giovedì 19 dicembre 2024

Non c'è Natale senza "Tu scendi dalle Stelle"!

Non esiste Natale senza ascoltare almeno una volta la dolce melodia del canto "Tu scendi dalle stelle", composto dal santo marianellese, Sant'Alfonso Maria de Liguori. Il luogo e l'anno di composizione di questo famosissimo canto natalizio è stato molto dibattuto nel corso degli scorsi decenni; infatti, mentre secondo alcuni biografi del Santo le strofe furono pubblicate inizialmente con il nome di "Coroncina a Gesù Bambino" e inserite nel testo: "Operette Spirituali" (VI^ edizione), pubblicato da Benedetto Gessari, a Napoli, nell'anno 1755, per altri, invece, fu composto quando Alfonso si trovava a Nola, durante una Santa Missione popolare, ospite del sacerdote D. Michele Zambadelli, probabilmente nell'anno 1759 (quindi quattro anni dopo la prima fonte).
Di quest'ultimo riferimento si tramanda anche un curioso aneddoto, che vedrebbe il sacerdote D. Michele coinvolto in prima persona... Per descrivere l'episodio, prendiamo in prestito il racconto scritto da P. Celestino Berruti in: "Lo spirito di S. Alfonso Maria de Liguori" (
cap. 22/4) e pubblicato nel sito web "Sant'Alfonso e dintorni". Eccolo:

"Curioso deve dirsi il conoscimento soprannaturale che Padre Alfonso ebbe in missione riguardo ad un sotterfugio di D. Michele Zambadelli, presso cui abitava coi suoi compagni. Il santo compose colà la sua canzone sul Bambin Gesù, che incomincia “Tu scendi dalle stelle”.
D. Michele lo pregò, appena l’ebbe terminata, che gliela facesse copiare. Ma Alfonso rifiutò dicendo che non poteva permettergli ciò, finché non si fossa stampata. Giunta l’ora della predica, Alfonso andò alla chiesa, lasciando il suo scritto nella stanza. D. Michele confidentemente se lo prese per copiare la canzoncina, e fattane una copia, se la pose in saccoccia.
Ora Padre Alfonso in quella sera appunto cantò la detta canzoncina al popolo, perché correva il tempo del Natale di Gesù Cristo. Il sacerdote stava nel coro ad ascoltare. Quando all’improvviso il santo, dimenticandosi alcuni versetti di detta sua canzoncina, disse al chierico, che l’assisteva: “Chiamate subito D. Michele Zambadelli”, il quale sta nel coro, e tiene in saccoccia lo scritto della mia canzoncina; ditegli che me la porti, per poterla proseguire”.
Arrossì D. Michele a questa intimazione; ma poiché osservò che il santo essendosi sovvenuto proseguiva la canzoncina, non vi andò; e neppure ardiva di presentarsi a lui la sera in casa.
Ma il santo lo mandò a chiamare, e gli disse per scherzo di voler fare con lui un contraddittorio per il furto fattogli della canzoncina."

Nel corso dei secoli, il canto natalizio fu reso popolare col titolo di "Tu scendi dalle stelle", che è poi la prima strofa del canto. Esso sarà tradotto in tutte le principali lingue e verrà diffuso in ogni angolo della Terra.
Per capire la sua importanza e universalità, si può osservare che viene cantato
ogni anno dal coro della Cappella Sistina, a conclusione della Santa Messa di Natale, quando il Pontefice si reca in processione a deporre la statuetta del Bambino Gesù, nel presepio allestito all'interno della Basilica Vaticana.
Dopo questo brano, S. Alfonso compose l'altro canto natalizio, anch'esso famoso, interamente scritto in lingua napoletana, che s'intitola: "Quanno nascette ninno a Bettalemme", brano che riprende pressappoco anche l'impostazione e il ritmo musicale di "Tu scendi dalle stelle", al quale abbiamo dedicato negli scorsi anni un apposito post; ecco il link:
Quanno nascette Ninno a Bettalemme

Ecco il testo completo di "Tu scendi dalle Stelle":


"Tu scendi dalle stelle, o Re del cielo,
e vieni in una grotta al freddo e al gelo,
e vieni in una grotta al freddo e al gelo.
O Bambino mio divino,
io ti vedo qui tremar;
o Dio beato!
Ahi quanto ti costò l’avermi amato!
ahi quanto ti costò l’avermi amato!

A te, che sei del mondo il Creatore,
mancano panni e foco, o mio Signore,
mancano panni e foco, o mio Signore.
Caro eletto pargoletto,
quanto questa povertà
più m’innamora,
giacché ti fece amor povero ancora,
giacché ti fece amor povero ancora.

Tu lasci il bel gioir del divin seno,
per venire a penar su questo fieno,
per venire a penar su questo fieno.
Dolce amore del mio core,
dove amor ti trasportò?
O Gesù mio,
perché tanto patir? Per amor mio!
perché tanto patir? Per amor mio!

Ma se fu tuo voler il tuo patire,
perché vuoi pianger poi, perché vagire?
perché vuoi pianger poi, perché vagire?
Sposo mio, amato Dio,
mio Gesù, t’intendo sì!
Ah, mio Signore,
tu piangi non per duol, ma per amore,
tu piangi non per duol, ma per amore.

Tu piangi per vederti da me ingrato
dopo sì grande amor, sì poco amato,
dopo sì grande amor, sì poco amato!
O diletto del mio petto,
se già un tempo fu così,
or te sol bramo:
caro non pianger più, ch’io t’amo e t’amo,
caro non pianger più, ch’io t’amo e t’amo.

Tu dormi, Ninno mio, ma intanto il core
non dorme, no ma veglia a tutte l’ore,
non dorme, no ma veglia a tutte l’ore.
Deh, mio bello e puro Agnello,
a che pensi? dimmi tu.
O amore immenso,
“Un dì morir per te” – rispondi – “io penso”,
“Un dì morir per te” – rispondi – “io penso”.

Dunque a morire per me, tu pensi, o Dio
ed altro, fuor di te, amar poss’io?
ed altro, fuor di te, amar poss’io?
O Maria, speranza mia,
s’io poc’amo il tuo Gesù,
non ti sdegnare
amalo tu per me, s’io nol so amare!
amalo tu per me, s’io nol so amare!"

L'amore di Sant'Alfonso per il Bambinello è stato più volte manifestato nei suoi scritti e soprattutto nella raccolta intitolata: "Canzoncine spirituali". Ricordiamo il libro: "Novena del Santo Natale".
Ecco uno dei tanti scritti, nel quale si evidenzia tutta la dolcezza e l'amore nutriti dal Santo per Gesù Bambino:

"Mio Gesù, Figlio del Creatore del Cielo e della terra, Tu in una gelida grotta hai una mangiatoia come culla, un po’ di paglia come letto e poveri panni per coprirti. Gli Angeli Ti circondano e Ti lodano, ma non sminuiscono la tua povertà.
Caro Gesù, Redentore nostro, più sei povero, più Ti amiamo poiché hai abbracciato tanta miseria per meglio attirarci al tuo amore.
Se fossi nato in un palazzo, se avessi avuto una culla d’oro, se fossi stato servito dai più grandi principi della terra, ispireresti agli uomini maggior rispetto, ma meno amore; invece questa grotta dove giaci, questi rozzi panni che Ti coprono, la paglia su cui riposi, la mangiatoia che Ti serve da culla: oh! Tutto ciò attira i nostri cuori ad amarti!" [...].

Un'altra canzoncina di Alfonso, anche se poco conosciuta, sempre scritta in napoletano, è la delicata "Giesù Cristo peccerillo", eccola:

"Giesù Cristo peccerillo,
mariuolo, acchiappa core,
vuò lo mio? Te teccatillo,
tutto tujo, eccolo cchà.
Si i core de ll'aute gente
Po volisse, Ninno bello,
fatte sulo teaì mente,
cali ffaje spantecà.

ritornello (risponde il popolo dopo ogni due strofe)
Bello Ninnomio d'amore,
Sulo a Te io voglio amà.
Ovvero
Bello mio, Ninno Dio
Io pe Te voglio abbruscià

So craune, e so bruttezza
tutti i gigli, e giusummine;
de sta Faccia la janchezza
fa li Sante addobbeà

Chi è lo Sole 'n Paraviso?
Ninno mio, è sta janchezza;
chino bello, e ghianco viso
mena luce 'nquantità.

ritornello...

Venc' e rrose o russolillo
de sti belle Mascarielle:
mille vase apezzechillo,
chi le bede, t'ha da dà.
Dint'a st'Ucchie sta 'nserrata
tutt' a lluce de le stelle:
chi da st'Ucchie è smecceato
già è feruto, e t'ha da amà."

In questo link si può ascoltare la musica e il canto:

Giusù Cristo Peccerillo 

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La redazione di Piscinolablog augura un Sereno Natale a tutti i lettori affezionati e ai simpatizzanti di questa pagina culturale del territorio, sia ad essi che ai loro familiari ed amici!
Buon Natale e ancora Auguri!!

Salvatore Fioretto

 

venerdì 15 novembre 2024

Quelle gite a Montevergine di tanti anni fa…!

Nel libro storico-antropologico "Piscinola la terra del Salvatore", saggio più volte richiamato in questo blog, sono contenute tante tradizioni e feste che un tempo erano celebrate dagli abitanti del borgo, fino alla fine degli anni '50 del secolo scorso; alcune di queste tradizioni risultano essere molte singolari e caratteristiche, come quella che stiamo a descrivere in questo post, legata al divertimento e allo svago dei giovani piscinolesi, ma anche di quelli del territorio circostante a Piscinola. Questo post è dedicato alla memoria dei cari anziani dell'antico borgo, che purtroppo non sono più tra noi, i quali ci narravano spesso, non senza commozione, di questi loro semplici e ingenui momenti di svago, goduti nella loro gioventù dopo mesi di duro lavoro nei campi, nel settore dell'edilizia o dell'artigianato locale. Buona lettura!

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"All’inizio dell’estate, quando il tempo era bello e afoso e soprattutto quando in campagna non c’era molto da lavorare, i giovani piscinolesi organizzavano, insieme ad amici e conoscenti, una gita in bicicletta al santuario di Montevergine.
Questo santuario, dopo quello di Pompei, rappresentava la meta più ambita a quei tempi dalla gioventù piscinolese. Vi si poteva trascorrere qualche giorno spensierato, dopo le fatiche di un intero anno trascorso nei campi. Il viaggio era organizzato rigorosamente in bicicletta!

Giovani dell'Associazione catt. "Madonna di Loreto" in vico Operai a Piscinola, anni '50

Si partiva il pomeriggio di un giorno infrasettimanale, quasi sempre il venerdì e si percorreva la strada Statale “Nola–Avellino”. Gli anziani di oggi ricordano ancora con “timore” la fatica che si doveva sostenere allora per superare la salita di Monteforte, considerando anche la qualità scadente delle bici di cui si disponeva.

La sera si giungeva in un ostello o anche “affittacamere” di Ospedaletto, località posta in vicinanza della cittadina di Mercogliano. Inutile dire che essi vi giungevano molto stanchi e sudati. Dopo una cena frugale, si andava a dormire presto.
All’alba, verso le ore quattro, i giovani pellegrini riprendevano il viaggio, affrontando i ripidi e tortuosi sentieri della montagna del Partenio. Verso mezzogiorno si giungeva al Santuario della Madonna e si partecipava alla celebrazione eucaristica.

Dopo aver fatto delle offerte al Santuario, portando anche tutte le preghiere e le offerte affidate dai parenti e dai conoscenti, si provvedeva a fare la “provvista” di castagne secche (castagne d’ ’o monaco), di torrone e di nocciole. Non mancavano le altre leccornie, che venivano anche regalate come “souvenier” alle anziane mamme, alle fidanzate e ai nipotini. Non dovevano mancare naturalmente i ricordi del Santuario, che riportavano l’immagine miracolosa della Madonna di Montevergine.

Nella stessa serata si faceva ritorno a casa, naturalmente sempre molto stanchi, ma accolti tra il giubilo dei familiari, rimasti ad attenderli con trepidazione ed ansia.
Spesso si organizzavano anche gite collettive per Montevergine, a cui partecipavano intere famiglie. Si noleggiavano, nei primi tempi carri e solo, più recentemente, automobili capienti e decappottabili, che per l’occasione erano addobbate a festa, con fiori e mostrini colorati. Alla partenza si ricevevano gli applausi dai viandanti e dalle persone affacciate ai balconi. A volte si facevano esplodere dei mortaretti per augurare loro buon viaggio! "

Salvatore Fioretto 

Nella foto degli anni '50 si riconoscono tanti giovani di Piscinola, tra i quali il pugile Agostino Cossia



mercoledì 13 novembre 2024

Della serie i racconti della Piedimonte: "Ferrovia e paesaggio: matrimonio perfetto!", di S. Fioretto (2^ parte)

(segue dalla prima parte)

"La stazione di Piscinola era costituita da una casetta a due livelli, con tetto a capriata in tegole rosso scuro e con i muri portanti in tufo. L’intonaco esterno era dipinto in un color giallo paglierino. Essa era posta alla fine di un vialetto, a cui di accedeva facilmente dalla vicina piazza Bernardino Tafuri di Piscinola, attraversando la via Ferrovia Napoli-Piedimonte d’Alife e un piccolo vialetto costeggiato da due negozi. Uno di questi era una pasticceria, che possedeva anche un laboratorio per la produzione di dolci e rustici: era l’antica pasticceria “Marra”. Ricordo il profumo che emanavano i dolci appena sfornati: un bell’odore di vaniglia e di cacao...! Ma anche il profumo di rhum e di caffè espresso…
Spesso, in attesa del treno, ci fermavamo a sedere nel salone della pasticceria, dove mia madre mi comprava una "graffa" o una sfogliatella… Avevano quei dolci un sapore delizioso ed una fragranza che non ho più ritrovato negli anni della maturità.
La pasticcera, una bella signora che si chiamava Clotilde e conosceva perfettamente lo stato di esercizio dei treni, informava mia madre di eventuali ritardi accumulati nelle precedenti corse. Le piaceva parlare con la gente e spesso si intratteneva a lungo con mia madre, discutendo del più e del meno. I dolci li compravamo anche per i nonni, che erano la meta dei nostri viaggi per Mugnano.
Nel primo piano della stazione era presente l’alloggio del capostazione, mentre al piano terra erano presenti due ampi locali.
Il primo era costituito dalla sala viaggiatori, realizzata da un unico stanzone con due porte contrapposte ed un’unica panca di legno addossata al muro, che abbracciava le due pareti intere, per circa 15 metri.
Nella parete contrapposta alla panca, c’era lo sportello della biglietteria, costituito da una luce ad arco nel muro ed una mensola di legno, posta alla base per far appoggiare i viaggiatori mentre ritiravano i biglietti.
Nell’altra sala adiacente a quella dei viaggiatori, c’era il bigliettaio seduto ad uno sgabello, con a lato una rastrelliera di legno piena di biglietti, ordinatamente divisi per stazione di destinazione.
Davanti allo sportello aveva uno strano aggeggio meccanico, che serviva a punzonare i biglietti. I biglietti erano fatti di cartoncino bianco, detti “Edmondson”.
Nello stesso locale c'era anche l'ufficio destinato alla sosta del personale di esercizio. Ricordo l’ufficio con le scrivanie e gli armadi di legno: forse era il posto del capostazione e di qualche altro addetto all’esercizio della stazione. Sulle scrivanie c'erano dei telefoni di colore nero pece, che squillavano in continuazione. Quando il treno tardava e i telefoni squillavano, mi balenava l’idea che era il macchinista ad avvisare del ritardo il capostazione… per questo i telefoni squillavano in continuazione... Erano fantasie di un bambino…!
Spesso, a bordo del treno, mi divertivo a scrutare, attraverso il finestrino, la mia casetta posta tra il verde della campagna, sperando di vedere qualche personaggio a me familiare… invece niente...! Non ho mai visto nessuno!
Quando, invece, ero nella campagna ed il treno transitava, mi piaceva salutarlo, insieme ad altri amichetti di infanzia: agitavamo vistosamente le braccia e le mani e urlavamo a squarciagola: ciaoooooo!!...... ciaooooooo......!
Non ricordo quando e perché iniziammo con questa consuetudine di salutare il treno; probabilmente, essa ci fu trasmessa da piccoli dai nostri genitori.
Spesso dalla vettura, si vedeva qualche passeggero rispondere al nostro saluto con le mani e a volte ci ritornava la risposta: ciaoooooo!!.........ciaooooooo......!"

Salvatore Fioretto 




venerdì 8 novembre 2024

Della serie i racconti della Piedimonte: "Ferrovia e paesaggio: matrimonio perfetto!", di S. Fioretto (1^ parte)


Continuando la serie dei ricordi della Piedimonte, pubblichiamo in questo post il secondo capitolo del libro "C'era una volta la Piedimonte", edito nel 2014 dalla casa tipografica "Athena net". E' una descrizione mista tra la nostalgia e i ricordi di bellezza, che narra dei caratteri della ferrovia e del paesaggio attraversato, visti dagli occhi di un fanciullo. Ricordi di un periodo spensierato che ha fatto da spartiacque tra un mondo semplice e bucolico e un Quartiere diventato troppo velocemente la periferia della Metropoli, tuttora in cerca di una nuova identità. Il capitolo è stato suddiviso in due parti per questioni di spazio.


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"La ferrovia ed il suo servizio sociale...  (1^ parte)

La vita in periferia scorreva felice e tranquilla alla fine di quei fantastici anni sessanta e così pure agli inizi del decennio successivo, che, per quanto mi riguarda, non fu meno bello...! Si, anche gli anni settanta furono belli...! E la ferrovia ”Piedimonte”, con le sue periodiche corse era sempre lì a garantire il trasporto pubblico tra Napoli e i paesini del Casertano, apportando il suo contribuito al cosiddetto “boom economico” del paese, in quella che venne chiamata ”Terra di lavoro”.
Io ricordo nettamente gli ultimi sei-sette anni di esercizio, prima della chiusura definitiva della ferrovia. In pratica, il periodo a cavallo tra il 1970 ed il 1976.
I viaggiatori che usufruivano in quegli anni della “Piedimonte” appartenevano alle classi sociali più disparate, dagli studenti, agli impiegati, dai contadini ai venditori ambulanti… Non era infrequente incontrare a bordo dei treni, soprattutto la mattina presto, anziani e donne, che portavano “spaselle” e cesti pieni di prodotti della campagna e delle loro masserie, per venderli nella grande metropoli.
Spesso le massaie portavano con loro dei vistosi cartoni rettangolari, con coperchi forati: erano dei contenitori pieni di pulcini appena nati, comprati al mercato di Marano, destinati ad essere allevati nelle aie delle masserie. Il loro era un destino segnato… Sarebbero diventati i più bei capponi per il Santo Natale. Per tutto il viaggio non si udiva altro che il pigolio di quelle povere bestiole…
I mercati più frequentati erano quelli di Marano e di Giugliano. Le corse più affollate del treno erano quelle del Giovedì e del Sabato mattina.
Il treno della Piedimonte, negli ultimi tempi di esercizio, si componeva di un locomotore e di una sola vettura trainata; in quest’ultima era presente l’intero scompartimento di seconda classe, oppure metà di seconda classe e metà di prima classe. Nel locomotore era possibile trovare la stessa disposizione degli scompartimenti delle rimorchiate.
La rimorchiata presentava due varchi di accesso con altrettanti atri d’ingresso, attraverso i quali si accedeva allo scompartimento, mediante gradini di legno sporgenti dalla vettura, a dei piccoli pianerottoli delimitati da cancelletti in ferro. Attraverso una porticina di legno bianca, si accedeva allo scompartimento viaggiatori di seconda classe, nell'unico corridoio centrale. Questo scompartimento si componeva di un unico ambiente arredato con una serie di panche di legno a doppio posto, costruite di listelli di legno e disposte perpendicolarmente a destra ed a sinistra del corridoio. Ogni panca, fatta eccezione per quelle di estremità, erano composte da due sedili contrapposti, con schienale comune. In una panca c’era posto per solo due persone, di fronte ad essa era presente un’altra identica panca. Sul bordo dello schienale, nel lato corridoio, era sporgente un manico di ottone che dava la possibilità al passeggero in transito a potersi mantenere in posizione eretta, durante lo “sballottamento” del treno in corsa. Si sa che il treno a scartamento ridotto è meno stabile durante il viaggio rispetto a uno a scartamento ordinario…
I finestrini del convoglio erano posti in mezzo ad ogni coppia di panche; essi erano molto semplici da manovrare, perché erano composti da un telaio mobile, che si chiudeva facendo scorrere, in apposite guide verticali, l’anta di legno con il vetro. Per aprire e chiudere i finestrini si doveva fare leva con le braccia, aiutandosi con i due maniglioni, posti nella parte alta del telaio.
L’illuminazione della vettura era assicurata da una serie di piccole plafoniere, poste allineate sotto la volta dello scompartimento; le plafoniere erano costituite da tazze di vetro, color opaco bianco, del tipo aperte, aventi i bordi orlati e dentellati e con una base colore marrone scuro. La conformazione interna dello scompartimento di prima classe, quando era presente, era molto diverso da quello della seconda classe. In esso esistevano, se non ricordo male, circa dodici posti a sedere, composti da coppie di poltroncine affacciate a due a due, rivestite con un bel velluto rosso o verde. Dello stesso motivo erano le tendine dei finestrini e le pareti del convoglio. In un punto del vano era appeso uno specchio ovale con cornice dorata.
Nel locomotore l’accesso ai due scompartimenti era assicurato da un varco centrale al convoglio, molto più ampio degli altri presenti sul treno. Alle estremità della elettromotrice, invece, erano presenti le postazioni di guida del conducente, ognuna con una coppia di sportelli di accesso indipendenti. Il locomotore, infatti, aveva i comandi contrapposti, in pratica una doppia cabina di comando.
Negli ultimi tempi, come sappiamo, il capolinea di Napoli era stato arretrato dallo "Scalo Merci" della Doganella, alla stazione di Secondigliano. Ricordo che questa stazione possedeva il classico parco ferroviario, tipico delle stazioni della Ferrovia Piedimonte che avevano certa importanza, ossia un fascio di tre binari che si aprivano “a rombo”, con comando degli scambi del tipo manuale. Questo sistema di binari consentiva l’inversione della motrice dalla posizione “di coda”, alla posizione “di testa”, rispetto alla vettura trainata: in pratica, si manovrava il locomotore sui binari laterali, agendo sugli scambi manuali e si lasciava ferma la “vettura trainata” sul binario centrale.
Alla fine delle manovre si agganciavano le vetture. Le due banchine della stazione di Secondigliano erano realizzate in tavole di legno (tavole “di ponte”), inchiodate ad assi, anch'essi di legno, posti una certa altezza sopra la massicciata e con ai lati piccoli scivoli, sempre fatti di tavole in legno.
Ricordo, vagamente, anche la stazione di “Scalo Merci”, tuttavia, i ricordi di questa stazione mi risultano un po' annebbiati. Andavo spesso al corso Malta con mia mamma a fare acquisti al mercatino che si faceva in quella strada, in un giorno preciso della settimana, che però non ricordo...! Per andarci prendevamo sovente il treno della “Piedimonte”. Ricordo, non so perché, l’addetto che controllava le ruote ed i freni: li picchiava con un martello di ferro e ascoltava il rumore emesso dall’urto dei componenti. E poi, c’era anche chi caricava acqua sotto al treno, utilizzando un tubo di gomma nero.
Quando riprendeva il viaggio per Piscinola, il treno affrontava la tratta, dopo i bivio di Miano, a bassa velocità, perché lì esisteva una curva abbastanza “stretta”, forse con raggio di curvatura ai limiti dell’accettabilità tecnica.
Il treno si inclinava di parecchi gradi, rispetto al suo asse verticale. Io osservavo la scena stando seduto nella mia panca e mi divertivo moltissimo, come se stessi assistendo ad un bel gioco, tanto che il fenomeno era inconsueto e strano... Sovente, il treno si fermava in quel punto, quando il semaforo posto "alle porte" della stazione di Piscinola dava il segnale di stop "rosso". Era richiesta la fermata del treno per preparare gli scambi manuali nella stazione di Piscinola e permettere, quindi, di svolgere la coincidenza con la vettura proveniente da Mugnano. Ebbene, fermo e inclinato in quella posizione, il treno appariva ancora più curioso ed i passeggeri dentro agli scompartimenti restavano a lungo silenziosi e sembravano tutti un po’ preoccupati... quasi con il fiato sospeso...! (segue nella seconda parte)

Salvatore Fioretto

Il testo del racconto essendo un opera letteraria pubblicata è sottoposto alle regole del copyright, pertanto è vietata la riproduzione, il plagio o altro utilizzo arbritario,  senza aver ricevuta l'autorizzazione da parte dell'autore del testo.