sabato 13 aprile 2019

Santa Croce ed Orsolone: ricordo di due antichi Casali di Napoli...



Ritornando sull'argomento della ricerca e della rievocazione storica di alcuni centri urbani situati a Nord della città di Napoli, dei quali purtroppo si stanno perdendo le tracce del loro glorioso passato e delle loro origini storiche, ci piace oggi rinverdire il ricordo delle origini di due Casali a Nord di Napoli, chiamati Santa Croce e Orsolone. Per questa riscoperta storica, prendiamo in prestito due interi articoli pubblicati nell'opera "Santa Croce ai Camaldoli - 1688-1988, Ieri, Oggi e Domani", a cura di P. Camillo Degetto (nelle pagg. 33-35-36).
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S. Croce e Orsolone
"S. Croce ed Orsolone erano due casali distinti, pur essendo certamente, verso la fine del '600, ville, villaggi o borghi della città di Napoli, per cui venivano comunemente indicati nell'uno o negli altri modi; ciò significa che il Casale, almeno in tale epoca, non doveva essere necessariamente Università, cioè un Comune autonomo, quindi casale e Università o "Communità" o Comune sono due cose distinte.
Antonio Chiarito, il noto storico dei Casali di Napoli, non fa cenno alcuno di Orsolone, Nazareth, Guantai e S. Croce. Lorenzo Giustiniani, invece, nel 1804 scrive per Orsolone: Villaggio nel territorio di Napoli sulla collina verso occidente, a distanza di due miglia incirca ed abitato da 1700 individui, il territorio è ameno, vi si respira buona aria e tra l'industria degli abitanti è quella di nutrire bachi da seta". E per S. Croce: "Villaggio nel territorio di Napoli sulla amena collina verso occidente ove respirasi aria buona ed è abitato da .... individui.".
Il Giustiniani appare poco chiaro circa il numero degli abitanti ed è probabile che nei 1700 abitanti di Orsolone abbia compreso anche quelli di Nazareth e S. Croce. 
La confusione continuò anche dopo il decreto del 1811 quando, cioè, l'Orsolone fu ascritto al circondario Avvocata, quartiere di Napoli, perché i Comuni Riuniti di Chiaiano, Polvica e S. Croce pretesero di esercitare la giurisdizione amministrativa anche su di esso.
E anche quando, nel decreto del 1816, Orsolone fu omessa dai borghi della sezione Avvocata, la Gran Corte dei Conti, con sentenza del 1831, ritenne che con la mentovata Legge del 1816 non si era parlato affatto di Orsolone per i Comuni Riuniti di Chiaiano, Polvica e S. Croce, per cui tale rione rimaneva nel quartiere Avvocata, giacché "dove le disposizioni di legge nuove tacciono intorno alle disposizioni di leggi antiche o non le revocano espressamente, rimangono quelle in vigore". Comunque, dopo il 1831, la sentenza fu modificata e Orsolone entrò a far parte del territorio di S. Croce e, quindi, del territorio dei Comuni Riuniti di Chiaiano, Polvica e S. Croce.
E' certo, però, che in tale confusione il territorio di Orsolone continuò a far parte della giurisdizione della Parrocchia di S. Croce, per cui la stessa diventa tipica sia per la vastità del territorio di giurisdizione che per le continue trasformazioni avute nel tempo.
E' tipica, infatti, perché nel 1688 la giurisdizione parrocchiale, oltre a comprendere un territorio urbanizzato cioè compreso nel territorio della città di Napoli, comprendeva anche parte del Casale e, agli inizi del 1800, anche parte del Casale infeudato di Polvica, cioè la contrada o rione dei Calori e, agli inizi del 1800, anche un territorio del quartiere Avvocata. E' tipica per i continui mutamenti che subisce nel tempo con cessioni ed acquisizioni di nuovi territorio e, quindi, di cura di anime; ciò, come già detto, per la pluralità dei confini con parrocchie di altri territori urbani o di casali come Arenella, Avvocata, Capodimonte, Marianella, Chiaiano, Marano e Pianura.
Probabilmente dall'impianto, e certamente a fine '800, il territorio di giurisdizione della parrocchia era così composto; uscendo dalla chiesa, sul lato destro, per via Caracciola, raggiungeva la proprietà di Parisi al confine con la parrocchia di Capodimonte;
al lato sinistro del ponte vi era il fondo della parrocchia di S. Arcangelo all'Arena e confinava con la parrocchia di Marianella; nell'interno della strada provinciale vi era la proprietà del marchese Bisogni e, in continuazione, con la proprietà Giannini a confine, ancora, con la parrocchia di Marianella, dalla Caracciola, scendendo a sinistra, vi era l'antica strada di Toscanella che si estendeva fino a Toscanella nel fondo che si appartenne, poi, al presidente Andriani, al confine con la parrocchia di Polvica e tutta la parte superiore della via del Portone che da Toscanella portava al Frullone e che comprendeva la masseria dei Quaranta; 
dalla strada di fronte alla chiesa, scendendo a destra, si prolungava fino ai Calori di Basso alla proprietà che fu, poi, del Barone de Concilis al confine con la parrocchia di Chiaiano; dalla stessa strada di fronte alla chiesa, sul lato sinistro, vi era la strada che portava ai Cangiani e si estendeva fino al fondo o latifondo di Orsolone al confine con la parrocchia dell'Arenella; nel largo dei Cangiani vi era una strada, l'attuale via S. Ignazio di Loyola, che portava al villaggio di Nazareth e tutto il lato destro salendo fino a Nazareth a confine con la parrocchia di Pianura; dal villaggio di Nazareth la strada continuava sul lato destro e terminava col fondo Perillo al confine con la parrocchia di Marano; girando sempre sul lato destro, raggiungeva la Rotondella vicino Vrito a confine, ancora, con la parrocchia di Chiaiano.
Nel 1714 le anime della parrocchia di S. Croce erano 700, di cui 456 maggiori degli anni otto e 244 di età inferiore. Il borgo principale, cioè quello di Orsolone, in cui era il luogo di S. Croce con la parrocchia, era formato da 48 nuclei familiari, di cui 169 persone agli anni otto, i cui capofamiglia erano... (segue elenco dei nomi).
Dai 700 del 1714, gli appartenenti divennero 1309, nel 1794, con un incremento di circa il doppio in ottanta anni.
Oltre al rione principale di Orsolone, in cui trovavasi compreso, S. Croce, facevano parte dello stesso i rioni di Calori, Quaranta, della Decima, delli Solli, Toscanella, Cappella Cangiani e Nazareth."
[...]
La parrocchia di S. Croce nel luogo detto Orsolone
"Nel 1646, nel luogo detto "Orsolone", esisteva un'antica cappella detta di S. Croce, che apparteneva alla Mensa Vescovile di Napoli.
Aveva un altare in pietra ben accomodato, non è dato sapere se a tribuna o meno. [...].
Della cappella avevano cura gli abitanti delle masserie vicine, e, particolarmente, Francesco Albenzio, proprietario di una di esse. Questi aveva cura di far celebrare Messa nei giorni festivi, mentre il Sacerdote Roberto Roberti, di Napoli, andava a confessare e ad insegnare dottrina cristiana.
Sotto la cappella vi era la "terrasanta" per la sepoltura dei cadaveri dei convicini. I diritti di sepoltura venivano corrisposti alla Mensa Vescovile. Dopo che Santa Croce, nel 1811, fu riunita ai Casali di Chiaiano e Polvica e fu costruito il cimitero, venivano corrisposti al Municipio. [...]
Accosto alla Cappella vi era un pezzo di terreno di mq. 333 con un albero di fichi e sei viti, su cui, nel 1704, sarà dalla Curia autorizzata la costruzione della Arciconfraternita della Beata Vergine del Rosario.
Nel seicento dipendeva, come Cappella rurale, dalla Parrocchia di S. Maria delle Grazie a Capodimonte, che il Card. Alfonso Gesualdo, aveva istituito, assieme ad altre 22 nuove parrocchie, con decreto del 13 febbraio 1597, a seguito della riforma delle circoscrizioni parrocchiali della città, per il progresso spirituale della Diocesi, dato il notevole aumento della popolazione a Napoli.
E' probabile che, in precedenza, la cappella dipendesse dalla chiesa di S. Giovanni in Porta.
Il 20 ottobre 1688, il Cardinale Antonio Pignatelli - divenuto poi nel 1693 papa con il nome di Innocenzo XII - a seguito delle istanze degli abitanti del luogo e considerata la notevole distanza da Capodimonte, che rendeva difficoltoso ai fedeli l'amministrazione dei Sacramenti, specie agli agonizzanti, decretò la erezione in parrocchia di tale cappella, sotto il titolo di S. Croce nel luogo di Orsolone.
Assieme a quella di S. Croce istituì anche la Parrocchia di Fonseca e, poco dopo, quella di S. Vitale a Fuorigrotta.
Quindi, è certo, che nel 1688, Santa Croce era già Villa o Villaggio, faceva parte dei "borghi" della città di Napoli, cioè era stata già assorbita nel territorio della città di Napoli.
E' noto che una Parrocchia non poteva essere istituita senza un beneficio o congrua (per un dignitoso sostentamento), per cui il Cardinale Pignatelli, previo breve apostolico, distaccò dalla Mensa Vescovile una rendita annua di 36 ducati sui beni dell'abolita cappella di S. Croce ai Ferri Vecchi al Pendino e l'assegnò alla Parrocchia di S. Croce. 
Tale cappella era quella del Mons. Annibale di Capua, assieme ad altre 163 - aveva abolite o distrutte, in preparazione della riforma delle circoscrizioni parrocchiali di Napoli del 1579. (Si citano delle rendite assegnate alla nuova parrocchia).
Inoltre furono assegnati in dotazione alla nuova parrocchia un quadro della S. Croce (oggi irreperibile) e un reliquario contenente un frammento della Croce di Gesù."
  

Durante la lettura dei testi, qui pubblicati, il caro lettore avrà notato le ricorrenti citazioni di tantissimi toponimi e nomi riguardanti: luoghi, strade, masserie, selve, tenimenti; un tempo usati per indicare i luoghi rimarchevoli di un territorio, a noi molto vicino, purtroppo oggi dimenticati o quasi del tutto perduti. La ricerca storica e la diffusione dei risultati raggiunti, hanno proprio questo scopo, cercare di rinvigorire la conoscenza civica, e fissare quelle radici affinchè diventino dei "caposaldi" che saranno le basi della riscoperta del territorio, soprattutto da parte dei giovani di oggi e delle future generazioni.
Salvatore Fioretto

sabato 6 aprile 2019

Qui i veterani romani coltivavano una terra generosa: Il sito archeologico del Carduino!

Il ricordo delle tante masserie sparse tra Piscinola e Marianella, in un territorio un tempo tutto coperto da una lussureggiante vegetazione, rappresenta ormai un ricordo del passato, ma è un valore storico-antropologico da tenere ben impresso nella storia di questi quartieri, a futura memora delle prossime generazioni. Le masserie erano, dunque, dei caratteri urbanistici importanti, la cui presenza caratterizzava il territorio della cinta suburbana di Napoli e rappresentano i primitivi nuclei abitativi, le prime cellule urbane e civiche, ancor prima dei celebri Casali. Questa considerazione è fondata su numerose fonti e testimonianze, sia scritte, che archeologiche e monumentali; alcune le abbiamo descritte le scorse settimane, nella pubblicazione dei cosiddetti "Atti dei Curiali e degli Scrinari" (risalenti al X secolo), ma tante sono anche le testimonianze monumentali e quelle archeologiche.
Queste ultime, in particolare, rinvenute nei decenni scorsi in diversi siti, ci danno una conferma della diffusione sul territorio, ma anche la possibilità di eseguire la lettura della loro pianta che, bisogna dire, non è mutata sostanzialmente con il trascorrere dei secoli, con le masserie cosiddette moderne. Le masserie antiche presentavano, normalmente, un certo numeri di locali e ambienti ben organizzati secondo le fasi operative che implicavano la vita agricola dell'epoca e anche in base alle colture tipiche praticate e ai costumi. Le masserie napoletane hanno quindi un retaggio più che millenario, esse risalgono, infatti, al periodo romano e forse anche pre-romano. 
Le testimonianze archeologiche fanno risalire i primi insediamenti al I sec. a.C., ma forse anche i popoli preesistenti ai Romani, i cosiddetti Popoli Italici, come gli Osci e i Sanniti, avevano in uso realizzare questi primitivi nuclei abitativi organizzati, anche se con strutture rudimentali e poco stabili.
Tuttavia sono le cosiddette ville romane (o ville rustiche), sorte in questi luoghi, a darci una descrizione esatta della struttura di una masseria antica; in particolare i resti archeologici visibili in via Tancredi Galimberti, nel quartiere di Scampia e quelli rinvenuti in via Cupa Marfella, nel quartiere di Marianella, nel tenimento chiamato del Carduino o Carderito. Altre testimonianze simili sono presenti in altri quartieri di Napoli, in particolare nel sito archeologico di Ponticelli e in quello della cittadina di Boscoreale.
Per spiegare l'origine della villa romana, dobbiamo fare un salto nella storia di due millenni circa.
Dopo la conquista romana della regione settentrionale di Neapolis, all'epoca denominata Ager Neapolitanus, operata nel corso delle campagne militari contro i Sanniti, i Romani riorganizzarono il territorio conquistato, dividendolo in tante isole ("insule"), tutte di uguali dimensioni, attraverso una ideale maglia geografica, che gli storici definiscono "Centuriazioni". Ogni insula, chiamata "Centuria", aveva una dimensione stabilita e i confini orientati secondo l'orientamento della maglia. Dobbiamo aggiungere però che le Centuriazioni romane furono diverse nel corso dei secoli, e con orientamenti diversi. Ogni "Centuria" fu quindi assegnata a un notabile cittadino romano o a un "veterano" dell'esercito romano, a ricompensa della loro fedeltà e soprattutto del servizio dato a Roma nelle varie campagne belliche.
Gli assegnatari di questi fondi e i loro eredi, con il trascorrere del tempo pensarono di organizzarli per consentire la conduzione dei terreni, quindi realizzarono dei piccoli opifici, ovvero un complesso di edifici in muratura, in struttura mista di tufo e legno, per ospitare, oltre la propria residenza, anche quella dei servi e dei fattori, nonché degli addetti ai lavori nei campi, le loro famiglie, ma anche per praticare l'allevamento del bestiame e per consentire la trasformazione e la conservazione delle derrate ricavate dai raccolti. Furono realizzate anche delle cisterne per la conservazione dell'acqua di origine piovana, data l'assenza di fonti sorgive. Alcune ville presentavano anche un piccolo ambiente termale.
Ci piace in questo post descrivere la storia del sito archeologico del Carduino, in via Cupa Marfella a Marianella, perchè riteniamo il sito archeologico più importante della zona, sia per estensione e sia per la quantità dei reperti rinvenuti, oltre perché esso risulta essere anche il sito archeologico più sfortunato, come appresso avremo modo di scrivere.
Prendiamo in prestito l'interessante articolo pubblicato sul Notiziario N.12, "Archeologia e trasformazione urbana", edito dal Commissario Straordinario per la ricostruzione post terremoto (Titolo VIII L.219/81):


“L’insediamento agricolo di Marianella

Lo scavo effettuato nella località Cupa Marfella a Marianella ha messo in luce i resti di un interessante complesso identificato con una villa rustica.
L’edificio, compreso in un rettangolo di m. 30,70 x m. 34,70, si configura con una pianta piuttosto semplice. Su tre lati di un cortile centrale si articolano tre corpi di fabbrica, quarto lato, invece, è delimitato da un semplice muro di recinzione, nel quale si apriva, verso est l’accesso principale al complesso.
Un ingresso secondario si apre nel corpo principale, ad ovest, che presenta muri in opus reticulatum, dalla fondazioni molto profonde, atte a sopportare un piano superiore. Si tratta dell’abitazione vera e propria, completata, forse, da magazzini. La distribuzione dei singoli ambienti non lascia ancora intravedere, poiché lo scavo tuttora in corso ha appena sfiorato questa zona. Si può comunque ipotizzare la presenza di quelle stanze che, secondo i precetti dell’architettura romana, dovevano usufruire della luce del pomeriggio: cucina, bagno, sala da pranzo, ecc. Ad angolo retto col corpo di abitazione si impostano due lati di larghezza inferiore.
I muri, anch’essi in reticolato, delimitano ambienti col pavimento in semplice terra battuta. L’unico ambiente finora scavato per intero comunica con il cortile centrale mediante una larga apertura. Le ali dell’edificio erano probabilmente adibite a funzioni agricole o di servizio. Davanti ad esse, dal lato del cortile, correva un portico del quale sono conservate le fondazioni.
La tecnica costruttiva così come i reperti recuperati permettono di stabilire che la fattoria fu costruita nella prima metà del I secolo d.C., impiantandosi al posto di una prima villa di età repubblicana. La zona, d’altra parte, continua ad essere frequentata in epoca tardo-antica e medioevale, come dimostrano delle ristrutturazioni limitate. L’impianto della fattoria di Marianella realizza puntualmente il modello di villa rustica tramandatoci dai trattati di architettura ed agronomia di Catone, Varrone e soprattutto, Vitruvio.
Tale fedeltà al modello vitruviano appare tanto più degna di menzione, in quanto le realizzazioni vere e proprie dell’archetipo rimangono finora poco conosciute. Si può citare in Campania la villa di Asellius, presso Boscoreale, leggermente più grande e forse un po’ più antica, nella quale, però, pare che la parte abitativa abbia investito anche le ali.
Tuttavia, l’impronta del modello si riconosce ancora nelle ville cosiddette “ad U” dall’articolazione (con molte varianti) dei loro corpi di fabbrica che abbracciano un cortile centrale. Le ville “ad U” sono assai diffuse nelle provincie dell’Impero romano. La loro funzionalità ne fa uno strumento particolarmente adatto allo sfruttamento del territorio da parte dei proprietari medi, come coloni e veterani.
I materiali recuperati dallo scavo
Vengono qui presentati alcuni dei reperti più significativi: ceramica sigillata italica di produzione napoletana, a pareti sottili e da cucina. La cosa non stupisce affatto: l’area è stata sottoposta ad un intenso dilavamento da parte delle acque pluviali, nonché a ristrutturazioni posteriori. Più abbondanti e significativi sono dunque, sia i rinvenimenti più antichi, pertinenti ad edifici anteriori e successivamente inglobati nei riempimenti che hanno rialzato il livello d’uso al momento della costruzione della villa, sia quelli più recenti, che testimoniano la continuità d’occupazione della zona anche in epoca successiva.
Tra i primi si possono citare manufatti della vicina Neapolis: moneta dell’ultima monetazione napoletana (II metà del III secoli a.C.), ceramica “Campana A” a vernice nera (III-I sec. a.C.), anfore sia locali che d’importazione. Tra i secondi, ceramica sigillata chiara A (II sec. d.C.) e alto-medievale.

Purtroppo dobbiamo aggiungere, a conclusione di questa bella pagina di storia locale, che il sito archeologico del Carduino risulta essere largamente inesplorato, perché gli scavi non furono completati durante il primitivo rinvenimento degli anni '80-'90, e persiste un grave stato di incuria e soprattutto il perenne stato di abbandono e l'impossibilità di poterlo consegnare alla fruizione pubblica, ai visitatori e agli appassionati di archeologia. Alcuni anni fa l'associazione "G.A.N.", Gruppo Archeologico Napoletano, ha cercato, con l'aiuto di volontari, alcuni addirittura provenienti da diverse parti d'Italia, di eseguire la "deforestazione" delle erbacce presenti, e principalmente dei rovi infestanti, ma il lavoro si  rilevò subito immane e praticamente impossibile da eseguire con le limitate forze e risorse disponibili. Occorre dunque che il sito archeologico del Carduino venga inserito in un impegnativo e sistematico progetto di recupero e di valorizzazione, a cura delle Istituzioni ed Enti preposti, ben consapevoli del notevole apporto che esso può dare alla cultura comunitaria, sia locale che regionale, alla valorizzazione e alla vivibilità dei quartieri interessati. Noi ci speriamo...

Per il reperimento delle notizie, che hanno consentito la realizzazione di questo post, dobbiamo ringraziare pubblicamente gli archeologi Serena Russo e Marco Giglio e tutti i soci del "Gruppo Archeologico Napoletano".

Salvatore Fioretto

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