domenica 19 ottobre 2014

Un prete fratello... Don Francesco Bianco

Quando si descrive un territorio e si cerca di elogiare gli uomini che l'hanno reso grande, si è portati sempre a guardare indietro a un passato remoto, perché è convinzione comune a tutti, che gli uomini che hanno fatto grandi cose siamo vissuti secoli distanti, mentre ciò rappresenta un luogo comune quanto mai errato e infondato, così come dimostrerò adesso, apprestandomi in questo post a ricordare la figura di un nostro contemporaneo, che abbiamo conosciuto ed ammirato tutti...
Sono trascorsi solo alcuni mesi dalla sua scomparsa, è ci accingiamo nella prossima settimana a ricordarlo, sia come comunità civile che religiosa, mi riferisco al compianto sacerdote Don Francesco Bianco, parroco emerito della chiesa parrocchiale del SS. Salvatore in Piscinola. Infatti nei giorni 24 e 25 ottobre prossimi gli saranno dedicati un convegno e lo scoprimento di una targa ricordo nella piazza principale di Piscinola.
Don Francesco ha lasciato un vuoto non solo nella comunità ecclesiale di Piscinola, ma anche in quella civile, perché elevate sono state le sue doti umane e spirituali.
Prete moderno per il suo tempo, forse è stato uno dei primi ad applicare con gran efficacia i dettati del Concilio Vaticano Secondo, aprendo la parrocchia di un quartiere periferico alla comunità civile, chiamando i laici a impegnarsi assiduamente nella gestione delle strutture parrocchiali e nei vari ministeri presbiteriali. Egli ha esercitato la sua missione sacerdotale dedicandola interamente ai giovani, che amava smisuratamente, al di sopra di ogni cosa. La sua vita e le sue forze le ha dedicate per raccogliere, redimere e indirizzare sulla strada della rettitudine centinaia di ragazzi e ragazze del quartiere. Amore che è stato ricambiato dai giovani, tanto da considerarlo oltre un padre, un fratello, chiamandolo affettuosamente e semplicemente "Padre Bianco".
Per illustrare la sua vita, prendo in prestito la biografia che è stata recentemente letta in consiglio municipale della VIII Municipalità,  in occasione dell'approvazione della coniazione della targa memoriale nella piazza B. Tafuri a Piscinola.

"Francesco Bianco nacque a Napoli, il 9 maggio 1937.
Ha completato gli studi umanistici e teologici in preparazione al sacerdozio presso la Congregazione dei padri Redentoristi.
Ordinato sacerdote in data 14 marzo 1964.
Ha conseguito la laurea in Sociologia presso l'Istituto Universitario Orientale di Napoli il 4 maggio 1981.
Ha assunto l'incarico di professore presso la scuola statale "V. Irolli" di Napoli e, dal 1981, presso l'XI liceo scientifico di Napoli a Piscinola.
Dal 1969 ha ricoperto l'incarico di vice parroco presso la parrocchia di "Cristo Re" di Secondigliano Napoli e, dal 1973, per oltre un quarantennio fino alla morte avvenuta il 17 gennaio 2014, quello di vice parroco e parroco della millenaria chiesa del Santissimo Salvatore in Napoli a Piscinola.
Profondendo tutti i suoi personali guadagni e risparmi derivatigli dall'insegnamento e dall'esercizio del sacerdozio e con l'aiuto pecuniario e lavorativo di molti laici fortemente impegnati, ha realizzato in questi anni e lasciate alla chiesa parrocchiale, per l'intera comunità piscinolese, importanti e significative opere."
Tra le opere realizzate da don Francesco ricordiamo: 
-la casa di accoglienza per ritiri spirituali presso il comune di Campoli (BN) alle pendici del Monte Taburno, struttura complessa, su tre livelli, completa di cappella, cucina comunitaria, salone, refettorio, molte stanze singole e multiple. 
- la costruzione dell'oratorio parrocchiale, realizzato con l'acquisto della "proprietà Chiarolanza". L'oratorio comprende: un campo di calcetto, un campo di pallavolo/pallacanestro, un campo di bocce, un bar, i giardini, un ampio teatro, i locali per la Caritas Parrocchiale e, al piano superiore, una casa canonica per sacerdoti ed ospiti.
- la ristrutturazione statica e decorativa dell'edificio parrocchiale e della sacrestia, con l'acquisto di tutti gli arredi sacri in legno.
- l'assistenza dei poveri e dei bisognosi del quartiere, realizzando, con l'associazione "Banco Alimentare", la distribuzione continua e per molti anni, di pacchi viveri.
-un significativo sostegno alle opere missionarie per la realizzazione di un centro di recupero della gioventù in Perù e presso il centro missionario di Visciano.
Riservato, schivo, fuggiva dall'apparire, detestava il protagonismo specie quando c'era da raccogliere riconoscimenti, ma preferiva seguire a distanza l'efficacia delle sue opere. 
Salvatore Fioretto
(Tutti i diritti per la pubblicazione dei testi del blog sono riservati all'autore, ai sensi della legislazione vigente)

sabato 4 ottobre 2014

Quando Capodichino perse l'Accademia dei Geni Avieri Ufficiali!

Tornei Ippici al Campo di Marte, disegni da riviste
Il territorio che tratteremo questa volta è stato fin dai tempi antichi votato per essere il luogo di dimostrazioni equestri e corse di cavalli, ma anche per parate militari e per "caroselli cerimoniali" della corte reale, parliamo del famoso "Campo di Marte" di Capodichino, dotato di un galoppatoio e anche di polveriera.
Con l'avvento delle prime esplorazioni in mongolfiera, a partire dalla metà dell'ottocento, divenne il campo dove avvenivano le cerimonie di partenza dei temerari piloti, che usavano questi mezzi considerati avveneristici per quell'epoca; addirittura si esibì anche una donna pilota di origini parigine, tale Marie Madaleine Blanchard. Ma su Campo di Marte ritorneremo presto con un altro racconto...

Facciata e ingresso principale dell'Accademia di Capodichino


Foto di gruppo di pionieri del volo, anni '10
Qualche decennio dopo, siamo nel 1910-14, fu la volta degli aeroplani, anche se ancora nella fase sperimentale... Qui fu realizzato il primo aeroscalo militare cittadino, organizzato dall'Aviazione dell'Esercito, ovviamente avente dimensioni molto contenute rispetto alla struttura odierna che, come è noto, è stato intitolato a Ugo Niutta, pilota sottotenente napoletano, caduto in missione nel 1916 e insignito della medaglia d'oro.
Anni dopo, a Capodichino, furono realizzati anche degli apposti hangar per ricoverare alcuni dirigibili dell'aviazione. 
Le autorità visitano i nuovi hangar di Capodichino
Nel 1925, con la fondazione della Regia Aeronautica Militare, il vecchio Campo di Marte fu interamente destinato a essere l'aeroscalo militare napoletano, che fu organizzato secondo tecniche e con strutture avveneristiche per l'epoca.
Intanto si iniziò a parlare della necessità di realizzare una nuova e prestigiosa sede per l'Accademia Aeronautica, per formare ufficiali e sottoufficiali. La decisione finale destinò Napoli a esserne la novella sede, con l'ubicazione stabilita su un'area a lato all'aeroporto di Capodichino.

Foto della cerimonia di posa della prima pietra, anno 1925
La prima pietra dell'edificio dell'Accademia fu posata il 28 giugno del 1925; a rappresentare il governo italiano fu il sottosegretario all'areonautica gen. Borzani. Si registrò per l'occasione la presenza delle più importanti autorità del tempo; la cerimonia ebbe la benedizione del vescovo D'Alessio.

I numeri della struttura progettata erano notevoli... per descrivere l'edificio prenderò in prestito l'articolo pubblicato su "Il Mezzogiorno" del 26-27 giugno 1925:

Bozzetto dimostrativo della struttura progettata


[...] Il Fabbricato:
I vari fabbricati della R. Accademia Aeronautica sorgeranno su una zona di terreno di circa 300 x 350 m di superficie e saranno:
a) Accademia propriamente detta,
b) Una palazzina per l'alloggio del Comandante della R. Accademia,
c) Una palazzina per l'alloggio degli ufficiali istruttori
d) L'infermeria con annesso padiglione per isolamento
e) Una casermetta per gli avieri comandati in servizio presso l'Accademia
f) Scuderia e garage
g) Servizio di  guardia
h) Alloggio per il guardiano
Detta zona di terreno trovasi nella strada comunale Capodichino-Poggioreale che confina con il campo d'aviazione di Capodichino e con il deposito della Società delle tramvie provinciali Napoli Aversa [...]

L'edificio dell'Accademia di Capodichino completato, visto dall'alto
Il progetto dell'edificio prevedeva aule, stanze e spazi vari per ospitare almeno 275 allievi, e cioè:
-150 allievi (accademia - 3 corsi)
-100 aspiranti (integrazione - 2 corsi)
-25 ufficiali (scuola di perfezionamento - 1 corso). 
Inoltre lo stesso edificio sarebbe stato in grado di ospitare almeno 120 ufficiali partecipanti ai "corsi superiori" di un anno, che non prevedevano l'alloggio per gli allievi, ma solo l'utilizzo delle aule didattiche e della mensa.
Ingresso su piazza Capodichino (ancora esistente)
L'edificio della Regia Accademia di Capodichino, una volta completato, avrebbe avuto uno sviluppo in pianta rettangolare, con ampio cortile centrale e comprendere tre livelli fuori terra e un ambiente seminterrato: ogni livello avrebbe avuto una superficie utile di 11.200 mq.
La distribuzione degli ambienti, così come pensata, doveva essere pressappoco questa:
Piano terra rialzato: sala d'aspetto, parlatorio per gli allievi, sala convegni,, mensa biblioteca e sala scrittura per gli ufficiali, la cappella, due locali per la visita medica, quattro sale per la ricreazione, reparto alloggi sottoufficiali, un refettorio per allievi, sala per la radiotelegrafia, radiotelefonia e segnalazioni; l'armeria, il museo, gli uffici del comando e altri ambienti.
Scalone centrale dell'Accademia di Capodichino
Piano primo: aule di scuola, i gabinetti di fisica e di chimica, il laboratorio di chimica, il gabinetto di fotografia, il gabinetto di aerologia, la sala convegno, una biblioteca per insegnanti, una sala per conferenze e proiezioni, una sala per ricevimenti, 25 camere da letto per gli ufficiali del corso di perfezionamento, i dormitori con 100 posti per gli allievi aspiranti e altri locali.
Piano secondo: aule di studio, magazzini, le camere da letto degli ufficiali e sottoufficiali di sorveglianza, i dormitori di 150 allievi, gli alloggi degli ufficiali addetti all'Accademia  e altri locali.
Piano seminterrato: celle di punizione, cucina per gli allievi, officina e sala motori, palestra, scherma, stireria e deposito biancheria pulita.
Esercitazioni militari nel cortile interno all'Accademia

La costruzione del bel edificio, con la facciata in stile neoclassico, andò per le lunghe e superò le più rosee aspettative, perdurando fino al 1929. L'edificio di Capodichino fu progettato da Armando Brasini, nato a Roma nel 1880, che ebbe a sviluppare in Italia altri importanti progetti di caserme.
Sulla facciata si aprivano tre portoni di ingresso, dai quali si poteva accedere a un vasto androne. 
Durante il perdurare della costruzione dell'edificio di Capodichino, i corsi di ufficiali e sottoufficiali si tenevano ancora nella sede dell'Accademia di Livorno, dove la situazione iniziò a diventare insostenibile, perché negli stessi locali dell'Accademia livornese erano tenuti sia i corsi per allievi ufficiali della Marina e sia per quelli dell'Aeronautica. 
Nell'anno accademico 1927-28 la sede dei corsi per ufficiali e sottufficiali della Regia Areonautica, fu spostata a Caserta: si disse provvisoriamente... (sic!), per consentire il completamento di Capodichino.
Foto di gruppo di avieri sottoufficiali, anno 1935
Ma, intanto, più voci si levarono e da più parti..., iniziando con l'affermare che la sede di Capodichino si dimostrava già inadeguata per l'Accademia e così, come spesso accade da noi..., ogni cosa,  quanto provvisoria possa apparire, non tarda a diventare una cosa definitiva!!  E... Caserta continuò a essere considerata la sede provvisoria dell'Accademia fino al 1932, per diventare tacitamente la sede definitiva; mentre il non vicino aeroscalo di Capua ospitò la scuola di pilotaggio per gli allievi della stessa Accademia.
Napoli e Capodichino ebbero quindi la magra consolazione, a partire dal 1929, di ospitare la scuola di radioelettricisti. Dal 1930 l'insediamento assunse poi la denominazione di "Distaccamento della Scuola Specialisti Arma Aeronautica di Capua". 
La struttura di Capodichino iniziò di lì in poi ad ospitare i corsi di allievi specialisti dell'Aeronautica, garantendo la capienza fino a 275 allievi, per ciascun anno accademico.
Parata militare di avieri davanti all'ingresso principale dell'Accademia
Intanto con la seconda guerra mondiale l'aeroporto di Capodichino fu tra i siti cittadini a subire i più ingenti danni, insieme alla stazione ferroviaria e al porto di Napoli. L'edificio dell'Accademia fu purtroppo gravemente danneggiato da numerosi raid dell'aviazione anglo-americana. 
Quello che si vede oggi, osservando il lato d'ingresso dell'aeroporto militare, sul corso gen. Umberto Maddalena, rappresenta la parte centrale della antica facciata e quindi della struttura che si è riuscita a recuperare, mentre sulle parti demolite, altri edifici sono stati costruiti nel tempo, senza rispettare però i caratteri architettonici originari.
Salvatore Fioretto
(Tutti i diritti per la pubblicazione dei testi del blog sono riservati all'autore, ai sensi della legislazione vigente)
Foto dell'Aviere Sottotenente U. Niutta, medaglia d'oro
 
Dipinto di F. P. Diodato, "Il campo di Marte" nel 1895

N.B.: Le foto riportate in questo post sono state liberamente ricavate da alcuni siti web, ove erano pubblicate. Esse sono state inserite in questa pagina di storia della città, unicamente per la libera divulgazione della cultura, senza alcun secondo fine o scopo di lucro.

sabato 27 settembre 2014

Quando la bionda nasceva in collina...a Miano!




Veduta dall'alto dello stabilimento, con panoramica sull'abitato di Miano

Napoli vanta un'antica tradizione nella produzione della birra: è stata un importante centro di produzione della famosa "bionda", forse tra i più antichi d'Italia...
Inizialmente gli impianti esistenti erano di dimensioni modeste e limitati ad alcuni monasteri e piccole imprese a conduzione familiare, anche per la difficoltà di creare e conservare il "freddo", importantissimo per la produzione della birra su scala industriale.
Veduta dall'alto della vecchia birreria a Capodimonte. In alto a destra s'intravede la Reggia di Capodimonte

Fu la famiglia Peroni a impiantare un primo stabilimento italiano di produzione della birra a carattere industriale, a Vigevano nell'anno 1846, ma la svolta produttiva si ebbe nel 1905, quando i fratelli Giovanni e Cesare Peroni, dopo attenti studi ed esperienze intraprese oltralpe, in particolare presso gli esperti maestri birrai tedeschi, introdussero in Italia l'arte di fare birra "a bassa fermentazione". 
Foto notturna interna allo stabilimento di Miano
Negli anni che seguirono i Peroni ebbero un notevole successo, fino ad acquisire diverse piccole realtà produttive italiane, come le preesistenti "Birrerie Meridionali di Napoli", che a partire dal 1930 furono rinominate in "Birra Peroni Meridionale". La sede dello stabilimento napoletano era impiantata a Capodimonte, al corso Amedeo di Savoia, nel luogo dove oggi sorge un grosso condominio di abitazioni private. Ma lo stabilimento di Capodimonte si mostrò subito insufficiente per la aumentata richiesta di produzione di birra, anche perché non consentiva la possibilità di una espansione produttiva.
Corso A. Di Savoia con a lato il muro del vecchio stabilimento
Si decise quindi per la delocalizzazione dello stabilimento. Fu Franco Peroni a far costruire a Miano il birrificio più moderno dell’epoca, che fu completato e inaugurato, a distanza di pochi anni, nel 1953. La zona era allora ancora una parte periferica della città di Napoli dedita prevalentemente all'agricoltura.
Lo stabilimento napoletano era avveneristico per l'epoca, perché dotato di ampi e moderni locali e capannoni, impianti di produzione e di imbottigliamento a ciclo continuo e ben quattro pozzi di notevoli profondità, che lo rendevano autonomo per il fabbisogno di acqua. In ricordo del fondatore, Franco Peroni, nei giardini del bel parco interno allo stabilimento fu realizzata una bella fontana artistica.
Stabilimento di Miano in costruzione, vasca di fermentazione
In prossimità dell'ingresso principale fu costruita la "Terrazza Peroni": un locale pizzeria/birreria, con una vasta terrazza all'aperto, dove era possibile gustare, in ogni periodo dell'anno, la birra "alla spina" prodotta nel vicino stabilimento. La Terrazza Peroni ebbe un grande successo, moltissimi infatti erano gli avventori che provenivano da ogni parte della città e anche da fuori provincia, giunti in questo locale per trascorrere una serata spensierata tra amici e parenti, all'insegna della buona birra italiana.
Edificio con le vasche di fermentazione della birra
A pochi anni di distanza furono inaugurati in Italia altri tre importanti stabilimenti: nel 1963 a Bari, nel 1971 a Roma e nel 1973 a Padova. Nel 1963 la "Birra Peroni" ebbe un grosso salto di qualità, con la creazione, nel proprio ambito industriale, del marchio "Nastro Azzurro": una qualità di birra che riscosse subito un grande successo in Italia ed all'estero.
Gli anni ‘70-’80 registrarono la crescita delle esportazioni e l'affermazione della birra italiana sui mercati esteri, fino a raggiungere gli Stati Uniti d'America.
Nell'ultimo ventennio del secolo scorso lo scenario europeo e mondiale è cambiato notevolmente a causa del mercato globale, che impone sostenute forme di concorrenza, specie con i nascenti mercati asiatici...
Reparto di imbottigliamento di Miano, foto anni '60
Nel 1984, per reggere il passo, furono chiusi diversi depositi e stabilimenti italiani della Peroni, come quello di Livorno, mentre la produzione restava concentrata solo negli stabilimenti di Roma, Napoli, Bari e Padova.
Arriva, infine, il tempo delle "multinazionali" anche nel campo della produzione birraia in Italia...! Nel 2003, l'ultima discendente della famiglia Peroni vende la maggioranza delle azioni a una multinazionale sudafricana. 
Nel 2005 chiude lo stabilimento di Miano, giudicato dai dirigenti poco strategico per gli obiettivi industriali e commerciali del nascente gruppo.
Veduta dall'alto dello stabilimento di Miano


La chiusura dello stabilimento di Miano segna, purtroppo, la fine dell'unica realtà produttiva di grande respiro esistente nel territorio a nord di Napoli, che forniva lavoro a oltre 150 dipendenti, con grandi ripercussioni anche su un vasto indotto, esteso a tutta l'area napoletana.
A distanza di tempo, l'area dell'ex fabbrica di Miano attende la conclusione dell'intervento di ristrutturazione urbanistica, allo stato messo in cantiere, che prevede la realizzazione di un albergo, di civili abitazioni, di un centro commerciale, di una scuola, di una palestra e di un parco pubblico.  

Salvatore Fioretto 
(Tutti i diritti per la pubblicazione dei testi del blog sono riservati all'autore, ai sensi della legislazione vigente) 
 
                                                     Cartoline d'epoca con la vedute dall'alto dello stabilimento e di Miano
 



N.B.: Le foto riportate in questo post sono state liberamente ricavate da alcuni siti web, ove erano pubblicate. Esse sono state inserite in questa pagina di storia della città, unicamente per la libera divulgazione della cultura, senza alcun secondo fine o scopo di lucro.

domenica 21 settembre 2014

Il brigante partigiano, Alfonso Cerullo....



La storia, come è noto, la scrivono i vincitori e così molti combattenti e partigiani, pur avendo sacrificato la loro vita o pagato un alto prezzo per il loro sacrificio, sono oggi ignorati e lasciati nell'oblio del dimenticatoio, solo perché hanno combattuto dalla parte sbagliata... 
Disegno di brigante con famiglia
In questo post desidero ricordare il partigiano Alfonso Cerullo e tanti altri combattenti, che perseguirono il loro ideale patriottico, quando il re Francesco II di Borbone si arrese all'esercito piemontese e riparò nella vicina città di Roma. 
Anche Alfonso Cerullo, che fu caporale della gendarmeria dell'esercito borbonico, con stanziamento negli Abruzzi,  preferì essere fedele fino in fondo al suo Re, piuttosto che subire le condizioni di una resa disonorevole, imposte da parte dell'invasore piemontese o, peggio ancora, combattere per un diverso ideale, non sentito proprio.
Alfonso Cerullo era nato nella vicina cittadina di Marano di Napoli, nell'anno 1837. Della sua infanzia e giovinezza sappiamo purtroppo ben poco; quando si disputava l'ultima battaglia a Gaeta, contro l'esercito piemontese, aveva soli 23 anni. Dopo la disfatta di Gaeta, avvenuta il 13 febbraio 1861, si rifugiò dapprima a Roma e poi fece ritorno nella sua cittadina natale, trovando rifugio nella Masseria del Castagneto, luogo ove lavorava il suo caro padre.
Disegno di brigante
Intanto, firmata la resa, l’esercito borbonico si sciolse. Molti soldati furono imprigionati o deportati su tutto il territorio nazionale o addirittura segregati nei lager sabaudi, come in quello famoso di Fenestrelle: si dice che qui furono massacrati molti prigionieri per evitare una possibile ricostituzione dell'esercito avversario...
Erano anche molti coloro che fuggendo o dandosi alla macchia, cercavano di trovare un punto di riferimento, ma rimasero dei poveri sbandati, tentando solo di ritornare alle proprie case. 
In quei mesi tanti ex soldati filo-borbonici o semplici simpatizzanti alla corona, cercarono di riunirsi in bande da essi organizzate alla meglio. Questi ex soldati, giurando fedeltà incondizionata alla reale casa borbonica, sfidavano la gendarmeria piemontese, riparando nelle masserie in cerca di cibo e di vettovaglie. Poi assalivano i presidi militati nei Casali, per eliminare i simboli del "nuovo conquistatore". In tanti erano coloro che finanziavano questi gruppi di rivoltosi, che potremmo chiamare "partigiani", passati invece alla storia con l'infame nome di "briganti".
I luoghi di rifugio preferiti dai rivoltosi erano senz’altro i boschi, visto che la conformazione del territorio di allora lo permetteva tranquillamente: dai Camaldoli al Lago Patria, da Piscinola a Chiaiano e a Marano, le bande di briganti agivano attraversando chilometri e chilometri di selve e poderi agricoli, riparandosi la notte tra i ruderi di masserie abbandonate o pagliai. Anche nelle grotte della Selva di Chiaiano c'erano molti loro nascondigli, tant'è che ancora oggi una di queste grotte è chiamata Grotta del Brigante.
Foto di donna brigantessa
Visto il crescente numero di bande, Vittorio Emanuele ordinò al generale Cialdini una massiccia loro repressione. La caccia ai cosiddetti briganti fu spietata, il governo piemontese mise in campo circa cinquemila uomini per stanarli, oltre alle forze locali e ai Carabinieri, che nel 1861 furono stanziati nei Comuni del Circondario di Napoli e dintorni.
Alfonso Cerullo riuscì, in un primo momento, a fuggire a un tentativo di  accerchiamento da parte dei piemontesi, che erano giunti sulle sue tracce, a causa di una vile soffiata di suoi conoscenti. Si rifugiò, quindi, nelle campagne tra Chiaiano e Marianella, dandosi alla macchia nei boschi e nei castagneti della Selva.
Insieme ad altri reduci del deposto esercito borbonico, organizzò, poi, una piccola banda di partigiani, che era tra l'altro sostenuta dai proprietari di alcuni fondi e dai contadini del posto, i quali rifornivano il gruppo di vettovaglie e di viveri necessari. Alfonso venne, dopo poco, eletto capobanda, per la padronanza che dimostrava nella scrittura, nel leggere e anche nell'organizzare azioni di guerriglia.
Foto di brigante
Si narra che una grande bandiera bianca con lo stemma borbonico, confezionata dalle abili mani di alcune tessitrici di Mugnano, fu consegnata al maranese mentre si trovava a passare in detto Casale e che il vessillo fu innalzato su di un alto albero nel bosco della collina dell’Eremo dei Camaldoli, risultante visibile da molti paesi sottostanti. 
Con il passare di poco tempo la banda del Cerullo divenne alquanto numerosa,  per l'aggregarsi di altri sbandati, compiendo numerose scorrerie e saccheggi e raggiungendo le postazioni della Guardia Nazionale. Il gruppo rastrellava fucili e munizioni, abbatteva gli stemmi sabaudi sulle caserme e distruggeva i ritratti dei nuovi sovrani conquistatori. 
Ma in quel periodo erano numerose le bande di briganti operanti nell'intero comprensorio a nord di Napoli, in particolare a Mugnano, a Marano, a Marianella, a Polvica e nella stressa Piscinola. In una testimonianza rinvenuta nella pubblicazione: "Guida alle fonti per la storia del brigantaggio postunitario conservate negli Archivi di Stato", Volume 1 dell'anno 1863, si legge: "La sottopretura di Casoria fa presente la necessità di istituire in Piscinola una stazione di Carabinieri contro il pericolo rappresentato da una banda di Briganti in via di organizzazione".
La situazione divenne presto preoccupante e i piemontesi istituirono dei presidi con guarnigioni del corpo dei Regi Carabinieri, già trasformati in Arma nell'anno 1861.
Ci furono molte operazioni di rastrellamento nella zona a nord di Napoli e principalmente tra Marano e Chiaiano, dove interi reparti di soldati della Guardia Nazionale, dei Carabinieri e dei Bersaglieri operarono in maniera coordinata.

Foto di brigante
Alla Banda del Cerullo furono attributi dai piemontesi diverse rappresaglie, con uccisione di alcuni soldati del neo costituito esercito sabaudo, come a Qualiano e a Giugliano, nel 1863. Accuse che Cerullo e compagni respinsero sempre energicamente.
C'è da ricordare che questi combattenti era incoraggiati a proseguire il loro operato patriottico da molti sostenitori del deposto Regno, tra i quali un certo Macedonio Di Maria, che fu sarto in Marano. Questo sostenitore riforniva gli insurrezionisti di armi e di vettovaglie. In molti erano anche coloro che esortavano i rivoltosi a resistere per l'ormai imminente ritorno di Francesco II sul trono di Napoli.
La compagnia di cui aveva il comando il Cerullo in breve tempo fu composta da circa cinquanta persone: tra i quali una decina provenienti da Mugnano, alcuni da Villaricca, altri da Giugliano, da Napoli e un significativo numero originario di Marano. 
Stanco delle solite rappresaglie e saccheggi e forse deluso del mancato ritorno del Monarca borbonico, Cerullo si dimise da capobanda e ritornò a vagare da solo nei boschi di Marano; poi ebbe modo di rifugiarsi in un piccolo locale messo a disposizione della sorella. Consigliato da alcuni falsi amici a non rimanere in quel luogo, perché esponeva anche la famiglia alle rappresaglie dei soldati, meditò di fuggire per Roma.
Il giorno 26 novembre del 1864 un certo Lucchesi Michele, presentatosi presso la Questura di Napoli, informò i militari di come e dove potevano rintracciare il ricercato. Infatti lo arrestarono al posto di Dogana, sulla strada Santa Maria a Cubito, nella località del Frullone (nei pressi della Taverna del Portone) e fu rinchiuso in Castel Capuano. Sottoposto a perquisizione, gli trovano addosso un fucile, una pistola, le munizioni e un coltello da caccia.

Disegno di brigante
Ecco uno stralcio dell’interrogatorio del Cerullo, tratto dall’opera di Domenico Barberi “Il Brigantaggio post-unitario a Nord di Napoli”, in cui si spiegano i motivi dell’appartenenza alla sua compagnia di alcuni adepti, e la richiesta di cibo nelle scorribande, operata solo per il proprio sostentamento..: «…la differenza consisteva in ciò che quelli non avevano nessun altro motivo che li spingeva alla campagna e fare i Briganti, fuorché quello di rubare, e mentre esso invece ed altri suoi compagni erano obbligati stare alla campagna perché, soldati sbandati, e disertori e ricercati dalla forza pubblica, e quindi mentre i primi avrebbero voluto fare bottini essi tendevano soltanto a procurarsi il proprio sostentamento…»..

Alfonso Cerullo, dopo aver scontato una pena di 25 anni di prigione, morì a Marano il 29 marzo del 1890, all’età di 53 anni. 


Alla Sua memoria, come ad altri combattenti, non è stato dedicato nessun monumento o epigrafe civica.
Salvatore Fioretto
(Tutti i diritti per la pubblicazione dei testi del blog sono riservati all'autore, ai sensi della legislazione vigente)

La Grotta del Brigante nella Selva di Chiaiano


N.B.: Le foto riportate in questo post sono state liberamente ricavate da alcuni siti web, ove erano pubblicate. Esse sono state inserite in questa pagina di storia della città, unicamente per la libera divulgazione della cultura, senza alcun secondo fine o scopo di lucro.