sabato 14 dicembre 2013

'O Cap'e Coppa e le sue figure indimenticabili! Di AnnaMaria Montesano


Negli anni ’50 e ’60, Piscinola era un quartiere modesto, di povera gente, di operai e di piccoli impiegati, ma aveva le sue eminenze: il farmacista, l’avvocato, i medici, il maestro.... come un piccolo paese di tanti anni fa; e del paese aveva l’aspetto e le abitudini, anche perché anticamente era un borgo rurale dominato dal palazzo del signorotto. 
Colombaia nel giardino del palazzo Grammatico (lato via V. Emanuele, detto 'o Cape 'e Coppe)
Eppure anche Piscinola aveva le sue gradevolezze: le campagne, ad esempio, che davano l’impressione, nel bene e nel male, di essere tagliati fuori dal territorio cittadino, di non essere figli del mare ma della terra; che ci rendevano facile e gradevole il conto dei mesi e delle stagioni; vivevamo, con i contadini, al ritmo dei primi peschi in fiore in primavera, della potatura invernale, della raccolta delle noci in autunno.
La casa in cui vivevo era abbastanza spaziosa per i canoni dell’epoca; stavamo al primo piano, in tre stanze con cucinotto e gabinetto, sì gabinetto...perché la vasca da bagno non c’era...e neanche il bidet...e allora ci si lavava a pezzi nella bacinella e si faceva il bagno nella “bagnarola”, una tinozza di zinco che, di solito, era appesa ad un chiodo in cucina e serviva per il bucato. Lì, la mia infanzia fu selvaggia e spensierata: c’erano i giochi in giardino, un cortile in terra battuta circondato da campi coltivati e dal forno della panetteria, giochi fra fratelli ma anche con gli amichetti del palazzo e di quelli accanto; e c’erano le visite al negozio della Scarparella, una piccola botteguccia dove delle sorelle zitelle vendevano di tutto, dai lacci per le scarpe ai rocchetti di filo....ma, soprattutto, avevano sul bancone una sfilza di grossi vasi di vetro pieni di ogni ben di Dio: lecca lecca, che noi chiamavamo bomboloni, caramelle, soldi e formaggini di cioccolato, torroncini.....e lì andavamo a fare la nostra piccola spesa che consumavamo poi a casa in comunità oppure portavamo a scuola La casa si trovava in via Vittorio Emanuele, una strada lunga e tortuosa che metteva in comunicazione la piazzetta del Principino con la piazza principale del quartiere, quella con la scuola, il municipio e la chiesa...noi la chiamavamo pomposamente piazza Plebiscito ma in realtà era intitolata ad un certo Bernardino Tafuri; lungo questa strada, che avrei percorso ogni giorno per tanti anni, vivevano dei personaggi di un’altra epoca, come la zia Peppinella che, in autunno, preparava in un gran calderone le castagne lesse che avevano un profumo ed una consistenza al palato mai più sentiti, o la zia Carmelina che, invece, si metteva sul balconcino a tostare l’orzo in maniera artigianale, facendolo girare lentamente in un cilindro di metallo mosso da una manovella; era tutta gente poverissima che s’inventava mille mestieri stagionali per sbarcare il lunario e, passando, si intravedevano, attraverso le porte socchiuse, i miseri interni delle loro case, monolocali che davano direttamente sulla strada.
Tramonto dal rione di Via Dietro La Vigna, foto di Ciro Pernice
Eravamo spesso in strada io e i miei fratelli perché le strade allora erano sicure: di auto ne circolavano poche, dei pedofili sembrava che non ci fosse neanche l’idea, i camorristi stavano in altri quartieri e così, appena potevamo, con grande gioia di mammà che poteva starsene per un poco in santa pace a chiacchierare con i vicini o a leggere un fotoromanzo, correvamo giù: quando pioveva, sotto il palazzo e, quando c’era bel tempo, in giardino, nei campi vicini ma, più spesso, proprio in strada, a giocare liberi come l’aria, sensazione che i bambini d’oggi, poveretti, non proveranno mai. E, per quella strada, passavano tanti personaggi folkloristici, qualcuno ormai del tutto scomparso: Tatunniello, ad esempio, che annunciava l’arrivo del suo carretto con un magistrale rullo di tamburi e, secondo le stagioni, vendeva sorbetti al limone e “grattate” dai colori brillanti oppure spighe di granturco lessate in un grande calderone tutto annerito; oppure passava il “saponaro”, lo straccivendolo cioè, che scambiava stracci e robe vecchie con tante cose utili per la casa, prendendole da un carretto pieno zeppo...oppure ancora, l’arrotino e tutte le donne correvano giù a portare lame da affilare; e poi c’erano quelli che venivano dalle campagne lontane con le primizie: i fichi, ad esempio, o le more, rosse e succose o pallide e dolci, ce le davano su di una foglia di gelso ed erano una delizia! A noi, poi, tutto sembrava una delizia, forse perché allora non c’erano l’abbondanza e lo spreco di oggi oppure perché le cose avevano davvero un altro sapore, più corposo e fragrante...

E così, una volta che ci facemmo più grandicelli, erano grandi mangiate di pane e mortadella o pane e friarielli; il pollo era una squisita rarità per i giorni di festa; le olive verdi una tentazione irresistibile quando, all’approssimarsi del Natale, mamma ne comprava in grande quantità per l’insalata di rinforzo e le metteva in un vaso di coccio; eravamo addirittura capaci di rubarle dal vaso o di andarcene a comprare un “coppetiello” da Giovanni, il simpatico salumiere baffuto un po’ balbuziente, quando non andavamo a comprarci un etto di Nutella (allora si comprava a peso e si chiamava semplicemente cioccolata), Giovanni la prendeva da un grosso contenitore e ce la metteva nella carta oleata su cui davamo delle grandi leccate beate.
Semplici ma grandi piaceri ! Tiempe belle ‘e ‘na vota !

AnnaMaria Montesano 
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La strada per Porta Grande a Capodimonte, in un dipinto ottocentesco

venerdì 13 dicembre 2013

Festeggiamenti del Centenario della Ferrovia "Piedimonte", al vecchio capolinea di Piedimonte Matese, domani ore 9:30




Una poesia dedicata alla storica ferrovia “Napoli-Piedimonte D’Alife”



Comm’era bella ‘a Piedimonte!

(Poesia pubblicata nel “sito Internet”: www.lestradeferrate.it e nel libro: "Piscinola, la terra del Salvatore", ed. Boopen, anno 2010)


Quanno veco ‘e piccerille                                        
Ca pazzejano cu’ ‘e trenine                                      
M’arricordo quanne pur’io                                      
Pazziavo criaturielle                                                 
Cu’ nu treno…, ma overamente!                            
Ca chiammavano ‘a Piedimonte…!                       

Stu trenino ca passave
Poche vvote ‘int’’a ghiurnata,
Jeva a na città ‘e Caserta
Cu’ nu semplice bbinarie,
Ogni tanto se fermava dint’ ‘a stazione,
Pigliava ‘a ggente e po’ se ne jeva.

Se ne jeva pe’ campagne
Verde e fresche,
Se ne jeva passanne
Sciumme e fuossa…
Era nu spettacolo a vederse!
Era comm’ ‘a na pazziella…, ma assaje cchiù grossa…!

Te purtava pe’ massarie e casale, 

mmiez’ ‘a ppastene ‘e mele annurca,


pe’ na terra assaje gentile,
chiena d’arbere ‘e giardina,
chiena ‘e sciure a pprimmavera
c’arraccuntà nun ce se crera…!

Ma chiustu suonno duraje poco…
Dint’ ’o lasso ‘e poco tiempo,
Nce fermajeno trent’anne fa,
stu trenino dint’ ‘a storia
senza scrupolo e ppietà,
cu’ ‘o pretesto d’ ’o cagnà!

Doppo che è passato ‘o tiempo,
n’atu treno mo ce veno,
ma è na fredda scatulella,
ca se sposta sott’ ‘a terra,
viaggia ‘o scuro e senza sole,
gialla e grigia, ma senza core…!


Nun ce resta che tenè ’a mmente
comm’erano belli chilli tiempe,
quanno tutt’ ‘e piccerille d’ ’o paese
salutavano ‘a Piedimonte,
cu’ n’alleria e spensieratezza,
ca è sulo ricordo chin’ ’e tristezza...!
 
S. Fioretto 
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giovedì 12 dicembre 2013

Edizione straordinaria: Pino Ciccarelli, in parole e musica...!!

Si è conclusa da poche ore la bella presentazione del libro+CD, opera del maestro Pino Ciccarelli, marianellese di nascita e figlio del bravo direttore di orchestra Natale Ciccarelli
Il libro, intitolato "Magari in un altra vita" ed. Marotta&Cafiero, si accompagna nella lettura con brani musicali, molti dei quali scritti e musicati dallo stesso autore.
Si narrano con fluidità letteraria, in sintetici capitoli, alcuni scorci di vita autobiografica vissuti in gioventù dall'artista e scrittore, nei luoghi natii, Marianella, Piscinola, Miano, un tempo ricchi di verde e di umanità!
Al maestro e all'amico Pino Ciccarelli, la redazione di Piscinolablog augura uno splendido successo dell'opera, bissando presto, in un continuo letterario...!



domenica 8 dicembre 2013

... 'e Muntagnelle...! di Massimo de Stefano



Tra i miei ricordi di adolescente, nel periodo vissuto a Piscinola tra gli anni '70 e '80, oltre al cinema Selis, al circolo di Curzietto, agli incontri di basket della Virtus Piscinola e all'Oratorio parrocchiale, non posso dimenticare le famose Muntagnelle, ovvero quel luogo che noi ragazzi dell'epoca consideravamo magico per i nostri giochi, per dar sfogo alla nostra creatività e alle nostre esuberanti energie...  
Il luogo che chiamavamo 'e Muntagnelle non era altro che un lembo di terreno, poco pianeggiante, che si estendeva alle spalle della terza e della quarta traversa di via Napoli a Piscinola ed arrivava fino a via Janfolla a Miano, dove c'era l'Istituto Tecnico per il Commercio. Nel confine piscinolese c'era l'imponente edificio del calzaturificio D'Alessandro, uno dei pochissimi fiori all'occhiello dell'economia Piscinolese di allora. Spesso dalle grandi finestre della moderna fabbrica si poteva scorgere da lontano gli imponenti macchinari in lavorazione per la produzione di scarpe e borse; ma questa è un'altra storia...!
Poco lontano della fabbrica c'era, poi, un altro ampio piazzale occupato all'inzio degli anni '70 da una serie di giostre, che noi frequentavamo da bambini; giostre veramente semplici, ma che ci facevano divertire un mondo... C'erano le classiche "barchetelle", "il colpo del chiodo col martello", "il pugno del pugile", "la roulette" e quello che noi chiamavamo bonariamente "il calcinculo", perchè quando la giostra era in movimento, si doveva raccogliere al volo una specie di fiocco colorato che stava appeso a un sostegno e, per aiutare a chi stava seduto avanti a elevarsi nel salto, si dava una spinta con le gambe, realizzando per lui una sorta di catapulta...! Il fiocco raccolto dava diritto a ripetere gratis un altro giro nella giostra. C'erano altri giochi, ma sempre così semplici e innocenti...
Ma torniamo al nostro racconto....
Quel pezzo di terra delle Muntagnelle, che io personalmente non ho mai saputo a chi appartenesse, diventava, dopo la scuola e i vari compiti a casa, il nostro posto magico... il nostro nascondiglio, la nostra ludoteca...! Noi lo consideravamo come un nostro possedimento, insomma era nostro...! 
Lì si giocava, si costruivano piccole strutture e si realizzavano capanni. Ma dovevamo anche difenderlo da chi voleva estrometterci...! Diverse volte dovemmo confrontarci seriamente con alcuni ragazzi delle palazzine di Miano, che volevano utilizzarlo per i loro giochi, escludendo però la nostra presenza. Non vi nascondo che con questi ragazzi avemmo dei veri e propri combattimenti, compiuti a colpi di pietre, sfide che qui tutti chiamavamo 'a Guainella; poi sapemmo che era stato praticato da piccoli anche dai nostri genitori... 
Per fortuna per noi che i nostri combattimenti finivano sempre senza feriti... Ricordo che terminammo la nostra disputa in maniera civile e pacifica, realizzando un accordo di pace con il nemico, con la spartizione del nostro territorio, proprio come avveniva tra i grandi, nelle guerre che studiavamo a scuola sui libri di storia...!
Certo che oggi, a distanza di tanto tempo, riconosco che allora avevamo una grande fantasia e, forse, dopo che si leggerà questo mio racconto, qualcuno stenterà a credermi... ma vi assicuro che è stato tutto vero!
Che momenti belli ho trascorso su quel lembo di terra di Piscinola con i miei cari amici! Amici di una vita che ancora oggi frequento. Tra i tanti, ricordo: Pagnulotto (S. Marano), Mutandone (D. De Lise), Ustiggio (L. Sorano), Alfredino (A. Maiorano), mi fermo perchè la lista dei nomi è lunga per riportarla interamente... Quante risate che ci facevamo sulle giostre di via Napoli...!
Ricordi d'infanzia, come dicevo all'inizio, per me indelebili, che appartengono ad una Piscinola scomparsa, perché oggi quegli spazi sono stati purtroppo coperti dal cemento dei palazzoni realizzati tra gli anni '70 e '80!

Massimo De Stefano
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sabato 7 dicembre 2013

"Anni ’60: ricordi di scuola" di Anna Maria Montesano



Fotogramma di un "corto", girato alcuni giorni fa dalla troupe di "Marianella New Track", diretta da Dario De Simone
Una corsa a perdifiato, con mio fratello Peppe, giù, per la tortuosa via Vittorio Emanuele, con la speranza di prendere al volo il bus 110 che ci permette di arrivare alle rispettive scuole prima che suoni la micidiale campanella! Eccolo! Meno male, ce l’abbiamo fatta: il bus non è ancora partito ed è già tutto pieno; sperare di sedersi per ripetere, con tutta calma, il capitolo di filosofia studiato male è pura follia. Il conducente fa per mettere in moto ma gli gridiamo di aspettare perché, all’ultimo momento, sbuca in piazza qualche scalmanata studentessa ritardataria. Sale, si parte. Mi guardo intorno e incontro il viso sorridente di Mimmo Salzano che ha già cominciato a raccontare le sue barzellette sconce, fra il divertimento generale; accanto, sua cugina, Maria Cascella, infastidita, cerca di ignorarlo.

Alla prima fermata di via Vittorio Veneto, imbarchiamo il grosso della “truppa”, la schiera dei Palladino: Lia, che fa subito capannello con Mimmo e Maria; Enza e Tonino, contraddistinti dal misterioso “contranome” di “Bottone”; Teresa e la sua grassottella cugina Enza; quest’ultima fa sentire subito la sua presenza con una voce talmente squillante che, quando non c’è, si mormora in coro la celebre allitterazione “Che silenzio senz’Enzina”. Mentre il bus riparte, notiamo mia sorella Carmela, che proviene da casa di nonna Carmiluccia ‘mmiez’a vianova, e Franco Di Guida correre inutilmente alla fermata: sono i soliti ritardatari e gli toccherà aspettare l’autobus seguente, arrivando a scuola mentre il custode sta chiudendo il portone; con la coda dell’occhio, vediamo Franco che, nella fretta, va a sbattere contro un palo e ci ricordiamo della volta in cui, durante la solita corsa, gli è sfuggito il vocabolario di latino che è stato stritolato dalle ruote del bus; questi due scatenano, come sempre, l’ilarità generale. Quasi alla fine di via Vittorio Veneto, salgono i miei due cugini, Peppino e Renato, sempre insieme, sempre riservati e composti. Ormai, il gruppo dei fedelissimi è al gran completo e veleggiamo verso Capodimonte fra risate, chiacchiere, frettolose ripetizioni e primi innamoramenti; qualcuno tace, preoccupato per il compito in classe; Mimì Lanzuise, che noi chiamiamo “fisico bello” per la sua forma atletica evidenziata da una rigida camminata, parla con fervore dell’ultima partita di basket; Carmine Severino e altri studenti più grandi ascoltano sorridendo.
Piscinola vista dall'alto  (foto di Ciro Pernice)
A parecchi amici noi ragazze abbiamo affibbiato dei soprannomi per sottolineare qualche particolare caratteristica o per parlare di loro in piena libertà, con una sorta di linguaggio segreto; ma i maschi, per fortuna, non lo sanno. All’altezza di Porta piccola, i primi rallentamenti del traffico; aspettiamo la svolta ai giardini della principessa Iolanda, il Tondo, che si apre sulla lunga via S.Teresa degli scalzi, per fare il punto della situazione: scendere o no? Dall’alto del bus si intravede uno scoraggiante mare di auto. Si scende in massa e ci si scapicolla giù per la strada fino ad arrivare al Museo senza fiato. Qui, con grande rammarico, ci dividiamo: chi si dirige verso via Foria, chi continua verso piazza Dante.
Automobili e autobus fermi in via Santa Teresa al Museo, foto inizi anni '70
La discesa per via Pessina è un po’ pericolosa quando piove, tant’è che mio fratello Peppe, giorni fa, per colpa delle suole lisce delle scarpe nuove, se l’è fatta tutta in scivolata e non è riuscito a fermarsi neanche quando ha incontrato mia cugina Rosetta che proveniva dalla direzione opposta ed ha cercato inutilmente di trattenerlo. Io, Lia, Mimmo, mio cugino Peppe e mio fratello ci dirigiamo, poi, alla volta di piazza del Gesù nuovo, dove ci attendono il liceo Genovesi e il magistrale Pimentel Fonseca. E’ raro che arriviamo in anticipo o che mia sorella non faccia ritardo; in questi casi, ci rechiamo nella chiesa del Gesù nuovo per una breve ma fervida preghiera davanti all’altare di Giuseppe Moscati, non ancora santo; ci affidiamo a lui per ottenere i nostri piccoli successi scolastici o per evitare un’interrogazione sgradita. Quando, invece, come accade spesso, arriviamo in classe che il professore è già entrato, al suo rimprovero basta rispondere: «Ma, professore, io vengo da Piscinola!» per ottenere una rapida assoluzione; i nostri docenti, infatti, ignorano dove sia questa Piscinola, la immaginano in capo al mondo e non sanno che, magari, è molto più arduo raggiungere il centro storico dal Vomero, da Posillipo o Capodichino. 

Incontro di basket della Virtus Piscinola sul campo  in via Cupa Acquarola

Ho indossato il regolamentare grembiule nero e mi sono appena seduta quando timidamente bussa alla porta mia sorella chiedendo il permesso di parlarmi per “questioni di estrema importanza”; «Cacci’o panino!», mi sussurra e, mentre glielo passo, il severo professore sorride sotto i baffi; questo panino, che porto da casa anche per lei, imbottito di mortadella o di pancetta, è motivo di frequenti discussioni: Carmela lo divora seduta stante; invece io, spesso, lo dimentico, intatto, sotto il banco; quando me ne ricordo all’uscita di scuola e lo racconto a mia sorella, mentre percorriamo via Cisterna dell’olio e il profumo di cioccolato della fabbrica Gallucci ci manda quasi in deliquio, Carmela mi squadra con ferocia e vorrebbe tornare in classe a recuperare il prezioso involto. Mimmo si inserisce nella discussione, raccontando che il suo panino gli è puntualmente sottratto dai compagni di classe a cui chiede, ogni giorno  inutilmente, di lasciargli almeno il “chiricuoccolo”, vale a dire la parte centrale della fragrante rosetta. Fatte le debite eccezioni, il grande appetito mai soddisfatto accomuna la schiera degli adolescenti piscinolesi, tant’è che le 200 lire, che ci rimangono dalle 1000 che i genitori ci danno per l’acquisto dell’abbonamento ATAN alla galleria principe Umberto, le spendiamo allegramente in zeppolelle e panzarotti alla vicina friggitoria. E pensare che queste 200 lire sono l’unica paghetta che a me e a mia sorella è concessa in tutto il mese! Dopo la faticosa mattinata scolastica, rifacciamo il percorso inverso, direzione Museo; non ci fermiamo quasi mai alla fermata di piazza Dante, in attesa del rarissimo 110 rosso proveniente da piazza Plebiscito, preferendo riunirci al gruppo degli amici. Li troviamo tutti lì, più rilassati e, se è possibile, ancora più chiacchieroni e confusionari.
Il complesso musicale dei  "Wanted Group" di Piscinola
Ecco il bus che ci riporta a casa: è affollato fino all’inverosimile e a qualcuno toccherà viaggiare appeso allo “staffone”, cioè sul predellino, ma a nessuno viene in mente di restare a terra: abbiamo fretta di tornare a casa; e così, ci ficchiamo nella calca, incuranti delle righe da disegno che ci minacciano gli occhi, dei pestoni e dei grevi odori; se, poi, qualche sporcaccione approfitta della folla per fare la “mano morta”, c’è quasi sempre un amico che, cavallerescamente, ci si piazza accanto, mandando occhiate di fuoco tutt’intorno. A volte, costrette e isolate in un angoletto, io e Carmela, per passare il tempo in allegria, decidiamo di parlarci esclusivamente in latino oppure utilizzando una sola delle vocali; a chi ci sta intorno sembreremo delle deficienti ma noi ci sganasciamo dalle risate, nella leggera spensieratezza della verde età. Eccoci a Piscinola; man mano, ognuno scende alla sua fermata e, poi, finalmente, il bus arriva in piazza Tafuri; ci si dirige verso casa, chi abbascio Miano, chi o’ cap’a chianca, chi o’ cap’e coppa; una pasta e fagioli fumante, preparata con una sapiente “allacciata” di lardo e da mangiare, magari, con una sfoglia di cipolla a fare da cucchiaio, ci attende sulla tavola. Ciao, amici, a domani!



Concerto musicale presso il campo sportivo di basket in via Cupa Acquarola a Piscinola
P.S.: Ho citato solo alcuni dei giovani frequentatori del mitico 110; erano talmente numerosi che sarebbe stato arduo elencarli tutti; mi sono limitata, pertanto, ad un ristretto campionario. A tutti gli altri compagni di viaggio un affettuoso saluto da

AnnaMaria Montesano


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