venerdì 18 novembre 2022

Quella terra gentile e fertile, ci donava prodotti di prima classe! Frutta e primizie... (terza parte)

(segue dalla seconda parte)
Abbiamo fin qui descritto le colture orticole della nostra bella campagna che fu, ma come tutti sapranno le eccellenze della nostra terra furono i suoi prodotti frutticoli, che un tempo erano apprezzati e ricercati per la loro "squisitezza" e prelibatezza, soprattutto sulle tavole degli abitanti cittadini.
Raccoglieremo in questo post le varietà di frutta più antiche e diffuse, fermo restando che l'elenco, come è logico pensare, non è esaustivo perché, considerando la vasta estensione del territorio dell'Area Nord in esame, sicuramente ci saranno state altre varietà di frutta non registrate nei nostri taccuini, per l'assenza di testimonianze dirette. Provvederemo, come facciamo sempre, ad aggiornare nel tempo l'elenco, con altre varietà che via via scopriremo.
Prima di iniziare la trattazione, ricordiamo che la tipologia di agricoltura praticata in questo territorio era di tipo "intensiva e mista", infatti, contestualmente alle colture
di frutta e delle viti, nella parte sottostante ad esse si praticavano anche le colture di cereali (grano e orzo), la canapa e anche gli ortaggi (granoturco, fave, ecc.). A tal proposito le distanze tra gli alberi e delle viti erano determinate in base all'esperienza maturata nei secoli, conseguente a questa particolare pratica agricola adottata.

Pesca "Bellella di Melito"

Il genere di frutta più apprezzato e diffuso, prodotto nella piana di Napoli Nord, compresa tra Piscinola, Miano e Scampia, è stato quello della pesca, sia a pasta bianca che a pasta gialla (percoche). Già in passato in un altro post di questo blog abbiamo narrato l'attività di ricerca di nuove varietà di pesche condotta dall'avv. Domenico del Forno, che possedeva un fondo agricolo a Piscinola, con accesso dalla zona chiamata "Capo 'a Chianca". Del Forno, infatti, alla fine selezionò una tipologia di pesca precocissima, che fu anche pubblicizzata su alcune riviste specializzate dell'epoca (dalla Rivista di Ortofrutticola Italiana, ed. in Toscana, anno 1953); questa neonata varietà di pesca fu chiamata: "Pesca Mimì del Forno".

Altri selezionatori conosciuti di pesche furono i componenti della famiglia piscinolese che avevano un fondo situato anch'esso nella parte meridionale di Scampia, vicino a Piscinola, prossimi al cosiddetto "Fondo Cancello", che erano soprannominati: 'e Maricella.
La varietà di pesca da loro selezionata fu inizialmente chiamata "Torca Maricella" (in onore dei suoi scopritori), e successivamente: "Torca Maggiaiola". Ma c'erano anche altre varietà di pesche, che si distinguevano in "precoci" e "tardive". Le "precoci", che avevano sempre un buon mercato, per essere primizie sulle tavole cittadine, erano le varietà chiamate: "Maggiaiole", "Fiori di maggio" (Sciure 'e maggio) e "Morettine", queste maturavano già nel mese di maggio, mentre le varietà "tardive", che erano apprezzate per essere disponibili fino alla metà dell'estate, erano quelle chiamate: "Bellella di Melito", "Torche" e "Brasilese". Mentre la varietà principe di Piscinola, notoria a tutti per il suo inconfondibile sapore, era quella soprannominata "'Ntonio 'o Riccio". 
Per le pesche a pasta gialla (percoche), ricordiamo la varietà chiamata "'e Pitulanie" (forse da "Puteolane"), gustate in principio d'estate, tagliate a spicchi e immerse nei boccali di vino rosso, oppure conservate "sotto spirito".
Il ciclo di produzione e l'impianto degli alberelli di pesco era completamente autonomo qui da noi, nel senso che non si importava nessun elemento per eseguire la loro propagazione. Infatti, per produrre i nuovi alberelli di pesco, i cosiddetti "franco o portainnesti", si impiantavano alcuni alberi di pesco selvatico, che erano chiamati "Paccarelle". Queste varietà producevano delle pesche, ovviamente selvatiche, che maturavano a fine estate, di colore paglierino, dalle quali si traevano i noccioli, che poi venivano messi a germogliare, in un apposito "letto" di terra, chiamato "ossacane".
Prugne "Pappagone" bianche
Trascorsi due anni dalla semina, quando le pianticelle erano abbastanza sviluppate, si provvedeva al loro espianto e al conseguente trapianto nelle campagne, poste a distanza regolare, secondo una maglia quadrata dalle dimensioni stabilite dall'esperienza agricola, generalmente di circa quattro metri per lato.
Trascorso un anno ancora, si provvedeva a innestarle (a fine agosto), con la tecnica "a ùocchio", ossia "a gemma dormiente", scegliendo le varietà di pesco preferite, attraverso le marze selezionate dagli alberi noti e già fruttificanti. Ovviamente c'erano anche degli specializzati innestatori, che esercitavano l'attività, traendone un sufficiente sostentamento.

Altri generi di frutta, molto diffusi nelle campagne nostrane, erano le prugne e le albicocche. Per le prugne ricordiamo le varietà: "Pappagone" (sia nere che bianche), "Cardinali", "Ciocche Cardinali", "Prunarie", "Gocce d'oro", "Verdoni" e "Santa Clara". La varietà più tardiva, anche se più usata nelle zone collinari di Chiaiano, erano quella chiamata "Settembrine", estremamente dolci e succulenti che, come dice il nome, maturavano a settembre. Per le albicocche ricordiamo le varietà "Pellecchielle" e ''Cresommole d''o Prevete".
Esposizione di tutte le varietà di ciliegie prodotte a Chiaiano
Per propagare gli alberi di pruno e di albicocco si utilizzavano i polloni che si sviluppavano alla base delle piante, che a loro volta erano dei portainnesti selvatici del genere botanico Prunus.
Per le ciliege, che come è noto prediligono le zone collinari e un terreno asciutto e ben drenato, come quello di Chiaiano, Marianella, Mugnano e Marano, qui pure si disponevano diverse varietà antiche e prelibate. C'era, innanzitutto, la famosa e produttiva varietà "Recca", dalle origini leggendarie..., forse risalenti alla penisola Iberica. Ma c'erano anche le altre varietà antiche chiamate: "Campanare", "Campanarella", "Maiatica", "Ferrovia", oltre alle piante di Amarene e Marasche, che venivano coltivate in numero limitato per sostenere le produzioni casalinghe di: amarene, marmellate, ciliege "sotto spirito" e rosoli.
Riguardo alle pere, eccellevano le produzioni presenti nelle campagne ubicate tra Piscinola e Mugnano, con le varietà di "Mastantuono", "Cosce 'e Firenze", "Belledonne" e una varietà piccolina, precoce e molto produttiva di pere, che qui erano chiamate "Pere Annizzate".

Pere "Cosce di Firenze"
Mentre, per le noci, erano le campagne che si trovavano a Piscinola ad avere la maggior produzione, con intensivi e diffusi "nocelleti". Le foto antiche di Piscinola, riprese dall'alto, mostrano tutti i bordi delle strade, i confini, le delimitazioni di sentieri, i terrazzamenti e anche i margini della linea ferrata della ferrovia Piedimonte d'Alife, piantumati interamente con alberi di noce. Alcuni piscinolesi di un tempo si erano ben organizzati e anche attrezzati con macchinari da essi acquistati, per eseguire autonomamente la pulizia delle noci dal mallo ("macchine per scorzare" azionate con motori diesel), e per eseguire tutte le lavorazioni del ciclo di produzione fino a ottenere le noci secche, tanto che diverse famiglie provvedevano anche ad acquistare ingenti partite di noci al di fuori del territorio, quando queste erano ancora sugli alberi, ed eseguire tutte le lavorazioni di raccolta e di preparazione in proprio.
Uva "Piedirosso" (foto vitigno di Piscinola, anno 2004, di S. Foretto)
Per l'uva abbiamo già dedicato un post al vitigno più antico e diffuso nel territorio, descrivendone la storia, ovvero al "Piedirosso" ("Pere 'e Palummo"). Ma c'erano anche altri vitigni qui impiantati per la vinificazione, che erano quelli chiamati: "Mangiaguerra", "Parasacca", "Castagnara", "Code 'e cavallo" e un vitigno simile alla "Code di Volpe", che qui chiamavano "Pisciazzella", per l'abbondante produzione di vino bianco, ma dalla bassa gradazione. Per dare maggior colore e gradazione al vino rosso, si coltivavano i vitigni chiamati: "Marsigliese" e "Suricillo". Non mancava l'uva "Fragola", sia nella varietà bianca che rossa.
Uva "Fragola" nera
L'uva Fragola bianca era usata esclusivamente da pochi referenziati, come "uva da tavola", mentre l'uva Fragola rossa, oltre a essere usata come "uva da tavola", si vinificava, ottenendo un leggero ma profumatissimo vino, chiamato "Fravulella", molto apprezzato soprattutto dalle signore, per la sua bassa gradazione.
Ancora, per le "uve da tavola", ricordiamo la romantica "Uva Rosa" che adornava con i suoi vitigni pensili, dai grandi grappoli d'uva rosati, i cortili e le aie delle nostre antiche masserie. C'erano anche le varietà di "Zibibbo" (qui chiamata "Zizza 'e Vacca") e quella di Moscato bianco ("Muscarella"). Infine, gli acini dell'uva Pizzutello (uva cu 'o pizzitiello), erano utilizzati per la produzione di '"uva sotto spirito".
Fichi "Nataline"
Gli alberi di fico erano piantati specialmente nei giardini e nei terreni prossimi alle masserie. C'erano diverse tipologie anche per questa frutta, infatti troviamo le varietà: Troiane, Allardate, San Giovanni e San Pietro (queste ultime due avevano una doppia produzione annuale). Però quelle più produttive e anche di lunga durata, erano quelle nere chiamate "Nataline". Le "Nataline" erano dette così perché i frutti restavano a maturare sui rami degli alberi, fino alle festività di Natale, anche se già spogli delle foglie.
Altro genere di alberi da frutta, molto diffusi tra Piscinola e Mugnano, erano i cachi ("legnasanti"), i cui frutti perduravano fino all'autunno inoltrato, quando rimanevano appesi ai rami degli alberi e facevano bella mostra nel paesaggio ormai brullo di verde, tanto da  sembrare tanti "Alberi di Natale"!
Durante i viaggi sui treni della Piedimonte erano questi particolari del territorio che più colpivano l'attenzione dell'osservatore...
I frutti di cachi, della varietà chiamata "'a Vaniglia", erano precoci, usati per essere mangiati ancora duri e anche per realizzare dei mazzetti da appendere, per essere conservati per l'inverno.
Altra tipologia di frutta antica, oggi ormai dimenticata, erano le sorbe ('e sòvere). Gli alberi di sorbo erano sporadici, anche se presenti un po' ovunque, per consentire di avere una riserva di frutta nel periodo invernale; infatti le sorbe, che qui erano del tipo chiamato: "Nataline", iniziavano a maturare a Natale e duravano tutto l'inverno; esse si raccoglievano acerbe e venivano conservate raccolte in mazzetti, da appendere poi ai muri delle masserie o ai balconi delle abitazioni, dove subivano il cosiddetto "ammezzimento", ovvero la maturazione. Gli alberi di sorbo sono particolarmente longevi, tanto da diventare secolari.

Sorbe "Nataline"

Nella zona di Chiaiano (ma diffusi anche nei giardini del territorio in oggetto), era frequente incontrare gli alberi di gelso, che producevano frutta, sia a bacca bianca che nera ("'e Cevuze"). C'è da dire che questo tipologia di coltura è molto antica, strettamente collegata alla produzione della seta, un tempo qui molto diffusa: infatti, come si sa, per la sua produzione era necessario l'allevamento del baco da seta, che si nutriva ovviamente di foglie di gelso.
Per le mele, la parte da leone la faceva Mugnano e le sue campagne, con la rinomata e saporita varietà di mela chiamata "Annurca". Non mancavano anche le mele, dette 'a Limongella, per la loro piccola forma, anche le mele "a Banana" e quelle dette "Cape 'e ciuccio". Le mele "Annurca" erano messe a maturare su "letti di paglia" e fatte cambiare
periodicamente la loro posizione esposta al sole, dopo un prefissato intervallo di tempo.

Gelsi, varietà a bacca bianca e nera
Ricordiamo, ancora, che dai pini, alberi abbastanza diffusi nel territorio, specie nei tratti collinari, si raccoglievano le pigne (genere chiamato: "Pino Ponteche"), dalle quali si estraevano i pinoli: preziosissimi elementi utili in cucina per preparare le "braciole" e le "polpette domenicali", oltre a pizze e ai dolci tipici. Anche per questi abbiamo dedicato in passato un apposito post in questo blog.
Infine, per gli agrumi, la cui presenza ingentilivano soprattutto i giardini, i cortili e le aie del territorio, dedicheremo in futuro un apposito post per ricordare: i "Giardini delle delizie" di antica tradizione aristocratica e anche popolare.

Mele "Annurca" su letto di paglia

Considerazioni finali: Abbiamo cercato di trattare, in questi tre post dedicati alla "terra gentile e fertile" del nostro territorio, l'eccellenza della sua produzione agricola passata, raccogliendo tutto quello che si è tramandato per tradizione millenaria, attinto sia dai nostri ricordi personali e sia dalle numerosissime testimonianze registrate in questi anni, soprattutto dai tanti anziani, che ci hanno onorato di fornircele, sapendo di essere conservate a futura memoria.

Pere "Mastantuono"
Sicuramente l'attento nostro lettore,  leggendo queste testimonianze, avrà provato una sensazione di bellezza e di armonia, per l'equilibrio esistente tra i metodi di coltura e le sapienti conoscenze agricole degli abitanti, che qui sono state tramandate di generazioni in generazioni. Come pure crediamo che lo stesso lettore sarà stato colto da un sentimento di nostalgia, considerando, poi, cosa sono diventati oggi quei campi, un tempo generosi nel donare frutta, verdure e altri prodotti della terra. Non entreremo in merito alle motivazioni che portarono alle scelte compiute diversi decenni fa e alla metamorfosi subita dal territorio, e nemmeno le giudicheremo, in quanto esulano dagli ambiti di trattazione prefissati in questo blog, che sono racchiusi nella sola diffusione della cultura e della bellezza, che pur ancora oggi esistono nel territorio;
Uva "Mangiaguerra"
tuttavia, chiunque potrà dedurre che aver privato estese zone di questa periferia delle sue ampie campagne, un tempo esistenti, è stato un danno ingente, con il conseguente depauperamento della comunità e la perdita delle sue radici storiche identitarie, senza peraltro aver ricevuto in cambio nessun aiuto per consentire la conservazione della "memoria", nemmeno con una struttura storico-museale di tipo agricola, che avrebbe consentito di far ricordare alle nuove generazioni di oggi e di domani, quelle che furono i fondamenti vitali di questa comunità. Alla fine vale sempre il motto che: una comunità quando conosce da dove proviene, sa anche dove poter arrivare! Ma c'è sempre tempo per rimediare...

Salvatore Fioretto

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Albero di cachi, con i frutti ancora appesi

Filari con uva "Piedirosso", vigneto di Piscinola, anno 2004. Foto di S. Fioretto