domenica 13 dicembre 2020

In quel 16 dicembre di quasi 300 anni fa, Gennaro stese la Sua mano su Napoli... Da allora si celebra il Patrocinio sulla Città!

Domenico Gargiulo, detto Micco Spadaro, eruzione del 1631

C'è aria natalizia in giro, già si respira un gran entusiasmo per l'avvicinarsi delle feste, e poi il fervore e la solita corsa per gli acquisti dei regali e delle pietanze per i pranzi familiari, giusto per onorare e per celebrare degnamente, come da antica tradizione napoletana, le grandi festività dell'anno che sono oramai alle porte: il Natale e il Capodanno. Quest'anno l'atmosfera che si respira è sensibilmente diversa rispetto agli altri anni, purtroppo, a causa delle problematiche legate alla nota questione di sanità pubblica; tuttavia la preparazione alle feste segue nonostante tutto il suo corso...
Sicuramente anche quest'anno, come ogni anno a questa parte, si annuncerà, specie dai telegiornali, dai giornali e dai media, che si è rinnovato o non rinnovato il "prodigio" dello scioglimento del sangue di San Gennaro; la notizia viene sempre data come se questo fosse un avvenimento straordinario, un evento capitato giusto nella settimana che precede il Santo Natale....

Qualcuno, poi, negli ultimi anni, ha coniato per questo evento straordinario di dicembre il termine un poco azzardato di
: "miracolo laico"... alla stregua di come fecero i giacobini nel 1799, in occasione di un prodigio straordinario del sangue nel mese di gennaio, quando gridarono che San Gennaro era diventato giacobino...!
Giusto per questa confusione che ancora verifichiamo, quest'anno abbiamo deciso di chiarire ogni dubbio e colmare la carenza di informazione storica al riguardo, spiegando ai lettori le origini storiche di questa importante ricorrenza del calendario napoletano ed il perché si è deciso di dedicare una terza data dell'anno a San Gennaro, patrono della città.
Per questa trattazione dobbiamo fare un bel passo indietro di tanti decenni: facendo scorrere ben tre di secoli, fino ad arrivare a quel triste dicembre dell'anno 1631. Ed ecco la cronaca che segnò un passo decisivo nella storia millenaria di Napoli: 

"Da circa quattro secoli non si ricordavano eruzioni: il Vesuvio che sembrava spento era divenuto coltivabile fin quasi alla sommità; "Le sue cime si coprirono di erbe e le pecore vi salivano a pascolare. Ma il 16 dicembre 1631 con una fase di esplosione il Vesuvio produsse fenomeni catastrofici: terremoti, boati, esplosioni, pioggia di bombe, di sassi, di lapilli, di cenere; questa volta anche la lava; e non un solo ramo ma sette rami di lava invasero i paesi vesuviani bloccando le vie, distruggendo le case, invadendo finanche il mare, sicchè ci trascrissero gli storici che il mare sembrava che ardesse"; da Alfano "Il Vesuvio e le sue eruzioni", 1929.
Il Vesuvio, quindi, fino a quel 1631 si era mantenuto tranquillo, allo stato quiescente, ma nel giorno 16 dicembre ebbe una improvvisa e paurosa esplosione, riprese a eruttare abbondantemente, iniziando una nuova fase vulcanica.
Quella esplosione, che gli esperti definiscono, in gergo tecnico, "pliniana" (termine coniato in ricordo della più celebre eruzione del 79 d.C., che distrusse Stabia, Ercolano, Oplonti e Pompei, e fu raccontata da Plinio il Giovane), portò all'oscuramento completo del cielo di tutto il territorio napoletano e del suo circondario, anche in pieno giorno e con la presenza del sole, a causa delle abbondantissime emissioni di cenere e di lapilli nell'atmosfera. Addirittura si racconta che in quel periodo le ceneri del Vesuvio raggiunsero il territorio della Grecia e nel nord dell'Africa.
Il popolo di Napoli era allora atterrito e spaventato per queste manifestazioni vulcaniche e decise di ricorrere, come aveva fatto in altre occasioni storiche, all'aiuto e alla protezione di San Gennaro. Per descrivere quei momenti di grave calamità pubblica, vissuta dai napoletani, prendiamo in prestito quanto riportato da mons. Luigi Petito, nel suo libro "San Gennaro, storia, folclore, culto": "La solennità del 16 dicembre, detta del Patrocinio di San Gennaro, ricorda il catastrofico terremoto contemporaneo all'esplosiva eruzione vesuviana del 1631 che durò un mese e cagionò 4000 vittime nella zona Vesuviana. La lava in due ore, travolgendo ogni ostacolo, arrivò al mare e la cenere a Napoli raggiunse circa un palmo di altezza. Il popolo atterrito e penitente si raccolse intorno al card. Francesco Boncompagno che scalzo portava in processione le reliquie di San Gennaro. Sulla porta interna del Duomo, presso il finestrone, con trepida e gioiosa commozione, in un alone di luce videro "il glorioso Giannuario in habito pontificale benedire il popolo, quasi per renderlo sicuro della gratia" (Tutini).
Nei Diari dei Cerimonieri della Cattedrale leggiamo al 18 dicembre 1631: "Era pioggia continua, e l'aere quasi oscura per le ceneri. In arrivare però la reliquia alla porta grande, nell'uscita comparve sopra di essa un raggio di sole, e da molte persone devote sopra della porta fu veduto in habito ponteficale San Gennaro che benediva il popolo, onde da essi fu gridato: Miracolo, miracolo, S. Gennaro, S. Gennaro". A grato ricordo dell'apparizione, tra il portone ed il monumento sepolcrale degli Angioini, fu situato un pesante tondo col busto del santo Patrono in gesso dorato che cadde senza arrecare - grazie a Dio - alcun danno alle persone e si ridusse in piccoli frammenti il 20 settembre 1969, mentre la folla numerosa e plaudente, venerava nella cappella del Tesoro di S. Gennaro nell'ottavario della sua festa.
Arrivata la processione a Porta Capuana, mentre il card. Buoncompagno con le sacre ampolle faceva il segno della croce verso il Vesuvio, fu visibilmente osservato che le nubi di cenere, cambiando direzione, si dirigevano verso il mare. Si constatò anche che in città non ci furono vittime e che il sangue rimase liquido per tutto il tempo dell'eruzione. A ricordo dell'avvenimento i Napoletani stabilirono di elevare un obelisco nella piazza che fu poi intitolata al card. Sisto Riario Sforza e di edificare per riconoscenza la chieda di S. Gennaro a Torre del Greco. Con grande solennità nel 1632 il vescovo di Pozzuoli Martino di Lione de Cardines pose la prima pietra della chiesa  che fu affidata per il culto ai Padri Carmelitani Scalzi. La guglia per varie difficoltà tra cui la rivoluzione di Masaniello del 1647 e la tremenda peste del 1656, fu inaugurata il 16 dicembre 1660 e toccò la spesa di ducati 13974,77.
In seguito nel 1833 il card. Filippo Caracciolo trasferì la solennità del Patrocinio alla domenica seguente ma il card. S. R. Sforza la riportò all'antica data nel 1857 in occasione del disastroso terremoto avvenuto proprio il 16 dicembre alle ore 23 di quell'anno in Lucania, e che destò grave spavento anche a Napoli. 

Affresco di Domenico Zampieri, detto il domenichino, eruzione del 1631

Nella cappella del Tesoro di San Gennaro, nella lunetta che sovrasta il bellissimo cancello in bronzo del Fanzago, fu dipinta ad affresco, da Domenico Zampieri, detto il Domenichino, la scena dell'eruzione, della processione e dell'intervento prodigioso di San Gennaro per fermare la lava del Vesuvio. C'è da aggiungere che il Domenichino in quel momento era alle prese con i lavori di pittura in Cappella e fu testimone diretto dell'evento del Vesuvio e potè rappresentare in maniera precisa la scena che vide con i propri occhi.

Cappella di S. Gennaro, piazza S. Francesco

Oltre alla bellissima e ardita guglia, in piazza Sisto Riario Sforza, per ricordare quell'avvenimento del 1631, a piazza E. De Nicola (Porta Capuana), a lato della chiesa di Santa Caterina a Formello, fu edificata e ancora oggi si conserva, la cappella con l'immagine di San Gennaro, eretta a spese della Deputazione del Tesoro di San Gennaro, nel punto preciso dove il Cardinale Buoncompagni eseguì la benedizione del Vesuvio, con la teca del sangue del martire, che in quel momento si mostrava liquefatto.
In ricordo di quell'avvenimento ed a ringraziamento della speciale protezione spirituale di San Gennaro sperimentata da parte dei napoletani, fu istituita la terza festività dedicata al santo Patrono, chiamata: "Festa del Patrocinio di San Gennaro", che assieme a quelle di maggio e di settembre, si commemora il martire e vescovo San Gennaro. Però, a differenza  delle due ricorrenze, quella primaverile e quella settembrina, nel corso delle quali si espongono alla venerazione dei fedeli le reliquie per un intero ottavario, ossia per otto giorni seguenti alla festa,  nella ricorrenza del 16 dicembre, invece, le reliquie sono esposte un solo giorno, a partire dalle 9,00 del mattino fino alle ore 19:00 e qualche volta, come sta accedendo negli ultimi anni, si rinnova il "prodigio" della liquefazione del Sangue.
Quest'anno, è stato annunciato dalla pagina del Museo di San Gennaro che sarà trasmessa in "diretta streaming" la cerimonia liturgica che si svolgerà nella Cappella del Tesoro, a partire dalle ore 9:00 del giorno 16 dicembre.

Salvatore Fioretto 

Affresco del Domenichino, dell'eruzione del 1631 e dell'intervento protettivo di San Gennaro

Guglia in piazza Sisto R. Sforza, su disegno di Cosimo Fanzago

martedì 8 dicembre 2020

Cantilene, indovinelli, filastrocche, cunti e nenie tipiche della società contadina di un'epoca (1^ parte)

Nel precedente post abbiamo raccontato, in sintesi, i giochi che i bimbi e i ragazzi solevano svolgere all’aria aperta, nelle corti e nelle aie dei palazzi e delle masserie di un tempo; in questo post racconteremo altri aspetti di vita relazionale tra adulti e bambini, in particolare dei “cunti”, delle nenie e di tutto quanto apparteneva alla socializzazione nella prima infanzia. Lo abbiamo diviso in tre parti, per una questione di dimensioni del contenuto.
In questa "prima parte" elencheremo le cantilene, le nenie, gli aforismi le filastrocche e gli indovinelli che venivano recitati o cantati un tempo dai bambini nel corso dei loro giochi, ma anche dai più grandi, alcuni dei quali tipicamente piscinolesi. Spesso le cantilene erano recitate durante lo svolgersi di giochi, come il "girotondo", la "conta" oppure il "gioca mani".
Questi scritti sono stati tratti dall’"Appendice" del libro: “Piscinola, la terra del SalvatoreUna terra, la sua gente e le sue tradizioni”, ed. The Boopen, anno 2010, dello stesso autore.

 

Cantilene:

Caruso, melluso,                                                          

Miett’’a capa ‘int’ô pertuso,                                   

Ca po’ vene ‘o scarrafone                                              

E tte roseca ‘o mellone.                                 

........... 

Nce steva ‘na vota ‘nu viecchio e ‘na vecchia,

‘Ncopp’ ’a nu monte, ‘ncop’ ‘a nu specchio;

‘Ncopp’ ’a nu specchio, ‘ncopp’ ‘a nu monte;

Aspiette lloco, ca mo t’ ’o cconto.

 ...........

Chiove ‘e gghiesce ‘o sole:   

Tutt’’e vecchie fann’ammore;

Fanno ammore ‘int’ ’o tiano

Tutt’ ’e vecchie ruffiane;     

Fann’ammore ‘int’ ’o catino,                                        

Tutt’’e vecchie malandrine.                                          

...........                                                                                        

Rrè, rrè, rrè,

Tutt’ ’a sotto ‘a for’ ’e me.

........... 

Storta, picoscia,            

Tiene ‘e cosce mosce mosce,  

E sott’ ’o suttanino,  

Tien’ ’o scoglio ‘e Margellina.

 ...........

Pizzi-pizzi tranculo (1)

E la morte di Santranculo;

Santranculo è pipì

E la morte di Sarracino;            

Sarracino faceva llu ppane

E tutte lle mosche se lo mangiavano;

Pallarò, pallarò,

Chi è primmo, jesce fora,

Jesce for’ ’a ‘llu ciardino,

Pizza doce e tagliuline.... (continua)

 

 Il racconto vocale "Pizzi..." completo di tutte le strofe... 

(premere il link qui sopra con il pulsante del mouse)

........... 

Sega sega, mastu Ciccio, (2) 

‘Na panella e nu sasiccio:

‘A panella ‘nc’’a magnammo   

E ò sasiccio ‘nc’’o stipammo;   

‘Nc’’o stipammo pe’ Natale                                          

Quanno veneno ‘e zampugnare           

E nce danno ‘a cucchiarella                                          

E nce magnammo ‘a farenella

........... 

‘A farfallina rossa

M’ha muzzecato ‘o musso;

‘Nu poco ‘e vino russo

M’ha fatto ‘mbriacà

Mannaggia ‘a ccà,

Mannaggia ‘a là,

Mannaggia ‘a pettula ‘e mammà!

........... 

Maria ‘int’ ’o giardino

Jéva cuglienno ‘o ppetrusino;                                       

Petrusino nun nce steva                                               

E Maria se ne jéva.          

...........      

L’apparecchio americane

Vott’ ’e bombe ‘e se ‘ne và:

Se ne và dint’ ’a cucina,

Rompe tazze e piattine.

........... 

Arri arri, cavalluccio

E zi moneco c’ ’o ciuccio:

E zi moneco nun puteva,

E zi moneco s’accedeva,

S’accedeva ‘ncopp’ ‘o ciuccio:

Arri arri cavalluccio.

........... 

Maria mariola

Porta a bbevèr’ ’e ggalline;

‘E ggalline fanno ll’ova

A Maria a mariola.

...........

Scugnato senza diènte, 

Vasa ‘nculo ‘a zì Vicienzo;

Scugnato senza mole,

Vasa ‘nculo ‘a zì Nicola.

........... 

Diman’ è festa:    

‘O sorice mmenesta,                  

‘A gatta ‘int’ ’a cantina

Taglia ‘o ppane ‘e mette ‘o vino,

Mette ‘o vino a ccarrafelle

E taglio ‘o ppane a ffelle a felle.

........... 

Sott’ ’a ll’acqua e                                         

Sott’ô viento,

E sott’ ’e nuce ‘e Beneviento!

........... 

Tuone e lampe fatt’ ’a rasse, (3)

Chest’è 'a casa ‘e Santu Jasso (San Biagio),

Santu Jasso e Santu Simone (o San Salvatore),   

Chesta è la casa ‘e nostro Signore,                              

Nostro Signore si trova dint’ ’a llu campo,                  

E ci liberi d''a tuone e lampe!                                        

 

Nenie:

Jésce, jésce, corne,

Ca mammete te scorna;

Te scorna ‘ncopp’all’asteco

Pe’ ffà ‘nu figlio masculo.

...........

Nuvena, nuvena, (4)

Ca màmmete è prena,

Ha fattu nu figlio

E se chiamma Michele,

N’ha fatto ‘n’ato

E se chiamma Carluccio

E màmmete téne

‘A coda ‘e ciuccio.

........... 

Nonna nonna, nonna-nunnarella (5)

‘O lupo s’ha magnat’ ’a pucurella.

E pucurella mia, comme faciste,

Quanno ‘mmocc’a lu lupo te vediste?

E pecurella mia, comme campaste,

Quanno ‘mmocc’ ’a lu lupo te truvaste?

........... 

Lunerì di dì, (6)

Marterì pure accussì,

Mierculerì cheste e chello,

Gioverì merculelle,

Vernarì pigliatello,

Sabato né chesto e né chello,

Pecchè Rummeneca è a cchiù bella.

 

Indovinelli e aforismi:

Mi-uno, mi-due, mi-tre ccancelle,

‘O fraulo ‘e pelle e ‘o picchippò;

Conta, conta, ca dudece sò.

........... 

Addivin’ andivinella:

Dove sta la mia sorella?

Sta di qua? Sta di la?

Addivina dove sta.

........... 

Mo véne Natale

Nun tengo denare

Me fumo ‘na pippa

‘E me vaco a cuccà…

........... 

Uno, doje e tre,

‘O papa nun è rrè;

‘O rre nun è papa

E 'a vespa nun è ape…

........... 

‘E overo ca si ‘bello: Cu’ ‘a mazza,

‘O sisco e ‘o ‘mbrello!

 ...........

Dàlle, dàlle e dàlle

‘O cucuzziello addevente tallo,

Dàlle, dàlle e dàlle

‘A rosa fresca addiventa vallo.

Dàlle, dàlle e dàlle,

Pullecenella è caduto in fallo.

........... 

Maruzza, maruzza

Mammete fete e patete puzza!

........... 

E’ vva bbene dicette onna Lena,

Quanno verett’ ‘a figlia, 

'A jummenta (vitella)

‘E 'a gatta prena ... 

 

Sant’Antuono, Sant’Antuono,(7)

Pigliet’ ’o viecchio e damm’ ’o nuovo;

E dammillo forte forte,

Quanno me ròseco ‘sta varr’ ’e porta.

 

Nella "seconda parte" del post, continueremo con le cantilene e gli "scioglilingua", nella "terza parte", infine, con due cunti.

Salvatore Fioretto

 

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Note:

1    Si recitava “pizzicando” le dieci dita del bambino, in modo consecutivo.

2   La cantilena veniva cantata anche dalle mamme nell’intento di far distrarre i loro bambini.

3  Giaculatoria recitata durante un temporale, gettando foglioline di “palma” benedetta e di “grano del Sepolcro” dalla finestra e recitando, subito dopo, un’“Ave Maria” e un “Padrenostro”.

4    Canto della novena di Natale.

5    Nenia cantata anche dalle mamme ai propri pargoli.

6    Canzonetta dedicata allo "scansafatiche". 

7    Recitata quando si nascondeva un dente appena caduto, in un luogo sicuro.