venerdì 8 gennaio 2021

Prof., avv. e on. Vincenzo Janfolla: lucano di nascita e napoletano di adozione...

Chissà quante volte ci è capitato di indicare, a qualche automobilista che lo chiedeva, la strada che conduce alla zona ospedaliera, oppure a qualche viaggiatore che era in cerca dell'itinerario per raggiungere l'Aeroporto di Capodichino, e non abbiamo esitato a dire, a costoro, di imboccare l'ampia strada rettilinea, che è intitolata a Vincenzo Janfolla; eppure, nonostante tanta nostra determinazione, non conosciamo affatto questo personaggio e soprattutto cosa avesse "a che spartire" con la città di Napoli, tanto da avergli intitolato una lunga e importante strada della sua periferia...

Ebbene è giunto il momento di fare menzione particolare e di raccontare la ricca e interessante biografia di questo insigne e illustro personaggio, divenuto "principe del Foro" del tribunale di Napoli.
Figlio di sarto, Vincenzo Janfolla nacque a Potenza, nell’anno 1873. Era ancora giovinetto quando la sua famiglia decise di trasferirsi a Napoli. Nella capitale del Sud, Vincenzo frequentò, con profitto negli studi, il liceo Antonio Genovesi. Suo compagno di scuola fu quello che poi diventerà il celebre avvocato Enrico De Nicola, primo presidente della Repubblica Italiana.
Intanto, per aiutare la famiglia e per mantenersi negli studi, Vincenzo prese a fare degli sporadici lavoretti, come quelli di impartire lezione di doposcuola a studenti oppure curare la contabilità a qualche commerciante napoletano. Nel 1892 conseguì la licenza liceale e si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Napoli.
Suo insegnante di Diritto Privato fu il celebre avvocato prof. Emanuele Gianturco. Nel 1895 conseguì il titolo accademico di dottore in gurisprudenza. Venne subito accolto presso lo studio legale civilista del prof. avv. Gaetano Cannada Bartoli (anch'egli suo docente all'università), che fu uno degli studi legali più prestigiosi della città di Napoli. Dall’anno 1901 cambiò studio, e iniziò a lavorare presso lo studio legale dell’avvocato Pasquale Grippo,
lucano di nascita, e anch’egli suo professore all’Università, in Diritto Costituzionale.
Mosso dalla velleità di far carriera in ambito della magistratura, il 26 luglio del 1906, Janfolla partecipò e vinse il concorso di magistrato, risultando tra i primi in graduatoria. Gli venne affidato l’incarico di Pretore Aggiunto nell'ambito di una delle sezioni del Tribunale di Napoli. Ma dopo un solo anno di lavoro rinunciò clamorosamente al prestigioso incarico, perché egli consapevolmente capì che tale tipo di attività non corrispondeva alle sue aspirazioni professionali. Così, dopo la rinuncia al posto di Pretore, riprese a svolgere la professione di avvocato, aprendo uno studio legale, tutto suo a Napoli. Passarono pochi anni e la sua fama di avvocato si diffuse rapidamente in città, Janfolla fu considerato, dai tanti, uno dei migliori legali a cui affidarsi per far difendere le proprie cause. Nel triennio 1913-1915 fu eletto dagli avvocati napoletani, procuratore presso la Corte di Appello di Napoli.
Vincenzo Janfolla intraprese anche la carriera politica, altra sua passione. Nel 1913 fondò a Potenza la sezione dell’Unione Liberale, schierata con il leader nazionale del partito liberale, Antonio Salandra. Venne quindi eletto nel Consiglio Provinciale di Potenza e anche nel Consiglio Comunale di Napoli. Nell’anno 1919 fu eletto alla Camera dei Deputati, grazie ai tanti consensi ricevuti nel collegio di Potenza. Nel frattempo appoggiò la corrente dello statista Francesco Saverio Nitti; quest’ultimo diventerà presidente del Consiglio dei Ministri. Ricevette poi la riconferma del mandato di deputato nella legislatura seguente, del quadriennio 1921-1924. In ambito del Parlamento del Regno d'Italia, Janfolla partecipò proficuamente ai lavori della "Commissione per la riforma dei Codici". Deciso e fermo dissidente delle idee fasciste, con l’avvento della dittatura fascista Vincenzo decise di abbandonare la carriera politica e di ritornare a svolgere la sua attività di avvocato a Napoli. Con il verificarsi dei bombardamenti delle truppe angloamericane, nel corso dell'anno 1943, abbandonò la sua residenza a Napoli, per ripararsi nella sua città di origine, Potenza. Purtroppo, per ironia della sorte, proprio in quell'anno, il 9 settembre, trovò la morte a Potenza, a causa dei bombardamenti, che infierirono anche in terra di Lucania, mentre si era rifugiato nella sua casa di campagna.
Il celebre avvocato penalista Alfredo De Marsico così ricordava l'insigne collega Janfolla: “Aveva una parola semplice, fluida, incisiva, lievemente musicale, sintetica, espressione genuina e immediata di un pensiero limpidissimo, di conclusioni mentali già prese. Meridionale, non amava il gesto, rifuggiva dalla teatralità, ciò che conferiva alla sua oratoria un tono di grande aristocrazia".
Vincenzo Janfolla fu anche stimato insegnate di Diritto presso l'Università di Napoli,  oltre da essere un poliedrico intellettuale, viene tutt'oggi ricordato come uno dei più celebri avvocati penalisti del Mezzogiorno, infatti, n
egli anni sessanta del secolo scorso, gli furono dedicati un busto nel salone di Castel Capuano di Napoli (maggio 1966) ed una strada, quella che tutti conosciamo, che collega il quartiere di Miano con la località del Frullone (quartiere di Piscinola). 

Dalla rivista storica "La Basilicata nel mondo" (1924-1927), di Luigi Lordi: Vincenzo Ianfolla è veramente un privilegiato della fortuna, poiché è uno dei pochi uomini, pei quali la vita non ha che sorrisi. Ingegno squisitamente dialettico, pronto, chiaro, facile, penetrante, semplificatore, egli è nato avvocato. Egli non ha mai avuto alcuna difficoltà ad emergere e trionfare in Napoli, che pure è la città classica degli avvocati; la sua mente singolarmente fervida ed operosa regge all’immenso sforzo di convogliare, per la loro strada, l’enorme numero di questioni ch’egli deve ora per ora vivisezionare. E tanto a quell’alacre spirito è naturale è facile la disciplina del lavoro, che, in ogni momento, coll’immancabile sorriso sulle labbra, egli può stornare l’attenzione dallo studio per ritornarvi d’improvviso, ad un cenno. Egli può nella stessa giornata , dividendo sapientemente le ore, discutere le cause più diverse; né mai dà prova di stanchezza né alla sera è meno pronto e vivace e attento che al mattino. Non è che apparente tutta questa singolare facilità di lavoro. Essa è la risultante di un enorme sforzo di volontà di quelle eroiche giovinezze, che sono la gloria della povertà. Il giovane ricco di volontà e di talento che, in una grande metropoli, vede intorno a sé chiusa ogni porta della vita, è come una grande forza della natura che non può restare inutilizzata.
Fra le sue miserie morali e materiali, nella profonda tristezza delle sue montagne, o calve, o alla cui cima sono appollaiati paesi che dovevano essere inaccessibili ai briganti, nella profonda tristezza delle sue pianure desolate dalla malaria, la nostra Basilicata che non ha industrie, non commerci, non vere ricchezze naturali, è ricca solo di uomini tenaci, ossessionati da una forte volontà di pervenire. E poiché l’ambiente dei nostri paesi ad un borghese non offre altra possibilità di emergere che il lavoro intellettuale, gli uomini come Vincenzo Ianfolla, nati da modeste origini, non possono che rinchiudersi in sé stessi ed agguerrirsi collo studio, per riuscire, o per abbattersi nella desolazione della sconfitta.
La giovinezza di Vincenzo Ianfolla ha singolari coincidenze colla rapida gloria di quel vero genio che fu Emanuele Gianturco. Il grande giurista aviglianese morì a 50 anni, dopo aver lasciato negli studi giuridici un orma indelebile, e dopo essere stato uno fra i più illustri parlamentari e fra i più illustri avvocati della sua generazione. Se Vincenzo Ianfolla è stato quasi esclusivamente assorbito da una sola attività, quella professionale, il successo è stato dei più rapidi e interessanti: più interessante, anzi, di ogni altro, perché è stato unicamente successo professionale.

Da circa un decennio la fama di Vincenzo Ianfolla, illustre cassazionista, si è affermata incrollabile. È una reputazione fondata esclusivamente sull’intrinseco valore dell’uomo, sull’altezza dell’ingegno, sulla fermezza del carattere. È una di quelle reputazioni cui ogni circostanza estrinseca è del tutto indifferente. Ianfolla è oggi il Cardarelli della giurisprudenza. Come l’ammalato grave va dal grande clinico, così va da Ianfolla chi cerca, non l’avvocato politico, ma l’avvocato giurista, il sacerdote della giustizia, il principe della eloquenza.

Basta la più breve conversazione con questo affascinante giurista, per capirne l’alto valore e per spiegarsi una fortuna professionale, che non forse ha l’eguale. E sentirne una discussione è un vero godimento anche per un profano. Non arzigogoli, non sottigliezze, non sfoggi di dottrina, non cavilli; ma dirittura di ragionamento, semplicità, precisione, brevità sono le armi di cui questo eccellente stratega della discussione si serve.
Egli elimina ogni inutile divagazione, rinunzia a tutto ciò che non è essenziale, semplifica, chiarifica, riduce alla più scheletrica espressione ogni più arduo groviglio giudiziario, e con poche battute arriva alla conclusione.

E se l’avversario in un minuto di disattenzione non scopre un vizio del ragionamento, una conseguenza non rigorosamente dedotta dalle premesse, rischia di restar travolto dall’abile perorazione di una tesi che forse non doveva trionfare.

Vincenzo Ianfolla non ha nemici. Come tutti i vincitori, è un generoso, è un amico sincero e buono, forse anche un ingenuo. Egli è largo a tutti di consiglio e di aiuto. Nella sua fiorente famiglia questo glorioso atleta dei pubblici dibattimenti trova il solo ristoro all’improba fatica quotidiana.

Non poteva non attrarlo la politica, questa grande maga, che ha sempre attratto a sé gl’intelletti migliori. Spirito insofferente di ogni sopruso, legato da sincera amicizia a Francesco Nitti, non poteva Vincenzo Ianfolla abbandonare nell’ora della persecuzione il grande statista. Ma, pur non essendosi ripresentato nelle ultime elezioni, Vincenzo Ianfolla fa ora parte della Commissione per la riforma dei codici e lascerà l’impronta della sua grande esperienza e di profondo sapere nell’imminente codificazione. Fu componente del Consiglio di disciplina, fu consigliere del Comune di Napoli, fu consigliere Provinciale di Basilicata, ed ovunque lasciò vive simpatie. Perché — oltre che imporsi subito coi suo talento magnifico — Vincenzo Ianfolla, ha anche il segreto, di conquidere tutti — moltitudini di popolo e oligarchie di assemblee — con quella sua signorile simpatia, alla quale neppure gli avversari sanno resistere.

Da qualche anno in qua, non vi è grande causa che non abbia il suo patrocinio: e particolarmente appassionata è la sua difesa, molto spesso disinteressata, di pubbliche amministrazioni.

Ancor giovane egli ha innanzi a sé tutto un luminoso avvenire: molta luce d’ingegno dovrà ancora gettare sul suo cammino: e la sua vita, la sua rettitudine devono essere a tutti un esempio di probità, di lavoro e di fede nella giustizia.
Questo giurista profondo e tenace, che sembra chiuso fra le pandette e le regole del dritto, è un artista innamorato di ogni più alta manifestazione del bello. Una statuetta di Gemito, una poesia nel dialetto della nostra Basilicata lo commuovono come se non vivesse che di arte. E quella stessa sua fanciullesca, intima comunicativa, quel suo perenne sorriso di bontà, che non conosce livori, non conosce odi, sono l’espressione di un’anima di artista. Non può non essere un artista chi ama la campagna come Vincenzo Ianfolla. Viva pur dieci mesi dell’anno tra i supremi magistrati, tra i principi dell’eloquenza, fra i clienti più cospicui per censo e per posizione sociale, egli deve starsene gli altri due mesi in una villa vicina alla sua Potenza, tra il sorriso e il verde della campagna, fra le tenere cure della famiglia, fra i conterranei che l’aspettano.

Fra i potentini egli riparla spesso il dialetto di Potenza: rivive la piccola vita provinciale, e come ritempra il corpo nel verde della campagna, la mente affaticata ritempra nel nostalgico rivivere la quotidiana semplice vita degli uomini oscuri.

Questo squisito sentimento della natura, quest’intimo senso di austera e disdegnosa semplicità, questo costante ritorno alle origini, sono indici sicuri dell’animo schietto e leale di Vincenzo Ianfolla.

È questa sua squisita sensibilità il miglior alleato d’una quadratura mentale poderosamente logica e geometrica.

Il ragionatore riesce specialmente gradito ed accetto perché una forma mirabile di arte riveste le più complicate disquisizioni giuridiche. Felice connubio, veramente e squisitamente italiano, di virtù d’ingegno e di animo, mirabile fusione di padronanza del vero e di sentimento del bello, connubio e fusione che sono un dono rarissimo degli esseri veramente privilegiati.

Salvatore Fioretto


mercoledì 30 dicembre 2020

Una corsa con i botti...! La gara di San Silvestro a Piscinola...

Forse ancora oggi il primato che conserva il quartiere di Piscinola, di essere l'unico centro cittadino e periferico ad aver organizzato una maratona serale (forse meglio dire: notturna!), per le strade del quartiere, mentre si iniziavano a far esplodere i botti dei mortaretti per il festeggiamento di Capodanno ed il tradizionale cenone in famiglia, non è stato nemmeno sfiorato da altre località che pure organizzano eventi sportivi in ambienti particolari...!
Ci riferiamo alla storica Corsa di San Silvestro disputata nei decenni scorsi per le strade del quartiere.
Il primato è ancora più prestigioso per la sua longevità, perché questa kermesse, iniziata nell'anno 1972, non è stata disputata soltanto per qualche anno, ma ha avuto ben 25 edizioni, svolte quasi tutte in continuità negli anni! E' mancata solo l'edizione del 1980, a causa del verificarsi del terremoto nell'Alta Irpinia.
Foto di partenza a via V. Veneto, con le luminarie accese, 1996
L'ideatore e l'organizzatore principale della veterana e singolare kermesse sportiva piscinolese, è stato per tutte le edizioni, Salvatore Di Febbraro, il quale nel frattempo è divenuto anche celebre e riconosciuto arbitro provinciale della federazione di pallacanestro.
La manifestazione sportiva di San Silvestro, ebbe inzio in maniera sibillina, e quasi per scherzo tra amici agli inizi degli anni '70, la ripetizione annuale la fece diventare prima amatoriale, in ambito del quartiere, e poi, sempre in crescendo, prese subito il largo e la notorietà cittadina, divenne infine una manifestazione regionale, conosciuta e apprezzata nel settore sportivo d'ambito podistico.
Addirittura nei primi anni i corridori partecipavano dapprima a una specie di fiaccolata beneaugurante, per l'attesa del nuovo anno e, poi, ricevendo lo "start", lasciavano a terra le fiaccole e iniziavano la corsa...
Non dimentichiamoci che a Piscinola, oltre a essere presente la "Fiamma Juvenilia" di Gilberto Rocchetti, della quale già abbiamo avuto modo di ricordare in un precedente post publicato, si è disputato anche un importante Campionato Provinciale di Corsa Campestre, nell'anno 1971, con una tappa nello sterrato delle campagne di Piscinola, ancora esistenti tra la struttura della Fondazione R. Ruggiero e la parte antistante il rione Don Guanella, luogo oggi chiamato "Nuovo Rione Piscinola".
Premiazione del vincitore della corsa, il tunisino Ali Diala, ed. 1996
Ritornando alla corsa di San Silvestro, negli anni iniziali, la manifestazione ha avuto il patrocinio e il sostegno della sezione sportiva della "Libertas", lo sponsor di alcuni commercianti di Piscinola, nonché il contributo del nostro Di Febbraro.
Successivamente, con trascorrere degli anni, fu il solo nostro concittadino a portare aventi la manifestazione, animato soprattutto dalla sua passione sportiva e dall'attaccamento al suo quartiere, spesso finanziando di propria tasca quasi tutto l'evento. Tuttavia come ci tiene a ricordare Salvatore, fu sempre attorniato da un gran numero di volontari del quartiere, pronti a dare una mano a supporto della macchina organizzativa.
Una gara podistica in via Veneto, atleta A. Lanzuise, 1979
La corsa podistica di San Silvestro aveva come punto di partenza e di arrivo, via Vittorio Veneto. L'orario di partenza era fissato intorno alle ore 17:00, quindi già al buio, con l'impianto di illuminazione stradale in funzione. Il percorso, non sempre fisso, prevedeva grosso modo il seguente itinerario: Via Veneto, Via Napoli, Via del Plebiscito, Via G. A. Campano, Piazza Marianella, Via Napoli, Via V. Janfolla, Via Madonna delle Grazie, Via Napoli e infine il "traguardo" in via Veneto. Alcune volte si è ampliata la zona del percorso, includendo anche la piazzetta di San Rocco, via Marfella e anche via Vecchia Miano a Piscinola.

La corsa di San Silvestro ha registrato la partecipazione di centinaia di corridori, molti provenienti anche da fuori provincia e da diversi punti della regione Campania, come dalla città di Salerno.
Si può affermare, senza smentite, che la corsa di Piscinola divenne in poco tempo una delle più riconosciute e importanti corse di podistica del Sud d'Italia. Gli atleti che si affermavano alla corsa di Piscinola, venivano poi selezionati per partecipare alle annuali Corse Interregionali.

Tra i partecipanti, ricordiamo il campione sportivo dell'Esercito, Castiello, e i corridori piscinolesi: A. Mastroianni, D. Mosella, A. Lanzuise, il compianto P. De Stasio, e altri ancora...
Ovviamente tra le associazioni partecipanti c'erano gli atleti della Società Fiamma Juvenila, di G. Rocchetti.

Per la cronaca, due particolarità abbastanza singolari hanno contraddistinto la "Corsa di San Silvestro": la prima, è stata quella che non si è mai registrato alcun ferito tra gli atleti a causa di esplosioni di botti, che comunque avvenivano durante la corsa; la seconda, è stata quella che tutti i partecipanti alla gara ricevevano un premio indipendentemente dall'ordine di arrivo al traguardo, oltre naturalmente gli attestati, le coppe e le medaglie per i primi arrivati.

La manifestazione della Corsa di San Silvestro ha avuto un triste epilogo nel 1997, con l'ultima edizione disputata.  Purtroppo tra le cause determinanti la fine della corsa ci fu soprattutto la solitudine organizzativa nella quale fu lasciato il caro Salvatore, motivo principale che indusse a sospendere l'evento sportivo di Capodanno.
Ritornando al pioniere della manifestazione, al veterano concittadino Salvatore di Febbraro, ricordiamo che per la sua intensa e proficua carriera sportiva di arbitro e di giudice di gara negli incontri di basket, svolti fin dai primi esordi nella Virtus Piscinola, ha ricevuto moltissimi riconoscimenti e medaglie, culminando nel mese di aprile dell'anno 2018, quando ha ricevuto
l'alta onorificenza di merito "Golgen Players".
La premiazione, organizzata dall'Associazione "Golden Players", sotto l'alto patrocinio della Federazione "FIP" regionale, si è svolta nel "Palabarbuto" di Napoli
. Di Febbraro ha
organizzato, negli anni scorsi a Piscinola, anche diverse edizioni di sfilate d'auto d'epoca, durante le festività dell'Epifania. 
A Salvatore di Febbraro va la nostra grande riconoscenza per tutto quanto a fatto fino ad oggi per il quartiere e per lo sport e, siamo sicuri che riceverà anche l'accorato ringraziamento di tutto il territorio! 

In coincidenza di questo ultimo post dell'anno 2020 e con l'apprestarsi dell'arrivo del nuovo anno, la redazione di Piscinolablog porge a tutti i lettori e a tutti i simpatizzanti, gli auguri di un sereno nuovo anno 2021.
Salvatore Fioretto 

Nel seguito le foto di due articoli del periodico della "Libertas", del 1995 e del 1996, dedicati alla gara podistica di Piscinola. Tra i corridori dell'edizione del 1995, nella sezione amatori, si legge il vincitore della "categoria 45", il dott. Rinaldi Ciro.

giovedì 24 dicembre 2020

... Contento e riso, la terra è arreventata Paraviso...!! La più celebre pastorale natalizia!

Il grande Santo di Marianella, Alfonso Maria de Liguori, come è noto, fu un delicato poeta e un raffinato compositore di musica sacra, oltre a essere un eccellente musicista; infatti, fin dalla giovane età diede mostra del suo gran talento musicale, attraverso superbe e ammirate esibizioni al clavicembalo, nei più sontuosi e frequentati salotti della nobiltà  napoletana. Alfonso scrisse molte canzoni a tema sacro. Tra le tante "canzoncine" composte (così Alfonso le definiva), molte ebbero per tema la Natività e l'amore che Egli nutriva per Gesù Bambino. Questo attaccamento spirituale al mistero del Natale gli fu trasmesso da sua Madre, Anna Cavalieri, fin dalla tenera età. "Tu scendi dalle stelle" è la canzone natalizia da lui composta in lingua italiana, più famosa e cantata in ogni angolo del mondo, ma altrettanto belle sono anche "Gesù Cristo Peccerillo", "Fermarono i cieli", "A Gesù Bambino nel Presepe"... Sicuramente la più profonda di significati e di allegorie a tema natalizio, è il canto composto in lingua napoletana: "Quanno Nascette Ninno a Bettlemme".
Questa Pastorale, che fu scritta da Alfonso nel dicembre del 1754, ha per tema centrale il grande stupore generato dalla nascita del Salvatore, nel cosmo, sulla terra, nel creato e tra i popoli. Alfonso usa
allegorie e metafore con grande abilità e metrica poetica, seguendo l'ispirazione della corrente musicale barocca, secondo i gusti in auge nel suo tempo (Arcadia), per narrare l'eccezionalità dell'Evento, atteso dagli uomini da millenni: la venuta sulla terra di un Salvatore. Il canto è tutto un crescendo di passione e di amore spirituale verso il Bambinello, arrivando a culminare con l'annuncio dell'Angelo ai pastori: "La terra è arriventata Paraviso!" (La terra è diventata Paradiso!).

Per la "ricorrenza forte" dell'anno, che ci apprestiamo a commemorare tra poche ore, quella del Santo Natale, riportiamo l'intero contenuto del lungo testo del canto, scritto in napoletano e, contestualmente per ogni strofa, la traduzione letterale, in lingua italiana.


Quanno nascette Ninno a Bettlemme (di S. Alfonso Maria de Liguori)

Quanno nascette Ninno a Bettlemme
Era notte e pareva miezo juorno.
Maje le Stelle – lustre e belle Se vedetteno accossí:
E a chiù lucente
Jette a chiammà li Magge ‘a ll’Uriente.

Quando nacque il Bambino Gesù a Betlemme
Era notte ma per lo splendore della luce sembrava mezzogiorno
Mai le stelle furono viste così lucenti e belle,
E la più lucente di esse,
Andò a richiamare l’attenzione dei Magi dall’Oriente.

De pressa se scetajeno l'aucielle
Cantanno de ‘na forma tutta nova:
Pe ‘nsí l’agrille – co’ li strille,
E zombanno a ccà e a llà:
È nato, è nato,
Decevano, lo Dio, che nci'à criato

Ed in fretta si destarono gli uccelli
Iniziando a cantare in un modo inconsueto e tutto nuovo:
Perfino i grilli, con i loro versi,
Saltellavano di qua e di la’
E tutti insieme dicevano: E’ nato, è nato,
Quel Dio che ci ha creati. 

Co’ tutto ch'era vierno, Ninno bello,
Nascetteno a migliara rose e sciure.
Pe'nsí o ffieno sicco e tuosto
Che fuje puosto - sott'a Te,
Se 'nfigliulette,
E de frunnelle e sciure se vestette.

Nonostante fosse inverno inoltrato, caro Bambinello,
Fiorirono a migliaia rose e fiori,
Perfino la paglia di fieno, secco e duro,
Che fu posto nella mangiatoia, dove tu giacqui,
Riprese vita e germogliò di nuovo,
E di foglioline e di fiori si rivestì.

A ‘no paese che se chiamma Ngadde,
Sciurettero le bigne e ascette l'uva.
Ninno mio sapuritiello,
Rappusciello - d'uva sí Tu;
Ca tutt'amore

Faje doce ‘a vocca, e po’ mbriache ‘o core.

In un paese che si chiama Nazaret,
Si generarono i grappoli e maturò l’uva.
Bambino mio dolcissimo,
Sei come un dolce grappolo d’uva;
Come un grande amore,
Rendi dolce la bocca e poi inebri il cuore.

Non c'erano nemmice pe’ la terra,
La pecora pasceva co’ lione;
Co’ e’ caprette - se vedette
‘O liupardo pazzea’;
L'urzo e ‘o vitiello
E co’ lo lupo 'npace ‘o pecoriello.

Non c’erano più nemici sulla terra,
La pecora pascolava in compagnia del leone;
Con il capretto, si vide
Il leopardo giocare,
L’orso e il vitello
E il lupo stava in pace con l’agnello.

Se rrevotaje nsomma tutt'o Munno,
Lu cielo, ‘a terra, ‘o mare, e tutt'i gente.
Chi dormeva - se senteva
Mpiett'o core pazzea’
Pe la priezza;
E se sonnava pace e contentezza.

Insomma tutto il mondo ebbe come un contraccolpo,
Il cielo, la terra, il mare e tutte le genti.
Chi dormiva, avvertì
Il suo cuore battere forte
Per la gioia;
E sognava pace e gioia.

Guardavano le ppecore i Pasturi,
E ‘n'Angelo sbrannente cchiú d’ ‘o sole
Comparette - e le dicette:
No ve spaventate no;
Contento e riso
La terra è arreventata Paraviso.

Ai pastori, mentre erano a custodire le pecore,
Un angelo luminoso più del sole
Apparve loro e disse:
Non temete, no;
Siate allegri e sorridenti
La terra è diventata Paradiso.

A buie è nato ogge a Bettlemme
D' ‘o Munno l'aspettato Sarvatore.
Dint'i panni’ o trovarrite,
Nu potite - maje sgarra’,
Arravugliato,
E dinto a lo Presebio curcato.

Per voi è nato a Betlemme oggi,
Del mondo l’atteso Salvatore.
Dentro panni lo troverete avvolto,
Non potere mai sbagliarvi,
Sta dentro alla mangiatoia riposto.

A meliune l'Angiule calare
Co’ chiste se mettetten' a cantare:
Gloria a Dio, pace in terra,
Nu cchiú guerra - è nato già
Lo Rre d'ammore,
Che dà priezza e pace a ogni core.

Discesero dal cielo milioni di angeli
E assieme a questo si misero a cantare:
Gloria a Dio, pace in terra,
Non più la guerra, è nato già
Il Re d’amore,
Che da' gioia e pace ad ogni cuore.

Sbatteva ‘o core mpietto a ssí Pasture;
E l'uno 'nfaccia all'auto diceva:
Che tardammo? - Priesto, jammo,
Ca mme sento scevoli’
Pe’ lo golío
Che tengo de vedé’ sso Ninno Dio.

Sbatteva il cuore a questi pastori;
E ognuno in faccia all’altro diceva:
Che aspettiamo? Presto, andiamo,
Che mi sento impazzire
Per il desidero
Che ho di vedere questo bambino divino.

Zombanno, comm'a ciereve ferute,
Correttero i Pasture a la Capanna;
Là trovajeno Maria
Co’ Gíuseppe e a Gioia mia;

E 'n chillo Viso
Provajeno ‘no muorzo 'e Paraviso.

Correndo e saltellando, come cervi feriti,
Corsero i Pastori verso la Capanna;
In quel luogo trovarono Maria
Con Giuseppe e Gesù, gioia mia;
E mirando quel viso provarono un pezzo di Paradiso.

Restajeno ‘ncantate e boccapierte
Pe’ tanto tiempo senza di’ parola;
Po’ jettanno - lacremanno
Nu suspiro pe’ sfoca’,
Da dint' ‘o core
Cacciajeno a migliara atte d'ammore.

Restarono incantati e con le bocche aperte
E muti per molto tempo;
Poi emisero, piangendo,
Un sospiro di sfogo,
E da profondo dei loro cuori,
Manifestarono con molti gesti il loro amore.

Co’ a scusa de donare li presiente
Se jetteno azzeccanno chiano chiano.
Ninno no li refiutaje,
L'azzettaje - comm'a ddi’,
Ca lle mettette
Le Mmane ‘ncapo e li benedicette.

Con la scusa di fargli un dono
Si avvicinarono piano piano.
Gesu’ Bambino non li rifiutò
Li accettò (mostrando gradimento)
Mettendo la sua mano sul loro capo
E li benedisse.

Piglianno confedenzia a poco a poco,
Cercajeno licenzia a la Mamma:
Se mangiajeno li Pedille
Coi vasille - mprimmo, e po’
Chelle Manelle,
All'urtemo lo Musso e i Mascarielle.

Prendendo confidenza piano piano,
Chiesero permesso alla Madre:
Riempirono di baci i piedini prima, e poi
Quelle manine,
E, infine, il visino e il piccolo mento.

Po’ assieme se mettetteno a sonare
E a canta’ cu l'Angiule e Maria,
Co’ na voce - accossí doce,
Che Gesú facette: a aa...
E po’ chiudette
Chill'uocchie aggraziate e s'addormette.

Poi insieme si misero a suonare
E a cantare assieme agli angeli e a Maria,
Con una voce, così dolce,
Che Gesù prima sbadigliò…
E poi socchiuse
Quegli occhi aggraziati e si addormentò.

La nonna che cantajeno mme pare
Ch'avette ‘a esse chesta che mo’ dico.
Ma ‘nfrattanto - io la canto,
Mmacenateve de sta’
Co li Pasture
Vecino a Ninno bello vuje pure.

La ninna nanna che cantarono
Mi sembra la stessa di quella che ora vi dico.
Ma mentre io la canto, immaginate
Di stare  con i pastori
Vicino al bel Bambino anche voi.

Viene suonno da lo Cielo,
Viene e adduorme ‘sso Nennillo;
Pe pietà, ca è peccerillo,
Viene suonno e non tarda’.
Gioia bella de sto core,

Vorria suonno arreventare,

"Vieni sonno dal cielo,
Vieni e addormenti questo Bambino;
Per pietà, perché è piccolino,
Vieni sonno e non tardare.
Gioia bella di questo cuore,
Vorrei sonno diventare,

Doce, doce pe’ te fare
‘Ss'uocchíe bell'addormenta’.
Ma si Tu p'esser'amato
Te sí fatto Bammeníello,
Sulo ammore è o sonnaríello
Che dormire te pò fa’.

Dolce, dolce per fare
Addormentare questi belli occhi
Ma se tu per essere amato
Ti sei fatto bambino,
Solo amore è quel sonnellino,
che può farti dormire.

Ment'è chesto può fa nonna,
Pe Te st'arma è arza e bona.
T'amo, t'a’...
Uh sta canzona
Già t'ha fatto addobea’!

T'amo Dio - Bello mio,
T'amo Gíoja, t'amo, t'a’...

Se è così puoi dormire,
Per te quest’anima è tutt’ardente.
Ti amo, Ti amo… Uh questa canzone
Già ti ha fatto addormentare!
Ti amo, Dio, bello mio,

Ti amo Gioia, Ti amo, Ti amo…"       

Cantanno po’ e sonanno li Pasture
Tornajeno a le mantre nata vota:
Ma che buo’ ca cchíú arrecietto
Non trovajeno int'a lu pietto:
A ‘o caro Bene
Facevan' ogni poco ‘o va e biene.

Cantando e suonando, i pastori
Tornarono indietro nuovamente alle loro greggi:
Ma che vuoi fare, non trovarono
Più riposo nei loro petti,
E per il loro caro Bene,
facevano ogni tanto il va e il vieni.

Lo ‘nfierno sulamente e i peccature
‘Ncoccíuse comm'a isso e ostinate
Se mettetteno appaura,

Pecchè a scura - vonno sta’
Li spurteglíune,
Fujenno da lo sole li briccune.

Solo l’inferno e i peccatori,
Che sono duri (ncucciuse) e ostinati come l’inferno,
provarono paura,
Perché, come i pipistrelli, vogliono stare al buio
E fuggono dalla luce del sole, i bricconi.

Io pure songo niro peccatore,
Ma non boglio esse cuoccio e ostinato.
Io non boglio cchiú peccare,
Voglio amare - voglio sta’
Co’ Nínno bello
Comme nce sta lo voje e l'aseniello.

Anch’io sono un peccatore,
ma non voglio essere duro e ostinato.
Io non voglio più peccare,
Voglio amare – voglio stare
Insieme al bel Bambinello
Come si trovano il bue e l’asinello.

Nennillo mio, Tu sí sole d'ammore,
Faje luce e scarfe pure ‘o peccatore
Quanno è tutto - níro e brutto
Comm'a pece, tanno cchiú
Lo tiene mente,
E ‘o faje arreventa’ bello e sbrannente.

Gesù Bambino mio, tu sei un sole d’amore,
Illumini e riscaldi anche il peccatore,
Quando tutto appare nero e brutto
Come la pece, tanto più
Tu l’osservi,
E lo fai ridiventare bello e splendente.

Ma Tu mme diciarraje ca chiagniste,
Accíò chiagnesse pure ‘o peccatore.
Aggio tuorto - haje fosse muorto

N'ora primmo de pecca’!
Tu m'aje amato,
E io pe’ paga’ t'aggio maltrattato!

Ma tu mi dirai che piangesti,
Affinché piangesse anche il peccatore.
Ho torto, ahi! Fossi morto,
Un’ora prima di peccare!
Tu mi hai amato,
E io per ripagarti, ti ho maltrattato (peccando)!

A buje, uocchie mieje, doje fontane
Avrite a fa’ de lagreme chiagnenno
Pe’ llavare – pe’ scarfare
Li pedilli di Gesù;
Chi sa, pracato,
Decesse: Via, ca t'aggio perdonato.

E voi, miei occhi, dovete diventare due fontane
Dovete piangere tante lacrime,
per lavare, e per riscaldare
i piedini di Gesù:
Chissà, mai se placato,
Dicesse: Via, basta che ti ho perdonato.

Viato me si aggio sta fortuna!
Che maje pozzo cchiú desiderare?
O Maria - Speranza mia,
Ment'io chiango, prega Tu:
Penza ca pure
Si fatta Mamma de li peccature.

Me beato, se avrò questa fortuna!
Cosa mai altro potrò più desiderare?
O Maria, Speranza mia,
Mentre io piango, prega Tu:
Pensa che sei diventata pure
Madre dei peccatori.

 

La redazione di Piscinolablog augura un sereno Natale a Tutti i lettori. Buon Natale!

Salvatore Fioretto