venerdì 6 novembre 2020

I bambini e i giochi nei cortili di una volta... momenti di vita sociale andati perduti!

Prima e durante l’ultima guerra mondiale, i ragazzi non avevano molto tempo da dedicare ai giochi ed al tempo libero. Le ristrettezze economiche e le condizioni sociali delle famiglie, a volte, non permettevano loro nemmeno di frequentare la scuola primaria. La maggior parte dei bambini, passati i dieci-dodici anni di età, venivano indirizzati ai lavori nei campi e alle attività artigianali o domestiche.
I giochi dei ragazzi piscinolesi erano semplici e quasi sempre collettivi. Ad essi partecipavano tutti i bambini ed i ragazzi che abitavano all’interno delle masserie o dei caseggiati “a corte”. Spesso si instauravano fazioni appartenenti a due caseggiati confinanti, con lo svolgimento di vere e proprie sfide, condotte attraverso vari giochi di forza o di destrezza.
Con la “ricostruzione del dopo-guerra” e il boom degli anni ‘50-’60, i giochi aumentarono e si arricchirono di tante altre varianti.
Il gioco preferito, sia dai bambini che dalle bambine, era detto “‘a campana” (oppure ‘a semmana o ‘a pastora) e consisteva nel saltellare su un labirinto numerato, disegnato con gesso o carbone, sulle pietre di basalto o sul terreno battuto. Su esso si lanciavano o si trascinavano delle pietre (pastore).
Un altro gioco molto in voga era “a moscacieca” (‘a nascunnarella). Esso si svolgeva cercando i compagni che si nascondevano negli antri o nei posti più impensabili del cortile: vinceva chi riusciva ad arrivare al posto segnalato prima del “cercatore”. Il “cercatore”, chiamato anche “palo”, aveva il compito di cercare i ragazzi “imboscati”, finché non sarebbe stato rimpiazzato dal giocatore perdente. Prima di iniziare la ricerca, doveva contare a voce alta da “uno” fino a “trentuno”, appoggiando le mani e il volto al muro.
Ai bambini più piccoli piaceva andare per i prati “a cacciare” (ad “acchiappare”) le farfalle (‘e palummelle). Le povere malcapitate, una volta catturate, venivano inserite dentro piccole bottiglie di vetro ed esibite con vanto ad altri bimbi del caseggiato. I più grandicelli, invece, andavano “a caccia” di povere lucertole.
I ragazzi più grandi si deliziavano a giocare con lo “strummolo” ed a “mazza e pivezo”. Il primo era una sorta di piccola trottola di legno che veniva lanciata con una cordicella e fatta girare il più a lungo possibile, anche sulle mani; mentre col secondo attrezzo si giocava lanciando un pezzo di legno appuntito, attraverso il colpo repentino, inferto a volo, con la “pertica”, che era un breve asse di legno appuntito. Vinceva chi lanciava il suo pezzo di legno più lontano. La lunghezza e la qualità della cordicella dello “strummolo” e del legno della “pertica”, avevano particolare importanza per avere delle buone “prestazioni” nel corso dei due giochi, tanto che un vecchio proverbio recita così: “‘A funicella è corta ‘e ‘o strummolo a tiritéppola!”
Durante la sagra dell’”Archetiello”, vale a dire la festa popolare che si svolgeva il Lunedì in Albis a Miano, nel largo antistante alla chiesa dedicata alla “Madonna dell’Arco”, i genitori erano soliti comprare ai loro fanciulli diversi giochi, tra i quali “palla e maglio”, “tamburelli”, “tammorre”, “cavallucci a dondolo” e altri giocattoli semplici, rigorosamente di legno.
Palla e maglio” erano degli attrezzi che permettevano di praticare un altro gioco antico. Con il grosso martello di legno, munito di un lungo manico, detto “maglio”, si doveva colpire una palla di legno, cercando di raggiungere un determinato traguardo; naturalmente vinceva chi arrivava più vicino o subito alla meta. Questo gioco ha un’impressionante similitudine con quello in uso nell’Ottocento nelle ville aristocratiche europee.
Altro gioco preferito dai ragazzi di un tempo era andare a caccia di uccellini, armati di una fionda (‘a ffreccia), costruita con asticelle di legno e molle. Negli ultimi tempi la fionda si vendeva nei negozi ed era realizzata in plastica, avente la forma di un “cow-boy” capovolto, al quale per comodità di uso si toglieva la testa ingombrante.  Per caricare la fionda si faceva uso di sassolini (breccilli) raccolti lungo i selciati.

Le ragazze giocavano anche alle “belle statuine”: un ragazzo di turno doveva scegliere la ragazza, che aveva assunto la posizione più bella.

Ricordiamo ancora i giochi: “del tiro della fune”, delle biglie di vetro (‘a pallino) e della “catenella”.

Quello della “catenella” si giocava con delle maglie formate da moduli a forma di “esse” colorate (di solito tre), che dovevano essere spinte, con le punte delle dita, lungo un percorso, tracciato sul terreno. A volte questo gioco era fatto con i tappi “a corona” di stagnola, recuperati dalle bottiglie delle bibite. I tappi o le catenelle vinte erano esibiti a mo’ di trofeo, i tappi erano infilati in collane e appese al collo. Le collane erano realizzate unendo con lo spago tutti i tappi precedentemente forati. Con le catenelle di plastica, invece, si facevano colorate collane e anche bracciali.

Menzioniamo, poi, il gioco delle “figurelle”: i ragazzi compravano nelle edicole dei giornali e presso i tabaccai le bustine con le figurine di calciatori, ma anche di cantanti famosi, che oltre a raccogliere in album, venivano messe in gioco con il “il pacchero”, ossia fatte girare a colpi di mano sopra una pietra di marmo.

Il più abile giocatore che riusciva a capovolgere il mazzetto, si aggiudicava l’intera partita di “figurelle” messe in palio. Determinante per vincere in questo gioco era la posizione della mano all’atto del colpo, ma anche la sua temperatura…; molti ragazzi, infatti, si vantavano di avere una determinata tecnica personale, che consisteva nel riscaldare la mano prima del colpo, inalando sopra l’alito caldo. Le “figurelle” erano poi scambiate e barattate tra i ragazzi secondo una vera e propria scala di valutazione.
Il gioco detto delle “sette prete” era una sorta di gioco con i birilli: si lanciava a turno da lontano una palla contro una colonna formata da sette ciottoli sovrapposti, sulla quale era posizionato, in piedi, un ragazzo chiamato “palo”. Appena si abbattevano le “sette pietre”, il “palo” doveva rincorrere i giocatori, colpendoli con la stessa palla del lancio. Chi era colpito doveva sostituire il “palo” nel gioco successivo.
Il “gioco della corda” era la delizia dei piccoli. Spesso, in occasione delle feste, era praticato anche dai grandi. Poteva essere singolo, ma anche collettivo. Nel gioco collettivo, due ragazzi facevano girare la corda con un certo ritmo, in uno o nell’altro verso, mentre il saltatore si destreggiava a saltellare la corda, esibendo a volte anche prodezze. Spesso saltavano insieme anche più persone.
La “guainella”era un gioco un po’ duro, praticato dai ragazzi più grandicelli: consisteva nello schierarsi in fazioni e lanciarsi pietre a distanza, cercando naturalmente di infliggere colpi e contemporaneamente evitare quelli degli avversari. La “guainella” a volte era concepita anche come una sorta di sfida, addirittura una battaglia, per regolare i torti e gli sgarri commessi da ragazzi estranei al posto. Spesso la sfida finiva con qualche “acciaccatura” e conseguente medicazione, oltre che con i rimproveri delle mamme!
Come ci si può poi dimenticare del “carruociolo”? Era questo una sorta di pattino in legno, realizzato con cuscinetti di acciaio e abbellito con tappi di bottiglie, catenelle, code di conigli e altri amuleti. C’era la versione con manubrio verticale e quello con manubrio orizzontale. Il “carruociolo” col manubrio verticale era una sorta di monopattino dei nostri tempi, anche se presentava una ruota anteriore e due ruote posteriori. Quello con manubrio orizzontale, invece, era utilizzato per fare gli “slalom” sulle rampe esistenti nel quartiere (es. la Carrara) ed il “corridore” viaggiava seduto sopra, con le gambe incrociate, muovendo il manubrio con una cordicella.
Le bambine giocavano, invece, a fare le mamme con le bambole (“‘e pupate”): si deliziavano a portare a spasso le loro carrozzine con le bambole e a cucinare cibi per i maschietti, con l’immancabile “cucenella”.
Ricordiamo ancora i giochi maschili, “‘a caveciacuollo” e “‘o schiaffo d’’o sergente”. Il primo consisteva nel saltare su un “palo”, svolto da un ragazzo, che doveva restare accovacciato, per finire poi in “sella” ad altri ragazzi, anch’essi accovacciati. Il secondo gioco era il classico “chi è stato?”. Si eseguiva colpendo alle spalle il “palo”, con schiaffi o “paccheri” e poi si chiedeva di indovinarne l’esecutore: chi era scoperto doveva sostituire il “palo” ed il gioco si ripeteva, tra le risate e gli schiamazzi.
In Piazza G. B. Tafuri erano presenti, durante i mesi primaverili e quelli estivi le “barchetelle”, ossia due barchette di legno, dondolanti attorno ad un asse metallico. Ogni barchetta ospitava nel proprio interno due bambini. Questa sorta di giostra oscillante era circondata da uno steccato di legno, la cui postazione variò nel tempo: dapprima era ubicata fuori all’ingresso dell’edificio scolastico, sul lato destro delle scale, poi successivamente, in piazza B. Tafuri, ad angolo con Via Vecchia Miano.
Si organizzava, sovente, il gioco “della fune”, che consisteva nel fissare una fune tesa (oppure un asse di legno) tra due attacchi fissi graduati, mentre i giocatori dovevano sottopassarla, procedendo con il busto piegato all’indietro, senza poter toccare con le mani e le ginocchia il terreno. La fune (o l’asse di legno) erano abbassati ad ogni “giro”, ad un’altezza sempre più piccola e chi toccava terra veniva eliminato. Vinceva, ovviamente, chi resisteva fino alla fine della gara.
Il “girotondo”, poi, era un gioco che accomunava i più piccini, sia maschi che femmine, nel corso del quale si sceglieva un “ballerino”, da sistemare al centro del cerchio, che formavano tutti i bambini, tenendosi per mano. Chi stava al centro doveva mimare le parole di una cantilena, ad esempio quella di “madama dorè”.
In inverno, quando pioveva e faceva freddo, si giocava in casa. Tra i vari giochi, ricordiamo la tombola o il gioco delle carte, come “la scopa”, “la dama” o “l’asso pigliatutto”. Spesso chi frequentava l’oratorio giocava al “calcio balilla” e a “ping pong”.
In estate si giocava nei cortili con le bocce di legno, oppure a “guardia e ladri”, quest’ultimo gioco era chiamato anche “acchiapparella”. Le “armi” per il primo gioco erano costruite alla buona dai ragazzi, utilizzando asticelle di legno e cordicelle di spago. Mentre i cavalli venivano simulati: utilizzando vecchi manici di scopa, usati rigorosamente a ritmo di galoppo…
I ragazzi provenienti da famiglie facoltose giocavano con trottole, trenini e soldatini di latta.
Negli anni sessanta si svilupparono tanti altri giochi di società e individuali, alcuni furono addirittura “lanciati” con le canzoni estive, tipo il cerchio di plastica, fatto girare nel punto vita, chiamato “hula hoop” e la palla “legata” al piede con un collare, con la quale si saltellava, cantando una canzone di Rita Pavone. C’era anche il gioco delle due biglie oscillanti appese a cordicelle, oggi ritornate di moda.
Altri giochi di gruppo erano “colo, color”, “indovina, indovinella”, il “tiro con la fune”, “l’altalena”, ‘o fussetiello (giocato con i gusci di nocciole), il gioco detto “cu’ ‘e vriccille”, “‘a cavallina”, “sega sega mastucciccio”, “palla pallina”, il gioco della “palla a tre”, il “gioco del fazzoletto”, "a vottammuro", il "gioco del cerchio", "a liscia", "a ciaccia", e tanti, tanti altri giochi ancora.
Purtroppo, oggi, nell’era del computer e di “Internet”, tutti questi giochi, che fanno parte del nostro patrimonio culturale, sono andati del tutto perduti; nessuno insegna più ai fanciulli i giochi di un tempo, che favorivano la socializzazione e la vita comunitaria.
Forse c’è da superare la convinzione che questi sono considerati dai più piccoli dei giochi arcaici, ormai privi di significato e superati nell’”era tecnologica”, nella quale essi vivono!

Salvatore Fioretto 

Il racconto è stato tratto dal libro: "Piscinola, la terra del Salvatore; una terra, la sua gente, le sue tradizioni", di S. Fioretto, ed. The Boopen, 2010. 



sabato 31 ottobre 2020

Mugnano e Piscinola, due centri urbani accomunati dalle vicende storiche e antropologico-ambientali

Erano due antichissimi Casali, e sono ancora oggi due abitati storici, confinanti e molto vicini tra loro, soprattutto dal punto di vista storico-antropologico. Il primo centro è rimasto Comune autonomo, mentre l'altro è diventato uno dei tanti quartieri sparsi nella sterminata periferia nord della metropoli napoletana. Parliamo di Mugnano e di Piscinola. Due centri urbani e territoriali, questi, sempre legati storicamente tra loro, che hanno tante cose in comune.
I cari lettori, che seguono costantemente queste pagine del blog, hanno potuto verificare quanti sono stati gli eventi e i personaggi  storici che sono stati descritti fino ad oggi nei vari post pubblicati, che risultano collegati sia alla storia di Piscinola e sia a quella di Mugnano, come ad esempio: il patriota Aniello Migliaccio, il mons. Salvatore Cavallo, il padre missionario Nicola Frascogna, e poi i personaggi del popolo: Giuseppina Bianco, Luisella, ...
Dal punto di vista storico-amministrativo, le due realtà territoriali: Mugnano e Piscinola, sono state unite tra loro fin dal periodo del "Decennio Francese", quando, con la suddivisione amministrativa messa in atto dagli occupanti transalpini, si videro creare i Distretti e i
Circondari, che insieme, nella vasta area territoriale napoletana, costituirono lo scheletro della nascente "Provincia di Napoli"; siamo nell'anno 1806.
Mugnano amministrava uno dei nove "Circondari" con i quali era stato suddiviso il Distretto di Casoria, (gli altri erano:  Casoria, Giugliano, Arzano, Caivano, Afragola, Pomigliano d'Arco, S. Antimo, Frattamaggiore).

Il Circondario di Mugnano amministrava, a sua volta, i Comuni di Melito, di Calvizzano e di Piscinola, oltre allo stesso Comune di Mugnano. Questa suddivisione amministrativa fu mantenuta anche dopo la restaurazione borbonica, e durò fino all'Unità d'Italia, quando il territorio di Piscinola fu annesso al Comune di Napoli, come Villaggio, mentre Mugnano, Calvizzano e Melito mantennero lo status comunale autonomo.
Dopo l'Unità, i Circondari furono aboliti, così pure i Distretti, mentre restava in auge l'istituzione della Provincia di Napoli.
Proprio in questo momento storico furono modificate le lapidi toponomastiche: a Piscinola, quella che specificava l'appartenenza del Comune al Circondario di Mugnano, fu sostituita con quella che definiva il nascente "Villaggio di Piscinola", nell'ambito del quartiere di San Carlo All'Arena di Napoli. Una di questa lapide è sopravvissuta fino ai nostri tempi e si trova all'inizio di Via del Plebiscito a Piscinola. Mentre a Mugnano è sopravvissuta, invece, la lapide che definiva lo status di capoluogo di Circondario nel distretto di Casoria (come si può vedere nella foto qui sopra).
Tra la fine dell''800  e l'inizio del '900, i due centri furono collegati con i nascenti mezzi di comunicazione a motore, prima a vapore e poi elettrici. A fine dell''800, la società delle tramvie di Capodimonte (nacque con la denominazione di Tramvie del Nord), istituì la linea tramviaria che collegava il centro di Napoli con Giugliano, passando per il Frullone, San Rocco, Marianella, Mugnano e Marano.  Ma con  l'arrivo del secolo '900, fu la costruzione della ferrovia "Napoli Piedimonte d'Alife", ad essere l'arteria vitale che permetteva il commercio e la comunicazione più intensa e diretta tra le popolazioni di questi due antichi centri: Mugnano e Piscinola.
Il territorio agricolo, di un tempo, che non aveva soluzione di continuità, perché si estendeva omogeneamente aldilà dei confini amministrativi dei due centri, era particolare e univoco, sia per possedere delle spiccate caratteristiche botaniche di fertilità e sia per avere un'elevata feracità nella produzione agricola. Questo territorio era ricco di masserie inserite in un contesto agricolo uniforme, costituito da immensi e lussureggianti campi "scampagnati", coltivati a grano, orzo, canapa, ortaggi, frutta, viti; inoltre, con la presenza di canneti, si evidenziava anche delle forme di fauna selvatica abbastanza variegata, che ha caratterizzato il territorio anche dal punto di vista faunistico.
Per descrivere il territorio utilizzeremo due testimonianze storiche e una terza un po' poetica.  Le due testimonianze storiche sono quelle del poeta Giacomimo Pugliese, che fu attivo nel XIII secolo, e quella dello storico Summonte. Eccole in ordine: Il Poeta Giacomino Pugliese (XIII sec.), attivo presso la corte di Federico II, così descrive la “Liburia”, “Niun luogo al mondo, era più giocondo, di quel tratto della Liburia, pieno di ricchezza, utile, ameno, abbondante di seminati, di frutti, di prati di albereti. Quivi su l’uno e l’altro fianco della Via che da Napoli correva quasi diritta all’Anfiteatro dell’antica Capua, tagliando a mezzo quella distesa verdeggiante di campi, spargevansi numerosi villaggi e Casali, assai più che non siano oggi. Perché nei documenti del tempo, coi nomi tuttora vivi di Casolla, S’Adiutori, Teberola, Saviano, Piro, Pascariola ed altri, ricorrono quelli, oggi periti di casa Aurea, Raviosa, Pastorano, Decazano e altri”.

Meleto: maturazione delle mele annurche su letto di paglia

La Liburia era la denominazione data nel Medioevo per indicare l'intera estensione territoriale, che in origine comprendeva l'area geografica posta tra il ducato di Napoli e il principato di Capua.
Lo storico Summonte, citando i Casali esistenti nel XIV secolo intorno alla città di Napoli, tra cui quelli di Piscinola, Marianella e Mugnano, così scrive “[…] Questi Casali sono abbondantissimi di frutta di ogni sorta e qualità[…]. Sono anco fertilissimi di vini preziosi e delicati, di frumento, di lino finissimo e canapo di grande qualità, di bellissime sete, vittovaglie di ogni sorte, selve, nocellami, polli, uccelli, et animali quadrupedi, così da fatica come da taglio: gli abitatori di questi Casali, quasi ogni giorno vengono a Napoli a vendere le loro cose”.
La terza e ultima testimonianza, che è sicuramente più poetica, è quella da me declamata nello scorso mese di settembre, nella storica villa Vulpes di Mugnano, nel corso del "Salotto Letterario", organizzato dagli amici Vittorio Calabrese e Salvatore Salatiello, dal titolo: "Artieri e Artisti, in salotto al chiaro di luna", seconda edizione, 2020". Ecco il video della registrazione del mio intervento con le due poesie dedicate alla ferrovia Piedimonte e alla Masseria di Piscinola.

Link: Intervento presso Villa Vulpes di Mugnano per ricordare i legami tra i due territori (premere con il mouse su questa scritta)

Salvatore Fioretto

Questo post è dedicato all'amico, storico, poeta e scrittore, Carmine Cecere, il quale in questi anni ha dedicato tante delle sue energie per la ricerca storica su Mugnano, pubblicando molti testi di storia patria.