un post dedicato a loro, selezionando quelli contenenti i commenti più significativi, che permettono di realizzare un racconto. Sono stati inseriti i nomi degli autori dei commenti.
Ecco gli scritti, buona lettura:

Vittorio Selis: "Al Museo Archeologico, dondolandosi sulle grandi catene mentre si dava l'ultimo morso alla pizza a portafoglio presa alla pizzeria di via Costantinopoli, si attendeva il 22 che veniva da Piazza Dante o il 110 da Piazza Cavour, sperando di trovarvi su qualche ragazza corteggiata. Due volte, promettendogli una pizza, si riuscì a convincere l'autista del 22 a fare il giro Pessina, Bellini, Costantinopoli tra l'ilarità di tutti i passeggeri. Nessuno a lamentarsi. Ma il vero tifo da stadio era la gara tra 22 e 110 sulla salita Capodimonte. Con gli autisti ci si accordava al Museo.
La gara iniziava alla rotonda e finiva davanti Porta Piccola. Finestrini aperti anche d'inverno e tutti a sbeffeggiare se si era fatto il sorpasso o a essere sbeffeggiati se si era stati sorpassati. A Napoli questi innocenti passatempi erano abbastanza comuni e servivano ad accantonare preoccupazioni vere o presunte. A volte mi chiedo, riuscendo a "corrompere" due autisti dell'ATM per una gara a via Torino o sui Navigli, cosa direbbero i passeggeri milanesi".
Donato Marano: "Il "22" fu istituito nella primavera del 1963. Alcuni mesi prima, delle 2 linee di autobus che partivano da Piscinola il 110 nero (per piazza Garibaldi) non aveva più un capolinea di arrivo ma tornava indietro dalla fine di via Costantinopoli girando a sx anziché andare a dx; il 110 rosso fu abolito.
Lo stesso destino toccò a tutte le linee che collegavano il centro con le zone collinari e le periferie. Per consentire agli utenti (migliaia nelle prime ore del mattino) di proseguire per raggiungere le scuole e i posti di lavoro furono istituite le cosiddette circolari CD, CS (destra e sinistra) che su poche fermate di via S. Teresa, via Foria e via Pessina, dovevano accogliere di persone.
Fu subito caos e, fortunatamente, si fece marcia indietro riprolungando il percorso di alcune vecchie linee e istituendo altre nuove (22, 23, 24, 25, 26, 27, 137 ecc.).
Qualcuno si chiederà: perché non fu ripristinato il 110 rosso (e simili)? Secondo me fu una furbata dell'ATAN, così si chiamava allora l'azienda municipale dei trasporti.
Infatti gli abbonamenti feriali mensili consentivano ad operai e studenti, al modico prezzo di L. 800, di usufruire di entrambe le linee (per i primi dalle 5 alle 8.30 e dalle 16 alle 20, per i secondi dalle 5 alle 20 ininterrottamente). Le nuove linee portarono al gestore un significativo aumento degli introiti. Confermo la notazione di Roberto, sull'apprezzabile frequenza del 110. Penso però che pochi ricordino che tale caratteristica fu "certificata" dalle strofe di una canzone del noto cantante melodico napoletano Mario Abate, habitue' delle feste patronali piscinolesi del tempo che fu. Abate cantava di un innamorato che aveva dato appuntamento alla sua ragazza alla fermata dell'autobus, ma lei tardava di parecchio e lui contava le ore che passavano: "... arriv' e pass' nat' 110...".
Al mattino nel giro di mezz'ora e dopo le 13 per un paio di ore quanti ragazzi ci ritrovavamo per la maggior parte nel 110 nell'andare e nel tornare da scuola. Io dal '60 al' 68 (sc. medie e liceo), poi l'università fino al '73".
Luciano Granato: (che è autista di autobus pubblici): "Quanti di voi ho portato al centro". 
Gennaro Brancaccio: "C'era il 23 la 126 il 21 che tempi belli che non torneranno più ma io ci faccio un pensierino son tornati di moda i dischi in vinile vuoi che non tornano anche le linee sopra citate ? Mah, Io ci credo! Ciao a Salvatore B. e a tutti quelli di Piscinola e Marianella. A presto! Facciamo risorgere questa zona a nord di Napoli questo quartiere rendiamolo, facciamolo, quello di una volta!".
Giovanbattista Mele: "Non mi ricordo l'anno, alle elementari facemmo il tema: ...è arrivato il 110 a Piscinola".
Giovanni Lanzuise: "Quello delle 7:20 per 40 anni..." Alle 7:20 partivano insieme gli autobus delle due linee, sia del "22" che del "110".
Amedeo Amedeo: "Che spettacolo".
Dora Russo: "Quanti bellissimi ricordi mitico.......110".
Marco Troise: "Vero, lo prendevo per andare alla stazione, anni 80".
Vincenza Palladino: "Che ricordi: il 22 per andare al Vittorio Emanuele, da piazza Dante, ma spesso si scendeva al Garrittone per il traffico bloccato e ....a piedi fino a scuola; era il 1975".
Mary Gala: "Anch'io lo prendevo con il mio fidanzatino".
Pasquale Di Fenzo: "Solo noi vecchietti ricordiamo che in effetti il 22 era figlio del mitico 110 rosso".
Giuseppe Sivio:"Il 23 invece girava per San Rocco e se ricordo bene stazionava proprio in piazzetta San Rocco". Risponde Pasquale di Fenzo: "In piazzetta San Rocco stazionava il 23 barrato..il 23 arrivava a Marianella ed era molto più raro del 22".
Lucia Di Maro:"Ciao sono nata a Piscinola 74 anni fa e sono vissuta fino a 17 anni, poi siamo andati a Cavalleggeri Fuorigrotta e ora sono 52 anni che vivo a Orte provincia di Viterbo. Ho bellissimo ricordo quanto mi piacerebbe rivedere il mio paese. Ciao piscinolesi".
Capolinea di Piscinola (in ricordo di Raffaele, Salvatore e Giovanni)
Gennaro Silvestri: "Prendevo il 110 nero alla fermata sotto casa mia in via Vittorio Veneto per andare all'avviamento industriale A. Volta a via Galileo Ferraris. Anni 1961-'65".
Vincenza Palladino: "Tempi belli, che nostalgia!".
Chiara Di Giacomo: "Tornerei indietro, ma purtroppo non si può".
Pina Riccio: "Che nostalgia di quei tempi".
Giulia Biancardi: "Quanti ricordi".
Giuseppe Vitale:
"Quante volte l'ho preso per andare all’istituto d’arte alle spalle di piazza Municipio dal 70 al 75".
Margherita Chiaromonte: "Io prendevo il 110 al ritorno da scuola (ero al Salvator Rosa) quando non arrivava in tempo il 137, poiché abitavo in via Regina Margherita, scendevo alla fermata alla fine di via Ianfolla, di fronte al Parco Ice Snei e poi me la facevo a piedi fino a casa, a due metri dalla fermata della Piedimonte, quando c'era ancora il passaggio a livello".
Alfonso Severino: "Una vita nel 22".
Salvatore Cuozzo: "Modello Sofer".
Andrea Esposito: "Anche il mio era il 110 nero".
Giovanna Basso: "Che spettacolo! Quanti ricordi."
Salvatore Cuozzo:"Che frequenza aveva il 22?", risponde Pasquale Di Fenzo: "Quannno teneva genio...". 

Ringraziamo i cari lettori per i loro commenti, in ricordo dei due mitici autobus delle Linee "22" e "110", che avevano il loro capolinea a Piscinola. Si ringraziano anche tutti quei lettori che hanno scritto dei brevissimi commenti di apprezzamento che per problemi di spazio non abbiamo potuto inserire tutti.
Buona Pasqua a tutti!
Salvatore Fioretto 
 

venerdì 31 marzo 2023

Caro pioppo, considera la tua presenza un poco straniera...!

E' questa una considerazione un po' personale, tra il fare poetico e un'analisi verista di un mondo che è risultato profondamente cambiato negli ultimi 40 anni... Un amaro sfogo, tra tristezza e rabbia, dove il desiderio di riscatto non vuole cedere il posto alla rassegnazione...!

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Quando passiamo lì vicino, ti osserviamo e con mal celata ilarità, consideriamo un poco intrusa la tua isolata presenza in questo lembo di quartiere che un tempo era "campagna viva" e oggi è avido di verde..., ma tu essendo Pioppo della varietà "Cipressino"... lo sai bene che non sei autoctono del nostro territorio, bensì diffuso e tradizionalmente legato alla grande Pianura Padana e alle vicine zone lacustre e fluviali settentrionali...
Sarà che "menti illuminate" hanno fatto seguire anche a te il passo dei tempi di questo effimero progresso che, ignorante dei valori storici del territorio, come già fatto per caseggiati, cortili ecc., con l'utilizzo del cemento armato, sei stato utilizzato per sostituire il millenario nostro "Pioppo Nero", e quello che gli antichi piscinolesi chiamavano "Chiuppo Cutolino", perché prolifico a fornire loro legacci per la potatura delle viti ("cutoli"), e poi pali tutori ("spalatruni"), "furcine", "ancille per panari", pali per recinzioni, assi per i forni, ecc. ecc.

"Pioppo nero" , foto da una campagna di Piscinola
Nel mentre, ancor di più, ironia della sorte, diffusamente degli elementi di pioppo nostrano nascono oggi spontanei lungo i bordi degli assi stradali a scorrimento veloce... e tutti li possono osservare, come percorrendo le rampe di immissione all'asse perimetrale di Scampia...!
La loro presenza rappresentano una eloquente ribellione della natura!!
Queste cose si avvertono perchè nel nostro DNA c'è ancora traccia di quella sensibilità per la natura, che ci faceva parte integrante di un ecosistema antico. Purtroppo si è alterato quel rapporto millenario, senza definire un limite di conservazione, che era pur necessario, il tutto eseguito sempre per far fronte alle continue emergenze sociali.

Pioppo "cutolino" , foto da una campagna di Piscinola
Alla fine, l'emergenza più grave che è stata creata è "l'anomia", ovvero rendere tutto senza storia e senza memoria. 
Qui, a Piscinola, il rapporto degli abitanti con la natura era veramente qualcosa di bello, potremmo dire "fantastico...!"
Purtroppo siamo riusciti a gustare ed assimilare solo l'ultimo decennio di vita di quel "mondo" e, poi, abbiamo sofferto per aver visto tutto lo scempio di una metamorfosi scellerata, senza margini di confini e senza pietà...!

Che gli antichi piscinolesi, soprattutto quei sapienti contadini di una volta, abbiano pietà di noi, cittadini del XXI secolo...!

Salvatore Fioretto