Quella
che fu la sterminata plaga dell'"Ager Neapolitanus", chiamata così dai Romani, fu
fin dagli albori degli insediamenti antropici stabili luogo rinomato per la
produzione di diverse cultivar ed essenze arboree, utilizzate per la
realizzazione di fibre tessili vegetali, destinate alla produzione di capi di
abbigliamento, di tessuti e di diversi tipi di stoffe, per un vasto e variegato
utilizzo.
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Coltivazione di Lino |
Nei
secoli che seguirono, gli abitanti dei territori posti a nord della nobile Capitale, tra essi: Piscinola, Marianella, Miano, Chiaiano, Secondigliano, Melito, e via, via fino
a Casoria, Afragola, Arzano, Frattamaggiore, Casalnuovo, ecc. ecc., oltre all'agricoltura e all'allevamento del bestiame, si specializzarono nella produzione
di fibre tessili, ma anche nella trasformazione in filati e in cordami. Venivano utilizzate fibre coltivate e prodotte
localmente, quali: Canapa, Lino, Seta, Cotone e, poi, ovviamente anche filati di origine animale, ossia la lana
degli ovini.
A
Secondigliano e a Casoria, per esempio, una delle principali attività extra-agricole era proprio quella della filatura. La gran parte della popolazione di Arzano era poi impiegata nell'attività di
"pettinatura" del lino e della canapa, lavoro che si svolgeva anche in altri centri e contadi della provincia di Napoli e nella stessa città.
Nel Seicento, Secondigliano si reggeva su un'economia
prevalentemente agricola, grazie al terreno fertilissimo. Numerosi impianti di alberi di gelso si trovavano lungo l'antica arteria che collegava (e collega tutt'oggi), Secondigliano a Melito, ad Aversa, fino a Roma (l'attuale Scampia!). La seta qui prodotta era di ottima qualità, e fu definita tra le migliori prodotte del Regno di Napoli, nel secolo XVII. Di buon livello
era anche la produzione del lino che veniva lavorato in casa dalle donne, mentre
gli uomini provvedevano al commercio, esportando i filati e i prodotti di tessitura fuori dai confini dell'antico
Casale. Sempre a Secondigliano, tra la fine del Settecento e l'inizio dell'Ottocento, molto fiorente era anche la tessitura dei capi in felpa.
Citiamo
le testimonianze storiche raccolte sulla vocazione del territorio per la
produzione di fibre tessili e filati.
Testimonianze
storiche sulle coltivazioni di canapa, di lino e di gelso
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Canapa |
Il
Summonte, citando i Casali esistenti nel XIV secolo intorno alla città di
Napoli, tra cui quello di Piscinola, così scrive “[…] Questi Casali sono
abbondantissimi di frutta di ogni sorta e qualità[…].
Sono anco fertilissimi di
vini preziosi e delicati, di frumento, di lino finissimo e canapo di grande
qualità, di bellissime sete, vittovaglie di ogni sorte, selve, nocellami,
polli, uccelli, et animali quadrupedi, così da fatica come da taglio: gli
abitatori di questi Casali, quasi ogni giorno vengono a Napoli a vendere le
loro cose” .
Il
Sacco nel 1796 scrive: […] Piscinola Casale Regio di Napoli nella provincia
di Terra di Lavoro (!), ed in Diocesi di Napoli, il quale giace in una pianura,
d’aria temperata e nella distanza di quattro miglia dalla città di Napoli. Sono
da notarsi in detto Casale, il quale esisteva sin dal tempo, in cui la città di
Napoli fu presa e saccheggiata da Belisario, generale dell’imperatore
Giustiniano, una chiesa parrocchiale sotto il titolo del SS. Salvatore, ed una
confraternita laicale sotto la invocazione del Sagramento.
Il suo territorio
produce grani, granidindia, lini e canapi. Il numero degli abitanti ascende a
milleottocentoquarantasei sotto la guida spirituale di un Parroco.”
Il
Libro Dizionario Geografico ragionato del Regno di Napoli di Lorenzo
Giustiniani a Sua Maestà Ferdinando IV, re delle Due Sicilie, edito nel 1804,
riporta testualmente: “Da una carta celebrata in Napoli, citata dal
Chiarito, a 29 agosto dell’anno XLIV dell’impero di Costantino e VII di Romano,
si legge: “Petiam terre in loco dicto prato in Piscinula”. Il suo territorio fa
grano, granone, lino, canapa, vino e frutta. Gli abitanti ascendono a 1954
(anno 1804), tutti addetti all’agricoltura e alla negoziazione de loro
prodotti”.
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Scheda botanica della Canapa |
Nel
libro “Historia del Regno di Napoli, ultimamente diviso in 15 provincie…”
di Giuseppe Maria Alfano, Napoli 1823, è scritto: “Piscinola, Casale Regio, in
piano, d’aria mediocre, Dioc. di Napoli, circa 4 miglia distante dalla città.
E’ antichissimo, poiché esisteva sin dal tempo in cui la città di Napoli fu
presa e saccheggiata da Belisario Generale dell’imperatore Giustiniano. Produce
Grani, Granidindia (mais), lini, canapi. Fa’ di popolazione 1906”.
Nel
libro “Corografia dell’Italia” di G. B. Rampoldi, Volume III, Milano 1834, si
legge: “Piscinola, volgarmente Pascinola, villaggio del Regno delle Due
Sicilie, provincia di Napoli, distretto di Casoria, cantone di Mugnano, con
circa 1800 abitanti. Il suo territorio, intersecato dalla via che da Napoli
conduce a Caserta, è dei più ubertosi che immaginare si possa. Abbondantissime
sono le messi, copiose le piante fruttifere e prelibati i loro prodotti. Sta
sette miglia a ostro di Caserta e altrettanto a borea di Napoli [...]”.
La
macerazione nel lago di Agnano...
Il
lago di Agnano è stato utilizzato per secoli dagli abitanti di Piscinola e di altri centri dell'Area Nord di Napoli, per la macerazione del lino e della canapa. Per
favorire tale pratica e agevolare il collegamento stradale al lago, i Borboni realizzarono l'importante asse viario, denominato la
"Strada dei Canapi Agnano-Miano", oggi via V. Janfolla e altre strade
ad essa collegate, attraverso i quartieri dell'Arenella (Pigna) e di Fuorigrotta (leggere il
post dedicato alla "Via Miano Agnano, la prima tangenziale di Napoli").
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Lago di Agnano e il casino di caccia borbonico, foto di fine '800 |
Successivamente alla
realizzazione di quest'arteria, il Comune di Piscinola avanzò richiesta di fondi
alla allora Deputazione Provinciale di Napoli, per finanziare la costruzione di una nuova strada
per Miano, che si congiungesse col nuovo asse viario per Agnano (oggi Via Vittorio Veneto), ma a causa del cambio di Governo, scaturito dall'unificazione del Regno d'Italia, all'abolizione del Comune di Piscinola e alle lungaggini burocratiche cittadine, essa veniva completata solo nell'anno 1913...!
L'utilizzo
del lago di Agnano fu proibito durante i periodi di calamità pubblica in città, anche se
le disposizioni di divieto furono quasi sempre disattese dai nostri antichi
concittadini, tanto da scaturirne pubblici ammonimenti, destinati ai cittadini
evasori...
Ecco
una testimonianza raccolta nella cronaca del tempo: “Napoli nell’anno 1764,
documenti della carestia e della epidemia…”:
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Macerazione della canapa |
“[…]
Con dispaccio del 13 luglio del 1764 venne vietata la macerazione della canapa
e del lino nel lago di Agnano, come cosa pregiudizievole alla pubblica salute,
e si ordinò di farsi il macero nel Fusaro, nel lago di Patria e in altri luoghi
lontani dall’abitato e poiché i contadini di Piscinola, Marianella e
Chiajano ed altri si negarono di ubbidire, fu ordinato dal Commissario di
Campagna di procedere con rigore contro i trasgressori […]”.
Nei
secoli precedenti al XIX secolo anche le zone dell’area est di Napoli, ricche
di paludi, furono utilizzate per macerare Lino e Canapa. Infatti a Barra,
furono gli Angioini ad avviare un'efficace azione di bonifica di queste zone
acquitrinose e malsane, dove dai tempi del Ducato si poneva a macerare il lino
e la canapa; ciò permise con il tempo la graduale sistemazione del suolo e il
ripopolamento della campagna dando luogo alla formazione del primo nucleo del
casale di Barra. Ignorato il problema sotto il domino degli Svevi, l’intervento
di bonifica dello Stato proseguì a più riprese in età aragonese e culminò
nell'anno 1485.
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Macerazione della canapa |
Successivamente
agli interventi di bonifica e di prosciugamento del lago di Agnano, la canapa
veniva condotta a macerare ai Regi Lagni, dove si trovavano ampie vasche attrezzate e
piazzali idonei per l'essiccazione dei covoni.
La
società francese "Chemin de Fer du Midi de Italie", gerente della ferrovia "Napoli Piedimonte d’Alife", proprio per far fronte alle numerose richieste di trasporto
da parte dei tanti lavoratori, braccianti stagionali, occupati in queste attività legate alla Canapa (lavoratori provenienti dalle
provincie di Napoli e Caserta), aveva istituita, a partire dagli anni ’20-‘30, una
fermata facoltativa proprio nei pressi del ponte sul canale, denominata, appunto, "Regi Lagni".
La
coltivazione del Gelso e la Bachicoltura.
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Bozzoli di seta |
Ai
primi del Settecento, nel territorio compreso tra Secondigliano, San Pietro a
Patierno, Miano, Piscinola, Melito, Arzano e Casavatore, venne incrementata la
coltivazione dei gelsi per alimentare i bachi da seta.
Ne conseguì una fiorente
produzione di seta a livello artigianale e familiare, che preannunciava
l'avveneristica istituzione borbonica dell’industria serica di San Leucio, promossa dal Re Ferdinando IV.
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Baco da seta |
A
Secondigliano buona parte delle case era provvista almeno di un telaio per la
lavorazione e tessitura della seta a domicilio, ma anche del lino. La lavorazione della seta e del lino
persistette in questi territori per tutto l’Ottocento.
Anche
il Casale di Piscinola, poi divenuto Comune autonomo, ebbe dei luoghi principalmente dedicati alle lavorazioni delle
fibre e alla loro tessitura: il toponimo dell'attuale Via Cupa della Filanda deriva
dalla presenza, nei tempi antichi, di molte filande a sud di Piscinola, dedite
alla tessitura del lino e della seta.
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Tessuto di seta "damascato" |
Sulla produzione e sul commercio della seta i dati disponibili sono relativi al decennio 1774-1783 e si
riferiscono alle spedizioni verso Napoli delle sete
prodotte. I dati mostrano oscillazioni molto ampie da un anno all'altro: poco
meno di 20.000 libbre nel '74, 11700 libbre nel '75, quasi 30.000 nel '76... e
poi un lento e progressivo calo fino a 10000 libbre de primi anni '80 e ad un
minimo di 4.300 libbre nel
1783.
Il
Columella Onorati sosteneva di aver osservato nei dintorni di Napoli tre varietà
di gelso: a foglia bolognese, a foglia palermitana e a foglia bianca
"nostrale”. Le ultime due, più diffuse, erano rispettivamente a frutto
rosso e bianco, ma la bianca "nostrale" era largamente utilizzata...
La
canapa ed il lino
La
canapa ed il lino, come si è già detto furono un
tempo largamente utilizzate nell’economia contadina, per la produzione di
filati e di stoffe sia a carattere semi-industriale, che semplicemente per l'utilizzo familiare.Queste
fibre si ricavavano dalle piante coltivate nei nostri campi in maniera
intensiva. Esse avevano, in sostanza, fasi di lavorazione tra loro molto
simili.
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Corde di canapa |
Descriveremo
la produzione della canapa, perché ci è giunta la testimonianza diretta degli
anziani che la coltivavano durante la loro fanciullezza. I semi di canapa (‘o
cannule) erano messi a dimora nel mese di marzo, eseguendo sul terreno
solchi ravvicinati, mediante piccole zappe. A luglio, quando le piante
iniziavano ad ingiallire, si estirpavano (scippavano) e venivano messe a
seccare distribuite sul terreno. Per rendere omogenee le superfici, si
“giravano” più volte i fusti, affinché anche le parti non esposte al sole
divenissero uniformi alle altre.
Si
eseguiva poi una “scrollatura” degli arbusti, in modo da favorire la caduta
delle foglie rinsecchite. Successivamente venivano eliminate le radici e le
cime degli arbusti, mediante dei tagli netti eseguiti con una specie di macete.
I fusti ottenuti erano quindi raggruppati in piccoli fasci e legati con
elementi della stessa canapa. I fasci di canapa erano caricati su appositi carri, detti “carrette”,
e trasportati nelle vasche di macerazione, che si trovavano nei pressi dei Regi
Lagni. Lì venivano immersi in acqua a macerare (‘a maturà) per circa
dieci giorni, coprendoli con dei pesi zavorra o semplicemente con pietre.
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Produzione di corde a Frattamaggiore |
Una
volta estratti dall’acqua, i fusti venivano messi ad asciugare, esposti al sole
nei piazzali adiacenti. Si preferiva conferire ai fasci di canapa la
posizione verticale aperta, a forma di cono. Naturalmente sia l’occupazione
delle vasche che dei piazzali era fatta a titolo oneroso e doveva essere pagata
con un contributo in natura o in moneta.
Terminata
l’asciugatura, i fusti di canapa erano riportati nelle masserie per essere
ulteriormente essiccati nelle “arie”.
Seguiva
l’operazione di “sfribratura”, che consisteva in una specie di “pestaggio”,
praticato per estrarre le fibre dal fusto. L’attrezzo utilizzato per
l’operazione consisteva in un apposito scanno (macennola), munito di una
leva di legno corta e pesante, con un’apposita scanalatura, dentro la quale si
poneva il fascio di canapa, per subire il “pestaggio”.
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Produzione di corde a Frattamaggiore: I "funari" |
Queste fasi della
lavorazione erano condotte da operatori specializzati, impiegati solo per
l’occasione. Un’altra operazione particolare era la “pettinatura” di finitura,
che consisteva nello spatolare le fibre della canapa con uno speciale attrezzo
di legno detto “spatula”. Normalmente queste due ultime lavorazioni
erano condotte dallo stesso operatore, che veniva chiamato “pettinatore”.
Al
termine dell’operazione di “pettinatura”, si raggruppavano tre o quattro
matasse e si componevano i fasci, che avevano dimensioni stabilite per essere
trasportati e venduti in un “Consorzio”.
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"Macennola" |
I
“Consorzi” erano degli opifici abbastanza diffusi nella zona ed erano situati
sia nei pressi di Afragola, che nelle zone di Frattamaggiore, Grumo e Caserta. All’interno
di un “Consorzio” c’era un tecnico “estimatore”, che attribuiva, con il suo
giudizio, un grado d’apprezzamento alla qualità della canapa da acquistare.
Il
grado d’apprezzamento variava secondo la scala di qualità: 1, 2, 3. Più alto
era il "numero d’apprezzamento" e più scadente era la qualità della canapa e
quindi meno valore economico gli era attribuito.
Spesso,
in occasione di una cattiva stagione primaverile, la canapa s’imbruniva durante
la “maturazione” e questa anomalia della fibra rappresentava uno degli elementi
che le facevano perdere di valore durante la vendita.
In
sostanza, il valore della canapa seguiva l’andamento del mercato ed era
soggetto ad un vero e proprio “borsino di scambio”.
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Cartolina di Frattamaggiore |
Una
curiosità che abbiamo raccolto dagli anziani è stata quella che il costo della
canapa stipulato dal “Consorzio”, al momento del conferimento, era solo fatto
“per approssimazione”, poiché il “consorzio” provvedeva al termine della
stagione a correggere la quota stipulata, via via che il “mercato” si adeguava
al prezzo stabilmente praticato. In sostanza, a distanza di mesi dalla vendita,
si veniva chiamati e si riceveva ulteriore denaro.
Sovente
una certa quantità di canapa veniva utilizzava nell’ambito della famiglia del
contadino, il quale la raccoglieva su dei fusi e provvedeva a farla tessere in
alcune filande della zona, attrezzate con telai semi automatici.
Sicuramente
un tempo le masserie possedevano, oltre ad arcolai e fusi, anche i telai di
legno per la tessitura della canapa, poi andati in disuso. Con questi attrezzi
le donne del paese preparavano il loro corredo prima di sposarsi.
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Frattamaggiore: Monumento dedicato ai lavoratori di Canapa: "La canapina" |
A livello industriale fiorenti erano i piccoli e medi insediamenti sorti nelle cittadine di Frattamaggiore, Casandrino, Melito e altre località, specializzati nella produzione di cordami. Le corde prodotte in questi centri sono state diffusamente utilizzate per secoli dalle navi della marina borbonica, e presso le tante industrie del Regno di Napoli e anche all'esterno di esso.
Non
abbiamo raccolto testimonianze sulla produzione del lino a Piscinola, forse perché la
coltivazione di questa pianta è stata praticata in tempi ancora più remoti ed è
quindi scomparsa ormai da troppi anni. Molto
probabilmente la produzione del lino avveniva sul finire dell'Ottocento solo a carattere locale in base a
particolari esigenze familiari. Di sicuro in ogni masseria era presente una
grossa pietra di basalto grigia, utilizzata per la lavorazione di questa
pregiata fibra.
I
Meuricoffre coltivano il cotone a Piscinola…
Abbiamo
già pubblicato sulle pagine di questo blog un post dedicato alla famiglia dei
banchieri svizzeri Meuricoffre, che promossero soprattutto investimenti ed
affari nel campo della finanza, dell’agricoltura e della navigazione.
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Fiore di cotone |
A
seguito della Rivoluzione Americana (1780), le importazioni in Europa del
cotone si erano drasticamente ridotte e il rampollo della famiglia, Oscar, pensò bene di attrezzare il suo
terreno situato a Piscinola, con piantagioni di cotone. Tale progetto però
richiedeva la costruzione di due capienti cisterne per l’irrigazione delle
piantine di cotone, oltre che di un sistema di condotte per l’adduzione
dell’acqua piovana.
L’investimento si presentava già al suo nascere assai
costoso, perché era necessario assoldare maestranze specializzate e importare
macchinari provenienti da fuori Napoli. A chi gli faceva notare l’enormità
della spesa da affrontare in relazione al guadagno atteso, Oscar Meuricoffre rispondeva che
l’acqua poteva essere utile anche ai contadini piscinolesi...
Dopo
l’approvazione da parte del Comune di Piscinola, il progetto passò alla
Deputazione Provinciale di Napoli.
Non
sappiamo se l’investimento ebbe un buon rendimento, sappiamo solo che l’opera
idraulica fu realizzata, come pensata da Oscar.
Le
cronache registrano che, alla sua morte, il Comune di Piscinola si trovò in
possesso di un piccolo acquedotto, per soddisfare i bisogni idrici e di sete
della popolazione locale.
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Arcolaio |
L’idea
di coltivare il cotone in provincia di Napoli, non fu poi tanto una novità,
perché coltivazioni di cotone erano diffuse nei primi decenni dell’'800 in
diverse provincie del Regno e soprattutto in alcune zone circostanti la città
di Napoli, come a Torre del Greco.
Nel notiziario “Atti del Regio Istituto
d’incoraggiamento alle scienze naturali”, si riporta una sostanziosa
descrizione delle piantagioni di cotone e dei ricavi industriali attendibili,
oltre ad uno studio del clima e della geomorfologia del territorio esistente
attorno alla città di Napoli ed in altre terre del Regno delle Due Sicilie. In
quest’opera si dimostrava, in effetti, la fattibilità tecnico-agraria della
coltura del cotone anche nel nostro territorio, come poi sperimentata da Oscar.
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Formazione di corde a livello artigianale |
A
conclusione di questo interessante argomento, c’è da aggiungere che nonostante
la variegata quantità di mestieri esistenti nel territorio a Nord di Napoli, e in particolare a Piscinola, è stata
la lavorazione della canapa, del lino e della seta ad avere e conservare per molti
secoli un posto di rilievo tra i mestieri maggiormente esercitati dalla
popolazione locale. Per lavorare e produrre queste fibre a volte occorreva sfidare le
disposizioni delle autorità sanitarie, come abbiamo visto nell’anno 1764, quando gli abitanti di Piscinola, Marianella, Chiaiano e
di altri Casali non si persero d'animo e continuavano a portare i canapi e i lini a macerare nel lago di
Agnano, nonostante i divieti imposti dal governo della città.
Salvatore
Fioretto
Alcuni paragrafi inseriti in questo post sono stati tratti dal libro: "Piscinola, la terra del Salvatore. Una terra, la sua gente, le sue tradizioni", di S. Fioretto, ed. The Boopen, 2010.
(Tutti i diritti per la pubblicazione dei testi del blog sono riservati all'autore, ai sensi della legislazione vigente)
N.B.: Le foto riportate in questo post sono state liberamente ricavate da alcuni siti web, ove erano pubblicate. Esse sono state inserite in questa pagina di storia della città, unicamente per la libera divulgazione della cultura, senza alcun secondo fine o scopo di lucro.