lunedì 29 aprile 2019

Passando da Nord a Sud, ecco le tante località d'Italia che si chiamano come "Piscinola" di Napoli

Ogni giorno, utilizzando la moderna rete dei trasporti cittadina, soprattutto la "Linea 1" della metropolitana di Napoli, ricorrente è trovare scritta l'indicazione del quartiere di Piscinola, sia sulle locandine segnaletiche delle stazioni, che sugli orari dei treni. 
Anche attraverso gli altoparlanti, viene ripetutamente annunciato, da una "voce spiker" registrata, sia sulle banchine delle stazioni che a bordo dei treni, il sopraggiungere di un treno diretto a Piscinola; l'annuncio viene letto anche in lingua inglese, per i tanti turisti che visitano la città di Napoli: "Train to Piscinola" oppure "Piscinola Station"...
Lo stesso avviene per la linea metropolitana interprovinciale della "EAV" (Ente Autonomo Volturno: Piscinola - Aversa, linea lunga 10 chilometri), battezzata già dall'inaugurazione come: "Linea Arcobaleno", perché contiene per le decorazioni di ogni stazione un colore "a tema", scelto dall'iride dell'arcobaleno. Il capolinea di "Piscinola-Scampia", che rappresenta la stazione terminale del lato napoletano, contiene tutti i sette colori dell'arcobaleno...
Stazione di Piscinola-Scampia (Linea EAV)
Possiamo quindi affermare che oggi il nome di Piscinola, antico quartiere di Napoli, è conosciuto e diffuso in ogni angolo della città.
Tuttavia, c'è da dire che il toponimo di "Piscinola" non rappresenta un unicum della città di Napoli e della sua provincia, ma altre località, villaggi e frazioni d'Italia hanno la stessa denominazione della "Piscinola" di Napoli.
La più importante tra queste, anche dal punto di vista storico, è "Piscinola" (o Piscinula) borgata di Roma, situata nel quartiere di Trastevere, la cui origine è similmente attribuita, come nel nostro caso, al ritrovamento nella zona di un'antica cisterna per contenere l'acqua. Alcuni studiosi ritengono che il luogo sia stato in epoca romana la sede di uno stabilimento termale, con la presenza di vasche e piscine, delle cui vestigia il centro di Roma era un tempo colmo e, probabilmente, ne abbia condizionato il suo toponimo.
In questo luogo dell'Urbe, furono erette tre antiche e importanti basiliche cristiane: "San Benedetto in Piscinula", "Santo Stefano in Piscinula" e "San Lorenzo in Piscinula".
Della chiesa di S. Benedetto in Piscinula, l'unica oggi esistente, sappiamo da fonti quasi leggendarie, che fu eretta, nel 543 sulle rovine della Domus Aniciorum (o casa degli Anici), da parte di una nobile ed antichissima famiglia romana alla quale sarebbe appartenuto S. Benedetto da Norcia. La struttura muraria ed alcuni capitelli della chiesa rivelano l'antichita dell'edificio. Dopo il saccheggio di Roberto il Guiscardo, avvenuto del 1084, la chiesa fu riedificata e ampliata.
Chiesa di San Benedetto a Piscinula (Trastevere RM)
Le prime notizie documentate risalgono al 1192, quando Cencio Camerario, nel suo Liber Censuum, menziona la chiesa "San Benedetto de Pescina". Nel XV secolo fu restaurato il tetto, ad opera dell'antica e nobile famiglia dei Castellani. Nel 1678 fu rifatta la facciata e ai lati furono costruiti il collegio di S. Anselmo, adibito ai Benedettini di passaggio a Roma, e l'ospedale fondato da don Lami e funzionante fino al 1726, ossia fino a quando Filippo Raguzzini, per incarico di Benedetto XIII, inaugurò l'Ospedale dedicato a S. Maria e a S. Gallicano; entrambe opere poi scomparse nei secoli successivi. 
Il campanile, in laterizi con elementi di spoglio in marmo, è a pianta quadrata, conserva anche la più antica campana di Roma datata 1069. L’interno, a tre navate con colonne risalenti ai primi secoli dell’Impero, custodisce un pregevole pavimento cosmatesco in porfido e serpentino, del XII secolo ed un dipinto, del XIV secolo, posto sull’altare maggiore, che raffigura la Vergine con il Bambino.
Chiesa di San Benedetto a Piscinula (Trastevere RM)
Molto importante il piccolo oratorio, a pianta trapezoidale con volta a crociera, impostata su quattro colonne dall’alto plinto, con capitelli medioevali del secolo VIII. Costruita, intorno al XIII secolo, nel lato sinistro del portico, troviamo la ben nota Cappella della Vergine. L’altare, consacrato nel 1604 ed abbellito da una bella lastra in porfido di tipo cosmatesco, custodisce il venerato affresco trecentesco della Madonna con Bambino, denominata "Madonna della Misericordia". Da questo oratorio si accede in una cella molto angusta che la tradizione vuole sia stata la dimora ed il luogo di penitenza del giovane Benedetto da Norcia, durante la sua permanenza romana, intorno all'anno 495.
Di notevole importanza storico-monumentale è la presenza nella zona della nobile residenza della famiglia Mattei.
Ettore Roessler Franz, "Via Piscinula" a Trastevere
In questa borgata di Roma un tempo c'erano numerose Taverne, e alcune sono state immortalate in celebri dipinti, come quello del pittore danese, Ditlev Blunck, nel 1836, intitolato "Osteria la Gensola" (l'osteria si trovava sulla via che da Piazza Piscinula menava verso il Tevere). Scorci della Piscinula romana scomparsa, sono stati immortalati anche negli acquerelli del celebre pittore tedesco Ettore Roessler Franz, alcuni riproposti in questo post.
Tra le antiche testimonianze storiche, sappiamo che nell'anno 1556, Tullia d'Aragona, celebre cortigiana, scrittrice e poetessa del Rinascimento italiano, viveva in una taverna in Piazza San Lorenzo a Piscinula, di Trastevere.
Ditlev Blunck, "Osteria la Gensola"
A Roma esistevano anche le chiese di "Sant'Andrea in Piscinula" e "San Tommaso in Piscinula", Nella toponomastica romana troviamo, oltre la "Piazza Piscinula", anche la citata strada, denominata "Via Piscinula".
A Sessa Aurunca (CE) un tempo esisteva la "Certosa di Santo Stefano in Piscinola". Nel libro "Memorie critiche-storiche della chiesa di Sessa Aurunca", scritto da Mons. Giovanni Maria Diamare; ed. Artigianelli, anno 1906, pag. 147), si legge: [...] La certosa di Santo Stefano in Piscinola più non esiste ma nelle pertinenza di San Castrese, verso il territorio di Cellole, esiste il fondo chiamato Piscinola, che già apparteneva a' Cassinesi e vi era un'abazia. [...]
Piazza Piscinula a Trastevere
Dalle carte antiche si scopre che in questo territorio esistevano, oltre la chiesa di Santo Stefano, anche quella dedicata a Sant'Erasmo, martire a Formia nell'anno 303, e la chiesa di San Marco ad Anticolo (rif. Bolla di Atenulfo, Metropolita di Capua, dell'anno 1032).
Ancora oggi qui troviamo presente la chiesa di "San Giuseppe in Piscinola", che in antichità faceva parte di un complesso monastico appartenente all'abbazia di Montecassino. Non si conosce il periodo di fondazione della chiesa, ma essa viene già citata in alcune visite pastorali del XVIII secolo. Questo territorio è stato abitato fin dal periodo neolitico, come dimostrano i rinvenimenti archeologici e, ancor prima della occupazione Romana, era abitato dalle popolazioni italiche degli Ausoni e degli Aurunci.
Via Piscinola, a Spigno Saturnia
A Sessa Aurunca si trova anche una piccola località di nome "Piscinola", contenente una "Masseria Piscinola".
A Spigno Saturnia (LT) una strada è intitolata "Via Piscinola". Nella cittadina di Gianola (provincia di Latina) abbiamo un altro importante riferimento toponimo riguardante una località che porta il nome di Pescinola. Nel libro sull’architetto ”Palladio”, scritto da De Luca, nel 1990, Vol. 3-4, nella nota 9), a pag.22, si legge: “La zona è denominata “Pescinola” e in effetti alla foce del fiumicello vi sono i resti di una peschiera fin sotto al primo stabilimento balneare. Un’altra peschiera era nell’insenatura del Fiume Gianola, le cui strutture sono ancora visibili sotto i moli del porticciuolo costruito dal marchese Afan de Rovera. Questi impianti dovevano certamente appartenere al complesso residenziale del promontorio.
Via Pescinola a Trastevere
Sempre a Gianola (LT) troviamo oggi due strade del centro civico dedicate a Pescinola: Via Pescinola e Via Santo Janni a Pescinola.
Discorso particolare merita "Piscinola dei Marsi", che si trova nel comprensorio del comune di Pescina (AQ), come rilevasi  nel testo: "Collezione degli atti dell'amministrazione delle imposte dirette, del catasto e del macinato del Regno d'Italia", ed. Italia - Dir. Gen. Imposte Dirette", anno 1916, a pagina 348, sotto il territorio di Pescina, sono elencate le località di "Bisegna, Cocullo, Collarmele, Ortona dei Marsi e Pescinola". A Pescina hanno avuto i natali personaggi illustri della storia d'Italia, come Ignazio Silone e il Cardinale Mazzarino, successore del Cardinale Richelieu alla corte francese.
A Piscinola dei Marsi è nata anche Regina Rossi in Milli, educatrice e madre della celebre scrittrice e poetessa Giannina Milli.
Vicino l'Aquila, esiste anche un castello chiamato "Castello di Piscinola".
Nei Comuni di Civitanova del Sannio (BN) e di Rocca Imperiale - Nocara (CS), si attestano le presenze di contrade di nome "Piscinola".
Via Pescinola e Via Santo Ianni a Pescinola, Gianola (LT)
Tra i rilievi di origine vulcanica dei Campi Flegrei, esiste la "Montagna di Piscinola".
A Boscotrecase (NA) e a Locorotondo (TA) troviamo, invece, due località denominate "Piscinella" similmente alla Piscinella napoletana: località menzionata nelle antiche carte medioevali, forse primitivo insediamento da cui nacque la nostra Piscinola.
In Toscana, in terra di Siena, troviamo ancora un'altra località omonima, chiamata: "Piscinola di Quirico".
Clamoroso è l'errore storico commesso nel XVIII secolo, allorché in alcuni documenti fu confuso il Casale di Piscinola con quello di Pisciotta. Infatti, nel libro "Corografia, storica e statistica dell'Italia delle sue Isole", di Attilio Orlandini Zuccagni, vol. II, Firenze, anno 1845, si legge: "[...] Ridicolo poi si rese il benedetino Beretta confondendo la borgata di Pisciotta con Piscinola Casale di Napoli, distante 90 e più miglia.
Di questa erronea attribuzione toponima si fa cenno anche in una lettera indirizzata al biografo e scrittore Giovanni Bernardino Tafuri.
Veduta esterna della doppia stazione di Piscinola-Scampia


Sapere che "Piscinola" non è soltanto napoletana, è motivo di curiosità letteraria, ma anche di interesse storico-antropologico, perché dimostra che dei popoli, vissuti nei secoli scorsi, in territori distanti anche diverse centinaia di chilometri, hanno voluto indicare similmente i loro luoghi, per le importanti caratteristiche orografiche o per le opere idrauliche ivi esistenti. Sono state infatti le presenze di vasche e cisterne, utilizzate negli antichi insediamenti, sia per il fabbisogno umano e per le pratiche agricole e sia, come si è visto, nell'allevamento ittico, a determinare l'attribuzione di questo antico toponimo.
Oggi, quindi, sappiamo che il quartiere di Piscinola non è l'unico centro d'Italia a chiamarsi così, pertanto sarà buona consuetudine indicare in futuro il nostro quartiere come: "Piscinola di Napoli".
Salvatore Fioretto 

Le foto inserite in questo post sono state liberamente tratte dai siti web dove erano pubblicate, sono qui utilizzate senza scopi di lucro o altri fini, ma solo per la libera diffusione della cultura.


sabato 13 aprile 2019

Santa Croce ed Orsolone: ricordo di due antichi Casali di Napoli...



Ritornando sull'argomento della ricerca e della rievocazione storica di alcuni centri urbani situati a Nord della città di Napoli, dei quali purtroppo si stanno perdendo le tracce del loro glorioso passato e delle loro origini storiche, ci piace oggi rinverdire il ricordo delle origini di due Casali a Nord di Napoli, chiamati Santa Croce e Orsolone. Per questa riscoperta storica, prendiamo in prestito due interi articoli pubblicati nell'opera "Santa Croce ai Camaldoli - 1688-1988, Ieri, Oggi e Domani", a cura di P. Camillo Degetto (nelle pagg. 33-35-36).
[...]
S. Croce e Orsolone
"S. Croce ed Orsolone erano due casali distinti, pur essendo certamente, verso la fine del '600, ville, villaggi o borghi della città di Napoli, per cui venivano comunemente indicati nell'uno o negli altri modi; ciò significa che il Casale, almeno in tale epoca, non doveva essere necessariamente Università, cioè un Comune autonomo, quindi casale e Università o "Communità" o Comune sono due cose distinte.
Antonio Chiarito, il noto storico dei Casali di Napoli, non fa cenno alcuno di Orsolone, Nazareth, Guantai e S. Croce. Lorenzo Giustiniani, invece, nel 1804 scrive per Orsolone: Villaggio nel territorio di Napoli sulla collina verso occidente, a distanza di due miglia incirca ed abitato da 1700 individui, il territorio è ameno, vi si respira buona aria e tra l'industria degli abitanti è quella di nutrire bachi da seta". E per S. Croce: "Villaggio nel territorio di Napoli sulla amena collina verso occidente ove respirasi aria buona ed è abitato da .... individui.".
Il Giustiniani appare poco chiaro circa il numero degli abitanti ed è probabile che nei 1700 abitanti di Orsolone abbia compreso anche quelli di Nazareth e S. Croce. 
La confusione continuò anche dopo il decreto del 1811 quando, cioè, l'Orsolone fu ascritto al circondario Avvocata, quartiere di Napoli, perché i Comuni Riuniti di Chiaiano, Polvica e S. Croce pretesero di esercitare la giurisdizione amministrativa anche su di esso.
E anche quando, nel decreto del 1816, Orsolone fu omessa dai borghi della sezione Avvocata, la Gran Corte dei Conti, con sentenza del 1831, ritenne che con la mentovata Legge del 1816 non si era parlato affatto di Orsolone per i Comuni Riuniti di Chiaiano, Polvica e S. Croce, per cui tale rione rimaneva nel quartiere Avvocata, giacché "dove le disposizioni di legge nuove tacciono intorno alle disposizioni di leggi antiche o non le revocano espressamente, rimangono quelle in vigore". Comunque, dopo il 1831, la sentenza fu modificata e Orsolone entrò a far parte del territorio di S. Croce e, quindi, del territorio dei Comuni Riuniti di Chiaiano, Polvica e S. Croce.
E' certo, però, che in tale confusione il territorio di Orsolone continuò a far parte della giurisdizione della Parrocchia di S. Croce, per cui la stessa diventa tipica sia per la vastità del territorio di giurisdizione che per le continue trasformazioni avute nel tempo.
E' tipica, infatti, perché nel 1688 la giurisdizione parrocchiale, oltre a comprendere un territorio urbanizzato cioè compreso nel territorio della città di Napoli, comprendeva anche parte del Casale e, agli inizi del 1800, anche parte del Casale infeudato di Polvica, cioè la contrada o rione dei Calori e, agli inizi del 1800, anche un territorio del quartiere Avvocata. E' tipica per i continui mutamenti che subisce nel tempo con cessioni ed acquisizioni di nuovi territorio e, quindi, di cura di anime; ciò, come già detto, per la pluralità dei confini con parrocchie di altri territori urbani o di casali come Arenella, Avvocata, Capodimonte, Marianella, Chiaiano, Marano e Pianura.
Probabilmente dall'impianto, e certamente a fine '800, il territorio di giurisdizione della parrocchia era così composto; uscendo dalla chiesa, sul lato destro, per via Caracciola, raggiungeva la proprietà di Parisi al confine con la parrocchia di Capodimonte;
al lato sinistro del ponte vi era il fondo della parrocchia di S. Arcangelo all'Arena e confinava con la parrocchia di Marianella; nell'interno della strada provinciale vi era la proprietà del marchese Bisogni e, in continuazione, con la proprietà Giannini a confine, ancora, con la parrocchia di Marianella, dalla Caracciola, scendendo a sinistra, vi era l'antica strada di Toscanella che si estendeva fino a Toscanella nel fondo che si appartenne, poi, al presidente Andriani, al confine con la parrocchia di Polvica e tutta la parte superiore della via del Portone che da Toscanella portava al Frullone e che comprendeva la masseria dei Quaranta; 
dalla strada di fronte alla chiesa, scendendo a destra, si prolungava fino ai Calori di Basso alla proprietà che fu, poi, del Barone de Concilis al confine con la parrocchia di Chiaiano; dalla stessa strada di fronte alla chiesa, sul lato sinistro, vi era la strada che portava ai Cangiani e si estendeva fino al fondo o latifondo di Orsolone al confine con la parrocchia dell'Arenella; nel largo dei Cangiani vi era una strada, l'attuale via S. Ignazio di Loyola, che portava al villaggio di Nazareth e tutto il lato destro salendo fino a Nazareth a confine con la parrocchia di Pianura; dal villaggio di Nazareth la strada continuava sul lato destro e terminava col fondo Perillo al confine con la parrocchia di Marano; girando sempre sul lato destro, raggiungeva la Rotondella vicino Vrito a confine, ancora, con la parrocchia di Chiaiano.
Nel 1714 le anime della parrocchia di S. Croce erano 700, di cui 456 maggiori degli anni otto e 244 di età inferiore. Il borgo principale, cioè quello di Orsolone, in cui era il luogo di S. Croce con la parrocchia, era formato da 48 nuclei familiari, di cui 169 persone agli anni otto, i cui capofamiglia erano... (segue elenco dei nomi).
Dai 700 del 1714, gli appartenenti divennero 1309, nel 1794, con un incremento di circa il doppio in ottanta anni.
Oltre al rione principale di Orsolone, in cui trovavasi compreso, S. Croce, facevano parte dello stesso i rioni di Calori, Quaranta, della Decima, delli Solli, Toscanella, Cappella Cangiani e Nazareth."
[...]
La parrocchia di S. Croce nel luogo detto Orsolone
"Nel 1646, nel luogo detto "Orsolone", esisteva un'antica cappella detta di S. Croce, che apparteneva alla Mensa Vescovile di Napoli.
Aveva un altare in pietra ben accomodato, non è dato sapere se a tribuna o meno. [...].
Della cappella avevano cura gli abitanti delle masserie vicine, e, particolarmente, Francesco Albenzio, proprietario di una di esse. Questi aveva cura di far celebrare Messa nei giorni festivi, mentre il Sacerdote Roberto Roberti, di Napoli, andava a confessare e ad insegnare dottrina cristiana.
Sotto la cappella vi era la "terrasanta" per la sepoltura dei cadaveri dei convicini. I diritti di sepoltura venivano corrisposti alla Mensa Vescovile. Dopo che Santa Croce, nel 1811, fu riunita ai Casali di Chiaiano e Polvica e fu costruito il cimitero, venivano corrisposti al Municipio. [...]
Accosto alla Cappella vi era un pezzo di terreno di mq. 333 con un albero di fichi e sei viti, su cui, nel 1704, sarà dalla Curia autorizzata la costruzione della Arciconfraternita della Beata Vergine del Rosario.
Nel seicento dipendeva, come Cappella rurale, dalla Parrocchia di S. Maria delle Grazie a Capodimonte, che il Card. Alfonso Gesualdo, aveva istituito, assieme ad altre 22 nuove parrocchie, con decreto del 13 febbraio 1597, a seguito della riforma delle circoscrizioni parrocchiali della città, per il progresso spirituale della Diocesi, dato il notevole aumento della popolazione a Napoli.
E' probabile che, in precedenza, la cappella dipendesse dalla chiesa di S. Giovanni in Porta.
Il 20 ottobre 1688, il Cardinale Antonio Pignatelli - divenuto poi nel 1693 papa con il nome di Innocenzo XII - a seguito delle istanze degli abitanti del luogo e considerata la notevole distanza da Capodimonte, che rendeva difficoltoso ai fedeli l'amministrazione dei Sacramenti, specie agli agonizzanti, decretò la erezione in parrocchia di tale cappella, sotto il titolo di S. Croce nel luogo di Orsolone.
Assieme a quella di S. Croce istituì anche la Parrocchia di Fonseca e, poco dopo, quella di S. Vitale a Fuorigrotta.
Quindi, è certo, che nel 1688, Santa Croce era già Villa o Villaggio, faceva parte dei "borghi" della città di Napoli, cioè era stata già assorbita nel territorio della città di Napoli.
E' noto che una Parrocchia non poteva essere istituita senza un beneficio o congrua (per un dignitoso sostentamento), per cui il Cardinale Pignatelli, previo breve apostolico, distaccò dalla Mensa Vescovile una rendita annua di 36 ducati sui beni dell'abolita cappella di S. Croce ai Ferri Vecchi al Pendino e l'assegnò alla Parrocchia di S. Croce. 
Tale cappella era quella del Mons. Annibale di Capua, assieme ad altre 163 - aveva abolite o distrutte, in preparazione della riforma delle circoscrizioni parrocchiali di Napoli del 1579. (Si citano delle rendite assegnate alla nuova parrocchia).
Inoltre furono assegnati in dotazione alla nuova parrocchia un quadro della S. Croce (oggi irreperibile) e un reliquario contenente un frammento della Croce di Gesù."
  

Durante la lettura dei testi, qui pubblicati, il caro lettore avrà notato le ricorrenti citazioni di tantissimi toponimi e nomi riguardanti: luoghi, strade, masserie, selve, tenimenti; un tempo usati per indicare i luoghi rimarchevoli di un territorio, a noi molto vicino, purtroppo oggi dimenticati o quasi del tutto perduti. La ricerca storica e la diffusione dei risultati raggiunti, hanno proprio questo scopo, cercare di rinvigorire la conoscenza civica, e fissare quelle radici affinchè diventino dei "caposaldi" che saranno le basi della riscoperta del territorio, soprattutto da parte dei giovani di oggi e delle future generazioni.
Salvatore Fioretto

sabato 6 aprile 2019

Qui i veterani romani coltivavano una terra generosa: Il sito archeologico del Carduino!

Il ricordo delle tante masserie sparse tra Piscinola e Marianella, in un territorio un tempo tutto coperto da una lussureggiante vegetazione, rappresenta ormai un ricordo del passato, ma è un valore storico-antropologico da tenere ben impresso nella storia di questi quartieri, a futura memora delle prossime generazioni. Le masserie erano, dunque, dei caratteri urbanistici importanti, la cui presenza caratterizzava il territorio della cinta suburbana di Napoli e rappresentano i primitivi nuclei abitativi, le prime cellule urbane e civiche, ancor prima dei celebri Casali. Questa considerazione è fondata su numerose fonti e testimonianze, sia scritte, che archeologiche e monumentali; alcune le abbiamo descritte le scorse settimane, nella pubblicazione dei cosiddetti "Atti dei Curiali e degli Scrinari" (risalenti al X secolo), ma tante sono anche le testimonianze monumentali e quelle archeologiche.
Queste ultime, in particolare, rinvenute nei decenni scorsi in diversi siti, ci danno una conferma della diffusione sul territorio, ma anche la possibilità di eseguire la lettura della loro pianta che, bisogna dire, non è mutata sostanzialmente con il trascorrere dei secoli, con le masserie cosiddette moderne. Le masserie antiche presentavano, normalmente, un certo numeri di locali e ambienti ben organizzati secondo le fasi operative che implicavano la vita agricola dell'epoca e anche in base alle colture tipiche praticate e ai costumi. Le masserie napoletane hanno quindi un retaggio più che millenario, esse risalgono, infatti, al periodo romano e forse anche pre-romano. 
Le testimonianze archeologiche fanno risalire i primi insediamenti al I sec. a.C., ma forse anche i popoli preesistenti ai Romani, i cosiddetti Popoli Italici, come gli Osci e i Sanniti, avevano in uso realizzare questi primitivi nuclei abitativi organizzati, anche se con strutture rudimentali e poco stabili.
Tuttavia sono le cosiddette ville romane (o ville rustiche), sorte in questi luoghi, a darci una descrizione esatta della struttura di una masseria antica; in particolare i resti archeologici visibili in via Tancredi Galimberti, nel quartiere di Scampia e quelli rinvenuti in via Cupa Marfella, nel quartiere di Marianella, nel tenimento chiamato del Carduino o Carderito. Altre testimonianze simili sono presenti in altri quartieri di Napoli, in particolare nel sito archeologico di Ponticelli e in quello della cittadina di Boscoreale.
Per spiegare l'origine della villa romana, dobbiamo fare un salto nella storia di due millenni circa.
Dopo la conquista romana della regione settentrionale di Neapolis, all'epoca denominata Ager Neapolitanus, operata nel corso delle campagne militari contro i Sanniti, i Romani riorganizzarono il territorio conquistato, dividendolo in tante isole ("insule"), tutte di uguali dimensioni, attraverso una ideale maglia geografica, che gli storici definiscono "Centuriazioni". Ogni insula, chiamata "Centuria", aveva una dimensione stabilita e i confini orientati secondo l'orientamento della maglia. Dobbiamo aggiungere però che le Centuriazioni romane furono diverse nel corso dei secoli, e con orientamenti diversi. Ogni "Centuria" fu quindi assegnata a un notabile cittadino romano o a un "veterano" dell'esercito romano, a ricompensa della loro fedeltà e soprattutto del servizio dato a Roma nelle varie campagne belliche.
Gli assegnatari di questi fondi e i loro eredi, con il trascorrere del tempo pensarono di organizzarli per consentire la conduzione dei terreni, quindi realizzarono dei piccoli opifici, ovvero un complesso di edifici in muratura, in struttura mista di tufo e legno, per ospitare, oltre la propria residenza, anche quella dei servi e dei fattori, nonché degli addetti ai lavori nei campi, le loro famiglie, ma anche per praticare l'allevamento del bestiame e per consentire la trasformazione e la conservazione delle derrate ricavate dai raccolti. Furono realizzate anche delle cisterne per la conservazione dell'acqua di origine piovana, data l'assenza di fonti sorgive. Alcune ville presentavano anche un piccolo ambiente termale.
Ci piace in questo post descrivere la storia del sito archeologico del Carduino, in via Cupa Marfella a Marianella, perchè riteniamo il sito archeologico più importante della zona, sia per estensione e sia per la quantità dei reperti rinvenuti, oltre perché esso risulta essere anche il sito archeologico più sfortunato, come appresso avremo modo di scrivere.
Prendiamo in prestito l'interessante articolo pubblicato sul Notiziario N.12, "Archeologia e trasformazione urbana", edito dal Commissario Straordinario per la ricostruzione post terremoto (Titolo VIII L.219/81):


“L’insediamento agricolo di Marianella

Lo scavo effettuato nella località Cupa Marfella a Marianella ha messo in luce i resti di un interessante complesso identificato con una villa rustica.
L’edificio, compreso in un rettangolo di m. 30,70 x m. 34,70, si configura con una pianta piuttosto semplice. Su tre lati di un cortile centrale si articolano tre corpi di fabbrica, quarto lato, invece, è delimitato da un semplice muro di recinzione, nel quale si apriva, verso est l’accesso principale al complesso.
Un ingresso secondario si apre nel corpo principale, ad ovest, che presenta muri in opus reticulatum, dalla fondazioni molto profonde, atte a sopportare un piano superiore. Si tratta dell’abitazione vera e propria, completata, forse, da magazzini. La distribuzione dei singoli ambienti non lascia ancora intravedere, poiché lo scavo tuttora in corso ha appena sfiorato questa zona. Si può comunque ipotizzare la presenza di quelle stanze che, secondo i precetti dell’architettura romana, dovevano usufruire della luce del pomeriggio: cucina, bagno, sala da pranzo, ecc. Ad angolo retto col corpo di abitazione si impostano due lati di larghezza inferiore.
I muri, anch’essi in reticolato, delimitano ambienti col pavimento in semplice terra battuta. L’unico ambiente finora scavato per intero comunica con il cortile centrale mediante una larga apertura. Le ali dell’edificio erano probabilmente adibite a funzioni agricole o di servizio. Davanti ad esse, dal lato del cortile, correva un portico del quale sono conservate le fondazioni.
La tecnica costruttiva così come i reperti recuperati permettono di stabilire che la fattoria fu costruita nella prima metà del I secolo d.C., impiantandosi al posto di una prima villa di età repubblicana. La zona, d’altra parte, continua ad essere frequentata in epoca tardo-antica e medioevale, come dimostrano delle ristrutturazioni limitate. L’impianto della fattoria di Marianella realizza puntualmente il modello di villa rustica tramandatoci dai trattati di architettura ed agronomia di Catone, Varrone e soprattutto, Vitruvio.
Tale fedeltà al modello vitruviano appare tanto più degna di menzione, in quanto le realizzazioni vere e proprie dell’archetipo rimangono finora poco conosciute. Si può citare in Campania la villa di Asellius, presso Boscoreale, leggermente più grande e forse un po’ più antica, nella quale, però, pare che la parte abitativa abbia investito anche le ali.
Tuttavia, l’impronta del modello si riconosce ancora nelle ville cosiddette “ad U” dall’articolazione (con molte varianti) dei loro corpi di fabbrica che abbracciano un cortile centrale. Le ville “ad U” sono assai diffuse nelle provincie dell’Impero romano. La loro funzionalità ne fa uno strumento particolarmente adatto allo sfruttamento del territorio da parte dei proprietari medi, come coloni e veterani.
I materiali recuperati dallo scavo
Vengono qui presentati alcuni dei reperti più significativi: ceramica sigillata italica di produzione napoletana, a pareti sottili e da cucina. La cosa non stupisce affatto: l’area è stata sottoposta ad un intenso dilavamento da parte delle acque pluviali, nonché a ristrutturazioni posteriori. Più abbondanti e significativi sono dunque, sia i rinvenimenti più antichi, pertinenti ad edifici anteriori e successivamente inglobati nei riempimenti che hanno rialzato il livello d’uso al momento della costruzione della villa, sia quelli più recenti, che testimoniano la continuità d’occupazione della zona anche in epoca successiva.
Tra i primi si possono citare manufatti della vicina Neapolis: moneta dell’ultima monetazione napoletana (II metà del III secoli a.C.), ceramica “Campana A” a vernice nera (III-I sec. a.C.), anfore sia locali che d’importazione. Tra i secondi, ceramica sigillata chiara A (II sec. d.C.) e alto-medievale.

Purtroppo dobbiamo aggiungere, a conclusione di questa bella pagina di storia locale, che il sito archeologico del Carduino risulta essere largamente inesplorato, perché gli scavi non furono completati durante il primitivo rinvenimento degli anni '80-'90, e persiste un grave stato di incuria e soprattutto il perenne stato di abbandono e l'impossibilità di poterlo consegnare alla fruizione pubblica, ai visitatori e agli appassionati di archeologia. Alcuni anni fa l'associazione "G.A.N.", Gruppo Archeologico Napoletano, ha cercato, con l'aiuto di volontari, alcuni addirittura provenienti da diverse parti d'Italia, di eseguire la "deforestazione" delle erbacce presenti, e principalmente dei rovi infestanti, ma il lavoro si  rilevò subito immane e praticamente impossibile da eseguire con le limitate forze e risorse disponibili. Occorre dunque che il sito archeologico del Carduino venga inserito in un impegnativo e sistematico progetto di recupero e di valorizzazione, a cura delle Istituzioni ed Enti preposti, ben consapevoli del notevole apporto che esso può dare alla cultura comunitaria, sia locale che regionale, alla valorizzazione e alla vivibilità dei quartieri interessati. Noi ci speriamo...

Per il reperimento delle notizie, che hanno consentito la realizzazione di questo post, dobbiamo ringraziare pubblicamente gli archeologi Serena Russo e Marco Giglio e tutti i soci del "Gruppo Archeologico Napoletano".

Salvatore Fioretto

Le notizie e le foto utilizzate in questo post sono state tratte da pubblicazioni datate, il loro utilizzo ha consentito la libera diffusione della cultura, senza scopi di lucro o altri fini. Tutti i diritti sono riservati agli autori.



Legenda delle foto: