sabato 16 gennaio 2021

Le "aziende agricole" del passato: Le Masserie (prima parte)

Masseria "Renza 'e Vascio" (Lenza di Basso), foto Ferdinando Kaiser
Tra l’XI e il XIII secolo, a seguito dell’abolizione della “servitù della gleba” e alla nascita dei Comuni, si giunse ad una più libera conduzione dei fondi agricoli, con l’introduzione del contratto enfiteutico, mentre subentrò, anche nell'Italia meridionale, seppur con caratteri ancora feudali, un’organizzazione del lavoro di tipo autarchico, volto allo sfruttamento intensivo di grosse estensioni di terreni. Questo tipo di organizzazione del lavoro nelle campagne comportò una sorta di “ricolonizzazione” del territorio e la nascita di costruzioni edilizie di tipo fortificato, disposte “a corte”, che furono identificate con il termine di “masserie”. 
Mappa della Terra di Lavoro olim Campania Felix, 1666
Tuttavia queste tipologie di costruzioni non erano tanto una novità per il nostro territorio, perché in epoche anteriori esistevano, pur non numerose, delle strutture edilizie molto simili, di origine antiche, rappresentate dalle cosiddette “villae rusticae” di epoca romana. 
I recenti scavi archeologici, condotti dalla Sovrintendenza nella zona della masseria del “Carduino” (o Cardovito) a Marianella,  hanno portato alla luce una struttura complessa, di questo tipo, realizzata “a corte”, datata I-II secolo d.C.; mentre resti di un'altra struttura antica, verosimilmente di questo tipo, datata I secolo d.C., è stata rinvenuta in via Gobetti a Scampia.
La parola “masseria” indica una piccola azienda condotta da un “massaro”, termine derivante dal Latino Medievale: “massarus”, dalla parola “massa”, ovvero: insieme di fondi.
Ecco come definisce il termine di “Masseria” la famosa enciclopedia Treccani: "Masserìa (ant. o region. massarìa) s. f. [der. di massaio, massaro]. – 1. L’azienda rurale diretta da un contadino (massaro) secondo il contratto di colonìa parziaria. 
2. Con sign. storici: a. Tributo in natura e in prestazioni personali che il massaro doveva al signore. b. L’ufficio del massaio sia come amministratore di una massa (insieme di fondi), sia come amministratore delle pubbliche entrate; anche l’amministrazione stessa e il modo di amministrare."
A differenza dei Casali, che erano aggregazioni preesistenti di periodo antico o tardo-antico, legate alla comunità da un vincolo di tipo politico-amministrativo, le "masserie" erano invece delle strutture più recenti, meno stabili dei primi e legate più alle colture agricole che al governo del territorio. Erano, in pratica, delle strutture organizzate per la conduzione dei fondi e per le lavorazioni delle derrate prodotte, un po' come quelle che oggi noi chiamiamo con il termine di "Azienda agricola".
Resti archeologici della villa rustica romana al Carduino

Il processo di trasformazione del territorio fu molto letto, infatti occorrerà attendere il XVI-XVIII secolo per vedere completata la realizzazione di quelle strutture edilizie caratterizzanti il nostro territorio agricolo, che sono le note masserie.
Nelle campagne del territorio attorno Napoli, come in quelle di Piscinola, Marianella, Frullone, San Rocco, Chiaiano, Miano..., sorgevano in passato numerose masserie. Nel caso di Piscinola, ad esempio, alcune masserie erano possedute dai parroci di Piscinola, come quella di Don Carmine Danese ubicata a sud, nella zona detta del “Viscariello”
Masseria del Carduino, Marianella, foto di F. Kaiser
Un altro sacerdote, Don Giuseppe Castigliano (o Castigliardo), possedeva una masseria che in antico tempo era del marchese di Carmignano, poi del conte D’Afflitto e poi, ancora, divenuta di proprietà della famiglia dei principi De Luna. Pure i conventi ed i monasteri cittadini possedevano a Piscinola diverse masserie e terreni annessi (“tenimenti”), come il monastero di S. Patrizia (15 moggi), il monastero di S. Agostino alla Zecca (120 moggi), il monastero di San Pietro a Castello (3 moggi), il monastero di S. Giovanni a Carbonara, il monastero di S. Maria degli Angeli, così pure anche i monasteri della Misericordia e quello di Donnaregina, possedevano a Piscinola dei loro “tenimenti”.
In un manoscritto del Tutini è annotato che: “…una tale Filippella, moglie di Giovanni Acciapaccia di Sorrento e madre di Maddalena, nel 1464 donò un terreno a Piscinola all’abate di S. Cristoforo a Capuana
Masseria del Carduino, Marianella, foto di F. Kaiser
(
Ms. Tutini III fl. 243 v., De Lellis Discorsi I, 244).
I Gesuiti possedevano nel Casale di Piscinola, al momento della loro espulsione dal Regno delle Due Sicilie (1767), ben 58 moggi di terreno, con un reddito di 693 ducati, sicuramente includevano anche delle masserie per la loro conduzione.
Interessante è la contesa sorta tra la parrocchia di Piscinola e quella di Marianella sulla giurisdizione ecclesiastica della masseria di S. Giovanni, poi ritenuta definitivamente appartenere al territorio piscinolese.
Alcune di queste masserie sono sopravvissute fino ai nostri giorni, anche se sono state profondamente trasformate ed adattate agli usi moderni; altre, invece, sono state distrutte negli ultimi decenni per fare posto ai programmi di edilizia popolare o semplicemente per realizzare infrastrutture di pubblica utilità, come strade o ferrovie.
Masseria Renza 'e Vascio, a Marianella, foto di F. Kaiser
 Nella mappa redatta dall’ingegnere Camerale Giambattista Porpora nel 1779, si possono individuare, con un po’ di attenzione, le masserie un tempo situate a Piscinola e zone adiacenti essa, in particolare nella zona meridionale del Casale e quelle dei sobborghi di San Rocco e del Frullone. 
Troviamo le masserie denominate: “del Principe di Belvedere”, “del Monte dei Carafa”, “del Principe De Luna”, “dei Padri di S. Agostino alla Zecca”, “dei Padri di S. Giovanni a Carbonara”, “di Gennaro Gugliemaccio”, “di Don Nicola Pacifico”, “del Parroco di Piscinola Don Carmine Danese”, “di Lorenzo Castigliardo” (erede del sac. Don Giuseppe Castigliardo, già appartenuta al marchese Di Carmignano). Si rilevano, anche, la “Casa e Cappella De Luna” ed i ponti di “Piscinola” e di “S. Rocco”.
Ecco alcuni brani tratti dal manoscritto di Giambattista Porpora: “Premessa alla Configurazione della città di Napoli e i suoi casali per l’Arrendamento della farina anno 1779”. Il percorso descritto può esser seguito sulla mappa redatta dallo stesso G. Porpora.
Masseria Renza 'e Coppa, a Marianella, foto di F. Kaiser
“[…]Sulla via pubblica a destra che conduce nel Casale di Piscinola secondo la direzion di Settentrione, nell’angolo di detta via sta situato l’arco di fabbrica chiamato arco di Piscinola, che il Tavolario D’Urso li diede il nome di Portone della Masseria di Don Benedetto Valtitaro […], mediante la distanza di 56 passi si arriva nella prima via a sinistra, della descrizione in un vallone d’acqua, che passa sotto il ponte di fabbrica denominato anche di Piscinola, ed indi si perde nelle masserie, per la quale via camminandosi secondo la direzione d’Occidente dopo la distanza di passi 60 si giunge nel confine tra la masseria, che porzione se ne possiede da D. Domenico Sorrentino e porzione è dedotta nel patrimonio di D. Belaggio Sorrentino, che nel 1698 era degli eredi del sig. Francesco de Liguoro, e la masseria che presentemente è nel dominio del Razionale D. Domenico Paziente, e nel 1698 si possedeva da D. Benedetto Valdetara, oggi marchese Valdetara […], 
Mappa dei dintorni di Napoli
seguitandosi a camminare per la stessa via, e poi per il vallone d’acqua che la sussegue secondo la direzion d’Occidente, dopo la distanza di passi 80 si giunge su anzidetto ponte, e proprio nella via pubblica, che a sinistra porta nella cappella chiamata di S. Rocco ed a destra conduce a Piscinola […]. 
Da detto ponte rivoltando a man destra, e camminandosi per la via pubblica che porta a Piscinola colla direzione di Settentrione, dopo la distanza di passi 85 si trova a man sinistra la via pubblica per cui si va a Marianella, ed indi mediante la distanza d’altri 215 passi si giunge in un bivio, donde lasciandosi la finora scorsa via che conduce a Piscinola secondo la direzione di Settentrione, e proseguendosi il cammino per quella a sinistra, la quale anche porta a Piscinola, ma colla direzione d’Occidente, dopo la distanza di passi 95 si trova la prima via pubblica anche a destra, tutt’e due le quali siccome portano parimenti a Piscinola, così lateralmente s’inserrano il giardino colla casa e cappella del Principe di Luna. 
Masseria del Carduino, Marianella, foto di F. Kaiser
Termina in questo luogo la linea di confinazione entra il Ristretto di Napoli e ‘l Tenimento del Casale di Piscinola, la quale principia dall’anzidetto ponte, includendo ella a sinistra nella giurisdizion dell’ Arrendamento le due masserie che nel 1700 caddero anche nella controversia, come dissi di sopra, cioè quella del Monastero di S. Agostino alla Zecca e quella del Monastero di S. Giovanni a Carbonara, ed escludendo a destra la linea di confinazione medesima in Tenimento di Piscinola la stessa poc’anzi descritta massaria del R.do Parroco di Piscinola D. Carmine Danese, quella di D. Giuseppe Castigliardo, che anticamente era di Carmignano porzion della massaria del Monte di Carafa e la massaria col giardino, casa e cappella del Principe di Luna, come osservasi nella pianta che sussiegue […]”.
Mappa topografica dell'Area Nord di Napoli con evidenziate le masserie sopravvissute, XX sec

Un tempo le masserie erano molto diffuse nel territorio della provincia di Napoli, ma anche in tutto il meridione di Italia, basti pensare che nel solo agro giuglianese, nell'anno 1793, risultavano censite circa 119 masserie.

Mappa topografica con evidenziate le masserie sopravvissute, XX sec (in rosso ferrovia Piedimonte)
Le masserie erano un tempo considerate delle emergenze architettoniche e pertanto utilizzate per identificare il territorio, che come è noto era estesamente ed intensamente tutto agricolo; esse venivano menzionate nei documenti ufficiali, come nelle carte rogate, o nelle prammatiche, i loro nomi venivano utilizzati dalla popolazione per identificare le località e col tempo essi sono diventati dei toponimi dei luoghi, anche se le relative strutture non esistono più. A Miano, ad esempio, c'è ancora un posto che viene indicato dagli abitanti di Piscinola, "'Ncopp''a masseria 'e Miano" (incrocio via Janfolla con via Veneto), perché in quel luogo in passato era presente una di queste strutture antiche.

Nel seguito riportiamo l'elenco, che risulta ovviamente approssimativo, delle antiche masserie che un tempo erano presenti nel territorio compreso tra Mugnano, Piscinola, Scampia, Marianella e Miano. Molte di queste strutture non esistono più perché abbattute o perché sono state trasformate nel corso dei secoli; per conoscere la loro esistenza e la denominazione si è fatto ricorso alla consultazione delle mappe dei dintorni di Napoli del XVIII-XIX secolo. Non escludiamo che nell'elenco qualche massarie sia stata ripetuta con denominazioni diverse avute nel tempo.

Masseria del Carduino, Marianella, foto di F. Kaiser

Piscinola e Scampia:
-Masseria Splendore (Cascella)
-Masseria Grande (detta "Ciucciaro")
-Masseria Carrasiello
-Masseria della Filanda
-
Masseria Torre Gualtieri (Marchesa di Rutigliano)
-
Masseria Belle Donne (o Perillo)
-Masseria di proprietà della famiglia De Luna di Aragona
-Masseria San Giovanni a Carbonara
-Masseria Donnaromita (Scampia)
-Masseria "li Bianchi" (Scampia)
-Masseria Vecchione (Scampia)
-Masseria Scampia, con annessa cappella di S. Antonio
-Masseria Aja
-Masseria Fruscio

Marianella:
-Masseria Croce
-Masseria Iodice (detta in gergo "Case Durece")
-Masseria Cardovito (o Carduino)

-Masseria Renza ‘e Vascia (Lenza Basso)
-Masseria ‘a Coppa (detta Renza 'e Coppa)

-Masseria San Giovanni, a Marianella
-Masseria S. Agostino della Zecca (Frullone).

Masseria "del Maranese" (Miano)

Da alcuni documenti storici si rilevano le seguenti masserie, esistenti tra Piscinola, Marianella e lo Scampia, non identificate fisicamente:
-Masseria Olim (dei padri Agostiniani a Scampia), con cappella di Santa Monaca
-Masseria Olim (dei padri Carbonaristi a Scampia), con cappella di San Giovanni
-Masseria Moscariello (forse per il nome dell’antica località di Piscinola chiamata "Mascarella")
-Masseria di don Giuseppe Castigliardo (già proprietà del marchese di Carmignano)
-Masseria dei Liguori (di proprietà di D. Francesco de Liguori). 

Mugnano:
-Masseria Torricelli (detta anche "Torricello")
-Masseria
"Caracciolillo"
-Masseria Vialletta (detta anche "Valletta" o "Galletta")
-Masseria Siciliano
-Masseria l'Epitaffio (dove morì Giuseppina Bianco)
-Masseria Conte di Lucina (detta anche
"San Gaudioso")
-Masseria del Fi
co
-Masseria dei Vulpes (annessa alla casa nobiliare, detta anche "Turco")

-Masseria Croce

Masseria del Carduino, Marianella, foto di F. Kaiser

-Masseria Gangiano 
-Masseria Ruggiero
-Masseria Menna
-Masseria Stasio
-Masseria Mascati (forse masseria Grande)

-Masseria Maisto

-Masseria Mango
-Masseria Scotto
-Masseria Terracciano
-Masseria Paparelle

-Masseria Napolano
-Masseria Parisi
-Masseria Pastena
-Masseria Nova (lato Melito)

-Masseria Campo d'Isola
-Masseria Severino

-Masseria Pilone
-Masseria Bianca

Probabilmente la masseria del "Conte di Lucina" e quella di "Campo d'Isola" coincidono.

Miano:
-Masseria San Pietro Martire (detta "‘o Monaco", era appartenente ai domenicani di San Pietro Martire)
-Masseria Cardone
-Masseria Russillo
-Masserie del Monte (della famiglia Carafa)
-Masseria
Barese (o Barrese)
-Masseria Perrone
-Masseria
Macedonio (della famiglia Macedonio), con annessa cappella di Sant’Antonio
Masseria del Carduino, Marianella, foto di F. Kaiser

-Masseria Monaca
-Masseria
Sarnataro (Frullone)
-Massaria
"lo Maranese" (Bellaria)
-Masseria
Polanella (dall’antico Casale di Pollanella)
-Masseria Didio

-Masseria Paziente
-Masseria Valderaro
-Masseria Marinola
-Masseria Roma

-Masseria de Angelis
-Masseria Salzano
-Masseria Tutore
-Masseria Banca
-Masseria Tramontano
-Masseria Luzio
-Masseria Cavarella
-Masseria Russo
-Masseria Merolla
-Masseria S. Angelo
-Masseria Ronca
Masseria del Carduino, Marianella, foto di F. Kaiser
Nella seconda parte del post, dedicato alle masserie, descriveremo l'organizzazione degli spazi e le attività svolte negli ambienti di una masseria tipo, prendendo ad esempio una struttura agricola un tempo esistente nel quartiere di Piscinola. Continueremo, inoltre, con l'elenco delle masserie del territorio, riportando quelle esistenti a Chiaiano, Capodimonte, Mianella e Secondigliano.
 
Un ringraziamento speciale all'amico fotografo, Ferdinando Kaiser, per averci consentito di inserire le sue foto in questo post, con alcune riprese delle masserie del Carduino e di Renza  Vascio e Renza Coppa, di Marianella.

Salvatore Fioretto

Masseria del Carduino, Marianella, foto di F. Kaiser

venerdì 8 gennaio 2021

Prof., avv. e on. Vincenzo Janfolla: lucano di nascita e napoletano di adozione...

Chissà quante volte ci è capitato di indicare, a qualche automobilista che lo chiedeva, la strada che conduce alla zona ospedaliera, oppure a qualche viaggiatore che era in cerca dell'itinerario per raggiungere l'Aeroporto di Capodichino, e non abbiamo esitato a dire, a costoro, di imboccare l'ampia strada rettilinea, che è intitolata a Vincenzo Janfolla; eppure, nonostante tanta nostra determinazione, non conosciamo affatto questo personaggio e soprattutto cosa avesse "a che spartire" con la città di Napoli, tanto da avergli intitolato una lunga e importante strada della sua periferia...

Ebbene è giunto il momento di fare menzione particolare e di raccontare la ricca e interessante biografia di questo insigne e illustro personaggio, divenuto "principe del Foro" del tribunale di Napoli.
Figlio di sarto, Vincenzo Janfolla nacque a Potenza, nell’anno 1873. Era ancora giovinetto quando la sua famiglia decise di trasferirsi a Napoli. Nella capitale del Sud, Vincenzo frequentò, con profitto negli studi, il liceo Antonio Genovesi. Suo compagno di scuola fu quello che poi diventerà il celebre avvocato Enrico De Nicola, primo presidente della Repubblica Italiana.
Intanto, per aiutare la famiglia e per mantenersi negli studi, Vincenzo prese a fare degli sporadici lavoretti, come quelli di impartire lezione di doposcuola a studenti oppure curare la contabilità a qualche commerciante napoletano. Nel 1892 conseguì la licenza liceale e si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Napoli.
Suo insegnante di Diritto Privato fu il celebre avvocato prof. Emanuele Gianturco. Nel 1895 conseguì il titolo accademico di dottore in gurisprudenza. Venne subito accolto presso lo studio legale civilista del prof. avv. Gaetano Cannada Bartoli (anch'egli suo docente all'università), che fu uno degli studi legali più prestigiosi della città di Napoli. Dall’anno 1901 cambiò studio, e iniziò a lavorare presso lo studio legale dell’avvocato Pasquale Grippo,
lucano di nascita, e anch’egli suo professore all’Università, in Diritto Costituzionale.
Mosso dalla velleità di far carriera in ambito della magistratura, il 26 luglio del 1906, Janfolla partecipò e vinse il concorso di magistrato, risultando tra i primi in graduatoria. Gli venne affidato l’incarico di Pretore Aggiunto nell'ambito di una delle sezioni del Tribunale di Napoli. Ma dopo un solo anno di lavoro rinunciò clamorosamente al prestigioso incarico, perché egli consapevolmente capì che tale tipo di attività non corrispondeva alle sue aspirazioni professionali. Così, dopo la rinuncia al posto di Pretore, riprese a svolgere la professione di avvocato, aprendo uno studio legale, tutto suo a Napoli. Passarono pochi anni e la sua fama di avvocato si diffuse rapidamente in città, Janfolla fu considerato, dai tanti, uno dei migliori legali a cui affidarsi per far difendere le proprie cause. Nel triennio 1913-1915 fu eletto dagli avvocati napoletani, procuratore presso la Corte di Appello di Napoli.
Vincenzo Janfolla intraprese anche la carriera politica, altra sua passione. Nel 1913 fondò a Potenza la sezione dell’Unione Liberale, schierata con il leader nazionale del partito liberale, Antonio Salandra. Venne quindi eletto nel Consiglio Provinciale di Potenza e anche nel Consiglio Comunale di Napoli. Nell’anno 1919 fu eletto alla Camera dei Deputati, grazie ai tanti consensi ricevuti nel collegio di Potenza. Nel frattempo appoggiò la corrente dello statista Francesco Saverio Nitti; quest’ultimo diventerà presidente del Consiglio dei Ministri. Ricevette poi la riconferma del mandato di deputato nella legislatura seguente, del quadriennio 1921-1924. In ambito del Parlamento del Regno d'Italia, Janfolla partecipò proficuamente ai lavori della "Commissione per la riforma dei Codici". Deciso e fermo dissidente delle idee fasciste, con l’avvento della dittatura fascista Vincenzo decise di abbandonare la carriera politica e di ritornare a svolgere la sua attività di avvocato a Napoli. Con il verificarsi dei bombardamenti delle truppe angloamericane, nel corso dell'anno 1943, abbandonò la sua residenza a Napoli, per ripararsi nella sua città di origine, Potenza. Purtroppo, per ironia della sorte, proprio in quell'anno, il 9 settembre, trovò la morte a Potenza, a causa dei bombardamenti, che infierirono anche in terra di Lucania, mentre si era rifugiato nella sua casa di campagna.
Il celebre avvocato penalista Alfredo De Marsico così ricordava l'insigne collega Janfolla: “Aveva una parola semplice, fluida, incisiva, lievemente musicale, sintetica, espressione genuina e immediata di un pensiero limpidissimo, di conclusioni mentali già prese. Meridionale, non amava il gesto, rifuggiva dalla teatralità, ciò che conferiva alla sua oratoria un tono di grande aristocrazia".
Vincenzo Janfolla fu anche stimato insegnate di Diritto presso l'Università di Napoli,  oltre da essere un poliedrico intellettuale, viene tutt'oggi ricordato come uno dei più celebri avvocati penalisti del Mezzogiorno, infatti, n
egli anni sessanta del secolo scorso, gli furono dedicati un busto nel salone di Castel Capuano di Napoli (maggio 1966) ed una strada, quella che tutti conosciamo, che collega il quartiere di Miano con la località del Frullone (quartiere di Piscinola). 

Dalla rivista storica "La Basilicata nel mondo" (1924-1927), di Luigi Lordi: Vincenzo Ianfolla è veramente un privilegiato della fortuna, poiché è uno dei pochi uomini, pei quali la vita non ha che sorrisi. Ingegno squisitamente dialettico, pronto, chiaro, facile, penetrante, semplificatore, egli è nato avvocato. Egli non ha mai avuto alcuna difficoltà ad emergere e trionfare in Napoli, che pure è la città classica degli avvocati; la sua mente singolarmente fervida ed operosa regge all’immenso sforzo di convogliare, per la loro strada, l’enorme numero di questioni ch’egli deve ora per ora vivisezionare. E tanto a quell’alacre spirito è naturale è facile la disciplina del lavoro, che, in ogni momento, coll’immancabile sorriso sulle labbra, egli può stornare l’attenzione dallo studio per ritornarvi d’improvviso, ad un cenno. Egli può nella stessa giornata , dividendo sapientemente le ore, discutere le cause più diverse; né mai dà prova di stanchezza né alla sera è meno pronto e vivace e attento che al mattino. Non è che apparente tutta questa singolare facilità di lavoro. Essa è la risultante di un enorme sforzo di volontà di quelle eroiche giovinezze, che sono la gloria della povertà. Il giovane ricco di volontà e di talento che, in una grande metropoli, vede intorno a sé chiusa ogni porta della vita, è come una grande forza della natura che non può restare inutilizzata.
Fra le sue miserie morali e materiali, nella profonda tristezza delle sue montagne, o calve, o alla cui cima sono appollaiati paesi che dovevano essere inaccessibili ai briganti, nella profonda tristezza delle sue pianure desolate dalla malaria, la nostra Basilicata che non ha industrie, non commerci, non vere ricchezze naturali, è ricca solo di uomini tenaci, ossessionati da una forte volontà di pervenire. E poiché l’ambiente dei nostri paesi ad un borghese non offre altra possibilità di emergere che il lavoro intellettuale, gli uomini come Vincenzo Ianfolla, nati da modeste origini, non possono che rinchiudersi in sé stessi ed agguerrirsi collo studio, per riuscire, o per abbattersi nella desolazione della sconfitta.
La giovinezza di Vincenzo Ianfolla ha singolari coincidenze colla rapida gloria di quel vero genio che fu Emanuele Gianturco. Il grande giurista aviglianese morì a 50 anni, dopo aver lasciato negli studi giuridici un orma indelebile, e dopo essere stato uno fra i più illustri parlamentari e fra i più illustri avvocati della sua generazione. Se Vincenzo Ianfolla è stato quasi esclusivamente assorbito da una sola attività, quella professionale, il successo è stato dei più rapidi e interessanti: più interessante, anzi, di ogni altro, perché è stato unicamente successo professionale.

Da circa un decennio la fama di Vincenzo Ianfolla, illustre cassazionista, si è affermata incrollabile. È una reputazione fondata esclusivamente sull’intrinseco valore dell’uomo, sull’altezza dell’ingegno, sulla fermezza del carattere. È una di quelle reputazioni cui ogni circostanza estrinseca è del tutto indifferente. Ianfolla è oggi il Cardarelli della giurisprudenza. Come l’ammalato grave va dal grande clinico, così va da Ianfolla chi cerca, non l’avvocato politico, ma l’avvocato giurista, il sacerdote della giustizia, il principe della eloquenza.

Basta la più breve conversazione con questo affascinante giurista, per capirne l’alto valore e per spiegarsi una fortuna professionale, che non forse ha l’eguale. E sentirne una discussione è un vero godimento anche per un profano. Non arzigogoli, non sottigliezze, non sfoggi di dottrina, non cavilli; ma dirittura di ragionamento, semplicità, precisione, brevità sono le armi di cui questo eccellente stratega della discussione si serve.
Egli elimina ogni inutile divagazione, rinunzia a tutto ciò che non è essenziale, semplifica, chiarifica, riduce alla più scheletrica espressione ogni più arduo groviglio giudiziario, e con poche battute arriva alla conclusione.

E se l’avversario in un minuto di disattenzione non scopre un vizio del ragionamento, una conseguenza non rigorosamente dedotta dalle premesse, rischia di restar travolto dall’abile perorazione di una tesi che forse non doveva trionfare.

Vincenzo Ianfolla non ha nemici. Come tutti i vincitori, è un generoso, è un amico sincero e buono, forse anche un ingenuo. Egli è largo a tutti di consiglio e di aiuto. Nella sua fiorente famiglia questo glorioso atleta dei pubblici dibattimenti trova il solo ristoro all’improba fatica quotidiana.

Non poteva non attrarlo la politica, questa grande maga, che ha sempre attratto a sé gl’intelletti migliori. Spirito insofferente di ogni sopruso, legato da sincera amicizia a Francesco Nitti, non poteva Vincenzo Ianfolla abbandonare nell’ora della persecuzione il grande statista. Ma, pur non essendosi ripresentato nelle ultime elezioni, Vincenzo Ianfolla fa ora parte della Commissione per la riforma dei codici e lascerà l’impronta della sua grande esperienza e di profondo sapere nell’imminente codificazione. Fu componente del Consiglio di disciplina, fu consigliere del Comune di Napoli, fu consigliere Provinciale di Basilicata, ed ovunque lasciò vive simpatie. Perché — oltre che imporsi subito coi suo talento magnifico — Vincenzo Ianfolla, ha anche il segreto, di conquidere tutti — moltitudini di popolo e oligarchie di assemblee — con quella sua signorile simpatia, alla quale neppure gli avversari sanno resistere.

Da qualche anno in qua, non vi è grande causa che non abbia il suo patrocinio: e particolarmente appassionata è la sua difesa, molto spesso disinteressata, di pubbliche amministrazioni.

Ancor giovane egli ha innanzi a sé tutto un luminoso avvenire: molta luce d’ingegno dovrà ancora gettare sul suo cammino: e la sua vita, la sua rettitudine devono essere a tutti un esempio di probità, di lavoro e di fede nella giustizia.
Questo giurista profondo e tenace, che sembra chiuso fra le pandette e le regole del dritto, è un artista innamorato di ogni più alta manifestazione del bello. Una statuetta di Gemito, una poesia nel dialetto della nostra Basilicata lo commuovono come se non vivesse che di arte. E quella stessa sua fanciullesca, intima comunicativa, quel suo perenne sorriso di bontà, che non conosce livori, non conosce odi, sono l’espressione di un’anima di artista. Non può non essere un artista chi ama la campagna come Vincenzo Ianfolla. Viva pur dieci mesi dell’anno tra i supremi magistrati, tra i principi dell’eloquenza, fra i clienti più cospicui per censo e per posizione sociale, egli deve starsene gli altri due mesi in una villa vicina alla sua Potenza, tra il sorriso e il verde della campagna, fra le tenere cure della famiglia, fra i conterranei che l’aspettano.

Fra i potentini egli riparla spesso il dialetto di Potenza: rivive la piccola vita provinciale, e come ritempra il corpo nel verde della campagna, la mente affaticata ritempra nel nostalgico rivivere la quotidiana semplice vita degli uomini oscuri.

Questo squisito sentimento della natura, quest’intimo senso di austera e disdegnosa semplicità, questo costante ritorno alle origini, sono indici sicuri dell’animo schietto e leale di Vincenzo Ianfolla.

È questa sua squisita sensibilità il miglior alleato d’una quadratura mentale poderosamente logica e geometrica.

Il ragionatore riesce specialmente gradito ed accetto perché una forma mirabile di arte riveste le più complicate disquisizioni giuridiche. Felice connubio, veramente e squisitamente italiano, di virtù d’ingegno e di animo, mirabile fusione di padronanza del vero e di sentimento del bello, connubio e fusione che sono un dono rarissimo degli esseri veramente privilegiati.

Salvatore Fioretto