sabato 3 ottobre 2015

I commercianti e gli ambulanti di Piscinola, di Luigi Sica, III^ parte

La tabaccheria di don Antonio e donna Idarella


Da bambino notavo la piazza di Piscinola animarsi in alcuni orari del giorno e solo negli anni capii che l’animazione dipendeva direttamente dai "flussi umani", che ogni giorno si ripetevano cadenzati nel tempo, iniziando all’alba, per terminare a tarda ora della sera. 
Piazza Municipio (oggi piazza B. Tafuri) e il negozio di
"Sali e Tabacchi" (particolare da una cartolina anni '30)
Questi "flussi" erano distinti e identificabili da rumori, vocii, grida, richiami, passi, colpi di tosse, chiacchiericci, suoni amplificati, che riuscivano a interrompere la quiete del Villaggio. Ma non erano i soli...
I rintocchi della campanella dell'orologio del campanile, che segnavano "i quarti" delle ventiquattro ore, li sentivamo tutti, ma io udivo nel contempo qualcos'altro... qualcosa come sospeso tra il reale e il surreale... un sibilo, un fischio lungo e armonicamente modulato, che coincideva esattamente con il momento in cui l’aurora si faceva alba e dalla Piazza si vedeva il cielo esattamente diviso in due parti: il rosa montante a est, il mio "tramonto della notte", e il blu declinante a ovest, che chiamavo "il sorgere della sera"... Era quella una breve eternità, che mi lasciava sospeso su quella sorta di fischio e sopra le nebbioline di campagna; un attimo che indugiava a specchiarsi sulle gocce di diamanti che prendevano il colore del cielo, diventando miliardi di rubini o turchesi appesi alle foglie degli alberi, oppure un tappeto di brina, aghi di ghiaccio, che variavano di colore più lentamente... 
Un sogno...!
Mostrino della elettromotrice AdB Breda, della ferrovia "Napoli-Piedimonte d'Alife"
Appurai, poi, con un po' di delusione, che il fischio lo emetteva Vicienz''o frascaiuolo ed io, allora bambino, pensavo che doveva essere proprio il primo piscinolese a svegliarsi al mattino; subito dopo udivo lo sferragliare del primo treno della Piedimonte e quasi simultaneamente aprivano i loro battenti, la tabaccheria, le salumerie e la chiesa. In seguito si udiva lo stridio delle ruote dei carri e un battere di zoccoli di animali sul lastricato stradale in basalto e, infine, restavano i rintocchi della campanella e lo sferragliare sui binari del treno in frenata, insieme al suono della trombetta del capotreno, che ne annunciava la successiva partenza.
Il primo "flusso" mattutino era rappresentato dai contadini, che utilizzando carrette e traini, si recavano in campagna, spesso sostando nella Piazza, davanti alla tabaccheria, per comprare sigarette sciolte o a pacchetti: Nazionali, Alfa, Africa, Esportazione, Giubek, Aurora, ma anche sigari toscani, che sceglievano dal pacco azzurro con molta calma e perizia, mentre consumavano una presa d’anice. Dopo la sosta, proseguivano verso le loro mete, prendendo diverse direzioni. 
Cartolina anni '30 della Piazza Municipio (a sinistra si vede il negozio di "Sali e Tabacchi")
Intorno alle sei c’era un secondo "flusso", quello di operai e di impiegati che prendevano la Piedimonte per giungere al loro posto di lavoro nella parte orientale di Napoli, seguito da un piccolo "flusso" di vecchie "nerovestite", che partecipavano alla prima messa; verso le sette, un altro "flusso" si recava in via Vittorio Veneto per prendere il tram n.38 e andare in centro. Don Antonio 'o parulano tornava alla stessa ora dal mercato con la carretta colma di frutta e verdura e la moglie, donna Francesca, lo aiutava a sistemarla sui banchetti. Le ceste e le sporte erano esposte in posizione inclinata, mettendo in bella mostra la frutta e la verdura migliore (detta l'accoppatura); una volta terminati questi metodici preliminari, i due commercianti iniziavano a dare le loro voci caratteristiche di richiamo, tipo: "ccà stann’'e cumpagne voste cocozzié", "'a tenghe nera nera 'a mulignana!"...
Mappa La Campagna Felice meridionale, di D. Spina - 1761
Intorno alle ore otto aprivano i battenti anche la farmacia, l'ufficio postale, la cantina, gli uffici dell'anagrafe del Municipio e della Condotta Medica. Mezz’ora dopo iniziava il "flusso" dei vecchietti, alcuni dei quali si sistemavano a sedere sull'uscio dell’Associazione della Madonna Addolorata, mentre altri, su quello del Partito Comunista Italiano: vecchi in pensione, che fumavano sigari toscani, "scaracchiando" a destra e a manca.
Poi c’era il "flusso" delle donne che andavano a fare le commissioni e le compere e rientravano a casa per rassettare e cucinare, infine c’era il "flusso" delle mamme, che prelevavano i figli dall'androne della scuola Tasso, per condurli a casa, prassi che coincideva con la ritirata dei vecchi per il pranzo. Questi ultimi "flussi" erano però meno affollati.
Scuola T. Tasso e la piazza prospiciente; sul muro
il murales di Felice Pignataro (foto tratta dal Web)
Intorno alle ore quattordici c’era il "flusso" che io chiamavo "del rientro giornaliero", di coloro che erano andati al lavoro in tram e, alle diciassette, di quelli che si erano serviti della Piedimonte; altri "flussi" erano formati da coloro che si recavano in chiesa, per partecipare alla recita dei Vespri e da quelli che partecipavano alle riunioni nelle sedi dei vari partiti (partito Monarchico, nel Palazzo Chiarolanza, Democrazia Cristiana, in Via V. Veneto e Partito Comunista Italiano, sempre in Piazza Tafuri). 
C'erano poi i contadini, che uscivano da casa sul far della sera e si recavano nelle sedi delle varie associazioni oppure ai vari bar del territorio: Abbatiello, Ciancio o Ronga, a questi poi si aggiunse il bar Scopato e lì discutevano animosamente tra loro. 
Con i miei pochi amici dell'epoca non avevamo abitudini fisse, allora eravamo scolari un po' svogliati, sempre in giro a giocare: eravamo i "padroni" della Piazza e delle campagne...!
Piazza Municipio e la chiesa,
oggi Piazza B. Tafuri (foto S. Fioretto)
Parlandone con l’amico d'infanzia, Bruno, che mi raggira chiamandomi "profeta", sull'argomento di chi fosse in quel periodo il primo piscinolese a levarsi ogni mattina, ci siamo "imbeccati", ascrivendo il primato alle rispettive mamme, entrambe commercianti, la prima salumiera e panettiera, la seconda tabaccaia.
Bruno, a ragione, sostiene che il panettiere veglia tutta la notte, mentre io ribatto che, se sua madre era salumiera e proprietaria del forno, non era la fornaia, diversamente donna Idarella, facendo la tabaccaia, riceveva la prima clientela, che erano proprio i contadini che andavano nella campagne di Scampia (for'’a terra), già alle quattro del mattino! Invece i primi clienti della salumeria erano le massaie, che solo di buon’ora s’accingevano a fare compere per preparare i vari pranzi, quello del mezzodì e la cena o quello delle feste e delle ricorrenze straordinarie, come il cuonzolo (il termine credo che derivi dal pranzo di consolazione, che era tradizionalmente preparato in occasioni luttuose e offerto a parenti e amici colpiti dal lutto).
Campanile orologio della chiesa del 
SS. Salvatore ripreso dalla
Villa M. Musella (Foto S. Fioretto, 2004)
Putroppo io e Bruno non siamo giunti a una conclusione univoca, ma pensandoci bene, piaccia o no a lui, ritengo che i primi a levarsi la mattina fossero proprio i contadini, forse il capostazione della Piedimonte o il sagrestano o lo stesso parroco o le sue perpetue o qualche incognito e "scornoso" lupermenare (lupo mannaro) sofferente d’asma e "affamato" d’aria fresca.
I tabaccai sono stati mio padre e mia madre, don Antonio e donna Idarella, che fin dal lontano 1927, esercivano l’attività in Piscinola, nella allora piazza Municipio, dove oggi c’è un rivendita di articoli sanitari, proprio a lato dell'attuale sede del Circolo dei Cacciatori.
Oltre ai tabacchi, sale grosso e sale fino, Chinino di Stato, francobolli, marche e carte da bollo dei Monopoli, essi vendevano ogni genere di derrate: zucchero, caffè, caramelle, biscotti, alcol (spirito fine), anice, cartoleria, profumeria e merceria varia, ma anche saponi, lisciva, varechina, acido muriatico, bacchette di zolfo, carte moschicide ed il famigerato "DDT", che noi chiamavamo "‘ o flitto", e tante altre cose ancora...
Luigi Sica


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N.B.: Le foto riportate in questo post sono state liberamente ricavate da alcuni siti web, ove erano pubblicate. Esse sono state inserite in questa pagina di storia della città, unicamente per la libera divulgazione della cultura, senza alcun secondo fine o scopo di lucro.

sabato 26 settembre 2015

Un ricordo d'argento per il più napoletano tra i napoletani....


Un tempo, quando era l'unico napoletano certo ad essere stato acclamato santo, si usava per indicarlo proferire il detto: "Il più santo tra i napoletani e il più napoletano tra i santi", ebbene Sant'Alfonso ha un altro primato imbattuto, è stato il santo ad essere nominato compatrono della città di Napoli in tempo rapidissimo, avvenne infatti l'anno seguente alla sua canonizzazione, nel 1840.
Potrebbe apparire una notizia inverosimile, ma chi promosse e incoraggiò questo riconoscimento fu proprio il Comune di Napoli, nella persona del sindaco dell'epoca, il duca Nazario Sanfelice, il quale, oltre a fornire un cospicuo contributo per le spese occorrenti al processo canonico, a canonizzazione avvenuta, si fece carico, come capo dell'amministrazione comunale, di realizzare una pesante statua d'argento con l'immagine del santo, cesellata e abbellita con gemme, per essere depositata nella Cappella del Tesoro di San Gennaro, secondo l'antichissima tradizione napoletana. 
Il mensile "S. Alfonso"
Tradizione antica questa, che dal lontano XVI secolo ha visto aumentare fino ad oggi in maniera rilevante il numero dei santi compatroni della città, scelte spesso scaturite dalla crescente richiesta di protezione contro le numerose calamità e necessità materiali che affliggevano il popolo, ma anche per una sorta di prestigio tra le famiglie nobili o tra le confraternite e gli ordini monastici a cui un dato santo era legato. Nessuna città al mondo ha quindi un così alto numero di santi protettori: ad oggi i santi compatroni della città assommano a ben cinquantatré, con le rispettive statue d'argento conservate nella splendida Cappella interna al Duomo e portate in processione nel mese di maggio (dal conto sono esclusi San Gennaro e l'Immacolata); l'ultima ad essere ammessa è stata santa Giovanna Antida Thouret, alcuni anni fa.
La statua di Sant'Alfonso fu fusa e cesellata dal famoso argentiere napoletano Gennaro Russo, maestro attivo tra il 1832 e il 1860, che fu autore di molte opere d'arte in argento, oltre ai busti di santi anche di artistici ostensori e di altri oggetti sacri, conservati in tutta la Regione, da Salerno all'isola d'Ischia. C'è da precisare che il panneggio della statua di Sant'Alfonso è in lamina d'argento incisa a sbalzo, mentre la testa e le mani sono ottenute per fusione, da stampo.
 
Ecco una sintesi della storia dell'evento, raccolta da un articolo pubblicato nel periodico mensile: "Sant'Alfonso", dal titolo "Sant'Alfonso compatrono di Napoli", scritto da Oreste Gregorio:

Statua d'argento di Sant'Alfonso nella Real Cappella del Tesoro di S. Gennaro
"Nel giugno del 1839, appena pochi giorni dopo la canonizzazione proclamata dal Papa Gregorio XVI, il Rev.mo Rettore Maggiore dei Missionari Redentoristi p. Camillo Ripoli (m. 1850), indirizzava al Sindaco di Napoli una lettera in cui esponeva: «Avendo l'altissimo Iddio Sublimato agli onori di essere ascritto nel catalogo de' Santi il B. Alfonso M. de Liguori, vescovo di Sant'Agata de' 'Goti, fondatore della suddetta Congregazione, ed essendo lo stesso Santo cittadino napoletano, ascritto alla prima nobiltà di questa città di Napoli, ed avendo nella città stessa sparsi non pochi sudori per la santità delle anime, ed ora ch'è nel cielo vieppiù ha mostrato la sua benefica protezione ad ottenere a pro di essa grazie senza numero. A renderlo maggiormente propizio al bene spirituale e temporale de' suoi amati concittadini, si brama da tutti i ceti di persone, di renderlo dichiarato Compatrono di questa fedelissima città. E perché ad ottenersi dalla Santa Sede, e dal Re nostro Signore una tale grazia da tutti ardentemente bramata, si richiede prima il voto della città in corpo riunita, perciò il supplicante prega le Signorie loro Eccellentissime volersi benignare di accedere alle ritualità a tal uopo necessarie». 
Il 2 luglio in un'adunanza municipale il Sindaco Nazario Sanfelice, Duca di Bagnoli, presentò la mozione «Se sant'Alfonso de Liguori appartener debba o no alla classe de' santi Patroni».
La discussione civica fu brevissima: nessuno sollevò opposizione.
Immagine di Sant'Alfonso nel convento di Marianella
La proposta accolta con deferenza venne approvata con unanimità di suffragi. Non consta se nel dibattito affiorò il concetto che il Santo nella prima metà del Settecento era stato per un decennio un loro collega quale membro della pubblica amministrazione.
I Decurioni stimando un onore grande per Napoli la santifìcazione di un sì illustre concittadino, deliberarono «dichiararsi sant'Alfonso de Liguori Padrone della città» con l'offerta di 60 ducati annui nella consegna della sua statua alla real cappella di san Gennaro.
Il 23 marzo del 1840 il predetto Sindaco per sollecitare la pratica avviata notificava alla Deputazione del Tesoro di San Gennaro il regio rescritto ricevuto dall'Intendente della Provincia di Napoli: «Sulle premure di Mons. Arcivescovo di Patrasso che a nome della Congregazione del SS. Redentore chiedeva che sant'Alfonso de Liguori fondatore dell'anzidetta Congregazione fosse annoverato fra i santi Patroni di questa città, Sua Maestà nel consiglio ordinario di Stato de' 2 correnti si è degnato impartirvi la sua approvazione. Nel real nome glielo partecipo per l'uso di risulta. Napoli 4 marzo 1840. N. Santangelo».
La piazza di Marianella e il convento con la casa Natale di Sant'Alfonso
Il Card. Arcivescovo Filippo Giudice Caracciolo, esaurite le pratiche preliminari, otteneva il 18 maggio l'assenso del Papa Gregorio XVI sopra la scelta di sant'Alfonso come Patrono.
Previa una deliberazione del 19 luglio, il Sindaco Sanfelice si recava con i componenti del Decurionato al palazzo arcivescovile per concordare le formalità consuete e coronare col rito religioso l'attesa della cittadinanza.Il 8 agosto l'Em.mo Caracciolo comunicava al Presidente della Cappella del tesoro di san Gennaro: «Dovendo aver luogo nel dì 24 del corrente mese la processione dei glorioso sant'Alfonso M. de Liguoro già dichiarato Protettore di questa città giusto il rescritto pontificio del 18 maggio corrente anno ho l'onore riferirle in riscontro al suo foglio del 13 dell'andante che in quanto al trasferimento della statua dalla propria chiesa nella cappella di san Gennaro io approvo, e do il mio consenso a quanto si desidera disporre da cotesta real Deputazione; serbandosi però lo stesso metodo che fu praticato negli anni scorsi per gl'ultimi Santi eletti a Padroni, senza veruna menoma alterazione. La prevengo intervenire anch'io in detto accompagnamento fin dentro al tesoro.
Sant'Alfonso in età giovanile, dipinto celebrativo
Per lo invito fatto agl'Ill.mi e Rev.mi canonici, i medesimi lo gradiranno volentieri per la straordinaria festività».
La processione, come raccontano i cronisti coevi, si snodò in stile sontuoso dalla chiesa di Sant'Antonio a Tarsia, officiata dai Padri Redentoristi, con larga partecipazione di autorità religiose e civili, con squadroni di cavalleria e fanteria e con musica militare.
Attraversate le principali strade, assiepate di popolo festante, raggiunse la cattedrale. I cerimonieri metropolitani registrarono la data della ratifica dell'istrumento avvenuta il 24 agosto 1840: «Sant'Alfonso M. de Liguori dichiarato Compatrono di Napoli. Solenne processione con la partecipazione della nobiltà, delle autorità militari e di molto popolo. Sua Eminenza in duomo: firma l'istrumento alla presenza dell'Ecc.mo corpo di città. La statua entra nella cappella di san Gennaro».
[...]
Per tal via il 24 agosto 1840 sant'Alfonso nel suo busto argenteo entrò nel consesso dei Patroni raccolti nella prodigiosa Cappella di San Gennaro, meta tuttora dei pellegrini di ogni nazione. 
[...]
Nella settimana nazionale di aggiornamento pastorale svolta a Pompei nel 1959 l'Em.mo Card. Castaldo, fragrante di amore per sant'Alfonso, lo propose all'assemblea quale Patrono del centro di orientamento: i congressisti vi aderirono con cordiali applausi, sapendo con quale intensa azione il Liguori visse le sue 4700 giornate episcopali e fece della piccola circoscrizione ecclesiastica di Sant'Agata dei Goti una diocesi pilota. 
La statua d'argento portata in processione a Santa Chiara
Né sfuggì ai napoletani il bicentenario della promozione di sant'Alfonso a vescovo (1762-1962): gli dedicarono una campana del tempio mariano di Capodimonte e una settimana liturgica nella parrocchia dei Vergini, dov'era stato battezzato.
[...]
Per la ricorrenza del I centenario della morte del Liguori (1 agosto 1887) il menzionato Cardinale con un avviso stampato mobilitò tutti i napoletani ad interrompere il lavoro e a recitare tre Gloria Patri, mentre le campane annunziavano il mezzodì. Nel 1896 volle essere presente col Sindaco di Napoli a Marianella, dove si festeggiava il II centenario della nascita del Santo; scoprì la lapide marmorea murata sulla facciata della nuova chiesa. In quella occasione compose un affettuoso epigramma: «Ast ego, qui Alphonso devotus gloriar esse, - quosquqe simul patriae foedere iungit amor, - plectrum tango libens, indoctaque carmina pango, - sunt animi grati quae monumenta mei». 
[...]
Scena della predizione della santità di Alfonso, da parte di San Francesco Geronimo
(Dipinto conservato nella cappella del convento di Marianella)

 Conclusione:
Il Card. Alfonso Capecelatro, uno dei biografi più celebrati del Santo, il 19 giugno 1896 scriveva ai giovani di un circolo romano: «Io credo che voi, studiando profondamente, come solete fare, le storie del reame di Napoli nel secolo XVIII, ci troverete dentro, benché gli scrittori non lo nominino, assai spesso Alfonso de Liguori, e l'efficacia grande della sua pietà, della sua dottrina, de' suoi libri e del suo apostolato non solo religioso, ma altresì civile. Soprattutto troverete il Liguori, fiammeggiante d'amore fraterno, sempre a lato del popolo minuto, che lo consola, lo istruisce, lo mansuefà, lo rende migliore, lo eleva a pensieri e desideri nobilissimi. Nelle strette attinenze tra il Liguori e il popolo napoletano noi potremmo leggere chiaramente la natura particolare di questo popolo tanto immaginoso, scioperatamente lieto, acuto nel giudicare, e ricco di fede, di cuore e di bonomia. Il popolo napoletano tenne sempre sant'Alfonso come un amico suo dilettissimo, e quasi come un altro popolano» .
[...] 
Salvatore Fioretto


In occasione della ricorrenza del giorno natale in terra di Sant'Alfonso M. de Liguori, che avvenne a Marianella, il 27 settembre 1696, la redazione di Piscinolablog porge gli auguri a tutta Marianella e all'intero territorio dell'Area Nord di Napoli.


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