venerdì 6 marzo 2015

Ciaurri, Ciaurrielli e Conocchie, le antiche testimonianze del passato...!


Il recupero e la salvaguarda delle strutture antiche presenti nel territorio costituiscono i principi fondamentali della cultura, che concorre altresì a promuovere la conoscenza e la fruizione pubblica, quali testimonianze di “storia vivente” di un popolo!
Stampa ottocentesca, con il mausoleo de "La Conocchia" (Napoli)
Pur tra distruzioni, modifiche e depauperazioni, intervenute nel corso dei secoli, l'area a nord di Napoli conserva ancora diverse e importanti testimonianze del mondo romano, che sono sopravvissute fino ai nostri giorni, anche se in molti casi in condizioni non proprio eccellenti. La loro significativa presenza è il risultato di una complessa stratificazione storica, subita dal territorio, che risulta essere stato “antropizzato” prima dagli Osci e, poi, più incisivamente, con l’avvento romano, quando furono realizzati insediamenti più o meno stabili e diffusi. Il processo di popolamento, quindi, ha favorito lo svolgersi delle attività umane e contestualmente l’edificazione di variegati manufatti architettonici: a uso pubblico e privato. Oltre ai reperti archeologici riconducibili alle ville rustiche romane (ad esempio a Scampia, a Marianella (Carduino), a Calvizzano, ecc.), oltre agli edifici pubblici più o meno articolati (cisterne, acquedotto augusteo, ecc.), oltre alle strade, molte ancora presenti e utilizzate (via Consolare Campana, via Antiniana, strada dello Scudillo, via Antica Chiaiano, ecc.), troviamo anche diversi monumenti funerari, che sono sopravvissuti fino ai nostri giorni, sparsi in quelle che furono le campagne ed i fondi rustici di un tempo. Complici della conservazione sono stati i contadini e i conduttori dei fondi, i quali, adattando queste strutture ai vari usi agricoli, come forni, depositi di derrate, cantine e altri utilizzi, ne hanno favorito la conservazione.
Sezione del "Ciaurro" di Marano (ricostruzione)
Singolari risultano essere quelle strutture architettoniche adibite alla custodia delle urne cinerarie di alcuni membri di famiglie notabili del posto o anche di soldati di alto grado; quest'ultimi morti in prossimità del sito di edificazione. Parliamo dei "mausolei cinerari", che potevano avere forme e collocazioni diverse, dipendenti principalmente dal periodo della loro costruzione e dal ceto delle famiglie committenti; ma le sepolture più evidenti sono quelle cosiddette ad “Edicola”, ossia quei mausolei con sviluppo prevalente in altezza, terminanti quasi sempre con una "cuspide". Forse in Campania troviamo la più alta concentrazione di questi tipi di sepolture, almeno per quanto è sopravvissuto fino ad oggi; infatti nella sola provincia di Napoli troviamo ben sette testimonianze di queste tipologie di mausolei: ben quattro nella sola area della periferia nord di Napoli: quali i mausolei dei Colli Aminei, di Mugnano, di Quarto e di Marano (e forse di Chiaiano). Ma se ci spostiamo verso le province di Caserta e di Avellino, troviamo altre strutture interessanti, della stessa tipologia. 
Con il trascorrere dei secoli alcuni di questi monumenti sono stati identificati dalla popolazione con dei toponimi molto singolari, come: "Conocchia, "Ciaurro", “Torricello”, “Fescina”, ecc... Si suppone che questi mausolei, edificati tra il I secolo a.C e il II secolo d.C., siano stati costruiti in adiacenza a delle ville rustiche romane oppure lungo lo sviluppo di importanti assi stradali extraurbani (come avvenuto, ad esempio, lungo la via Appia, a Roma e la via dei Sepolcri, a Pompei).


I termini “Ciaurro” e "Conocchia"

Mappa ottocentesca, con evidenziata la Conocchia allo Scudillo
Come evidenziato da G. Barbarulo, la denominazione Conocchia deriverebbe dal latino medievale Conuccla, che significherebbe letteralmente “rocca” (attrezzo per filare); probabilmente il termine, in uso fin dal Medioevo, è stato utilizzato per denotare la particolare forma geometrica del manufatto edile, a forma di “fuso”, e quindi per  indicare una certa tipologia di mausolei detti “a edicola” o “a cuspide”, la cui forma affusolata ricordava quella dello strumento tessile. Il termine di Ciaurro, invece, secondo alcuni storici, deriverebbe dall’arabo Tdjiaurr, che significa “Luogo degli infedeli”; anche questo termine potrebbe essere stato conferito dagli antichi abitanti del posto per indicare l’inconsueta pratica di conservare le ceneri dei defunti in queste strutture, dopo averli bruciati; usanza che era ritenuta, con disprezzo, non consona al rito cristiano della inumazione, a quel tempo largamente esteso.
Il Mausoleo “La Conocchia”

La rivista "Napoli Nobilissima" diretta da Roberto Pane
La Conocchia era situato presso i Colli Aminei, lungo l'antico percorso della salita dello Scudillo, ubicato in posizione sopraelevata rispetto alla sede stradale. L'imponente struttura, che era stata ridotta a stalla, venne barbaramente distrutta nel 1965, nel corso dei lavori di sbancamenti nella zona, finalizzati alla realizzazione di un progetto di lottizzazione, poi non portato a termine. Purtroppo il monumento non era stato sottoposto fino a quel momento al vincolo archeologico e quindi la sua demolizione non costituì un reato punibile.
Nel Medioevo il mausoleo napoletano diede il nome alla zona, che si disse "ad illa Conuccla", tale toponimo subì una degradazione nei secoli, per diventare “la Conocchia”. Durante l'epoca del Grand Tour, tra il XVII e il XIX secolo, il mausoleo della Conocchia comparve in numerose guide turistiche, fu riprodotto in diverse vedute panoramiche della città, e fu anche preso in riferimento per indicare il punto di osservazione di alcuni dipinti celebri, che ritraevano la classica veduta di Napoli con il Vesuvio sullo sfondo. Solo agli inizi del XX secolo il mausoleo della Conocchia fu al centro di seri studi archeologici. Negli anni '50 apparve in vari libri specializzati sull'architettura romana sepolcrale, in particolare nella guida “Mausolei romani in Campania”.
Una foto della "Conocchia" ai Colli Aminei (Napoli)
Ecco quanto denunciava, cinquanta anni fa, lo storico dell’architettura Roberto Pane, nella celebre rivista da lui fondata e diretta (nella terza serie) "Napoli Nobilissima" (ediz. marzo-aprile del 1965, fasc. V e VI):
"È accaduto a Napoli, nel mese di aprile, un fatto che anche il più immaginoso pessimista non sarebbe stato capace di prevedere, e cioè la demolizione pura e semplice e quindi la totale scomparsa di un monumento insigne: il mausoleo romano dello Scudillo, comunemente noto con il nome di Conocchia.
Assolvo il compito di darne circostanziata notizia in questa rubrica anche perché il fatto è stato reso pubblico esclusivamente da un comunicato di Italia Nostra, e, malgrado la sua eccezionale gravità, non ha suscitato sinora alcun commento ma solo un curioso equivoco. Infatti, essendo, con lo stesso nome, indicata una scuola dei Gesuiti in prossimità della zona in cui sorgeva il monumento, si è ritenuto che l'edificio demolito non fosse il mausoleo ma la scuola stessa, e si è quindi concluso che essa non era poi un edificio di tale importanza da motivare pubbliche denunzie e deplorazioni. […]
Le fotografie ed i rilievi del mausoleo, pubblicati nel volume Mausolei romani in Campania, dimostrano con ogni evidenza che si trattava di una struttura eccezionale e preziosa. Già la sola presenza di una complessa cornice di cotto e le cinque nicchie della rotonda cella, coperta a cupola, potevano lasciare indifferenti soltanto le bestie che vi erano ricoverate e non degli esseri umani, per quanto eccezionalmente sprovveduti."

Secondo alcune testimonianze, da verificare, dei ruderi del basamento della Conocchia sarebbero ancora conservati nel Parco del Poggio ai Colli Aminei. 

Il “Torricelli” a Mugnano

(Di questo mausoleo e della masseria omonima abbiamo già dedicato un post l’anno scorso)

Il mausoleo del "Torricelli" a Mugnano di Napoli
Attestata sin dal 1628, quale proprietà dei duchi di Melito, i nobili De Juliis-Caracciolo, la masseria del Torricelli contiene inglobata nelle sue strutture murarie il mausoleo romano risalente al I secolo d.C. La masseria è ubicata ai confini tra Mugnano e Chiaiano e si erge ai margini dell'antica strada consolare romana, di origini osche, oggi denominata col toponimo di "via Antica Chiaiano". L'arteria è stata nei tempi antichi una delle poche strade di collegamento esistenti nel territorio a nord di Napoli, capace di assicurare le comunicazioni tra la Neapolis greco-romana è le Ville o Vicus esistenti nell'ampio circondario settentrionale. Anche in questo caso non si conosce il nome della famiglia o delle persone di cui si sono conservati i resti, ma è lecito supporre che il mausoleo fu realizzato per accogliere le ceneri di qualche valoroso combattente o di un notabile della gens romana morto in quel luogo.
Il mausoleo del "Torricelli" a Mugnano di Napoli

La struttura è in opus reticolatum a forma di torre cilindrica, un tempo era sormontata da una volta a catino, poi purtroppo crollata nel corso dei secoli. A partire dal XVI secolo alla torre romana vennero ad aggiungersi diversi corpi di fabbrica, fino a formare una masseria fortificata, chiamata appunto Masseria Torricelli (o Torricello), chiaramente in riferimento al preesistente mausoleo romano. La struttura e gli ambienti interni al mausoleo sono stati modificati e utilizzati per molto tempo dagli abitanti per la panificazione e la cottura del pane, con la realizzazione di un grande forno a legna.

La “Fescina” di Quarto

Il mausoleo di Quarto, detto "la Fescina"
Un altro esempio poco noto di mausoleo “a cuspide” è situato nelle residue campagne di Quarto, in provincia di Napoli ed è indicato con il toponimo di “la Fescina”. Questo monumento, sito in via Brindisi, è oggi purtroppo poco valorizzato e quasi nascosto dalla vegetazione e dal degrado. Il nome potrebbe derivare dalla sua particolare forma geometrica, molto simile a quei contenitori pensili (detti anche panari), utilizzati dai contadini per la raccolta delle ciliege e dell'uva, chiamati in dialetto "'a Fèscena". Il mausoleo de la Fescina è realizzato in opus reticulatum e si compone di due livelli, terminante con una caratteristica copertura “a cuspide” a forma conica. Ai suoi lati contiene due ingressi ad arco. L'accesso al livello superiore probabilmente in origine avveniva attraverso una scala interna, oggi scomparsa. All'interno dei due vani sono presenti nicchie scavate nelle pareti e tracce d’intonaco. Nell’area circostante al mausoleo sono state rinvenute negli anni trascorsi diverse tombe ipogee ed anfore funebri.






Il “Ciaurro” di Marano

Il mausoleo detto del "Ciaurro", a Marano di Napoli
Di notevole importanza storico-architettonico, per la struttura e lo stato conservativo, è certamente il mausoleo maranese del Ciaurro. La storia di questo monumento è stata alquanto travagliata, poiché la struttura fu riportata alla luce diverse volte e altrettante volte fu sepolta; fu segnalata dallo storico Chianese, nel 1924, ma i primi lavori di scavo sistematici iniziarono solo agli inizi degli anni ’30 del secolo scorso. I lavori di scavo, però, non diedero ulteriori sorprese, pur confermando che il sito era già stato depredato delle sue numerose lapidi un tempo presenti. Il Ciaurro fu definito dallo storico Roberto Pane, “…il più importante mausoleo campano…”, mentre finanche Benedetto Croce lo volle visitare, quando si diffuse notizia del suo rinvenimento.
Il mausoleo, che si erge lungo l’antica via San Rocco, in contrada Vallesana (oggi parco comunale con accesso da via G. Pepe, traversa del corso Europa), si compone di un poderoso basamento a pianta quadrata e di una cupola sostenuta da un tamburo cilindrico. Gli interni sono divisi in due livelli. Nel livello inferiore si trova una camera sepolcrale, a pianta rettangolare, che termina con una volta “a botte”, mentre il livello superiore, delimitato dal tamburo circolare e dalla cupola, presenta alle pareti diverse piccole nicchie, un tempo adibite al contenimento di urne cinerarie. Tre finestre illuminano la camera sepolcrale, mentre due rampe di scala, comunicanti con l’accesso al piano campagna, collegano internamente i vari livelli della struttura. C’è da dire, però, che le due scalette sono dei rifacimenti posteriori, eseguiti negli anni ’30, per ottemperare ai precedenti crolli.
Il mausoleo detto del "Ciaurro", a Marano di Napoli
La particolarità e la bellezza di questo monumento sta nel rivestimento esterno, che con la importante composizione geometrica, ottenuta dall’alternanza di mattoni rossi e di conformazioni in opus reticolatum, di tufo giallo e grigio, conferisce un effetto cromatico/estetico, non comune, a tutto il monumento. Il tamburo e la cupola sono suddivisi in due parti da un anello in opus latericium, color rosso e una serie di tufelli rettangolari di colore giallo; essa poi presenta il paramento esterno in opera reticolata bicromatica, anche qui per l’uso alternato di blocchetti di tufo di color giallo e grigio. La cupola, che risulta parzialmente conservata, perché gran parte crollata nei secoli scorsi, è in opus caementicium e, nella cui base, presenta annegati nel calcestruzzo elementi lapidei più pesanti (mattoni e frammenti tufacei); si suppone che dei materiali più leggeri, quali blocchetti di tufo e scaglie di lava alveolare sia stata la sua struttura della parte terminale superiore. 

I “Ciaurrielli” di Marano

Il "Ciaurriello" presso Marano di Napoli
Con questi termini gli abitanti di Marano identificano alcuni resti archeologici, in opus reticolatum, presenti in località Vallesana, i quali, però, non hanno niente a che vedere con i sepolcreti romani, ma forse sono riconducibili ai resti di ville rustiche o di strutture adibite in epoca antica a depositi di derrate agricole.


L’ipotesi di un Ciaurro al Tirone

Il mausoleo detto del "Ciaurro", a Marano di Napoli
Una leggenda, ancora in auge, asserisce che il Ciaurro di Marano sia appartenuto a Marco Tullio Tirone, liberto e poi discepolo, tanto caro allo scrittore, filosofo e statista Marco Tullio Cicerone e qui siano state consevate le sue ceneri. Tirone avrebbe trascorso gli ultimi anni della sua vita in una villa di Pozzuoli, nella quale si sarebbe ritirato, dopo che i componenti del Triumviato fecero uccidere il suo maestro, autore delle famose Filippiche. A sostegno di questa leggenda, qualcuno indica che non molto lontano dal luogo del Ciaurro, c’è ancora oggi il borgo di Chiaiano che porta il suo nome, forse in ricordo di un’altra antica villa lì posseduta da Tirone. Il Borgo infatti è denominato “o Tirone”. Tutt’altra ipotesi, invece, meno fantasiosa, ancora da dimostrare, asserisce che il toponimo Tirone deriverebbe dalla presenza in questa zona di un altro Ciaurro romano, che per la sua forma veniva detto “o torrione”, da qui la denominazione di “o Tirone”. Pura divagazione?! Potrà essere un argomento di ricerca per i futuri archeologi…!

Gli altri mausolei del circondario napoletano e campano
Il mausoleo di Casapulla (Caserta), detto la Conocchia
Anche quella che viene indicata come la “tomba di Virgilio”, posta sopra un basso costone tufaceo, all’ingresso della Crypta Neapolitana, rappresenta in effetti un mausoleo romano adibito ad accogliere delle urne cinerarie; qui, da tempo immemorabile, la tradizione o meglio la leggenda, vuole attribuire questo monumento al contenimento delle ceneri dell’autore dell’Eneide, Publio Virgilio Marone. Realizzata interamente in scaglie di tufo, la struttura ha la classica conformazione dei monumenti ad “edicola”, ossia un tamburo cubico e la parte soprastante tronco-conica. Altra testimonianza di monumento "ad edicola" è presente vicino a Santa Maria Capua Vetere, nei pressi di Casapulla; questo monumento è anch'esso chiamato "la Conocchia, anche se, purtroppo, è stato pesantemente rimaneggiato nel corso di antichi restauri. Ad Abella (Avella), in provincia di Avellino, è presente un altro mausoleo che appare in buono stato conservativo; a San Prisco (Caserta) si trova un mausoleo denominato “Le Carceri”, il quale non presenta la caratteristica cuspide, ma si compone soltanto di un grande tamburo cilindrico, sormontato da un piccolo catino.
Il mausoleo all'ingresso della Crypta Neapolitana, dedicato a Virgilio
Termina qui quest’altra bella testimonianza storica sull’Area Nord di Napoli, scritta su questa nobile terra ricca di tradizioni, di storia e di stratificazioni antropiche che, tutte insieme, costituiscono un bene culturale unico, appartenente a un popolo che deve sentirsi per questo fiero e orgoglioso. Tuttavia, oltre all’opera di ricerca, di divulgazione, di rievocazione storica, questa breve trattazione ha come obiettivo la sensibilizzazione dell’opinione pubblica, affinché si possano mettere in atto le necessarie e non più procrastinabili opere di recupero, di conservazione e di divulgazione di queste testimonianze, perché esse rappresentano un patrimonio storico-culturale unico ed irripetibile che appartiene alla collettività e alle future generazioni, così come enunciato in premessa. 
Salvatore Fioretto

(Tutti i diritti per la pubblicazione dei testi del blog sono riservati all'autore, ai sensi della legislazione vigente)

Si ringraziano Marco Barone, Biagio Palumbo e Pasquale Ferraro per la loro collaborazione.


Due Dipinti, con veduta panoramica di Napoli, ripresi da "La Conocchia"









            
ll mausoleo detto "la Conocchia", situato a Casapulla (CE)






































Il monumento cinerario a San Prisco (Caserta), conosciuto come "le Carceri"
Il mausoleo di Avella


Il mausoleo della "Tomba di Virgilio", nei pressi della Crypta Neapolitana (Napoli)

N.B.: Le foto riportate in questo post sono state liberamente ricavate da alcuni siti web, ove erano pubblicate. Esse sono state inserite in questa pagina di storia della città, unicamente per la libera divulgazione della cultura, senza alcun secondo fine o scopo di lucro.

sabato 21 febbraio 2015

Un accademico... no, nemo propheta in patriae...! prof. Nicola Coviello



Chissà quanti studenti ed ex studenti della facoltà di Giurisprudenza, molti del nostro territorio, hanno letto e studiato i suoi numerosi e corposi tomi, eppure non l'hanno riconosciuto..., chissà quanti cultori della materia giuridica hanno apprezzato i suoi dottissimi scritti, ma non hanno avuto conoscenza della sua vita e chissà quanti altri ancora, pur avendo conosciuto la sua grandezza, non hanno mai saputo dove riposavano i suoi resti e se erano stati dedicati, in sua memoria, un largo, una stradina o un monumento...!
Questa è la bella e triste storia di un grande personaggio del Meridione d'Italia, di un grande italiano, che ha dedicato la sua pur breve vita alla cultura, all'insegnamento universitario, alla Magistratura e allo Stato Italiano, ma poco o nulla gli è stato riconosciuto in cambio, specie nella terra dove ha trascorso gli ultimi anni della sua breve vita e ivi è stato sepolto!
Parliamo dell'accademico avv. prof. Nicola Coviello.
Nicola Coviello nacque a Tolve, provincia di Potenza, il 2 marzo 1867, da genitori aviglianesi, ma si trasferì ben presto a Genzano. Il padre Domenico fu pretore molto stimato dai colleghi e dagli avvocati, per rettitudine e rigorosa applicazione della giustizia e spesso dovette cambiare residenza per gli incarichi affidatigli. Don Domenico curò l’educazione dei suoi due figli, Nicola e Leonardo, e ne fu loro maestro nelle classi ginnasiali, essendo, per il suo lavoro, costretto a vivere in paesi privi di scuole. Divise la sua vita tra l'amministrazione della giustizia e l’istruzione dei suoi figli.
La vita di Nicola Coviello è una serie continua di duri sacrifici e di nobili aspirazioni, coronate dal più ampio successo.
Egli visse continuamente a contatto con l'inseparabile fratello Leonardo, un altro insigne campione della scienza civilistica italiana, fin dall'avvio degli studi universitari, quando entrambi si trasferirono a Napoli. Lontani dalla famiglia e in una grande città, i due fratelli sperimentarono a lungo la solitudine, i duri sacrifici per lo studio, nonché le privazioni di ogni divertimento, a causa del misero stipendio del padre, che a stento riusciva a far fronte al loro mantenimento. Nicola, giovane umile, conobbe presto le ansie del suo avvenire, che allora si presentava difficile e incerto.
Da studente universitario modello, fu subito notato e apprezzato dal grande professore Emanuele Gianturco, che lo ebbe a cuore come studente e subito ne riconobbe i pregi e l'acume del suo pensiero. Gianturco ebbe modo di incoraggiarlo con la sua vibrante e paterna parola, a continuare nella strada degli studi intrapresi. Infatti presto, Nicola, assieme al fratello Leonardo, raccolse i frutti ambiti e riuscì a coronare le sue speranze.
Laureatosi in legge, nel 1888, Nicola Coviello ben presto si avviò alla professione forense; infatti, grazie alle sue attitudini e alle conoscenze delle materie giuridiche, risultò primo classificato al pubblico concorso di "Uditore", presso il Tribunale di Napoli. Ma la passione per l'insegnamento ebbe in lui subito il sopravvento e dopo soli tre mesi di impiego, presso gli uffici di Cassazione di Napoli, Coviello presentò le sue dimissioni tra lo stupore generale, specie di chi ebbe modo di stimarlo subito. Raccolse però il plauso dell'avv. Raffaele La Volpe, allora presidente della Corte Suprema, uno degli ultimi "fari" superstiti della storica magistratura napoletana, il quale si compiacque per la sua saggia e precoce decisione, di assurgere alla nobile missione dell'insegnamento.
Quando uscì dalla Magistratura, Nicola Coviello aveva appena 23 anni e subito presentò istanza per la libera docenza in Diritto Civile nella Regia Università di Napoli.
La Commissione esaminatrice, presieduta dal grande Enrico Pessina, era composta da Giuseppe Mirabelli, Emanuele Gianturco, Pasquale Fiore e Alessandro Guarracino. Tema della lezione di esame era le "Azioni di Stato". Al termine della sua appassionata ed eloquente esposizione, raccolse gli applausi fragorosi, sia dei membri della Commissione (cosa rara allora) e sia del folto uditorio, che si era spontaneamente raccolto nella sala, in gran parte composto da studenti ed insegnanti.
Così a Nicola Coviello si aprirono le porte dell’insegnamento, che insieme alla ricerca accademica, alle numerose pubblicazioni giuridiche e alla famiglia, costituirono l'unico scopo della sua vita.
La sua carriera universitaria, anche se breve, fu molto intensa e dinamica.
Dopo due anni di docenza in Diritto Civile nella Regia Università di Napoli, nel 1895, decise di spostarsi a Urbino, nella cui Università  insegnò le Istituzioni di Diritto Civile e il Diritto Civile. Nel frattempo aveva rifiutato l'offerta di insegnamento all'Università di Parma. Nel 1896, col grado di Ordinario di Diritto Civile passò all'Università di Catania, dove rimase molti anni a insegnare, pur rifiutando la cattedra offerta dall'Università di Pisa, di Diritto Ecclesiastico e, ancora, la cattedra di Diritto Civile, offerta dall’Università di Pavia.
Nelle opere e negli scritti di Nicola Coviello traspaiono non solo la profondità di cultura e di conoscenza scientifica nella materia trattata, ma soprattutto la sua umanità e la sua profondità d'animo. Era infatti persuaso che per essere un buon giurista abbisognava essere anzitutto un uomo, nel più nobile senso della parola...!
Nicola Coviello fu un lodevole esempio di giurista illuminato, di persona integerrima e anche di uomo profondamente attaccato alla famiglia e al suo credo religioso.
Disposto all’indulgenza verso gli altri, pur essendo rigido verso sé stesso, aveva un carattere umile e non fece mai pesare l’autorità della sua scienza e del suo intelletto su quanti lo conobbero. Non tollerò mai, né ricorse ad alcuno dei mezzi o sotterfugi, da molti praticati anche al suo tempo, per acquistare facilmente la notorietà, conscio come era che la vera gloria doveva derivargli unicamente dal valore delle sue opere!!
Quanti lo conobbero ebbero a testimoniare la sua perenne bontà verso tutti, che non si appannava nemmeno per le sofferenze che gli causavano il suo male. Un male che da prestissimo minò la sua giovane e preziosa esistenza. Durante le sue affollate lezioni universitarie, abbandonava l'aspetto dolente e, come si trasfigurasse, il suo volto s'illuminava per l’impeto e la passione che destava nel suo spirito l'argomento della lezione trattata e la conseguente dimostrazione dommatica. 
Portò avanti la sua missione d'insegnante e il suo dovere d’accademico fino all'ultimo momento, fino alla fine dei suoi giorni, anche quando la malferma salute gli avrebbe imposto di non uscire di casa. Non mancò a nessuna lezione dell'ultimo corso tenuto all'Università. Come pure non mancò l'affetto per la sua famiglia, per i figli e per la sua amata compagna.
Le sue opere più importanti, come "Della trascrizione", "Il manuale di diritto civile" e "Il trattato di diritto ecclesiastico", sono nate in questo periodo, malgrado la sua malferma salute; Nicola Coviello conservò in questo difficile momento sempre la più grande serenità d'animo.
Malgrado la sua eccellente preparazione civilistica, non volle mai esercitare la professione forense, pur essendosi iscritto negli Albi professionali, della Corte di Appello e della Cassazione. Visse la sua vita con il dignitoso stipendio di insegnante, senza accumulare ricchezze. Non rivendicò nemmeno agli esosi editori l'esiguità dei proventi derivanti dalla pubblicazione delle sue numerose opere.
Ma, se al lato patrimoniale dei suoi diritti di autore non tenne, ne rivendicò strenuamente il lato morale. Perciò quando un suo editore, senza il suo consenso, ristampò una delle sue più pregiate opere, colmandola di errori tipografici, Egli si rivolse ai Tribunali per la tutela del suo diritto morale, e l’opera venne giudicata contraffatta e sospesa.
Nicola Coviello scrisse opere fondamentali nell'ambito giuridico e del Diritto Civile, tra le quali vanno ricordate innanzitutto, il Manuale di diritto civile italiano: parte generale (4a ed. 1929), e i due volumi Della trascrizione (2a ed. 1914-15, rist. 1924); tra le altre monografie, sono particolarmente degne di nota La successione ne’ debiti a titolo particolare (1896); Delle successioni: parte generale (4a ed. 1935); Manuale di diritto ecclesiastico (a cura di V. Del Giudice, 1915); Del caso fortuito in rapporto all’estinzione delle obbligazioni (1896), nonché la prolusione La responsabilità senza colpa: prolusione al corso ordinario di diritto civile nella R. Università di Catania (1897). Devono ricordarsi anche i corsi monografici di Diritto Civile, come Il possesso (1904-1905), Donazione: lezioni di diritto civile (1927); Lezioni di diritto civile: le servitù (s.d.); Diritto civile: le obbligazioni (s.d.).
Numerose sono state anche le pubblicazioni e le collaborazioni offerte dal Coviello a riviste specializzate e a raccolte complete di autori vari, tra le quali (tanto per citarne alcune): lo scritto sulla "Chiesa cattolica e le disposizioni testamentarie in suo favore", apparso in un volume del 1901, per le nozze del prof. Vadalà Papale e pubblicato con qualche aggiunta nella "Giurisprudenza italiana" dello stesso anno (parte IV, pp. 327-337); lo scritto del 1904 “La massa comune dei capitoli cattedrali” e, del 1906, “La conversione della rendita rispetto agli enti ecclesiastici”, entrambi pubblicati sulla Rivista di diritto eccles. (XII, [1904], pp. 385-448 e XVI [1906], pp. 567-578); del 1909 l'articolo “Dei modi per rendere efficace la costituzione di patrimonio sacro”, stampato sugli Studi in onore di F. Ciccaglione, Catania 1909, pp. 46-62; del 1910, “L'impotenza relativa come causa d'annullamento al matrimonio" edito sulla Rivista di diritto civile (II [1910], pp. 1-15).

La mattina dell' 1 agosto 1913, forse presagendo la sua imminente fine, scrisse un’accorata lettera alla sua amata moglie, che si trovava in quel momento con i figli a Benevento, dettandole le sue ultime volontà e l’indirizzo da dare ai figli. Nel pomeriggio, poi, si chiuse nello studio della sua residenza cittadina, a San Rocco (sobborgo di Piscinola), per recitare le preghiere in suffragio del padre, del quale ricorreva in quel giorno l’anniversario della scomparsa. Verso sera, il fratello Leonardo, che si recò a salutarlo, lo trovò moribondo, col libro aperto all’ultima pagina della preghiera. Aveva solo 46 anni!
Così è morto Nicola Coviello, in maniera semplice, come aveva trascorso la sua breve vita; modesto oltre misura, uomo buono e grande, fino alla genialità. 
Ebbe funerali modesti, come aveva lasciato scritto
Solo un breve annuncio della famiglia, apparso su un giornale del mattino, ne avvisò la scomparsa.
Le maggiori riviste italiane ne dedicarono l’elogio funebre, i maggiori accademici dell'epoca avvertirono la sua perdita, come un profondo lutto per la scienza giuridica italiana.
Le uniche attestazioni civiche date a questo importante personaggio sono state quelle del Comune di Avigliano, ove visse nella sua fanciullezza, che volle a lui intestata una strada del posto e quelle dell'Università di Catania, che volle far realizzare un busto marmoreo in suo ricordo, ancora oggi visibile nei locali dell'ateneo; mentre i Comuni di Roma e di Catania gli hanno dedicato delle strade comunali.
In questo ultimo decennio la Proloco di Avigliano ha organizzato in sua memoria un concorso a tema giuridico, dal titolo "Premio Nicola e Leonardo Coviello".
Nicola Covelli fu sepolto nel cimitero comunale di Miano
La sua modesta tomba, che difficilmente un visitatore oggi riesce a scorgere, si trova abbandonata in un "anfratto" laterale al vialetto centrale del piccolo cimitero periferico, dove un'ampia e semplice lastra di marmo, appoggiata su in basamento alto poco meno di mezzo metro, reca sopra impresso il suo nome, a seguire, la data della nascita e della morte e un piccolo cenno alla sua personalità.
Nessun luogo, nessuna strada, largo o giardino pubblico di Napoli e dell'Area Nord di Napoli è stato dedicato a questo illustre figlio del Sud d'Italia, che ha trascorso gli ultimi anni della sua vita in questa parte della città di Napoli... Una gravissima mancanza...!
Ma c'è sempre tempo per rimediare alle brutture dei nostri tempi...!
Salvatore Fioretto

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