sabato 24 marzo 2018

Il mondo di Susella: Pane, pallone e fantasia...


Questa settimana racconteremo uno spaccato di storia della vicinissima Miano, narrando la vita di un personaggio originario del quartiere, una donna che è stata organizzatrice di squadre sportive di calcio, a livello sia dilettantistico che di categoria, a cui hanno aderito diverse generazione di giovani sportivi di Miano: parliamo di Lucia Natale, soprannominata  "Susella".
Il testo, scritto dal giornalista dott. Antonio Valenti, è stato pubblicato due anni fa, in una rubrica speciale, sulle pagine sportive del giornale "Campania Sport", l'8 marzo 2016.
Interessante è la citazione nell'articolo di un tecnico formatore di squadre di calcio nel quartiere di Piscinola.

"La febbre del sabato sera, prima che della discoteca 2001 Odissey del film di John Travolta, nasce là in quel basso, un bigliardino, come si diceva allora, all’angolo di Vico Cotugno oggi risucchiato non dal terremoto ma dalla ricostruzione post terremoto, non dalla natura ma dalla natura dell’uomo.
Miano e lo stabilimento della Birreria Peroni in una foto aerea degli anni '60

E’ in quell’angolo scomparso di Miano che il sabato sera un gruppo di giovani si ritrovavano per preparare la gara del giorno dopo, mister Pasquale ‘o pazzo dettava la formazione e spiegava la tattica che all’epoca era “letterale e non numerica”, niente 4-4-2 o 4-4-3, tutto molto semplice: tu giochi ala destra, tu libero in difesa, insomma non si litigava con i numeri come oggi.
A litigarci con i numeri, seduta a un tavolino c’era  una signora, ma più che numeri erano gli stessi giocatori ad autotassarsi per raccogliere la somma necessaria. Lo sballo era un chinotto o una gassosa e terminato il “raduno” prepartita con le convocazioni, fatte all’improvviso tra i presenti, si tirava la sera con un tressette, una partita a flipper o a calco balilla.
Non era il mondo di Suzie Wong ma il mondo di Susella, nome, o meglio il soprannome di battaglia di un personaggio straordinario del calcio dilettantistico campano conosciutissimo da tutti i campi degli anni che vanno dal 1950 al 1970.
Il pedigree calcistico di Lucia Natale, questo il vero nome che pochi conoscevano e a nessuno interessava, lo riassunse lei stessa in un’intervista al “Campania Sport” del 23 maggio 1972: Sono nel calcio da più di vent’anni, anche se non ricordo con esattezza. Il primo campionato l’ho fatto col CSI verso il ’50, poi ho fatto quattro anni di lega giovanile e dal ’57-’58 ininterrottamente in terza categoria. L’ho vinta quattro anni fa e sono giunta varie volte seconda o terza”.
Questi i numeri dell’attività agonistica, i numeri dei ragazzi coinvolti è stupefacente: siamo sulle mille unità e il verbo “acquistare” non è mai esistito nel vocabolario di Susella, si andava là per pura e semplice passione e per divertirsi, era un mondo senza trucchi e senza inganni, che , quando crollerà, verrà sostituito da un mondo tutto trucchi e inganni, proprio in quelle zone a maggior rischio sociali, in cui molti ragazzi imboccheranno le strade del disagio.
I “Made in Sud” all’epoca erano anche i ragazzi che crescevano alla scuola del Calcio Napoli, con personaggio come Lambiase e De Nicola, allenatori e conoscitori della realtà calcistica campana, e così succedeva che avversari della Polisportiva Miano erano tali Juliano, Montefusco e Abbondanza.
Susella e alcuni atleti
L’ospedale Cardarelli all’epoca sfornava cure mediche ma anche  calciatori con una sua squadra, l’Alba Napoli di Totonno Montepiccolo e Mario Vulcano e un’industria come la Cirio aveva una squadra in serie D da cui uscì un certo Rosario Rivellino poi approdato al Napoli.
Certi sociologi attuali dovrebbero partire proprio da queste realtà, anche sportive, e dalla loro distruzione per capire la desertificazione di valori e il malessere odierno.
In questo mondo di Susella: zero acquisti e diverse cessioni, ricordava lei stessa in quell’intervista: Ho venduto parecchio. Cedetti Spanò, Riccio e Bevar al Quarto  per 400.000 lire. Un altro, Quereta, gioca in serie D.
Era il mondo di Susella, ma anche di tanti altri, come Raffaele Zazzaro a Piscinola o Corduas con la sua Freccia Azzurra a Secondigliano, che accoglievano i ragazzi e li indirizzavano su una via fatta di alcuni campioni e tanti valori che allo sport sono intrinsechi.
Questa la Susella calcistica da tutti conosciuta e sinonimo del calcio mianese, tanto che se parlavi del calcio e di Miano la domanda era sempre la stessa: Chi, Susella?
Accanto a Susella “pubblica” poi, non è che lei vivesse di pallone, c’era la Susella che puoi definire: “Pane, pallore e fantasia”.
La fantasia era, ed è ancora in molti casi, quella che ti fa mettere il piatto a tavola con una certa serenità giorno dopo giorno. Quando le donne si affacciavano al mondo del lavoro, comprese le borghesi in una scuola allora feudo incontrastato maschile, Susella è stata anticipatrice ed emancipatrice.
Quando Lourdes e Medjugorje erano di là da venire, le nostre donne, per il resto dell’anno casa e chiesa, riversavano la loro fede nella juta a Montevergine, in macchinoni addobbate con fiori ogni settembre con l’abito e lo scialle d’occasione e rincannaccate con chili di monili d’oro, all’epoca la ricchezza la potevi ostentare anche se era virtuale, perché poi, per il resto dell’anno, quell’oro prendeva spesso e volendo la via di Secondigliano, da "zì Vicienzo", l’uomo del Banco dei Pegni, così per sopravvivere.
Susella era una delle artefici e organizzatrici di tali viaggi ed ebbe un’evoluzione notevole, con lo scomparire delle macchine addobbate, passo all’organizzazione di viaggi organizzati annuali per la stessa Montevergine e Pompei e poi, in una notevole escalation, viaggi di più giorni per Assisi e Venezia e tante altre mete italiane che altrimenti sarebbero restate dolce chimera di tanti, è stata una delle inventrici del turismo popolare, un’operazione sociale non da poco conto per quei tempi.
E non finisce qui, quando non era impegnata col calcio o con i viaggi, Susella dispensava nei tanti vicoli di Miano i guanti che, provenienti dalle fabbriche della Sanità, venivano distribuiti, oggi si dice terziarizzazione, alle donne che dalla mattina alla sera, sedute alla loro macchina da cucire a pedale, il motorino avrebbe fatto il la sua comparsa negli ultimi tempi, cucivano coadiuvate da tutta la famiglia, quei guanti che poi ultimati riprendevano la via delle fabbriche con pagamento, ovviamente, a “cottimo” e una percentuale per le “distributrici”.
La Sanità brulicava di fabbriche di guanti e di scarpe, c’era un artigianato fiorentissimo che dava da campare a tutti i suoi abitanti ed addirittura esportava lavoro, certo era spesso lavoro nero e, evidentemente dei due termini uno era di troppo ed andava eliminato, infatti così è stato che dei due termini è scomparso il “lavoro” ed è rimasto “nero”."
Articolo giornalistico di Antonio Valenti

Ringraziamo il dottor Valenti per questa bella pagina di storia del nostro territorio; terra con tanti personaggi di spessore, come fu donna Susella di Miano.

domenica 11 marzo 2018

Le "Sette Madonne di Piscinola"... tra fede, folclore e pietas popolare

Immacolata della Chiesa Parrocchiale del SS. Salvatore, attribuita a F. Verzella
Si dice che la religiosità popolare è l'anima di un popolo ed è lo strumento che racchiude l'essenza di speranze, attese, affidate dagli uomini, per secoli e secoli alla fede, soprattutto nei momenti dolorosi e di bisogno della vita comunitaria. Nessuno può negare che le radici storiche del territorio napoletano sono impregnate di testimonianze monumentali e simboliche della religione, quali chiese, basiliche, ma anche semplici edicole stradali, opere che hanno caratterizzato non solo l'aspetto dei luoghi, ma addirittura l'identità antropologica e la stessa storia cittadina.
Questo legame antico, tra fede e vita comunitaria, è stato alimentato specialmente dallo strato della popolazione più povera della comunità, dagli anziani e dalle persone emarginate della società, ossia dagli ultimi e dai senza speranza, i quali, proprio in questo loro stato marginale, hanno sempre sentito il bisogno di rivolgere le proprie speranze e aspettative a una "entità superiore", capace di lenire i loro mali e lo stato di povertà, dispensando grazie e benevolenza. 
Veduta dall'alto della chiesetta della Madonna delle Grazie, prima dello sbancamento
Spesso sono stati gli eventi calamitosi della natura o anche socio-politici accaduti ad alimentare questo legame, come terremoti, eruzioni del Vesuvio, epidemie, guerre, rivoluzioni, ecc.. Singolare, ad esempio, fu il contratto stipulato dai napoletani con il loro Patrono, San Gennaro, nel gennaio del 1527, quando imperversava una devastante epidemia della peste. I rappresentanti dei sei Sedili della città (Montagna, Nilo, Capuana, Porto, Portanova e Popolo),  sottoscrissero davanti a un notaio, l'impegno, a condizione della cessazione della peste, di donare a San Gennaro un nuovo reliquario e di edificare in Suo onore una sontuosa cappella, più  ampia della precedente e ricchissima di capolavori d'arte: è quel gioiello di architettura e di arte che oggi tutti ammiriamo nella "Real Cappella del Tesoro di San Gennaro", un monumento di proprietà del popolo napoletano, esempio e vanto della napoletanità in tutto mondo.
Chiesetta di S. Maria della Pietà, particolare
Ma, al di là dei santi protettori, un posto speciale nella devozione popolare è stato sempre riservato alla Madonna, alla madre di Gesù; la quale, proprio per la sua divina maternità e per la sua natura umana, di umili origini, ha rappresentato nei secoli trascorsi il baricentro della fede cristiana e della devozione popolare più pura e autentica. Ella è stata ed è considerata una madre affettuosa e benevola che intercede presso il Figlio e il Padre per redimere il popolo; abbraccia tutti senza distinzioni, fino al più piccolo dei suoi figli. E' questo un legame forte e lo dimostrano le tante chiese, strade, piazze e monumenti, a Lei dedicati nei secoli. La stessa Cattedrale di Napoli, da tutti conosciuta per la devozione a San Gennaro, è dedicata invece alla Madonna Assunta. E' noto che la Campania è ricca di Santuari mariani che sono ogni anno meta di pellegrinaggi, con milioni di pellegrini provenienti da ogni angolo del mondo; basti pensare ai santuari di Pompei, Montevergine, Sant'Anastasia (Madonna dell'Arco) e a quelli napoletani del Carmine Maggione e del Gesù Vecchio (Madonna Bruna e Madonna di Don Placido Baccher).
Rara immagine del dipinto della Madonna delle Grazie
Questa fede ha comportato anche la nascita, nei vicoli e nelle strade dal centro cittadino, fino ai più piccoli atri dei borghi e dei casali periferici della città di Napoli, di tante edicole, di chiesette, di associazioni, di gruppi di preghiera e di comunità di devoti, tutti uniti all'insegna della devozione mariana.
Nell'antico Borgo di Piscinola questo fenomeno è risultato particolarmente rilevante ed eccezionale, infatti, pur presentando la pianta urbana ridotta di estensione (il centro antico è contenuto in un'area inferiore a un chilometro quadrato), Piscinola risulta essere ricca di tante edicole e di tante testimonianze a riguardo. Solo alcune riguardano il Santo patrono, che è il Salvatore, ma quasi tutte sono dedicate alla Madonna. 
Questo post l'abbiamo dedicato alle "Sette Madonne di Piscinola", perchè, come dimostreremo nella trattazione, seguendo il percorso stradale che racchiude il centro antico del Borgo, sono ben sette le testimonianze di opere e di monumenti mariani che sono stati qui dedicati e venerati nei secoli; alcuni ormai spenti, ma altri ancora sentiti e coltivati dalla comunità dei fedeli.
Chiesetta di S. Maria della Pietà
Partendo dalla Piazza di Piscinola (Piazza Bernardino Tafuri) e seguendo la via del Plebiscito a Piscinola, s'incontra la chiesetta dedicata alla "Madonna della Pietà". Questa piccola chiesetta, conosciuta dagli anziani come "chiesetta di San Vincenzo", forse perché, fino a qualche anno fa, al suo interno era conservata una statua di San Vincenzo Ferrer (appartenuta dall'Associazione di "San Vincenzo e Crocifisso", oggi non più esistente), invece il suo titolo è ben definito ed è quello di "Madonna della Pietà", come risulta dai testi antichi e dalla testimonianza sul restauro del monumento del 1883, riportata nei diari parrocchiali, dal parroco Luigi Russo. Nel suo interno, molto angusto per la verità, si può ancora oggi osservare un solo altare, con alla sommità un enorme affresco (molto rovinato), che raffigura proprio una Pietà, ossia la Madonna che tiene in braccio il Cristo deposto dalla croce. La cappella risulta accessibile dall'esterno con due ingressi, dei quali quello principale risulta essere murato. 
Festeggiamenti dell'Addolorata, anni '50 (foto di G. Iovine)
Essa è stata la cappella gentilizia della famiglia nobile che abitava nel vicino palazzo "Fioretto", risalente al XVII secolo: un'antica testimonianza attesta la sua esistenza già nell'anno 1746 e fa risalire la proprietà del monumento alla famiglia Giordano, duchi di Falangola, che seguirono forse quelli della nobile famiglia dei De Luna d'Aragona.
Proseguendo per via Vittorio Emanuele (in passato denominata via Risorgimento), proprio nel punto centrale della piazzetta (la vecchia piazza del Municipio), di fronte alla Chiesa del Salvatore, un tempo esisteva la sede dell'associazione "SS. Salvatore, S. Giuseppe e Addolorata". Questa Associazione risultava la fusione delle due antiche associazioni cattoliche operaie nate nel primissimi anni del 1900: quella del SS. Salvatore e quella di "Maria SS. Addolorata"
Associazione del SS. Salvatore, S. Giuseppe e Addolorata (a dx)
Quest'ultima, fondata precisamente nell'anno 1905, organizzava solenni festeggiamenti alla sua protettrice, nel giorno 15 settembre di ogni anno. Di questi trascorsi storici oggi si conserva solo l'immagine della Vergine di terracotta, che risulta essere collocata in una piccola edicola, posta alla sommità dell'ingresso della nuova sede dell'associazione "SS. Salvatore, San Giuseppe e Maria SS. Addolorata", sita in via SS. Salvatore. I festeggiamenti dell'Addolorata erano nostalgicamente ricordati dagli anziani di Piscinola, per la gran mole di fuochi pirotecnici che erano fatti esplodere durante la processione, quando veniva portata per le strade del Borgo l'antica immagine dell'Addolorata, statua che oggi si conserva nella terza cappella di sinistra della Parrocchia del SS. Salvatore. Dell'origine di questa statua al momento non abbiamo trovato nessuna testimonianza, anche se alcune tracce ci conducono ai primi anni del XVIII secolo. Un'edicola votiva dedicata all'Addolorata si trova al termine di via Napoli, luogo che, proprio per la presenza dell'immagine della Madonna, viene detto da tempo immemorabile: "For''a  fiurella", ossia "luogo dell'immagine".
Cappella de Luna e il dipinto della Madonna del Soccorso
Sulla sommita di Via V. Emanuele (detto 'O Cape 'e coppe), inglobata nel palazzo nobile della famiglia De Luna D'Aragona, (detto "Palazzo del Principino"), si ammira l'elegante e sobria "Cappella della Madonna del Soccorso" (denominata anche Madonna di Costantinopoli), con l'ingresso stradale racchiuso da un bel portale in piperno. Di questa cappella abbiamo ampiamente raccontato la sua storia e la devozione per essa nutrita dalla nobile famiglia de Luna, nel libro "Piscinola, La terra del Salvatore" e anche nelle pagine di questo blog. 
La lapide marmorea, posta sulla sommità della cappella, riporta la dedica di Don Lope de Luna alla Madonna del Soccorso, con la benedizione del cardinale Buoncompagni, avvenuta nell'anno 1640. La Madonna del Soccorso è raffigurata sull'altare interno, in un'enorme tela, nell'atto di scacciare il demonio con un bastone, mentre protegge il suo devoto. Il dipinto è un rifacimento recente che riprende le fattezze dell'antica tela, purtroppo rubata nel secolo scorso.
Chiesetta della Madonna delle grazie, dopo il restauro
Passiamo all'incrocio formato tra via Madonna della Grazie e via Napoli a Piscinola, ove troviamo la "Chiesetta della Madonna delle Grazie". E' un esempio di architettura sacra rupestre, con contorni semplici e armoniosi, costruita spontanemente dalla devozione popolare, nell'anno 1927, dopo la distruzione dell'edificio sacro più antico, che esisteva nel margine meridionale del Casale, fin dai primi anni del 1600. Anche per questa chiesetta, abbiamo dedicato in passato in questo blog diversi post, che descrivono la sua storia, la leggenda popolare della "Funzione" e le vicende dell'antica immagine della Madonna delle Grazie, anch'essa rubata. 
Nell'anno 1933 fu fondata l'associazione "Madonna delle Grazie", con sede in un locale di via del Salvatore. L'Associazione curava la festa annuale nella contrada omonima, che aveva il suo culmine nel giorno 2 luglio, con la celebre e romantica festa delle "Lampadenelle" (fatta con arcate di lumi a gas) e la rappresentazione della "Funzione". Purtroppo questa Associazione, è stata sciolta appena un anno fa.
Vico Operai, processione della Madonna di Loreto, e la cappella, foto anni '50
Nella traversa di via Napoli, che prende il nome di Vico Operai, da tempo immemorabile esisteva la chiesetta della Madonna di Loreto. Un piccolo locale inglobato nell'edificato povero della contrada, abitata dagli "operai delle terre" (da cui deriva il toponimo), ossia dai braccianti di Piscinola, che lavoravano nei campi dell'odierna Scampia, allora piana agricola di Piscinola.
Quindi gli abitanti dell'affollato vico Operai (da secoli chiamato "Appagliaro" o "Pagliaro") elessero a loro protettrice la Madonna "nera" di Loreto, facendo realizzare una bella immagine della Vergine a grandezza naturale. Nell'anno 1946 venne fondata l'associazione "Madonna de Loreto", con la sede ubicata sulla via Napoli, all'imbocco del citato vico Operai. 
Processione della Madonna de Loreto per il ritorno alla nuova sede
Purtroppo la storia di questa cappella e dell'Associazione è stata fortemente caratterizzata dalle fasi della "Ricostruzione del dopo terremoto", quando con la rimodulazione degli spazi e la progettazione delle nuove abitazioni, furono cancellati per sempre i siti della cappella e dell'associazione. Durante il protrarsi del cantiere, la statua della Vergine fu pietosamente messa a riparo nella chiesetta della Madonna delle Grazie.
Grazie alla volontà e alla tenacia degli abitanti di Piscinola, furono insistentemente chiesti e ottenuti alcuni locali appena realizzati, per ospitare degnamente questo simbolo di pietà popolare. 
Via Vecchia Miano, a dx c'era la cappella della Madonna del Carmine
Ricordiamo ancora oggi la commozione che si percepiva durante la processione guidata dal parroco dell'epoca, don Francesco Bianco, che riportava l'immagine della Madonna nel nuovo locale, dove tutt'oggi essa è conservata, ossia all'inizio del vico Operai. Durante la festa della Madonna di Loreto, che cade il 10 dicembre, viene ogni anno organizzata dai devoti e dall'Associazione (che tutt'oggi esiste), una celebrazione liturgica.
Nell'antico abitato di via Vecchia Miano (Abbascio Miano), alla sommità del vicolo, un tempo "cieco", chiamato "'a Carrara", esisteva  la cappella della Madonna del Carmine, con una bella statua in gesso, a grandezza naturale, della Madonna del Carmelo, caratterizzata dall'abito di colore marrone e beige (colori caratteristici dell'ordine carmelitano). Dalle testimonianze raccolte dagli anziani sappiamo che la statua fu fatta realizzare dall'associazione, formata verso gli anni '50 del secolo scorso, chiamata "Associazione Madonna del Carmine e di Sant'Anna".  
Sede dell'Associazione Madonna di Loreto
L'associazione ha curato i festeggiamenti nella contrada di "Abbascio Miano" per alcuni anni, ma fu subito dopo sciolta. La bella statua della Madonna del Carmine (dolce ricordo della nostra infanzia), è stata conservata nella sua cappella vetrata, fino al momento dell'apertura dei cantieri della "Ricostruzione dopoterremoto". Del suo destino, purtroppo, non abbiamo saputo nessuna notizia. Oggi, al posto della vecchia "Carrara", c'è una piccola stradina a senso unico, che collega via Vecchia Miano con via Vittorio Venero, ma nessuna traccia storica è conservata a ricordo dello storico caseggiato e della sua cappellina.
La "Settima Madonna di Piscinola" è l'Immacolata Concezione, la cui immagine la troviamo venerata nella bella cappellina situata in un angolo di via SS. Salvatore. 
Cappellina dell'Immacolata in via SS. Salvatore
Di questa cappellina, che esiste in questo luogo almeno da 50 anni, non abbiamo mai saputo la storia dell'origine e nemmeno i nomi dei benefattori che hanno provveduto alla sua edificazione. Della devozione all'Immacolata Concezione ci piace ricordare, per ultimo, l'antica immagine in legno conservata nella Parrocchia del SS. Salvatore in Piscinola: opera d'arte che è stata recentemente restaurata. Questa statua dell'Immacolata, dai colori molto vivi, di rosa e azzurro, è un'opera risalente al tardo Settecento che, secondo alcuni studiosi (dott.ri Giuseppe Roppo e Raffaele Siciliano, che qui ringraziamo), è attribuibile al maestro Francesco Verzella, scultore napoletano attivo tra la fine del '700 e gli inizi del '800, celebre per la realizzazione di tante opere di ugual soggetto, sparse per l'intero Meridione d'Italia, tra le quali la celebre statua dell'Addolorata di San Gaetano Errico, che si venera nel Santuario dei Sacri Cuori a Secondigliano.

Questo post l'abbiamo voluto dedicare ai tanti nostri anziani, quelli di ieri, che ci hanno preceduto e quelli di oggi, alle madri di ogni tempo, che hanno raccomandato alla Madre Celeste il futuro dei loro figli e quello della loro comunità, in pace e in guerra; è una dedica fatta al popolo e alla sua fede, che ha caratterizzato ogni momento della nostra storia e così speriamo sia per sempre.
Salvatore Fioretto

Processione Madonna de Loreto per il ritorno alla nuova cappella
 
Cappella e Palazzo de Luna d'Aragona (foto S. Fioretto)

domenica 25 febbraio 2018

A Bartolommeo Capasso: il "gran vegliardo" della storia antica dei Casali di Napoli



Quando, nel lontano 2013, iniziammo le pubblicazioni di “Piscinolablog”, il nostro primo pensiero fu rivolto a colui che tanto fece per la storia di Napoli e dei suoi Casali, al grande Bartolommeo Capasso. Per l'occasione prendemmo spunto da una sua celebre frase, per dedicargli questo nostro impegno culturale: “Se vuoi essere universale, parla della tua terra”. Fu una meritoria dedica al "Gran Vegliardo", come lo definì il poeta e scrittore Salvatore di Giacomo, perché, grazie alle sue erudite ricerche storiche e alle sue numerose pubblicazioni, tanto dono di notizie Egli fece alla cultura e all'umanità intera; tanto da far conoscere a tutti la storia antica della città Napoli e, con essa, quella dei suoi amenissimi Casali.
Capasso nacque a Napoli, il 22 febbraio 1815, nel quartiere Porto, da genitori originari di Frattamaggiore. 
Il padre, Francesco, era un ricco commerciante di canapa, la madre, Maria Antonia Patricelli, era casalinga, molto religiosa. Alla madre dedicò nel 1846 il saggio: Topografia Storico Archeologica della Penisola”, definendola “Raro esempio di cristiane e domestiche virtù”. Rimasto presto orfano di padre, a soli 6 anni, iniziò gli studi nel Seminario di Napoli, completati poi a Sorrento, dove si era trasferito con la famiglia, perché la madre ebbe a risposarsi con un facoltoso possidente sorrentino. Dimostratosi già in tenere età un talento nell’apprendimento, soprattutto del latino, del greco e della storia antica, era dotato di profondo acume e di spirito critico, al di fuori del suo tempo. 
A 18 anni iniziò un lungo viaggio per la penisola italiana, accompagnato da un caro amico, durante il quale ebbe modo di constatare la grave carenza della ricerca storiografica nell’Italia meridionale, già da lui evidenziata nel corso degli studi.
A 29 anni gli fu affidata da un insegnante, che lo ebbe molto a cuore, il prof. Troya, che fu fondatore della Società di Studi Storici (primo nucleo antesignano della Società di Storia Patria), la direzione del settore della Società dedicato alla ricerca e al riordinamento dei documenti riguardante il periodo aragonese, in particolare quanto concerneva la figura del re Alfonso d’Aragona "il Magnanimo". La Società durò solo tre anni, perché fu chiusa dal governo borbonico, durante i moti del 1848; anche se questo triennio fu proficuo di esperienze per il Capasso.
Bartolommeo Capasso diede vita a un nuovo metodo della studio della Napoli Antica, minuziosamente esaminata nei costumi, nelle leggi, negli usi, nella lingua e nelle costruzioni monumentali.
Egli alloggiava in una modesta casa in largo Santa Maria La Nova (fino al 1877), dove svolse un lavoro ininterrotto e incessante. Usciva solo un’ora la sera, per trascorrerla con alcuni amici, ai tavoli di un caffè. Nel 1844 pubblicò il suo primo libro: “Topografia storica archeologica della penisola sorrentina”.
Nello stesso anno sposò una ragazza diciannovenne, dalla quale ebbe tre figli, due femmine e un maschio. Purtroppo il fanciullo morì a soli cinque anni, a causa della sua costituzione debolissima.
Nel 1849 diede alle stampe: “Memorie storiche della chiesa sorrentina” e, dopo pochi mesi, il saggio “Sull’antico sito di Napoli e Palepoli”, dedicato al figlioletto scomparso.
Nel 1855 pubblicò: “La Cronaca napoletana di Ubaldo edita dal Pratilli nel 1751 ora stampata nuovamente e dimostrata una impostura del secolo scorso”.
Gli studi accurati lo portarono presto a un indebolimento della vista. Problema che si acuirà con gli anni, fino a raggiungere la completa cecità!
Intanto, con l’Unità d’Italia, poteva rivedere la luce la “Società di Studi Storici”, mentre nel 1876, insieme a Giuseppe de Blasiis, Camillo Minieri Riccio, Benedetto Croce e altri, il Capasso fondava la “Società Napoletana di Storia Patria”, della quale fu inizialmente vicepresidente e poi presidente, dal 1883 fino alla sua morte. La "Società di Storia Patria" è tutt’oggi esistente e attiva, con una pregevole e ricca biblioteca. Fondò anche la celebre rivista storica: ”Archivio storico delle Provincie napoletane”.
Nel 1881 venne pubblicato il primo volume di storia approfondito sul Ducato di Napoletano, opera che sarà considerata il suo capolavoro: “Monumenta ad Neapolitani Ducatus pertinentia quae partim nunc primum, tartim iterum typis vulgatur…”. L’opera, che raggiungerà i tre volumi, completati tra il 1885 e il 1892, fu arricchita nel 1896 con la “Carta Corografica del Ducato napoletano nel secolo XI”, che mostriamo in queste pagine, con due foto: nel particolare della mappa si possono scorgere i Casali attorno a Napoli esistenti già nell'anno mille, come Piscinola, Miano, Chiaiano, Polvica, ecc..
Altri suoi lavori furono: “Le fonti della storia delle Provincie Napoletane dal 568 al 1500”, la “Novella di Ruggiero re di Sicilia e di Puglia promulgata in greco nel 1150, con la traduzione in latino”, “Sul catalogo dei feudi e dei feudatari delle provincie napoletane sotto la dominazione normanna”, “La storia esterna delle costituzioni del regno  di Sicilia promulgate da Federico II”, il “Catalogo ragionato dei libri, registri e scritture esistenti nella sezione antica o prima serie dell’Archivio Municipale di Napoli (1387-1806)”, “L’inventario cronologico sistematico dei Registri Angioini conservati nell’Archivio di Stato di Napoli”, “Il Tasso e la sua famiglia a Sorrento”, “Masaniello”, “Napoli greco romana”… E tanti altri libri ancora….
Scriveva Sosio Capasso, autore della Biografia, da cui abbiamo attinto gran parte delle notizie: “Bartolommeo Capasso e la nuova storiografia napoletana”, ed. 1981: “Guardiamo a Bartolommeo Capasso non solo come ad uno studioso di rare capacità e di infaticabile tempra, ma altresì come al convinto assertore della necessità di un rigoroso metodo scientifico nella ricerca storica, al maestro che ha fatto e fa scuola e che individuò l’importanza della storia locale ai fini della più approfondita e sicura conoscenza di quella generale…”.
Come tutti i personaggi semplici e modesti d’animo, non ebbe velleità di gloria. Non ebbe mai incarichi di insegnamento, ma moltissime onorificenze accademiche: "Professore onorario dell’Università di Napoli", "Professore honoris causa dell’università di Heidelberg" e altre. Fu collaboratore e corrispondente di diverse riviste tedesche specializzate in storia e archeologia. 
Fu deputato di "Storia Patria" delle regioni Toscana, Umbria e Marche, nonché socio delle principali accademie italiane ed europee, tra le quali: l'Accademia dei Lincei e L'Accademia Ercolanese. Lo seguirono con passione diversi giovani collaboratori, che divennero poi autentici accademici e prosecutori della sua opera, tra questi: Carlo Luigi Torelli della provincia di Foggia, Gaetano Capasso e il figlio Carlo, quest'ultimo professore di economia dell’Università di Napoli e autore di approfonditi studi storici sulla città di Frattamaggiore.
Ritornando a Bartolommeo, nel 1882 il governo italiano gli affidò l’incarico di Soprintendente dell’Archivio di Stato di Napoli, ruolo che accettò dopo notevole insistenze.
All’Archivio di Stato egli profuse un eccezionale impegno di Archivista, contribuendo tra l’altro a dare alla luce fasci di pergamene abbandonate, collocandole divise per periodi; “Anteriori al 1806 e posteriori”, divise per organismi emittenti: Tribunale di S. Lorenzo, altri tribunali, deputazioni, ecc.
All’ottantesimo suo compleanno, che fu festeggiato da autorità e amici presso l’Archivio di Stato, pregò il marchese di Montemayor di leggere per lui le parole in ringraziamento, esprimendo pensieri di incoraggiamento ai giovani per la ricerca storica. E’ il grande Salvatore di Giacomo a ricordarcelo in un suo scritto: ”Bartolommeo Capasso compiva, in quel giorno, l’ottantesimo compleanno suo e questa produttiva, gloriosa, veneranda senilità era quella propria che raccoglieva tutti noialtri commossi, nella bella sala luminosa. Il grande maestro di tutti coloro che han fatto e van facendo cose degne di attenzione e non inutili, l’avviatore della gioventù volenterosa per la via della ricerca costante, quell’esemplare di antica bontà mescolata e immedesimata con le forme ultime dello studio esatto, sedeva al banco di presidente”.
Seppe ridare lustro alla gloria dell’antico Ducato di Napoli, alla memorie aragonesi e angioine. La sua opera storiografica fu immensa e toccò tutti i settori delle scienze storiche: topografia, archeologia, storia dell’arte, storia politica, storia letteraria..., con la pubblicazione di ben 102 libri.
L’ultimo fu il famoso testo “Napoli greco romana”, pubblicato dopo la morte dalla "Società di Storia Patria", tramandando le memorie di archeologia antica della città di Napoli, altrimenti le trasformazioni del “Risanamento” avrebbe per sempre cancellato.
Nella sua grandezza fu sempre umile, riservato, raccolto e sereno, non ricevette mai offese e calunnie, ebbe funerali semplici e modesti, come da lui stesso desiderati: “Desidero funerali modestissimi, come modestissimamente vissi. Sola pompa, l’accompagnamento dei poveri di San Gennaro ed un carro di seconda classe. Non fiori né discorsi, perché della benevolenza dei miei concittadini ho avuto troppe pruove anche superiori ai miei meriti.”... Un grande, nella sua umiltà!
Morì a Napoli, il 3 marzo 1900.
Cosi scriveva ancora su lui Salvatore Di Giacomo “…passò da una specie di dolce sfinimento al sonno eterno. O buoni poveri occhi che da un anno non vedevano più. La morte li chiuse con una carezza: il vecchio pareva che dormisse. La camera ove, sul suo semplice lettuccio, Bartolomeno Capasso, bianco bianco, immoto, pareva che fosse placidamente assopito, la camera luminosa era piena di fiori. E in mezzo ai fiori, in quella luce, sul suo candido letto, il gran vecchio onesto e giusto pareva un santo”.
A Bartolommeo Capasso dobbiamo un "grazie speciale" per averci tramandato, attraverso il suo capolavoro: “Monumentia ad Neapolitani Ducatus pertinentia ….”, le memorie antiche della nostra terra. Il contenuto di antiche pergamene e di atti rogati del periodo medioevale, che parlano della storia di Piscinola, Miano, Marianella, e di tutti i Casali del circondario, con la specificazione di molte località e toponimi antichi, senza la sua opera, sarebbero stati altrimenti del tutto dispersi e dimenticati per sempre,  specie dopo il grave danno subito con la distruzione dei "Registri della cancelleria angioina e aragonese", ad opera dei soldati tedeschi, a S. Paolo Belsito, nel 1943.
Ringraziamo riconoscenti il grande Bartolommeo Capasso, riportando una sua massima, della quale cerchiamo di far nostro tesoro: “…quali eredi del patrimonio lasciato dai nostri padri, noi abbiamo l’obbligo di custodirlo, ma anche di lavorare per far sì che questo ricco patrimonio fruttifichi…”.
Grazie di tutto, don Bartolommeo!!
Salvatore Fioretto