martedì 30 luglio 2013

Alfonso di Marianella: Il santo degli ultimi...un santo delle periferie!


La ricorrenza del 1 agosto, dies natalis al cielo di sant'Alfonso, quest'anno ci induce a delle considerazioni molto particolari, che riguardano da "vicino" noi suoi conterranei. Ci soffermeremo a rispondere ad una domanda, in particolare, alla quale non possiamo più sottrarci: Alfonso de Liguori come ha vissuto la sua vita in rapporto con la sua terra natale, vale a dire con il casale di Marianella e suoi dintorni?? Come visse la sua infanzia in questo territorio?
Della sua lunga vita si è scritto molto, ma poche sono le notizie che narrano della sua vita trascorsa a Marianella. Proviamo a ricostruire gli episodi dalle fonti biografiche e agiografiche in nostro possesso.

In primis apprendiamo dai biografi la nascita e i primi giorni della Sua vita:
Don Giuseppe de Liguori, che possedeva una casa di campagna nel Casale di Marianella, ereditata dal padre Domenico, volle che il suo primogenito vedesse qui la luce, circondato dalla natura e aria salubre e da tanta calma e serenità; questo usanza fu poi estesa a tutti gli altri discendenti della sua casata, che seguirono Alfonso. Alcuni giorni dopo la nascita, i genitori portarono il loro bambino nella dimora cittadina, nel loro palazzotto situato nel popoloso quartiere dei Vergini e qui Alfonso dopo 3 giorni ricevette il battesimo nella parrocchia dei Vergini.
Di quest'avvenimento cosi descrive Theodule Rey-Mermet, nel libro su Sant'Alfonso: "Il santo del secolo dei lumi":
“A dì 29 di settembre 1696 di sabato. Alfonso, Maria Antonio Giovanni Francesco Cosimo Damiano Michele Angelo Gasparro de Liguori figlio del Sig. D. Giuseppe de Liguori ed della Signora D. Catarina Anna Cavaliero Coniugi, fu battezzato per me D. Giuseppe del Matteo parroco e fu tenuto a Gratia Porpora - nato a 27 di detto, ore 13”.
Allora a Napoli, come in tutto il resto della penisola, il suono dell'Angelus della sera mezz'ora dopo il calar del sole determinava i giorni e le ore; nella seconda quindicina di settembre alle ore 13, le nostre attuali 7, i rintocchi dell’ Angelus del mattino della vicinissima chiesa di Marianella e di tutti i campanili di Napoli riempivano l'aria.
I genitori intendevano con il nome di Alfonso far rivivere nel loro primogenito la memoria del nonno e del trisavolo con i nomi di Antonio".
E ancora in questo passo, pur escludendo la frequentazione continua a Marianella:
"All’inizio del Settecento Napoli, raggomitolata in modo pauroso dentro la cinta fortificata all’ombra di Castel Sant’Elmo con i suoi 214.000 abitanti, soffocava all’interno dei bastioni come una matrona costretta nel busto di un’indossatrice; solo nel 1717, con l’arrivo degli Austriaci, le violente proteste di una popolazione asfissiata strapperanno al viceré, il conte di Daun, l’autorizzazione a costruire all’esterno delle mura, che si comincerà ad abbattere non prima del 1740 Tuttavia, a dispetto delle ordinanze di Madrid, il viceré Pietro di Toledo, a metà del XVI secolo, aveva lasciato sorgere extra muros grossi agglomerati, tra i quali, al di là di Porta S. Gennaro, il Borgo dei Vergini, ai piedi delle pendici verdeggianti che si arrampicano verso Capodimonte.
In questo quartiere relativamente nuovo, arieggiato e purificato dalle piogge che scorrevano dall’alto, e non a Marianella, il piccolo Alfonso crescerà fino ai suoi undici anni, nella casa che i giovani sposi Giuseppe e Anna de Liguori avevano scelto non lontano dal palazzo Cavalieri e dalla trireme ammiraglia, la Capitana, ancorata nel porto militare raggiungibile facilmente per via Toledo. [...]".
Sul fronte dell’arco che prospetta l’ultima tesa della scalinata al 1° piano e la stanza, una lastra di marmo è apposta con queste parole:
"Nella Camera in cui questa porta immette
Alle ore 13 del 27 Settembre 1696, nacque
S. Alfonso M. De’ Liguori
Fondatore dei redentoristi, Vescovo di S. Agata de’ Goti
e Dottore della Chiesa universale"
Si narra che un giorno, incontrando il pio gesuita, Francesco de Geronimo, i coniugi de Liguori vollero da questo impetrare una speciale benedizione per il bambino. Il futuro santo gesuita, a vederlo rimase alquanto stupito, quasi scosso e poi profetizzò che il bambino sarebbe vissuto fino ad oltre novant'anni, sarebbe stato vescovo e avrebbe fatto grandi cose per Gesù Cristo. Di questo avvenimento è conservato un dipinto sull'altare della cappella della casa di Marianella.
San Francesco De Geronimo predice sulla vita di S. Alfonso
Per la cronaca, tutto quello che predisse Francesco Geronimo si verificò puntualmente e ancora di più, è singolare scoprire che Alfonso fu canonizzato ed elevato agli altari proprio nello stesso giorno di San Francesco de Geronimo, il 26 maggio del 1839.
La prima bella testimonianza di Alfonso ragazzetto è riportata dal biografo Rev. P. A. Berthè, nel suo libro "Sant'Alfonso de Liguori", che così scrive:
"Ogni domenica , i padri dell’Oratorio conducevano i loro giovani congregati in qualche villa dei dintorni, perché giocassero e si divertissero a loro piacere. Un giorno, mentre si trovavano a Capo di Monte, nella villa del principe di Riccia, i giovanetti proposero un giuoco che Alfonso non conosceva. Egli quindi ricusò di prendervi parte; ma, dietro le reiterate istanze dei suoi compagni, si mise a giocare con loro. Disgrazia volle che egli vincesse un numero considerevole di partite, ed in conseguenza di poste, con grande stupore dei compagni, che finirono col rimproverarlo amaramente per averli ingannati. - Tu dicevi di non conoscere il giuoco! - esclamò uno dei perdenti incollerito e con parole oltraggiose - Come! - riprese Alfonso, - per poche misere monete, voi non temete di offendere Dio!". E commosso fino al fondo dell'animo, gettò per terra il denaro che aveva guadagnato, voltò le spalle ai compagni e disparve in un boschetto vicino. I giovani continuarono fino a sera i loro giuochi senza più occuparsene di Alfonso; ma quando venne il momento di tornare, siccome egli non compariva, si misero a chiamarlo e a cercarlo per tutto. Quale non fu lo stupore di quei fanciulli inconsiderati, quando lo ritrovarono in ginocchio, al piede di un vecchio lauro, ai rami del quale egli aveva attaccata l'immagine della Madonna, che portava sempre seco! Assorto in un santo accoglimento, non si accorse del rumore che si faceva intorno a lui. I fanciulli, stupiti, lo consideravano con rispetto. Colui che lo aveva offeso, punto da vivo rimorso, non potè fare a meno di dire ai compagni: "Egli è un santo ed io , sciagurato. l'ho offeso così vivamente". Alfonso finalmente apri gli occhi, come se uscisse da una lunga estasi, scorse i compagni e non poté dissimulare la confusione che provava, vedendosi sorpreso in quel atteggiamento. D'allora in poi i giovani dell'Oratorio lo guardavano, non senza ragione, come il privilegiato della Madonna".

Nella biografia di Antonio Maria Tannoia si legge che Alfonso nel 1752 organizzò una missione nella sua Marianella:
"Consolò ancora Alfonso in questo tempo colla Santa Missione il Casale di Marianella; e fecelo con maggior piacere, perché quivi goduta aveva la luce di questo Mondo. Al ritorno, passando per Napoli, andò a scavalcare nel nostro ospizio, cioè in uno scomodo quartino di casa sua, cedutane ai nostri per limosina l'abitazione del fratello Don Ercole"

Dopo questa missione, e quella organizzata a Porta Piccola di Capodimonte, forse per l'eccessivo dispendio di energia, Alfonso si ammalò gravemente, tanto da temere per la stessa sua vita.  Una volta ripresosi gli fu consigliato di passare un periodo di riposo a Scala, in provincia di Salerno, tappa che  segnò l'inizio della fondazione della Congregazione del SS. Salvatore, nome poi tramutato dal Papa in: Congregazione del Santissimo Redentore.
Statua d'argento di San Alfonso nella Cappella del tesoro di san Gennaro a Napoli
A riguardo le ore liete che la piccola famiglia dei Liguori si concedeva di tanto in tanto a Marianella, ancora il Theodule Rey-Mermet, nel libro su Sant'Alfonso: "Il santo del secolo dei lumi" così scrive:
[...] "Durante l’inverno la squadra (ndr.:. le galere di Don Giuseppe, padre di Alfonso) si rilassava nel bacino di Baia e nei mesi estivi e autunnali i funzionari, dal viceré fino ai rematori delle galere, a meno che il “Turco” non si spingesse a cacciare nei paraggi, godevano di parziali vacanze. Anche i coniugi Liguori con il loro allegro piccolo mondo potevano allora riguadagnare per qualche settimana il paradiso di Marianella e ritrovare lo “zio” e vicino Nicola de Liguori (fratello del futuro vescovo di Lucera), forse anche la sorella, la giovane “zia” Antonia (Donna Antonia Salerno), una pittrice da tutti ammirata. "
E ancora in un altro passo:
 "[...] Non abbiamo il coraggio di imporre al lettore il dettaglio dei passi, delle suppliche, dei rifiuti sgarbati, delle umiliazioni, che segnarono ancora una volta nel corso del 1752 la vita napoletana del fondatore, impegnato contemporaneamente da predicazioni e da missioni sfibranti: Marianella, la chiesa dei Pellegrini, ecc. Alfonso fu costretto a vivere nuovamente il calvario degli anni 1747- 1748 .
Vi aggiunse macerazioni da far rabbrividire, perché l’Opera votata alla salvezza degli abbandonati potesse continuare a vivere. Una sera, arrivato in casa del fratello Ercole al quartiere dei Vergini tra gli schiamazzi dei perdigiorno a causa del suo asino, della sua barba, del suo vecchio mantello, si chiuse in camera e l’indomani non vedendolo comparire si dovette forzare la porta: sul letto, completamente vestito, non dava segni di vita e i medici, chiamati in fretta, scoprirono che un orrendo cilizio lo faceva venir meno per lo strazio. Se aveva rischiato la morte per il dolore, credette poi di morire per la confusione d’essere stato scoperto nelle sue penitenze." (nella foto Sant'Alfonso e la Regola).
Quando Alfonso decise di farsi sacerdote e rinunciò alla primogenitura di casa Liguori, gli rimase solo la proprietà del Carduino a garantire il reddito occorrente per l'Ordinazione: La proprietà del Carduino è proprio il tenimento di terreno con masseria nel quale oggi si trovano i resti archeologici della villa romana!:
“[...] Non pensiamolo per questo sul lastrico! (si riferisce al papà di S. Alfonso) Gli restavano tre palazzi (Via Toledo, Supportico Lopez e Marianella), un’altra grande casa a Marianella, più di venti bassi dati in affitto, diversi terreni (giardini, frutteti, boschi) per un totale di circa venticinque ettari e altre opulenti rendite.  Aveva lavorato bene per il suo primogenito, credendo così di legarlo saldamente al mondo ma aveva fatto i conti senza la forza del Vangelo."
Madonna dipinta da S. Alfonso
Poi:
“Alfonso divenne chierico tonsurato nell’autunno del 1724, dopo che Don Giuseppe gli ebbe assegnato sulla proprietà Cardovino a Marianella il patrimonio di 40 ducati annui richiesto dal diritto canonico. [...]."

E ancora:
 "[...] Personalmente Alfonso non poteva lamentarsi: aveva vitto e alloggio in casa, un patrimonio di quaranta ducati annui da percepire sulle rendite della proprietà Cardovino (o Carduino) a Marianella, la pensione del collegio dei dottori e la sua parte delle entrate del Seggio di Portanova. Però chi conosce il padre e la storia della prima sottana di Alfonso è autorizzato a pensare che una parte notevole finisse nella scarsella paterna, una volta onorata la sua partecipazione alle opere di misericordia: Incurabili, sacerdoti della Misericordiella..." (nella foto la Madonna dipinta da sant'Alfonso).

Più volte i membri della famiglia dei Liguori si recarono a Marianella per placare i loro immancabili momenti di apprensione, sia Don Giuseppe e lo stesso Sant'Alfonso; il più famoso, raccontato da tutti i biografi di Sant'Alfonso, è quello del padre quando seppe della rinuncia del figlio alla già fulgida carriera forense:                                                                                                          

"Dovendo andare D. Giuseppe al baciamano (ndr. Si riferisce alla cerimonia del baciamano dei nobili napoletani verso il Vicerè in carica), disse ad Alfonso, che si fosse composto anch'esso. A tale invito si scusa freddamente Alfonso, non so con qual pretesto, ma premendolo il Padre, più freddo rispose: Che vengo a farci? tutto è vanità. Montando in furia D. Giuseppe, per una tal risposta, tutto fuoco gli disse: Faccia ciocchè vuole, e vadane ove vuole. Entra in iscrupolo Alfonso, vedendolo disturbato, e con umiltà soggiunse: Non v'inquietate Signor Padre; eccomi qua, son pronto a venirci. Non ammettendo D. Giuseppe, alterato com'era, la sommissione del Figlio, infuriato replicò di nuovo: Faccia ciocchè vuole; e voltandogli le spalle, cala di casa, s'incarrozza, ed anziche a palazzo, sen va così crucciato, e pieno di amarezza nel suo casino  in Marianella. Restò Alfonso molto mortificato, anzi afflittissimo per questo disturbo del Padre: Mio Dio! esclamò, se ripugno, fo male; se mi offerisco, fo peggio. Io non so come regolarmi. Così afflitto esce anch'esso di casa, e vassene a dirittura, volendo trovar sollievo al suo spirito, nella Casa degl'Incurabili".                   


Il papà di Alfonso, Don Giuseppe de Liguori, trascorse gli ultimi anni della sua vita a Marianella, dilettandosi a dipingere:
Di certo rimane la sorprendente pagina di B. de Dominici pubblicata nel 1745 nelle Vite de’ pittori: “D. Giuseppe di Liguoro, Cavaliere napoletano, si applicò ancor egli con gran genio al disegno, e volle per maestro Francesco Solimena, con la di cui direzione fece qualche cosa, copiando l’opere sue. Ma lasciando poi di colorire a olio, si volse a dipingere in miniatura, ed in tal modo ha fatto moltissime cose con sua lode, da poiché, virtuosamente applicando il tempo, è venuto a guadagnarsi il nome di Virtuoso, ed a far Si che il suo nome resti meritevolmente eternato. Egli, acciocché non venghi disturbato dalle cure domestiche, suole per lo più ritirarsi a Marianella, casale vicino Napoli, ove, benché fatto vecchio, tuttavia dipinge le sue miniature, delle quali suole far dono ai suoi più cari amici, e ad altre persone di merito” .
Questa pagina di storia minore, scritta a caldo e con una punta di iperbole mentre il vecchio ufficiale era ancora in vita (morrà all’uscita del libro nel 1745, cioè due anni prima di Solimena), se non apre a Don Giuseppe le colonne delle enciclopedie d’arte, dà a noi la possibilità di lanciare uno sguardo sui suoi gusti e sulla sua cultura, sul suo riposo tranquillo e, soprattutto, sulla formazione pittorica del suo primogenito Alfonso, che quindi crebbe non solo in una galleria di quadri, ma anche tra i colori e i pennelli. Come non pensare allora che il maestro di pittura e senza dubbio di architettura datogli dal padre non sia stato quello stesso del quale anche il genitore seguiva le lezioni?" 
Un'altra pittrice della casa dei Liguori fu Antonia de Liguori, definita da Theodule Rey-Mermet:  "...la delicata pittrice di Marianella".
Reliquario contenente le ossa di sant'Alfonso a Pagani
Il padre di sant'Alfonso, Don Giuseppe, morì proprio nella sua casa di Marianella, ecco la testimonianza di Theodule Rey-Mermet
"Se si fosse trattata di una popolazione meno difficile (ndr. quella della diocesi di Foggia presso la quale Egli si trovava per una Santa Missione), Alfonso l’avrebbe senz’altro lasciata in altre mani, per correre all’inizio di novembre a Marianella, dove si spegneva il padre. In sua vece mandò al capezzale il P. Saverio Rossi, che durante il suo lungo ritiro a Ciorani aveva ricevuto le confidenze e si era guadagnato l’amicizia del vegliardo. Degli altri due figli sacerdoti, solo Don Gaetano potette assistere il moribondo, perché il benedettino Antonio (Don Benedetto Maria) era morto a quarant’anni il 3 agosto 1739.
“Don Giuseppe de Liguori morì, timorato e fervoroso, la domenica 14 novembre 1745, dopo 50 anni e sei mesi di matrimonio, all’età di 75 anni. Alfonso, che durante il suo prossimo passaggio per Napoli sarebbe venuto a consolare la madre Donna Anna Cavalieri assicurò da Troia al padre il suffragio delle messe sue e dei confratelli e le preghiere di quel popolo toccato e riconoscente".

Il fratello di S. Alfonso, don Ercole, ebbe il suo terzogenito che volle chiamare Alfonso Maria in omaggio al nostro santo, il cui battesimo fu celebrato personalmente da Sant'Alfonso nella chiesa parrocchiale di Marianella il 5 agosto del 1767; singolare fu il battibecco che Egli ebbe con il parroco di Marianella, per gli encomi che egli poco gradì, ecco quanto riporta Padre Antonio Tannoia nel libro "Della vita ed istituto del venerabile Servo di Dio Alfonso M. de Liguori...."
 
"Essendosi sgravato tra questo tempo in Marianella D. Marianna Capano Orsini sua cognata, avendolo partorito un bambino, volle la consolazione il di lui Fratello D. Ercole, che col Battesimo, per mezzo suo, il bambino rinato fosse alla Grazia.
Lo compiacque Monsignore; e volle D. Ercole, per sua maggiore consolazione, che anche Alfonso nominato si fosse. Saporito è quello accadde con quel Parroco. Assistendolo questi, ripetevali l'Eccellenza in ogni voltata di lingua. Soffrillo Monsignore la prima, e seconda volta, per non interrompere la funzione; ma più non potendo, Signor Parroco, li disse, se mi volete dare l'Illustrissimo, fate come volete, o trattatemi da tu a tu, che fate meglio."

E ancora:
"[...] Il 5 agosto 1767, in pieno soggiorno napoletano di Alfonso, venne al mondo un terzo figlio e lo zio, condotto a Marianella, gli diede il battesimo e il nome: Alfonso Maria.

Nel 1780 il fratello di Sant'Alfonso muore nella casa di Marianella:
"[...] Il fratello Ercole era morto improvvisamente a Marianella l’8 settembre 1780 e la primogenita Maria Teresa, consigliata dallo zio, con scelta matura, era entrata nel convento di S. Marcellino, facendovi la professione il 2 luglio 1783".

Prima di concludere c'è da aggiungere che Alfonso fu contemporaneo del barone Gennaro Maria Sarnelli, anche egli giovane avvocato del foro di Napoli, il cui genitore aveva un tenimento sito tra Polvica e Chiaiano, nel quale dimorava con la sua famiglia a Napoli. Considerando l'antica amicizia che regnava tra i due, sicuramente nei verdi anni della giovinezza Alfonso e Gennaro si sono frequentati e hanno trascorso insieme il loro tempo libero, esplorando e percorrendo il territorio tra Chiaiano, Marianella, Piscinola e Mugnano. Purtroppo di tutto questo non abbiamo testimonianze scritte. Il padre di Gennaro, il Barone Angelo Sarnelli, donò poi a Sant'Alfonso un'ala del suo castello a Ciorani, che costituì la prima casa dei padri Redentoristi. Gennaro abbandonò anch'egli la toga di avvocato per seguire Alfonso nelle sue opere. Gennaro Maria Sarnelli è stato beatificato nel 1994.


E' nostro auspicio aver, con le suddette testimonianze raccolte, colmato il vuoto biografico che esisteva in merito al personaggio Alfonso, soprattutto in rapporto alla Sua terra natia e di aver quindi risposto alla domanda iniziale. Noi speriamo che altri volenterosi ricercatori ci potranno deliziare in futuro, con altre notizie inedite, affinché Alfonso possa essere ancora di più stimato e venerato nella Sua cara Marianella e nell'intera Area Nord di Napoli.

Salvatore Fioretto
(Tutti i diritti per la pubblicazione dei testi del blog sono riservati all'autore, ai sensi della legislazione vigente)


Con la solennità di sant’Alfonso, si ricorda il dottore, l'asceta, il vescovo, il predicatore, il teologo, il musicista, il poeta, il confessore, lo scrittore di 111 opere .... nato a Marianella, ma per noi rappresenta un grande concittadino del nostro territorio…!
La gloria di Sant'Alfonso (casa natale di Marianella)



lunedì 29 luglio 2013

Magari in un'altra vita...

Il romanzo, scritto da Pino Ciccarelli,  racconta la vita di un adolescente ambientata negli anni settanta, nella periferia nord di Napoli, tra Marianella, Piscinola e Miano, un passato prossimo che fece da sfondo anche alla vita dell'autore.
La musica regna sovrana in ogni pagina del libro come nei cuori dei protagonisti che si muovono all'interno del romanzo così come avrebbero fatto molti di quei ragazzini che vivevano in quell'epoca: sognando di diventare musicisti, affrontando le prime esperienze d'amore e d'amicizia. Le note accompagnano ogni capitolo regalandoci un senso in più, restituendoci la misura di ogni parola, di un sentimento, di un tempo vissuto.
Si è voluto esplorare, insieme al racconto, la musica di un'epoca, andando a pescare brani che risalgono ad anni diversi ma che restituiscono un affresco della musica degli anni settanta e sottolineano l'influenza che ha avuto per quella composta negli anni a venire.
La narrazione guida i protagonisti nel passaggio dall'infanzia all'età adulta con tutto quello che ne consegue: se essa parte raccontando la vita semplice e a volte divertente di un bambino, termina accennando alla complessità della vita adulta, dei problemi affrontati in quel periodo, non ultimo l'avvento della droga.
Fa da sfondo una periferia cittadina che a volte protegge e altre stronca; una periferia che è fatta di persone che si conoscono e delle relazioni che stringono tra loro; una periferia fatta di alberi, profumi di fieno ma anche palazzoni, presagio dell'epoca contemporanea, all'ombra dei quali si consumano le gioie e le miserie di chi ci vive.
Un ultimo regalo che l'autore ci concede è un cd che ha un' anima propria ma che completa la lettura e ci immerge totalmente nella magia del racconto; delinea con le armonie inedite le personalità dei protagonisti, affiancando a queste melodie i riarrangiamenti di alcuni pezzi dell'epoca.

L'autore
Pino Ciccarelli è un sassofonista e clarinettista napoletano, insegnante di educazione musicale. Ha ideato il progetto “Concerto Musicale Speranza”: nel primo cd, "Processione d'ammore", pubblicato per la Polosud Records nel 2009, ad ogni traccia corrono incontro all'ascoltatore, caotici e festosi, il ricordo del padre clarinettista e i turbamenti dell'età adolescenziale. Proprio in questo humus sembrano formarsi le pagine del primo libro dell'autore che, come composizioni melodiche, escono dalla penna di Pino Ciccarelli e ci accompagnano nel viaggio del protagonista che si affaccia all'età adulta.

Per maggiori informazioni sul libro di prossima uscita:  http://www.produzionidalbasso.com/pdb_2653.html

domenica 28 luglio 2013

I murales di Felice Pignataro

Felice Pignataro è stato soprattutto un artista muralista che ha dedicato la sua vita per il riscatto delle periferie napoletane, in particolare di Scampia, Piscinola e Secondigliano, a lui si deve la creazione del Carnevale del Gridas, che oggi conta una attività ormai trentennale.


Grande è notevole fu l'attività artistica di Felice, soprattutto nella realizzazione dei murales sui muri grigi delle strade dei quartieri di Scampia, Piscinola e di Secondigliano; forse egli è stato un pioniere italiano di quest'arte, oggi tanto diffusa soprattutto nelle periferie delle metropoli del bel paese.
Le sue opere Felice le realizzava in compagnia dei ragazzi raccolti nei vari quartieri, che oltre a coinvolgerli nel lavoro artistico, mirava a trasmettere loro un messaggio di libertà e di speranza. Il Gridas (Gruppo RIsveglio DAl Sonno) fu fondato proprio con l'intento di promuovere iniziative a supporto della gioventù del territorio, affinché questa si ritrovasse in un luogo ospitale, in grado di raccoglierli dalla strada e insegnare loro il concetto di comunità e socialità.

L'esperienza napoletana fu estesa anche lontano da Napoli, da Reggio Calabria a Trento; così il numero dei murales è andato via via crescendo nel tempo, fino a superare abbondantemente il centinaio di opere. Alla realizzazione delle opere si unirono, nel tempo, molteplici gruppi, associazioni e movimenti. I murales sono diventati così la voce di quelli che non hanno voce, perché non hanno accesso ai media e non hanno a disposizione neanche una rete TV.  Internet era allora ancora un'utopia...

I murales sono stati un’operazione che ha procurato gioia, in tutti i partecipanti e questo ha reso più accettabile la vita: per Felice è stato un atto di amore, impagabile!

A Felice Pignataro sarà dedicato uno spazio artistico, con un murales, all'interno del costruendo accesso a Scampia, della stazione delle metropolitana di Napoli.

 
Le foto postate riguardano due murales realizzati a Piscinola, precisamente in Piazza Bernardino Tafuri (Muro di recinzione della scuola "T. Tasso" e muro di recinzione del Lotto 14B. Il primo non esiste più perche il muro è stato demolito, mentre il secondo è ancora presente anche se merita di un energico intervento di restauro). 
                                        Salvatore Fioretto


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martedì 23 luglio 2013

Le ballerine di Degas a San Rocco...

Chissà quante volte l'abbiamo ammirata tutti, passando sul ponte di San Rocco, a volte anche in maniera curiosa..., e quante volte ci siamo detti cosa sarà mai questa villa in stile vantitelliano, che si erge maestosa, quasi a dominare il Vallone San Rocco...? 
Eppure molti non sanno che questa villa, che si trova nel quartiere di Piscinola, fu acquistata nel 1793 da Renè De Gas, dal celebre banchiere parigino Renè Hilaire De Gas, vale a dire colui che ha dato i natali al padre del grande pittore Edgar Degas. Renè De Gas (perchè questo era il cognome vero), fu un famoso banchiere francese, fuggito da Parigi all'epoca della rivoluzione, perchè si era schierato a sostegno dei reali e così, fortunosamente, riuscì a riparare nel Regno di Napoli, dove fondò una propria banca. 
Renè sposò una bella nobildonna napoletana ed ebbe molti figli, tra cui Pierre August, che migrò maggiorenne a Parigi, fondando in quel luogo una filiale della banca paterna; dalla sua unione con una parigina nacque il celebre pittore impressionista Edgar De Gas, che fu molte volte ospite nella villa di campagna del nonno a San Rocco (la  residenza cittadina di famiglia si trovava però a Calata Trinità Maggiore a Napoli, dove oggi è esposta una lapide in ricordo).
A Capodimonte Degas fu molte volte ospite del nonno, soprattutto per studiare i capolavori del palazzo Reale di Capodimonte e gli affreschi delle catacombe di san Gennaro. L'artista francese aveva appreso, inoltre, le prime nozioni di pittura e disegno proprio a Napoli, presso il Reale Istituto di Belle Arti, sotto la guida di Giuseppe Mancinelli, Camillo Guerra e Gabriele Smargiassi, subentrato al Pitloo nella cattedra di paesaggio. 
Nella villa di Campagna di San Rocco, Edgar ritrasse il nonno nel celebre dipinto qui inserito, e poi dipinse una celebre veduta del vallone San Rocco, con il castel Sant'Elmo sullo sfondo, esposta nel museo Fitzwilliam di Cambridge.




    
Storia della Villa Flaggella




La Villa Faggella (un tempo chiamata Villa Paternò) si erge maestosa su uno sperone del vallone di San Rocco, con accesso dalla via Cupa delle Tozzole, una stradina secondaria di campagna, che si stacca da via nuova San Rocco, al termine del ponte omonimo. Fu proprietà della famiglia Paternò, un ramo della nobile famiglia siciliana, che si era trasferita a Napoli per affari. La villa è una delle più belle espressioni dell'architettura partenopea del Settecento, per le sue linee estremamente essenziali, poco pompose, ma ispirate allo stile austero del Palladio. La villa, oltre ai Degas, ha ospitato molti uomini illustri, che in questo luogo trovarono conforto alle loro imprese cittadine, quali il maresciallo Lanusse che fu al fianco di Napoleone nelle difficili battaglie di Abu-quir e Auerstadt, e lo stesso Gioacchino Murat che qui fissò la sua dimora napoletana. Alla sua realizzazione lavorarono valenti architetti, che furono i protagonisti dell’arte napoletana nel passaggio dal Roccocò al Classicismo (come Ignazio Cuomo, Gaetano Barba e Giovan Battista Nauclerio). A quest’ultimo si deve la ristrutturazione e la trasformazione della fabbrica come si presenta oggi all’osservatore.                                                                                                                             Salvatore Fioretto
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