sabato 21 febbraio 2015

Un accademico... no, nemo propheta in patriae...! prof. Nicola Coviello



Chissà quanti studenti ed ex studenti della facoltà di Giurisprudenza, molti del nostro territorio, hanno letto e studiato i suoi numerosi e corposi tomi, eppure non l'hanno riconosciuto..., chissà quanti cultori della materia giuridica hanno apprezzato i suoi dottissimi scritti, ma non hanno avuto conoscenza della sua vita e chissà quanti altri ancora, pur avendo conosciuto la sua grandezza, non hanno mai saputo dove riposavano i suoi resti e se erano stati dedicati, in sua memoria, un largo, una stradina o un monumento...!
Questa è la bella e triste storia di un grande personaggio del Meridione d'Italia, di un grande italiano, che ha dedicato la sua pur breve vita alla cultura, all'insegnamento universitario, alla Magistratura e allo Stato Italiano, ma poco o nulla gli è stato riconosciuto in cambio, specie nella terra dove ha trascorso gli ultimi anni della sua breve vita e ivi è stato sepolto!
Parliamo dell'accademico avv. prof. Nicola Coviello.
Nicola Coviello nacque a Tolve, provincia di Potenza, il 2 marzo 1867, da genitori aviglianesi, ma si trasferì ben presto a Genzano. Il padre Domenico fu pretore molto stimato dai colleghi e dagli avvocati, per rettitudine e rigorosa applicazione della giustizia e spesso dovette cambiare residenza per gli incarichi affidatigli. Don Domenico curò l’educazione dei suoi due figli, Nicola e Leonardo, e ne fu loro maestro nelle classi ginnasiali, essendo, per il suo lavoro, costretto a vivere in paesi privi di scuole. Divise la sua vita tra l'amministrazione della giustizia e l’istruzione dei suoi figli.
La vita di Nicola Coviello è una serie continua di duri sacrifici e di nobili aspirazioni, coronate dal più ampio successo.
Egli visse continuamente a contatto con l'inseparabile fratello Leonardo, un altro insigne campione della scienza civilistica italiana, fin dall'avvio degli studi universitari, quando entrambi si trasferirono a Napoli. Lontani dalla famiglia e in una grande città, i due fratelli sperimentarono a lungo la solitudine, i duri sacrifici per lo studio, nonché le privazioni di ogni divertimento, a causa del misero stipendio del padre, che a stento riusciva a far fronte al loro mantenimento. Nicola, giovane umile, conobbe presto le ansie del suo avvenire, che allora si presentava difficile e incerto.
Da studente universitario modello, fu subito notato e apprezzato dal grande professore Emanuele Gianturco, che lo ebbe a cuore come studente e subito ne riconobbe i pregi e l'acume del suo pensiero. Gianturco ebbe modo di incoraggiarlo con la sua vibrante e paterna parola, a continuare nella strada degli studi intrapresi. Infatti presto, Nicola, assieme al fratello Leonardo, raccolse i frutti ambiti e riuscì a coronare le sue speranze.
Laureatosi in legge, nel 1888, Nicola Coviello ben presto si avviò alla professione forense; infatti, grazie alle sue attitudini e alle conoscenze delle materie giuridiche, risultò primo classificato al pubblico concorso di "Uditore", presso il Tribunale di Napoli. Ma la passione per l'insegnamento ebbe in lui subito il sopravvento e dopo soli tre mesi di impiego, presso gli uffici di Cassazione di Napoli, Coviello presentò le sue dimissioni tra lo stupore generale, specie di chi ebbe modo di stimarlo subito. Raccolse però il plauso dell'avv. Raffaele La Volpe, allora presidente della Corte Suprema, uno degli ultimi "fari" superstiti della storica magistratura napoletana, il quale si compiacque per la sua saggia e precoce decisione, di assurgere alla nobile missione dell'insegnamento.
Quando uscì dalla Magistratura, Nicola Coviello aveva appena 23 anni e subito presentò istanza per la libera docenza in Diritto Civile nella Regia Università di Napoli.
La Commissione esaminatrice, presieduta dal grande Enrico Pessina, era composta da Giuseppe Mirabelli, Emanuele Gianturco, Pasquale Fiore e Alessandro Guarracino. Tema della lezione di esame era le "Azioni di Stato". Al termine della sua appassionata ed eloquente esposizione, raccolse gli applausi fragorosi, sia dei membri della Commissione (cosa rara allora) e sia del folto uditorio, che si era spontaneamente raccolto nella sala, in gran parte composto da studenti ed insegnanti.
Così a Nicola Coviello si aprirono le porte dell’insegnamento, che insieme alla ricerca accademica, alle numerose pubblicazioni giuridiche e alla famiglia, costituirono l'unico scopo della sua vita.
La sua carriera universitaria, anche se breve, fu molto intensa e dinamica.
Dopo due anni di docenza in Diritto Civile nella Regia Università di Napoli, nel 1895, decise di spostarsi a Urbino, nella cui Università  insegnò le Istituzioni di Diritto Civile e il Diritto Civile. Nel frattempo aveva rifiutato l'offerta di insegnamento all'Università di Parma. Nel 1896, col grado di Ordinario di Diritto Civile passò all'Università di Catania, dove rimase molti anni a insegnare, pur rifiutando la cattedra offerta dall'Università di Pisa, di Diritto Ecclesiastico e, ancora, la cattedra di Diritto Civile, offerta dall’Università di Pavia.
Nelle opere e negli scritti di Nicola Coviello traspaiono non solo la profondità di cultura e di conoscenza scientifica nella materia trattata, ma soprattutto la sua umanità e la sua profondità d'animo. Era infatti persuaso che per essere un buon giurista abbisognava essere anzitutto un uomo, nel più nobile senso della parola...!
Nicola Coviello fu un lodevole esempio di giurista illuminato, di persona integerrima e anche di uomo profondamente attaccato alla famiglia e al suo credo religioso.
Disposto all’indulgenza verso gli altri, pur essendo rigido verso sé stesso, aveva un carattere umile e non fece mai pesare l’autorità della sua scienza e del suo intelletto su quanti lo conobbero. Non tollerò mai, né ricorse ad alcuno dei mezzi o sotterfugi, da molti praticati anche al suo tempo, per acquistare facilmente la notorietà, conscio come era che la vera gloria doveva derivargli unicamente dal valore delle sue opere!!
Quanti lo conobbero ebbero a testimoniare la sua perenne bontà verso tutti, che non si appannava nemmeno per le sofferenze che gli causavano il suo male. Un male che da prestissimo minò la sua giovane e preziosa esistenza. Durante le sue affollate lezioni universitarie, abbandonava l'aspetto dolente e, come si trasfigurasse, il suo volto s'illuminava per l’impeto e la passione che destava nel suo spirito l'argomento della lezione trattata e la conseguente dimostrazione dommatica. 
Portò avanti la sua missione d'insegnante e il suo dovere d’accademico fino all'ultimo momento, fino alla fine dei suoi giorni, anche quando la malferma salute gli avrebbe imposto di non uscire di casa. Non mancò a nessuna lezione dell'ultimo corso tenuto all'Università. Come pure non mancò l'affetto per la sua famiglia, per i figli e per la sua amata compagna.
Le sue opere più importanti, come "Della trascrizione", "Il manuale di diritto civile" e "Il trattato di diritto ecclesiastico", sono nate in questo periodo, malgrado la sua malferma salute; Nicola Coviello conservò in questo difficile momento sempre la più grande serenità d'animo.
Malgrado la sua eccellente preparazione civilistica, non volle mai esercitare la professione forense, pur essendosi iscritto negli Albi professionali, della Corte di Appello e della Cassazione. Visse la sua vita con il dignitoso stipendio di insegnante, senza accumulare ricchezze. Non rivendicò nemmeno agli esosi editori l'esiguità dei proventi derivanti dalla pubblicazione delle sue numerose opere.
Ma, se al lato patrimoniale dei suoi diritti di autore non tenne, ne rivendicò strenuamente il lato morale. Perciò quando un suo editore, senza il suo consenso, ristampò una delle sue più pregiate opere, colmandola di errori tipografici, Egli si rivolse ai Tribunali per la tutela del suo diritto morale, e l’opera venne giudicata contraffatta e sospesa.
Nicola Coviello scrisse opere fondamentali nell'ambito giuridico e del Diritto Civile, tra le quali vanno ricordate innanzitutto, il Manuale di diritto civile italiano: parte generale (4a ed. 1929), e i due volumi Della trascrizione (2a ed. 1914-15, rist. 1924); tra le altre monografie, sono particolarmente degne di nota La successione ne’ debiti a titolo particolare (1896); Delle successioni: parte generale (4a ed. 1935); Manuale di diritto ecclesiastico (a cura di V. Del Giudice, 1915); Del caso fortuito in rapporto all’estinzione delle obbligazioni (1896), nonché la prolusione La responsabilità senza colpa: prolusione al corso ordinario di diritto civile nella R. Università di Catania (1897). Devono ricordarsi anche i corsi monografici di Diritto Civile, come Il possesso (1904-1905), Donazione: lezioni di diritto civile (1927); Lezioni di diritto civile: le servitù (s.d.); Diritto civile: le obbligazioni (s.d.).
Numerose sono state anche le pubblicazioni e le collaborazioni offerte dal Coviello a riviste specializzate e a raccolte complete di autori vari, tra le quali (tanto per citarne alcune): lo scritto sulla "Chiesa cattolica e le disposizioni testamentarie in suo favore", apparso in un volume del 1901, per le nozze del prof. Vadalà Papale e pubblicato con qualche aggiunta nella "Giurisprudenza italiana" dello stesso anno (parte IV, pp. 327-337); lo scritto del 1904 “La massa comune dei capitoli cattedrali” e, del 1906, “La conversione della rendita rispetto agli enti ecclesiastici”, entrambi pubblicati sulla Rivista di diritto eccles. (XII, [1904], pp. 385-448 e XVI [1906], pp. 567-578); del 1909 l'articolo “Dei modi per rendere efficace la costituzione di patrimonio sacro”, stampato sugli Studi in onore di F. Ciccaglione, Catania 1909, pp. 46-62; del 1910, “L'impotenza relativa come causa d'annullamento al matrimonio" edito sulla Rivista di diritto civile (II [1910], pp. 1-15).

La mattina dell' 1 agosto 1913, forse presagendo la sua imminente fine, scrisse un’accorata lettera alla sua amata moglie, che si trovava in quel momento con i figli a Benevento, dettandole le sue ultime volontà e l’indirizzo da dare ai figli. Nel pomeriggio, poi, si chiuse nello studio della sua residenza cittadina, a San Rocco (sobborgo di Piscinola), per recitare le preghiere in suffragio del padre, del quale ricorreva in quel giorno l’anniversario della scomparsa. Verso sera, il fratello Leonardo, che si recò a salutarlo, lo trovò moribondo, col libro aperto all’ultima pagina della preghiera. Aveva solo 46 anni!
Così è morto Nicola Coviello, in maniera semplice, come aveva trascorso la sua breve vita; modesto oltre misura, uomo buono e grande, fino alla genialità. 
Ebbe funerali modesti, come aveva lasciato scritto
Solo un breve annuncio della famiglia, apparso su un giornale del mattino, ne avvisò la scomparsa.
Le maggiori riviste italiane ne dedicarono l’elogio funebre, i maggiori accademici dell'epoca avvertirono la sua perdita, come un profondo lutto per la scienza giuridica italiana.
Le uniche attestazioni civiche date a questo importante personaggio sono state quelle del Comune di Avigliano, ove visse nella sua fanciullezza, che volle a lui intestata una strada del posto e quelle dell'Università di Catania, che volle far realizzare un busto marmoreo in suo ricordo, ancora oggi visibile nei locali dell'ateneo; mentre i Comuni di Roma e di Catania gli hanno dedicato delle strade comunali.
In questo ultimo decennio la Proloco di Avigliano ha organizzato in sua memoria un concorso a tema giuridico, dal titolo "Premio Nicola e Leonardo Coviello".
Nicola Covelli fu sepolto nel cimitero comunale di Miano
La sua modesta tomba, che difficilmente un visitatore oggi riesce a scorgere, si trova abbandonata in un "anfratto" laterale al vialetto centrale del piccolo cimitero periferico, dove un'ampia e semplice lastra di marmo, appoggiata su in basamento alto poco meno di mezzo metro, reca sopra impresso il suo nome, a seguire, la data della nascita e della morte e un piccolo cenno alla sua personalità.
Nessun luogo, nessuna strada, largo o giardino pubblico di Napoli e dell'Area Nord di Napoli è stato dedicato a questo illustre figlio del Sud d'Italia, che ha trascorso gli ultimi anni della sua vita in questa parte della città di Napoli... Una gravissima mancanza...!
Ma c'è sempre tempo per rimediare alle brutture dei nostri tempi...!
Salvatore Fioretto

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martedì 10 febbraio 2015

Dove passò lo straniero...! Giovanna Altamura


Campo di grano (foto di repertorio)
Tra i personaggi che hanno contraddistinto la storia moderna del quartiere di Piscinola, oltre agli scienziati, ai predicatori, ai banchieri e ai combattenti, troviamo anche questo personaggio singolare; un personaggio apparentemente tranquillo, come ai tanti pazienti e bravi insegnanti che si sono succeduti all'insegnamento nella scuola pubblica, ma che in realtà ha dimostrato una straordinaria sensibilità d'animo, oltre che un appassionato attaccamento alla scrittura e alla vita politica e sociale della sua epoca, militando anche in diverse organizzazioni sorte nel primo dopo guerra per la pace e per il progresso dei popoli: parliamo della scrittrice ed insegnante Giovanna Altamura.
Il centro storico di Piscinola in una foto aerea del 1943
Nata a Napoli, il 15 marzo 1905, la scrittrice insegnò per molti anni nella scuola elementare “Torquato Tasso” di Piscinola e fu redattrice politica, dal 1944 al 1950, del settimanale “Rinaldo in campo”, il cui produttore fu Michele Parise.
Aveva giunonica presenza fisica, ma dotata di straordinaria capacità espressiva e di facile eloquenza, fu accostata, per aspetto, nel carattere e nel temperamento, alla scrittrice Matilde Serao.
Fu autrice, oltre che di poesie, anche di numerose commedie, collaborando in diverse rubriche letterarie.
Nel 1950, durante le elezioni amministrative di Trieste, fu invitata dalle "Medaglie d'oro" (della cosiddetta Italianissima Città), a tenervi una serie di comizi a favore del "Blocco Italiano". Si narra che, una volta, al termine di un applauditissimo comizio in piazza Vittorio Veneto, riuscì ad incitare la massa di popolo che stava seguendo il suo discorso ed a far togliere dall'obelisco di San Giusto (patrono della città di Trieste) l'emblema in ferro smaltato della "falce e martello", che l'organizzazione comunista filo-slava aveva cementato alla sua base di pietra, minacciando chiunque avesse osato solo parlarne male...!
L'edificio scolastico al momento della sua inaugurazione, anno 1929
"L'Onorevole Don Pasquale", una sua commedia dialettale segnalata alla sezione Melpomene del “Premio Napoli delle nove muse" del 1955, ebbe uno strascico in Pretura, che comunque le fu utile per pubblicizzare l'opera... La denuncia partì da un venditore di crusca e carrube dei dintorni di Napoli, poiché, a suo dire, si considerava plagiato fisicamente e moralmente da uno dei personaggi previsti nella movimentata commedia. La commedia fu rappresentata con lusinghiero successo al "Teatro del Popolo", tra i mesi di luglio e di agosto dell'anno 1956. 
Giovanna Altamura fu autrice di altre commedie, tra le quali ricordiamo: "Signorinelle d'Oggi", "Carabinieri", "Dramma alle terme"... (*)
Collaboratrice di vari giornali nazionali ed esteri, Altamura vinse diversi premi letterari. E' stata sicuramente una figura artistica di grande rilievo dell'immediato dopoguerra, purtroppo oggi ingiustamente dimenticata...
Piazza B. Tafuri, vecchio Municipio e la chiesa del SS. Salvatore
Tra le sue pubblicazioni letterarie ricordiamo:
-"La rivolta dell'umanità" e altre Novelle, ed. Castaldi Editore, anno 1964.
-"Versi per un sogno d'amore", ed. Roberto Cervo Editore.
-"Fior di giglio", ed. Castaldi Editore, anno 1953.
Foto dell'ins. Giovanna Altamura

Una delle novelle contenute nel libro "La rivolta dell'umanità", che s'intitola "Dove passò lo straniero", è stata dedicata ad una sua cara e sfortunata alunna, che lei chiamava affettuosamente Peppinella. Si tratta della dodicenne piscinolese, Giuseppina Bianco, uccisa nel 1944 per mano di un soldato sbandato, nelle campagne tra Piscinola e Mugnano, sotto gli occhi della madre e dei fratellini... Nel racconto la scrittrice riversa tutto il suo sdegno e la compassione per l'ingiusta morte della sua carissima e compianta alunna!




Dove passò lo straniero (Novella)
Dedica:

"Questa è la tua storia Giuseppina Bianco, fanciulla di Napoli mia, che preferisti la morte all’onta che ti imponeva l’immondo straniero, forte della tua mal guadagnata vittoria sulla nostra Terra. E’ la tua storia, piccola scolaretta mia, che macchiasti con il tuo sangue verginale ed innocente le bionde spighe del grano da te coltivato, e che non potè celarti e salvarti.
Forse quelle spighe arrossate, Tu le cogliesti, nel volo verso il Cielo, e le offristi, mistica simbolica Ostia, a Gesù che amavi.
Egli certo le accolse dalle tue mani monde, e ne intrecciò un serto di gloria immortale per te, piccola contadinella della mia Terra.
Ed Egli voglia che questo umile scritto, alla tua memoria dedicato, possa essere la prima pietra dell’edificio di sacra gloria, costruito al tuo nome, e che un giorno, dagli altari di tutte le chiese del mondo, il tuo volto di fanciulla, innocente e serena, possa guardare alle fanciulle di ogni terra, dando forza e conforto ai cuori, che vacillano sulle dure vie del sacrificio e della fermezza."                                       La tua maestra
Giovanna Altamura


Monumento dedicato a Giuseppina Bianco nei pressi di via A. Moro
Riportiamo l'introduzione di questa Novella, nella quale ella descrive, in modo appassionato, il quartiere di Piscinola, com'era all'epoca del racconto, con la narrazione delle tradizioni e delle abitudini dei suoi abitanti. La novella è ambientata nell'anno 1944. 
"Tre o quattro stradicciole contorte, con poche case basse allineate ai loro lati come soldatini di carta, una piazza angusta e irregolare, nella quale due chiese di fronte si guardano.
Due chiese, la Parrocchia e la Congregazione, ambedue orgogliose della solennità data ai sacri riti che vedono, come oggi tanti anni fa, la brava gente del luogo riunita, a turno, nell’una o nell’altra, a celebrare una solennità religiosa o ad implorare la pace eterna per un trapassato.
Più in là una casa bassa, un tempo Municipio, ora dipendenza comunale, e qualche botteguccia, tenuta in modo primitivo, nella quale, dalle granate alle maglie “di lana vera”, è possibile trovare di tutto.
Questo era, trent’anni fa, il piccolo paese del quale parlo, posto alla periferia di Napoli.
Poi la città, ampliandosi, se ne impossessò, ne fece una sua propaggine.
Una cartolina d'epoca nella quale sono ripresi la Piazza e l'edificio scolastico, anni '40
Oh, nemmeno un quartiere, ché con tre stradette contorte e quattro case un rione di città non si riesce a metterlo insieme.
Non aveva nemmeno un cimitero proprio suo, il piccolo paese, nulla oltre le due chiese pretenziose, e intorno tanta terra, fertile e feconda.
Il piccolo ex comune ebbe dalla città tutti gli oneri, ma essa non seppe o non poté conferirgli decoro e conforti di vita cittadina.
Restò un borgo di campagna, e la sua gente laboriosa e mite presentì che avrebbe dovuto continuare a vivere come cento e cento anni fa, seminando il grano e la canapa, coltivando i noci secolari ed i rigogliosi meli, unica fonte di vita e di benessere per tutti.
Un sol dono fece la città al piccolo paese assorbito.
Gli costruì, proprio al centro, un grandioso edificio scolastico, il più moderno ed ampio che si possa pensare, così bello da destare la gelosia e l’invidia degli altri rioni cittadini.
Quella scuola e le due chiese sono i fulcri intorno ai quali gravita ancora oggi la vita religiosa e civile del paesino, diventato appena un lembo d’uno dei rioni estremi della città.
E che feste meravigliose che vi fanno!
Ogni occasione è buona, ogni ricorrenza dà lo spunto per una festa, così come ogni fine di anno scolastico vede tutta la popolazione raccolta nell’ampio cortile-palestra della scuola, intitolata al cantor della Gerusalemme, intorno ai bimbi, che con movenze aggraziate eseguono i più complicati esercizi ginnico-sportivi, volteggiano o recitano da ballerini ed attori provetti, o cantano, con voci intonate ed aggraziate, gli inni della Patria." 

[...]

Corpo docenti della "T. Tasso" durante un Saggio di fine Anno, 1957. Tra essi potrebbe essere stata presente G. Altamura
"Gente semplice e buona quella che vive nel piccolo borgo, al quale la grande città non ha saputo o potuto dare conforto e decoro di vita cittadina.
Gente che conserva le secolari abitudini della campagna nostrana: La benedizione degli animali domestici e di fatica per Sant’Antonio Abate, la cura del grano tenero, cresciuto al buio perché diventi paglierino, che si offre al Sepolcro e si conserva poi con cura devota, per spargerlo al vento quando minaccia tempesta, l'offerta delle primizie alla chiesa, la benedizione delle spighe all’Ascensione.  
Oh, le cerimonie nuziali! Quel matrimonio celebrato “a rate” prima con i due sposi ed i soli genitori, senza abiti belli, poi, magari due o tre anni dopo, il tempo cioè per lo sposo di provvedere all’ammobigliamento della casa nuova e per la sposa di fare il corredo, e ancora tutti in chiesa, la sposa in bianco, con strascico e velo, lo sposo impettito, in abiti molto spesso presi in fitto per l’occasione, e il lungo corteo di parenti ed amici che, seguendo gli sposi si dirige in chiesa, dov’è radunato tutto il paese, perché tutti devono sapere e vedere che la sposa ha, dopo tanto tempo, il diritto di accostarsi in abito bianco all’altare, là dove il Parroco in persona dà la benedizione alla nuova coppia, auspicando ad essa vita lunga e feconda progenie.
Poi il corteo si snoda di nuovo per tutto il paese, e si dirige alla casa nuova, lustra ed ornata, dove la sposa viene fatta sedere al centro, con lo sposo a fianco, e tutti passano dinanzi ad essi, fanno i loro auguri e depositano, nel grembo della sposa, l’offerta nuziale. 
Gente serena e semplice che vive di fatica dura e feconda!"

Scorcio dell'edificio scolastico "T. Tasso", anno 1978
La novella continua, poi, con la narrazione della vita di Giuseppina Bianco e termina con la tragedia della sua uccisione. 
Dedicheremo a quell'episodio cruento del 1944 un post intero, nel prossimo futuro, riportando altri brani di questa novella.
Purtroppo il risultato delle nostre ricerche sulla vita e sulle opere di questo importante personaggio della storia di Piscinola moderna si fermano a queste notizie, non conosciamo altre sue opere scritte e pubblicate e non sappiamo come Giovanna Altamura abbia trascorso il resto della sua impegnatissima e fruttuosa esistenza.
Salvatore Fioretto

(Tutti i diritti per la pubblicazione dei testi del blog sono riservati all'autore, ai sensi della legislazione vigente)

(*) Alcune notizie contenute in questo post sono state attinte da “Acene D'oro”- di Salvatore Maturanzo- Ed. La Floridiana - 1956 - Napoli.

Via V. Emanuele con l'edificio scolastico, e il vecchio Municipio. Elab. grafica da una foto di Dario De Simone

N.B.: Le foto riportate in questo post sono state liberamente ricavate da alcuni siti web, ove erano pubblicate. Esse sono state inserite in questa pagina di storia della città, unicamente per la libera divulgazione della cultura, senza alcun secondo fine o scopo di lucro.