sabato 17 ottobre 2020

Correva l'anno 1779... Una passeggiata lungo la linea dell'Arrendamento...


Le tasse e i balzelli sono stati sempre avvertiti dalla popolazione dei secoli passati come una vessazione opprimente e poco digeribile, specialmente dai popolani appartenenti agli strati più poveri e indigenti della società. La città di Napoli ebbe però l’antico privilegio, a partire dalla dominazione Aragonese, di avere l’esenzione dalle tasse, con la sola eccezione del cosiddetto “donativo”, ossia della richiesta di finanziamento avanzata dagli occupanti per rimpinguare le casse reali, oppure di quelle spese necessarie per la manutenzione straordinaria della cortina muraria della città. Questa esenzione dalle tasse demaniali, come è noto, fu estesa anche ai Casali circonvicini alla Città che si trovavano nello stato di “Casale Demaniale o Regio”. I Casali baronali, invece, erano sottoposti alla tassazione dei feudatari.
Queste tasse, che oggi diremmo “imposte indirette di consumo”, erano legate al commercio di alcune derrate e alla fruizione di servizi ed erano raggruppate nei cosiddetti “Arrendamenti” (l’etimologia  del termine deriva da “appaltare la rendita”) a cui facevano capo delle vere e proprie amministrazione con responsabili, deputati all'applicazione delle disposizioni (Prammatiche) e alla raccolta delle somme (
Esazione degli estagli). Dell’esistenza degli Arrendamenti nel regno di Napoli si hanno tracce fin da periodo Normanno-Svevo, anche se lo sviluppo maggiore si ebbe durante il periodo vicereale spagnolo.

Vicerè Petro Tellez Giron, duca di Osuna

Con il trascorrere dei secoli la raccolta delle tasse fu data in concessione o appaltata ai privati, che spesso erano famiglie facoltose o membri della aristocrazia cittadina e pertanto gli stessi balzelli erano gravati anche dal costo del servizio di raccolta prestato e dagli utili reclamati. L’Assegnazione del servizio (privative) avveniva attraverso bandi pubblici. Quando le gare andavano deserte, il demanio si faceva carico della riscossione dei dazi, nominando un responsabile, in tal caso si diceva “Arrendamendo in Demanio” e il funzionario  chiamato “Governatore del Regio Arrendamento del…”. Anche nell’arrendatore in privativa, il responsabile era chiamato “Governatore”; era inoltre presente un consiglio di amministrazione che lo nominava. Il governatore (che potevano essere anche più di uno), durava in carica dai quattro ai sei anni. L’organizzazione interna prevedeva anche una figura di notaio, e dei luogotenenti: un "vicesegreto",  un "credenziero",  un "substituto", ecc.
Con la prammatica XXII del 1649 si disciplinò tutta la materia: alcuni arrendamenti furono soppressi, altri modificati, altri ancora creati ex novo. La novità fondamentale introdotta con questo provvedimento fu costituita dalla "datio in solutum", per mezzo della quale lo Stato cedette ai suoi creditori, come veri e propri titoli di rendita pubblica, le partite degli arrendamenti, riservandosi solo di ricavare da alcuni di essi un'entrata annua da destinare alla Cassa militare. Tuttavia, malgrado l'avvenuta alienazione, lo Stato continuò a mantenere un controllo preventivo e ispettivo sull'organizzazione degli arrendamenti, dati gli ovvi risvolti che il loro andamento esercitava sul fisco, sui banchi e sull'intera vita economica del paese.
Tra i tanti Arrendamenti, all’epoca esistenti, ricordiamo quello più importanti: della farina (Panizandi), del vino, delle carni  (Macellatico), dei latticini e formaggi (Cacia), dell’olio, della seta, dell’acquavite, del sale, del tabacco, della pece, del ferro, delle carte da giuoco, della frutta, del Pane a rotolo (pane a minuto), ecc. e quelli dei servizi, ad esempio: del pascolo (Erbatico), della famiglia (Focatico), degli spazi della città (Portolania) e tanti altri ancora. Come si potrà immaginare, la popolazione era stremata da questi balzelli, e non era infrequente il verificarsi di tumulti e di rivolte a causa dell’aumento dei dazi; tra queste la più famosa e cruenta è stata la rivolta di Masaniello. Molti, poi, erano coloro che cercavano di evitare di pagare questi balzelli, attraverso la pratica del contrabbando e il passaggio incontrollato delle merci tra i confini poco controllati.
Altra problematica fu l’elusione di alcuni cittadini, compiuta sfruttando abilmente l’ambigua e poco esatta determinazione del confinamento territoriale tra la Capitale e i Casali non demaniali, ossia la zona soggetta alle tasse da quella invece che ne era esentata. Questa linea di confine fu, nei decenni a cavallo dei secoli XVII e XVIII, più volte verificata ed evidenziata fisicamente, in particolare da parte dei governatori degli Arrendamenti della farina e del vino.

Furono elaborate delle dettagliate mappe colorate e furono apposti ex novo dei termini identificativi (picchetti) ben visibili e inamovibili. Non mancarono querelle e contestazioni contro i  governatori dell’Arrendamento, da parte dei proprietari di edifici e di masserie che si dichiaravano situati nella parte esentata; come, ad esempio, la protesta formulata dalle masserie di San Giovanni a Carbonara e di S. Agostino della Zecca, entrambe situate nel tenimento del Casale di Marianella. Tra gli elaborati grafici, detti “tavolari”, che furono redatti in quell’epoca, troviamo: il Tavolario d’Urso, (anno 1698), il Tavolario di Biaggio Zizza (anno 1712) e il Tavolario di Manni (anno 1733), Tutti questi personaggi eseguirono la identificazione della linea di confinazione apponendo dei "termini" fissi, senza però elaborare una mappatura su carta, come era state richiesta dai governatori degli arrendamenti del vino e della farina. Ovviamente con il trascorrere dei decenni questi "termini" venivano divelti a seguito di incidenti con i carri o volutamente spostati... 
Vicerè Pedro Fernandez de Castro, conte di Lemos
Poiché la controversia restava sempre attuale e accesa, i governatori dell’Arrendamento della Farina, nell’anno 1776, affidarono l’incarico di elaborare un nuovo Tavolario (Platea) all’ing. Camerale Giambattista Porpora. Questo topografo tre anni dopo, nel 1779, concludeva brillantemente l’incarico, con l’elaborazione di una poderosa mappatura della confinazione del "Distretto" della Città di Napoli e dei Casali, e una relazione manoscritta che descriveva con minuzia le strade dei confini, misurandole in “passi”. 
L’opera originale è oggi conservata nella Biblioteca della “Società di Storia Patria” di Napoli. Purtroppo è andata persa la mappa generale, mentre sono pervenute le sedici mappe minori, indicanti gli esatti confini topografici della Capitale con i territori dei tredici casali limitrofi (Portici, Barra, Ponticello, S. Pietro a Patierno, Secondigliano, Miano, Piscinola, Polvica, Chiajano, Marano, Pianura, Soccavo).

Ecco la descrizione integrale della confinazione dell’Ing. Giambattista Porpora per quanto riguarda Secondigliano, Miano, Marianella, Piscinola, Polvica e Chiajano. L'opera si intitola "Premessa alla Configurazione dalla Città di Napoli e i suoi casali per l'Arrendamento della farina", datata 28 giugno 1779.

V. Confinazione col casale di Secondigliano.- Dal detto termine 34.º (dalla descrizione della precedente confinazione, riguardante il Casale di San Pietro a Patierno - n.d.r.) camminandosi verso la sinistra per la via Regia di Caserta , tra occidente e mezzogiorno, si giunge nella croce di Capo di Chio, donde lasciando a destra la via Regia che porta in Aversa e quella che conduce in Arzano e la via Regia a sinistra per cui si viene in Napoli , e proseguendosi il cammino quasi a dritto per la cupa detta di S. Felice o di Miano nella direzione di occidente , nel di cui angolo a destra sono le case di D. Salvatore Caruso e nell'angolo a sinistra quelle del patrimonio di D. Camillo Sanfelice, in una delle quali sta situata la sbarra di detto Arrendamento, dopo passi 76 si giunge nel termine 35.º piantato nella fine del muro che chiude il territorio dello stesso signor Caruso a fronte di detta cupa . Seguitandosi indi per la stessa cupa verso occidente , dopo passi 109, incontrasi il termine 36.º situato nel piede della siepe del detto territorio in petto all'angolo del muro del territorio di Sanfelice . Indi rivoltando a sinistra e camminando verso mezzogiorno lungo il muro , che divide il territorio suddetto da quello dei signori Vecchione , dopo passi 137 1/2 , si cala con diverse direzioni nel Cavone di Miano o sia letto della lava , in cui nella fine del riferito muro è situato il termine 37.º Da questo girando a destra e camminando verso occidente per il suddetto Cavone , dopo passi 110 , si giunge nella cuparella a destra denominata di S. Cesareo , ove termina questa linea di confinazione tra il Ristretto ed il casale di Secondigliano .

VI . Confinazione col casale di Miano.- Dalla cennata cuparella di S. Cesareo proseguendosi tortuosamente il cammino per lo stesso letto della lava , che costeggia il muro del Real Bosco di Capodimonte , mediante varie direzioni e il lungo tratto di passi 870 si giunge al 38.º termine piantato in mezzo al medesimo letto di lava , propria mente nel luogo detto la Croce di Miano all'incontro il casamento del Marchese Valdetaro, dove stà situata la sbarra dell'Arrendamento, l'osteria ed altri bassi per uso di abitazione , ed indi seguitandosi a camminare verso la sinistra per il medesimo letto della lava colla direzione di occidente , dopo passi 85, si giunge in un bivio , donde lasciando si lo stesso letto di lava a sinistra e proseguendosi il cammino per la via pubblica a destra che conduce nel casale di Piscinola secondo la direzione di settentrione, nell'angolo della quale via sta situato l'arco di fabbrica, chiamato arco di Piscinola , mediante la di stanza di passi 55 s'arriva nella prima via a sinistra , che termina in un vallone d'acqua, che passa per sotto il ponte di fabbrica , denominato anche di Piscinola , per la quale via camminandosi verso occidente dopo passi 60 si giunge nel confine tra la massaria Sorrentino e quella del signor Paziente, oggi Marchese Valdetaro. Di là seguitandosi a camminare per la stessa via e poi per il vallone d'acqua che la sussegue nella direzione d'occidente , dopo passi 80, si giunge sull'anzidetto ponte e proprio nella via pubblica che a sinistra porta nella Cappella di S. Rocco ed a destra conduce a Piscinola ; nel qual ponte termina la linea di confinazione tra il Ristretto di Napoli ed il casale di Miano. 

VII . Confinazione col casale di Piscinola. - Dal detto ponte rivoltando a man de straper la via pubblica , che porta a Piscinola, nella direzione di settentrione, dopo passi 85 , si trova a man sinistra la via per cui si va a Marianella , ed indi dopo passi 215 si giunge in un bivio , donde lasciandosi la via di Piscinola e proseguendosi per quella a sinistra che anche porta a Piscinola ma colla direzione d'occidente , dopo passi 95 , si trova la prima via pubblica a man destra, e poi dopo altri passi 55 si arriva nella seconda via pubblica anche a destra , le quali ambedue portano a Piscinola e rinserrano il giardino colla casa e cappella del Principe di Luna, ove termina la linea di confinazione tra il Ristretto di Napoli ed il casale di Piscinola .

VIII . Confinazione col casale di Marianella.- Dalla casa del Principe di Luna proseguendosi il cammino in direzione d'occidente dopo passi 84 si giunge nel confine della massaria dei PP. di S. Giovanni a Carbonara , che passa al di dietro dei bassi situati alla sinistra di detta via pubblica , camminandosi lungo il qual confine nella dire zione di mezzogiorno dopo passi 40, ed indi rivoltando a destra e seguitando a camminare per lo stesso confine , secondo la direzione dell'occidente , dopo passi 21 , si arriva all'angolo esteriore della casa rurale di detta massaria a fronte della via pubblica che dopo passi 41 in direzione di mezzogiorno s'incontra nell'altra via pubblica , che a destra porta a Marianella ed a sinistra va ad uscire nella via Regia che viene da Capodimonte. Dal l'incontro di dette due vie pubbliche girando a sinistra e camminando nella direzione tra mezzogiorno ed occidente per la via pubblica a sinistra s' incontra dopo passi 195 quella per cui s'esce alla Cappella di S. Rocco ed indi per altri passi 200 nella stessa direzione s'esce nella via Regia che viene da Capodimonte e proprio rimpetto all'osteria, chiamata volgarmente del Portone , ove termina la linea di confinazione tra il Ristretto di Napoli ed il casale di Marianella .

IX .  Confinazione col casale di Polvica.- Dalla cennata osteria camminandosi tra oriente e mezzogiorno per la via pubblica , che radendo l'osteria medesima va ad uscire alla Caracciola , dopo passi 30 , s’incontra anche la via pubblica a destra che porta a Polvica , donde rivoltandosi e per essa proseguendosi il cammino , prima tra mezzogiorno ed occidente , poi con varie altre direzioni , si giunge per un tortuoso e lunghissimo tratto di strada di passi 620 nella Cappella detta di S. Maria a Toscanella a sinistra di detta via ed a fronte di un bivio , che a sinistra porta a S. Croce ed a destra a Polvica, donde camminandosi per quella a destra nella direzione di occidente , dopo passi 15, si giunge nel pontone della massaria di Giuseppe Cerullo e proprio nella via a sinistra, che conduce nelle massarie , per la quale camminandosi tra mezzogiorno ed occidente per passi 50 s' arriva nella siepe a destra di detta via che divide la massaria dei PP. Teresiani da quella della Duchessa di Minervino , ove ascendendosi da detta via nelle riferite massarie e camminandosi lungo la detta siepe verso occidente e poi con altre direzioni si giunge per passi 160 in fine di detta siepe e proprio a fronte della via che da S. Croce va a Polvica. Calandosi in detta via e seguitandosi per la medesima verso la sinistra per passi 60 nella direzione di mezzogiorno si giunge nel principio della siepe a destra di detta via , la quale divide la massaria di Bernardo de Cristofaro da quella di D. Pasquale Balsamo, accosto la quale caminandosi tra mezzogiorno ed occidente , dopo passi 130, si giunge alla fine di essa siepe attaccata alla casa di Balsamo a fronte dell'altra via che da S. Croce porta anche a Polvica. Da detta siepe calandosi nella via pubblica e seguitando il cammino a destra , prinia in direzione di settentrione per passi 5 e poi in direzione tra settentrione ed occidente per passi 165 , si arriva alla casa di D. Gaetano Micale e poi dopo altri passi 170 nella fine della siepe che divide la massaria di Micale dalla selva di D. Giuseppe Ametrano , chiamata lo Parmentiello, a fronte del cavone detto dello Pesaturo . Nell'incontro di detta via pubblica col suddetto cavone termina la linea di confinazione del Ristretto di Napoli col casale di Polvica. 

X. Confinazione col casale di Chiajano.- Dall'incontro del detto cavone colla via , che da S. Croce va a Polvica , camminandosi per lo stesso cavone o sia via devastata , per cui anticamente s'andava a Chiaiano , nella direzione d'occidente , e poi con altra direzione dopo tortuoso , disagevole e lungo sentiero di passi 500, si giunge nel monte detto dei Vitro , donde girando a destra e salendosi per il vallone della Contessa verso occidente , costeggiando sempre il confine della selva degli eredi Colangelo , mediante passi 120, si giunge in una via pubblica , per la quale camminandosi s' incontra dopo piccol tratto il confine tra la stessa selva e quella del Principe di Castagneto, donde proseguendosi il cammino lungo la detta siepe verso occidente, mediante passi 110, si trova un canale d'acqua, che divide la selva del monastero del Gesù delle Monache da quella dei PP. Certosini , detta la Rotondella , per il qual canale seguitandosi nella stessa dire zione , dopo passi 150 , si giunge nella via pubblica della Piscinella , situata in pie della selva dei PP. Camaldolesi denominata di S. Caterina e proprio nel 39.º termine pian tato in detta via . Da questo proseguendosi il cammino per dentro la selva chiamata di S. Caterina nella direzione d'occidente , dopo passi 160 , s'esce nella via sopra la stessa selva , detta anche di S. Caterina e proprio all'incontro della Cappella sotto questo ti tolo , ove è situato il 40.º termine poco distante da una pescina di fabbrica mezzo di ruta . Da questo termine camminandosi verso la sinistra per l'anzidetta via nella dire zione di mezzogiorno , dopo passi 31 1/2 , si trova il 41.º termine nell'angolo della stessa selva di S. Caterina , che vien formato dalla detta via e dall'altra che incontra quasi ad angolo retto , la quale da Marano porta a Napoli e proprio rimpetto all' angolo della massaria prima Palermo e poscia Franchini . Nell'incontro di queste due vie pubbliche termina la linea della confinazione tra il Ristretto di Napoli ed il casale di Chiaiano.

Questo post che abbiamo pubblicato è un’altra rara testimonianza storica del nostro territorio, e descrive come esso appariva circa tre secoli fa, precisamente negli anni 1776-79. Un luogo ameno, pieno di verde e con tanti paesini (Casali) sparsi in mezzo ad una verdeggiante e fitta vegetazione. Quello che colpisce ancora di più, in questa descrizione del territorio, è la presenza di manufatti e opere oggi non più esistenti, tra cui ponti, archi di fabbrica, cuparelle, masserie, cappelle e chiesette.

Salvatore Fioretto



sabato 10 ottobre 2020

I personaggi leggendari del mondo magico-sacrale della cività contadina piscinolese...

La nostra terra, abitata nei secoli scorsi da braccianti agricoli e da muratori, ha alimentato storie di personaggi e figure leggendarie, ma anche di misteri e di magici poteri. Storie e misteri che si sono tramandati nei secoli e sono giunti miracolosamente fino a noi, pressoché incontaminati. Ci piace oggi raccontare qualche aneddoto di personaggi e curiosità tratti dalla nostra antica tradizione popolare contadina.

Iniziamo con alcuni personaggi tratti dai racconti di Natale Mele, che sono stati rappresentati in un lavoro teatrale organizzato alcuni anni fa nell'Auditorium della VIII Municipalità, nel corso della kermesse cittadina del "Maggio dei Monumenti".

“‘O Misciulillo”
Tra i tanti personaggi straordinari realmente esistiti, ricordiamo “ò Musciulillo”, ossia colui al quale venivano attribuiti dei grandi poteri magici. Si narra che questo uomo una volta fu sfidato da un pastore di capre (craparo)

Il “capraro” conduceva i greggi a pascolare nello “Scampagnato”, vale a dire nel territorio dell’attuale “Scampia”. Il “capraro” erano una sorta di camorrista dell’epoca e la gente lo temeva perché era facilmente avvezzo a ritorsioni ed a vendette. Usava abilmente il suo bastone, per infliggere sonore bastonature ai malcapitati di turno, specie quelli che non volevano sottostare ai suoi abusi. Uno di questi caprai, mettendo in discussione il potere magico del “Musciulillo”, simulò con un gesto del braccio di colpire l’uomo con il suo bastone, ma questi con la forza del suo sguardo lo pietrificò, inibendo ogni suo movimento. Anche altri caprai che accorsero a sostegno del loro compagno, subirono la stessa sorte. Solo l’intervento dei vicini convinse il “Musciulillo” a liberare i malcapitati da quella stregoneria, affinché potessero ritornare a sera ai loro capanni. Intanto la notizia dell’episodio si diffuse rapidamente tra gli abitanti di Piscinola e i caprai dovettero ridimensionare di molto i loro comportamenti estorsivi e vendicativi nei confronti dei contadini. Con quell’episodio, il “Musciulillo” consolidò la sua fama di “mago stregone”, già da tempo attribuitagli. 

“‘A vermenara”
Ricordiamo poi “‘a vermenara”, ossia colei che aveva il potere di “sverminare” i bimbi, colti da infezione di vermi intestinali. In antico tempo si pensava che lo sviluppo di tenie avvenisse a seguito di un grosso spavento. Si diceva, in sintesi, che il bimbo aveva avuto una “vermenata”. La “vermenara” procedeva con un rituale prestabilito, tramandato di madre in figlia, fatto di gesti, preghiere e invocazioni. Eseguiva al contempo con le mani una sorta di massaggio direttamente sul pancino del bimbo, eseguendo dei segni sacri ed esoterici. Ancora oggi a Piscinola persistono queste figure di “guaritrici”.

“Zia Maria ‘o Cristo“
La figura di questa pia donna è rimasta nei ricordi di molti anziani Piscinolesi. Era una semplice vecchietta, che forse lasciò questa terra in “odore” di santità ed era soprannominata “Zia Maria ‘o Cristo”. La sua fama è legata al fatto che andava ogni giorno girovagando per “cupe” e per masserie della zona in cerca di crocifissi rotti, che erano stati buttati via dalla gente. La poverina li teneva in braccio come si tiene un bambino e, camminando, invocava la pietà del Signore per la gente che li aveva abbandonati. Ella ripeteva, dicendo: “Che t’hanno fatto!… che t’hanno fatto!”. Si racconta che, quando la donna morì, furono trovati sul comodino di casa numerosissimi crocefissi rotti, raccolti per strada durante le sue periodiche ricerche.

“Raziella ‘a muntona”
Molta più tenebrosa è la storia di “Raziella ‘a muntona”, considerata una “fattucchiera”, ovverossia costei aveva il potere di fare fatture, per favorire i “ritorni d’amore”, oppure per vendicare i torti subiti. Questa vecchietta si distingueva per avere una figura minuta e un vistoso gozzo. Due episodi si attribuiscono al suo potere: il primo avvenne un giorno per strada, quando un carrettiere osò brandire la frusta del cavallo, per sollecitarla a liberare celermente la strada al transito del suo carro. La donna fissò il conducente con uno sguardo gelido, esclamando: “... Ci vediamo stanotte!” Si narra che quella notte la donna, con l’aiuto di altre fattucchiere, entrò nella stalla del malcapitato e ne prelevò i cavalli, cavalcandoli poi fino all’alba. 

La mattina seguente il carrettiere constatò, entrando nella stalla, che i cavalli erano molto sudati, presentavano una vistosa bava alla bocca e a stento riuscivano a mantenersi sulle zampe. Subito l’uomo collegò la vicenda all’episodio accaduto il giorno prima e non osò più sfidare la vecchia, anzi ne ebbe molto timore. La seconda vicenda, legata a questa leggendaria vecchietta, avvenne sempre per una sfida lanciata da un padre di famiglia, che mise in discussione i suoi poteri magici. In quella notte l’uomo trovò la sua bimba senza il “tudero”, ossia senza la stretta braga di fasciatura. La bimba fu trovata sul pavimento nel centro della camera da letto, anziché nel letto, dove era stata riposta la sera prima. Nel letto fu trovata la fasciatura integra. Anche questo episodio veramente accaduto, fu attribuito alla magia della donna. Si sa che era impossibile liberare a quei tempi un bimbo dalla sua fasciatura (tudero), senza romperla o srotolarla!

“‘O lupemannaro”
Un’altra figura leggendaria di Piscinola era il “lupemannaro”, ossia l’”uomo-lupo”. Si diceva che il lupemannaro appariva sempre in occasione del plenilunio, quando era costretto ad uscire allo scoperto ed a emettere, per la forza esercitata dalla Luna, dei singulti simili ai latrati di un lupo. Di questi personaggi ce ne erano diversi a Piscinola; accorrevano nel loro girovagare vicino a fontanine pubbliche, per ristorarsi e provare a placare il loro stato di sete. Ciò avveniva spesso in Via SS. Salvatore e in Via V. Emanuele, come racconta qualche convinto testimone oculare… Forse queste persone, veramente esistite, erano affette da malattie, che oggi sono riconducibili all’asma, ma in passato, a causa dell’ignoranza popolare, venivano loro attribuiti dei veri poteri sovrannaturali.

Continua questo “viaggio” nel tempo, tra personaggi e aneddoti popolari…, riportiamo ora i racconti tratti dai ricordi del sig. Pasquale Di Fenzo.

“‘A signora cu’ ’a coda!…”
Si racconta che una signora, abitante in Via Vittorio Emanuele (‘O cape ‘e coppa), un giorno si mostrò infastidita dal passaggio della processione, forse a causa del suono della banda e del frastuono delle voci emesse dalle persone e dagli scugnizzi che seguivano il corteo. Invece di esporre al balcone la solita coperta colorata e lanciare petali di fiori, la signora chiuse stizzita i battenti del balcone e si ritirò in casa. La leggenda popolare vuole che, dopo tale fatto, alla donna crebbe una vera e propria coda...!! Molte persone, dichiaratisi testimoni dell’avvenimento, erano pronte a giurare di aver veramente visto questa “appendice” anatomica, non comune per un essere umano…!!

“‘O serpente cu’ ’a calamita...!”
Si racconta che nella “casa dei serpenti”, di cui abbiamo già descritto il manufatto, un tempo avesse trovato ricovero e vi dimorasse uno straniero vagabondo, forse di origine greca o indiana e che costui avesse con sé un serpente. Questo serpente, secondo l’immaginario popolare, aveva qualcosa di sovrannaturale, forse di magico! Si racconta, infatti, che avesse la facoltà di ipnotizzare con lo sguardo le persone, un po’ come fa una calamita bloccando gli oggetti di ferro! Per questo potere, il serpente fu soprannominato “‘O serpente cu’ ’a calamita”. Alcuni sostengono che il rettile avesse le corna, oppure le lenti. E’ molto probabile che lo straniero fosse un girovago o un circense, che guadagnava qualche soldo esibendo nelle feste la “danza del serpente”. Come pure è attendibile che questo serpente fosse un cobra e ciò spiega l’attribuzione degli occhiali. La forma del rettile e il suo modo di porsi in posizione eretta, che fissa le persone, sicuramente all’epoca avranno attirato la fantasia e la curiosità dei popolani. Spesso le madri ammonivano i pargoli a non allontanarsi troppo dal loro sguardo vigile, ricordando il “serpente cu’ ‘a calamita”...!

“‘O Barone”
Anche quest’uomo, come gli altri personaggi raccontati, è realmente esistito. Tutti lo chiamavano con il nomignolo bonario di “‘o Barone”. Non si conosce precisamente il vero motivo, forse a causa del suo portamento un po’ bizzarro e trascurato, forse parafrasando il suo stato di povertà con il titolo previsto per una persona ricca e blasonata. Una volta, nell’immediato dopoguerra, fu preso in giro anche dai soldati americani, che marcando la sua nomea di nobile, lo scortarono fino a casa, con tanto moschetto e di picchetto...! Dal fisico apparentemente normale, anche se non proprio bello nell’aspetto e forse anche un po’ sciatto nel vestire, è entrato a far parte nell’immaginario collettivo della nostra gente per un’altra caratteristica che lo distingueva: vale a dire l’eccezionale forza posseduta. Egli sembrava un uomo dal fisico normale, ma era dotato di una forza straordinaria. Secondo le testimonianze raccolte, riusciva a sollevare e trasportare sulle sue spalle, mobili o sacchi pesanti, anche oltre il quintale, senza l’aiuto di nessuno. Ironia della sorte, spesso si riduceva anche in stato di ubriachezza e si vedeva brancolare nei pressi di qualche “vineria” di Piscinola. Prese moglie in tarda età. Per molti anni abitò in un “basso” di Piscinola, non ebbe mai un lavoro fisso e visse soprattutto grazie al sostegno e alla generosità della gente di Piscinola. Quando morì, furono in molti a compiangerlo, perché in fondo si era fatto volere bene da tutti, per la sua semplicità e umanità.

 “‘Don Vicienzo" detto "'O Popolo"

Foto di repertorio

Un altro personaggio caratteristico di Piscinola di un tempo è stato “Don Vicienzo”, detto “‘O Popolo”, di professione ciabattino, il quale con un suo “repertorio” di centinaia di storielle e aneddoti ha incantato diverse generazioni di piscinolesi. Don Vincenzo si posizionava con il suo banchetto di “solachianiello” nel cortile antistante alla sua abitazione in Vico Plebiscito, sempre circondato da bambini e ragazzi incantati ad ascoltare i suoi affascinanti racconti e a osservare le sue espressioni colorite. Specie in estate, iniziava di buon mattino e finiva all’imbrunire, raccontando come in una recita senza sosta, i suoi numerosi “fattarelli”. Si esprimeva sempre in italiano, con una prosopopea da letterato e per tale motivo la gente gli coniò il nomignolo di “‘O Popolo”. Si racconta che egli ricordava tutta la Divina Commedia a memoria. Era un concentrato di filosofia di vita e di simpatia!

L’angelo misterioso…!
Foto di repertorio
All’interno di un giardino, in Via
Madonna delle Grazie, esisteva fino ai primi anni Sessanta, una gigantesca statua di pietra bianca, raffigurante un bell’angelo con le ali piegate. La statua si trovava in pessimo stato di conservazione, ma doveva essere di fattura molto antica. Nessuno conosce con certezza la sua storia e per quale motivo si trovasse in quel luogo. Come pure, nulla si conosce, purtroppo, della sua scomparsa...!

L'intero contenuto di questo post è tratto da un intero paragrafo del libro "Piscinola, la terra del Salvatore - Una terra, la sua gente, le sue tradizioni", di Salvatore Fioretto, ed. The Boopen, anno 2010. Si ringraziano sempre con affetto gli amici: Natale Mele e Pasquale di Fenzo, per la loro continua e generosa collaborazione nel fornire queste preziose testimonianze e ricordi.

Salvatore Fioretto