sabato 27 aprile 2024

La vera Patria di San Gennaro... Analisi storica di una controversia secolare...!

 Largo Carminello ai Mannesi, murales di Jorit

Approssimandoci a festeggiare la ricorrenza delle Traslazioni delle Reliquie del nostro santo Patrono, Gennaro, che quest'anno capita il 4 maggio p.v., pubblichiamo come è tradizione di questa pagina culturale, un articolo dedicato alla sua storia. In questo scritto intendiamo riscoprire la figura del Santo in rapporto alla sua città natale. Più volte in questi anni abbiamo assistito a dichiarazioni che attribuscono alla città di Benevento la Sua nascita, come pure altre testimonianze scritte che smentiscono questa ipotesi, affidandogli la cittadinanza Napoletana. Ma andiamo per gradi, dando spazio alle ipotesi dell'una e dell'altra parte.


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Giuseppe De Ribera, detto lo Spagnoletto, "S. Gennaro esce illeso dalla fornace", Cappella del Tesoro di S. G.

 

Diamo la parola alla difesa napoletana:

Per la difesa napoletana, ecco quanto scrivevano G.B. Alfano e A. Amitrano nella loro monumentale opera: "Il miracolo di San Gennaro in Napoli", II ediz., Arti grafiche V. Scarpati, anno 1950:
"S. Gennaro nacque in Napoli, nella seconda metà del terzo secolo, da nobile famiglia. Ritennero che S. Gennaro fosse invece beneventano: Fra Bernardino Siculo, Mario de Vipera, Ottavio Bilotta, Carlo Crisconio, Giovanni de Nicastro, Giovanni de Vita, Pompeo Sarnelli.
Sostennero che S. Gennaro fosse napoletano: Camillo Tutini, Girolamo di S. Anna, Niccolò Falcone, Ludovico Sabbatini, Antonio Caracciolo ed in genere la maggior parte degli scrittori.

Prima immagine di S. Gennaro nelle Catacombe di Napoli, VI sec.

Gli argomenti dei Beneventani sono: la nomina di S. Gennaro a Vescovo di Benevento, e un epigrafe dimostrata poi dal Caracciolo A. falsamente interpretata in "Epitaffio beneventano dei SS. Gianuario". Napoli 1637, e da altri. Nondimeno, sempre escludendo che S. Gennaro sia stato beneventano, non è stato assodato da valide ragioni che Napoli sia stata a sua patria. I particolari biografici di tutti questi autori si riscontrino alla fine del volume.
Vi ha tradizione che nei pressi della Chiesa di S. Gennaro ad diaconiam, ora detta dell'olmo, vi fosse stata la casa della famiglia Gianuaria, ove sarebbe nato il Santo. In quello stesso luogo, nel secolo VII, fu eretta la basilica su ricordata, in nome del Martire, dal vescovo S. Agnello, come riferisce Giovanni Diacono.
Non sarà fuori di luogo riferire che nella diocesi di Nicotera (Catanzaro) esiste una tradizione che S. Gennaro abbia avuti i suoi natali a Calafatoni, località situata tra Caroniti e Ioppolo. Il paesello ora è distrutto, ma nei primi secoli dell'Era volgare esisteva sul monte Poro, presso Nicotera. I contadini mostrano ancora una colà degli avanzi di muraglia ritenuti come residui della casa ove nacque S. Gennaro; e vi portano anche dei fiori; si tratta invece di ruderi dell'antica chiesa di Calafatoni.

Catacombe di S. G., Arcosolio con San Gennaro e San Pietro

Su quella rupe sarebbe apparso S. Gennaro per fugare i Saraceni, venuti lassù per depredare il paese ed uccidere gli abitanti. San Gennaro è ora protettore di Caroniti. In parecchie bolle vescovili ed atti di magistrati di Nicotera del secolo XVI trovasi inserita la formula "Per la grazia di Dio e per intercessione di S. Gennaro, vescovo e martire, nostro concittadino".
Questa tradizione, già sostenuta ai tempi di Falcone da monaco cappuccino calabrese: Fra Giovanni da Castelvetere, è combattuta dello stesso Falcone bella prefazione della sua "Istoria di S. Gennaro", fu ripresa dal Canonico F. V. Sorace di Nicotera (1769-1831), del quale il Sig. Diego Corso, anche di quella città, raccoglitore di patrie memorie, possedeva due manoscritti inediti dal titolo: "Memorie storiche originali intorno al vescovado di Nicotera ed a S. Gennaro Patrono della città" - "Confutazioni al libro del Sacerdote Nicolò Falcone sulla vita di S. Gennaro".
Forse la tradizione nella sua citata opera, che una famiglia di Gennaro da vari secoli aveva beni in quella località, e che aveva eretta una chiesa a Calafatoni. Ma lo stesso Falcone ripudiava questa opinione."
(La descrizione della pretesa di cittadinanza avanzata dalla città di Calafatoni, che si aggiunge alla contesa, viene introdotta dagli autori soprattutto per sminuire l'attribuzione reclamata dai beneventani,
n.d.r.).

Diamo ora la parola alla difesa beneventana:

Primitiva sepoltura del Santo nelle catacombe di Capodimonte

Per scoprire le ragione mostrate dai beneventani sulle origini del loro presunto concittadino prendiamo in prestito il libro di Serafina Pascarelli del Basso, dal titolo "San Gennaro a Benevento. Un enigma storico-religioso ed. C.EDIM.M., anno 1988.

"E' Beneventano o Napoli la patria, il luogo che ha dato i natali a S. Gennaro? Secondo il fantastico racconto di Carminio Falcone, si è visto, sarebbe Napoli, ma ci sono validi motivi, e più numerosi, che cercheremo di esaminare insieme, che possono farlo ritenere cittadino di Benevento. A parte il fatto che ne fu sicuramente Vescovo.
Vi sono elementi pro e contro le due versioni. Vediamoli.

A favore della cittadinanza Napoletana

a) Gli elementi che si rilevano dal racconto di Niccolò Carminio Falcone: "L'intera storia della famiglia Ianuaria".

Processione di San Gennaro a S. Chiara, stampa '800

b) Il fatto che il corpo del beato martire, subito dopo la decapitazione fu nottetempo trafugato dalla Solfatara di Pozzuoli, dai cristiani di Napoli (e non di Benevento), che lo nascosero in località Marciano, mentre i Cristiani di Benevento provvidero ad appropriarsi soltanto dei corpi (dei loro concittadini, n.d.r.) di S. Festo e di S. Desiderio (rispettivamente il diacono e il lettore di S. Gennaro) e non di quello di S. Gennaro stesso.
c) L'esistenza di una tomba della famiglia Ianuaria nelle Catacombe di Capodimonte, prima ancora che vi fossero traslate le ossa di S. Gennaro.

d) L'epistola di Uranio, in cui, come si vedrà in seguito, S. Gennaro viene definito "Vescovo della chiesa di Napoli".

e) Il culto di S. Gennaro da parte dei Napoletani, fin da tempi antichissimi (come meglio si esaminerà in seguito)  sempre profondamente sentito, fino ai nostri giorni.

A favore della Cittadinanza Beneventana

a) La tradizione, che ci fa considerare "L'Arco di S. Gennaro" a pochi passi dalla Cattedrale, un rudere della abitazione di S. Gennaro.
In effetti vi spira un'aurea di suggestiva sacralità intrisa di storia, sostenuta dalle antiche colonne di epoca romana, due a destra e una a sinistra, inframmezzate a varie strutture anch'esse di epoca romana, altre Longobarde e di epoche successive, di fronte ai ruderi che vengono ritenuti come resti della chiesetta dei martiri Beneventani Festo e Desiderio.

b) Il contenuto della "Lettera di Simmaco" Senatore Romano scritta al padre nel 369 d.C., riportato nel testo di Giovanni de Vita "Thesaurus Antiquitatum Beneventarum". Simmaco era avverso al Cristianesimo (fu alleato di Giuliano l'Apostata dal 361 al 363. Prefetto di Roma nel 384). Ne riportiamo alcuni brani significativi: "mi recai a Benevento, attraverso il ponte Leprosus, sul Sabato, era grande la città. Fui accolto con favore e con festa da parte di tutti". Il Senatore si vide circondato da "Patrizi amanti delle lettere" "Ammirabili costumi"... "La maggior parte venera Dio". Ecco "questa estressione (fa notare dettagliatamente il Grassi), esclude la venerazione di una Dea (cioè la Dea Iside, il cui culto fu importato a Benevento dall'Imperatore Domiziano, che ritenendosi salvato dalla dea stessa, ne costruì il tempio a Benevento). Non solo, ma affermando la venerazione di un solo Dio, poichè era stato distrutto il tempio di Iside dal terremoto del 369, quel Dio non può essere quello dei Cristiani".

Catacombe di San Gennaro a Capodimonte, scorcio degli ambienti

La prima cattedrale cristiana, infatti, sorse ai tempi del vescovo Teofilo (313) proprio sui ruderi dello splendido palazzo costruito per la "Grande Iside, Signora di Benevento". Teofilo, presente fra i 19 Vescovi al Concilio in Laterano (v. Tomus primum Conciliorum) (Filippo Labbe), aveva ottenuto dall'Imperatore Costantino la concessione per costruire nell'area dell'antico e diruto tempio pagano, la prima Chiesa della Cristianità Beneventana: La "Chiesa di S. Maria de Jerusalem" S. Maria di Gerusalemme. Dalle "Memorie Istoriche" di Stefano Borgia: "Basilica quae Ierusalem nominabatur in qua etiam sedes Antiquorum Episcoporum fuit".

c) Elementi tratti dalle "Passioni"
Nel sec. III e successivi furono scritte le "Passioni" narrazioni che venivano lette durante le liturgie alla vigilia dei Santi Martiri. La "Passione di S. Gennaro" fu scritta, in latino, alla fine del IV sec. Essa, come dice Ferdinando Grassi "contiene dati storici, dati discutibili, dati inaccessibili. Ciò che narra della mamma di S. Gennaro potrebbe avere fondamento storico". Si legge in "Rendiconti Accademia Archeologica (pag. 257) "La madre di S. Gennaro, dunque, che abitava a Benevento, fece un sogno in cui vide il figlio Gennaro, librato in alto, volare al cielo.

Interno delle Catacombe di S. Gennaro a Capodimonte

Svegliatasi, mentre chiedeva il significato di tal sogno, le fu comunicato, che suo figlio, il Vescovo Gennaro, per aver amato Dio, veniva tenuto in catene , e mentre pregava, morì rendendo l'anima a Dio". Fu, il sogno una premonizione? Mistero della vita psichica? Certo, morì prima della decapitazione del figli. Episodio comunque credibile, che conferma essere S. Gennaro Vescovo di Benevento e cittadino abitante con la madre nella stessa città, forse nell'antico palazzo signorile, di cui vediamo i resti nell'Arco di S. Gennaro".d) Il trafugamento notturno delle reliquie di S. Gennaro da parte del principe Longobardo di Benevento, Sicone, che nel 831 riportò dalle catacombe di Napoli alla sua terra, le ossa del martire, ritenuto d Benevento. E i fedeli della città "patrem suum laetantes recipere meruerunt".

e) L'affermazione dello studioso Ennio Moscarella: "E' un fatto che nel "corpus iscriptionum latinorum" non si trovano riportate testimonianze del cognonem Ianuarius, a Napoli, mentre, invece, il detto cognomen risulta diffuso a Benevento".

Primitiva sepoltura del Santo nelle catacombe di Capodimonte

f) Il fatto che S. Gennaro fu Vescovo della comunità cristiana di Benevento fin dal 302, quando il Papa Marcellino lo destinò ad occupare il posto del vecchi Vescovo S. Teodato: fu inviato a Benevento, perché ritenuto di origine beneventana, o perché fu "richiesto" dalla comunità cristiana, che, (com'era l'abitudine fra i primi cristiani), eleggeva fra i propri fedeli, il suo Vescovo?
g) La circostanza incontrovertibile che sulla "olla" in cui sono contenute le ossa di S. Gennaro, conservate nel succorpo del Duomo di Napoli, vi sia indelebilmente inciso: "CORPUS S. JANUARIJ BEN. EP." "da antiquo tempore".

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Forse non basteranno fiumi d'inchiostro, che ancora nel futuro saranno versati e si sprecheranno, per dimostrare la prima o la seconda ipotesi di questo secolare dibattimento, resta il fatto che la tradizione popolare napoletana continua a sostenere che San Gennaro, patrono di Napoli e vescovo di Benevento, sia stato un cittadino nato a Napoli, così pure quella di Benevento considererà il Santo un beneventano di nascita, tutto il resto sono solo supposizioni, ipotesi e assiomi, che hanno poco fondamento storico e documentale. Per noi di Napoli, di San Gennaro ci pregia considerare la Sua millenaria presenza nella storia di Napoli, e non è poco...!

Salvatore Fioretto

Imbusto reliquario in lega oro e argento, commissionato da Carlo II d'Angiò, anno 1305

venerdì 19 aprile 2024

Secondigliano, 4 aprile 1943: bombe sulla Piedimonte…!

Questo racconto è stato liberamente scritto prendendo spunto dai ricordi narrati da alcuni anziani del quartiere e dalle rarissime e scarne testimonianze riportate in alcuni libri di storia cittadina. Alcune scene sono state ricostruite con un po’ di immaginazione, anche se pensiamo che non diversamente dovettero svolgersi gli eventi di quel giorno.

Di questo eccidio di Secondigliano oggi si è persa completamente la memoria.

L'episodio nella Stazione di Secondigliano è stato raccontato anche nel libro "Campania 1943 Napoli. Le incursioni, le Quattro Giornate, la Liberazione", di Simon Popock, vol. II, parte III,  ed. Three Mice Books (pagg. 177-179); nel quale, assieme alle incertezze della ricostruzione storica, che purtroppo persistono, si riportano anche le testimonianze di alcuni sopravvissuti, oltre le fonti scritte dell'epoca.

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In memoria di quei viaggiatori che persero la vita nella stazione di Secondigliano.

 

"Trascorrevano tranquille le ore in quella tiepida domenica napoletana, del 4 aprile del 1943. Sembrava un qualsiasi giorno settimanale, quel pomeriggio di inizio primavera; d’altra parte si era nel pieno conflitto della seconda guerra mondiale ed era difficile distinguere un giorno qualsiasi dalla domenica... La natura continuava, come ogni anno, imperterrita, a fare il suo corso, manifestando l’incomparabile bellezza, attraverso i suoi colori e profumi, quasi a voler ignorare o forse contrastare, quelle brutali alterazioni al paesaggio, compiute da quei “piccoli uomini”, che si mostravano come impazziti dalle loro ideologie, come imbestialiti dai comizi e dalle adunate patriottiche, pervasi solo dalla bramosia del potere e dal desiderio di distruzione…!Secondigliano viveva, in quell’epoca, come in tanti piccoli centri d’Italia, un’atmosfera alquanto surreale, potremmo dire quasi mistica; come se fosse ovattata di un mistero indefinito, ma pur presente... Regnavano in quel tempo nell’animo delle persone i sentimenti più disparati: dalla paura, alla rassegnazione, dal rancore, alla speranza… La gente avvertiva sempre di più la paura: la paura di perdere per un non nulla la propria vita, la paura di perdere i propri cari. I bombardamenti degli Anglo-americani si facevano sempre più frequenti e distruttivi e non facevano più distinzione tra zona alta o zona bassa, tra chiese, ospedali e navi. Si viveva nel terrore di dover scappare da un momento all’altro, al sopraggiungere del sibilo di una sirena della contraerea, che preannunciava l’inizio dell’”apocalisse”…!

 Stazione di Secondigliano, jeep americana riadattata per la ferrovia, 1972
Elvira era una bambina di appena di otto anni e abitava a Secondigliano, in un bel palazzo d’epoca, che si affacciava sul corso principale. Da questo palazzo si godeva la vista di una magnifico panorama collinare, composto dalla sconfinata macchia di verde del Bosco di Capodimonte. Più vicino, si poteva ammirare il lussureggiante e selvaggio Vallone San Rocco e, ancor prima, la piccola e graziosa stazione delle ferrovia Napoli-Piedimonte d’Alife, con i suoi giardini e le aiuole fiorite. Dalla sua finestra, Elvira poteva osservare ogni angolo del piazzale della stazione, finanche le banchine e i binari e poteva scrutare, appagando la sua ingenua curiosità di fanciulla, il passaggio di quei convogli color panna e amarena, sempre stracarichi di passeggeri.
Quella domenica la bimba era presa a giocare con la sua bambola di stoffa e ogni tanto dava una mano alla mamma a preparare il pranzo domenicale. Il menù di quel giorno, alquanto succulento per lei, consisteva in un unico primo piatto a base di gnocchi al ragù, inutile dirlo, senza carne e con la solita razione di pane raffermo, pari a 150 grammi procapite: quanto cioè stabiliva la tessera annonaria. Certo erano momenti di ristrettezza quelli, ma la sua era pur sempre una famiglia agiata e le privazioni della guerra non si facevano ancora avvertire a tavola... Preparare gli gnocchi in quella famiglia non era infatti un evento tanto eccezionale…, anche perché le patate al mercato nero si trovavano con più facilità della farina e di altri alimenti più ricercati.

Numerose erano le campagne sparse nelle vicine contrade di Miano, Piscinola e Chiaiano, che offrivano buone occasioni per trovare ortaggi, cereali e legumi a buon prezzo: perché questi venivano comprati direttamente dai contadini, dei quali si conoscevano finanche i nomignoli.
Erano da poco passate le due del pomeriggio, di quella strana domenica primaverile, quando, senza neppure udire il suono della sirena, gli aerei americani (le famose “Fortezze Volanti”), iniziavano a rombare, solcando carichi di bombe l’azzurro e indifeso cielo di Napoli. Fu una ecatombe! Gli aerei iniziavano a lanciare, da diverse miglia di altezza, centinaia di bombe, seminando distruzione e morte ovunque! Dal porto, alla stazione, dal centro di Napoli all’aeroporto di Capodichino, i piloti puntavano a colpire obiettivi militari Italo-tedeschi ritenuti strategici. Purtroppo e inevitabilmente venivano colpite e distrutte anche tantissime abitazioni e poi anche chiese ed ospedali. Moltissimi furono in quel giorno i morti e i feriti. Una vera carneficina...!
Stazione di Secondigliano, anno 1972
Dalla finestra della cucina Elvira diventava, suo malgrado, la spettatrice inconsapevole di una scena raccapricciante. Una bomba centrava in pieno un vagone del treno della ferrovia Napoli-Piedimonte d’Alife, che era in sosta nella stazione di Secondigliano, mietendo una decina di vite e facendo moltissimi feriti tra i viaggiatori e il personale di servizio. Il treno aveva un carico considerevole di passeggeri. Proveniva da Piazza Carlo III e proseguiva verso i paesini della provincia di Napoli e di Caserta. Si componeva di una elettromotrice e di due vetture rimorchiate. Molti viaggiatori ritornavano dalla città dopo aver visitato i propri parenti, oppure recuperato qualche indumento o oggetto personale, lasciato nel loro appartamento abbandonato. Diversi erano stati, infatti, i napoletani che, a causa della guerra e dei continui bombardamenti americani, avevano preferito “sfollare” nelle campagne napoletane periferiche oppure nei tanti paesini disseminati nella piana casertana, fino alla cittadina di Piedimonte d’Alife. Paesi nei quali trovavano un tetto a buon prezzo e, soprattutto, un po’ di pace in quel inferno che tutti chiamavano semplicemente ‘a guerra!
La città di Napoli aveva molti presidi militari italo-tedeschi, tante postazioni antiaerei disseminate ovunque e poi tantissimi obiettivi sensibili: le raffinerie, le centrali elettriche, il porto, l’aeroporto, i depositi, gli arsenali, tutti obiettivi che gli anglo-americani continuavano a prendere di mira e a bombardare.
 Elettromotrice in fase di ricostruzione, forse mai completata, foto 1972
Dal suo appartamento, poco distante dalla stazione, la vista del treno lì fermo era nitida, senza alcun ostacolo che le impedisse la visuale; Elvira fu, quindi, spettatrice di quel penoso evento, che le ha cambiato la vita. Dopo un gran boato, una nuvola di polvere e di fumo avvolgeva il misero campo di battaglia. I vetri delle finestre e dei balconi dei palazzi, che si affacciavano alla stazione, si riducevano in mille frantumi, a causa dell’imponente spostamento d’aria. Intonachi e pezzi di cornicioni venivano distaccati e ridotti al suolo in mille frantumi. Si udivano grida di disperazione e di dolore che si levavano da quella gelida stazione. I morti accertati furono più di dieci.
I corpi di questi sfortunati restavano al suolo oppure sul treno, con le braccia penzoloni dai finestrini, immobili, orami senza più vita; altri gemevano o piangevano, tra rivoli di sangue e con vistose ferite alla testa e al corpo. I pianti ed i lamenti che si levavano erano assordanti…, non per l’intensità del suono, ma per la brutalità della scena da cui provenivano…, tantissimi erano i feriti, che levavano le braccia in alto, per chiedere aiuto, molti si trascinavano, strisciando, tra pietre traversine e rotaie, cercando scampo nell’edificio di stazione, anche perché temevano altre possibili incursioni degli aerei. Moltissimi trovarono rifugio sotto il pianale del treno della Piedimonte e furono salvi! Quanti bambini, ragazzi, donne e anziani non erano più vivi…! Quanti di questi sfortunati quella sera non abbracciarono i loro cari! Erano partiti la mattina, per una semplice commessa e non sapevano che quel fugace saluto, dato partendo da casa, era stato proprio l’ultimo di una vita così breve e grame…! Pochi chilometri più a nord, a San Pietro a Patierno, avvenne una scena di morte simile, vissuta in quello stesso infernale pomeriggio domenicale del 4 aprile 1943. Quasi contemporaneamente all’episodio di Secondigliano, alcuni aerei Anglo-americani, di ritorno dalle missioni di guerra, prendevano sotto tiro i convogli di un tram delle Tranvie Provinciale di Napoli. Morivano molti passeggeri e altri rimanevano al suolo gravemente feriti.
Un altro aereo Anglo-americano centrò la contraerea tedesca sulla calata Capodichino causando, altri morti tra i civili.
In quel giorno anche l’ospedale dei Pellegrini subì ingenti danni, con morti e feriti.
Durante questi sanguinosi episodi un pompiere napoletano, in forza al Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Napoli, si distingueva per il suo eroismo, mostrando il più puro altruismo e l’abnegazione al dovere, riusciva a trasportare molti di questi feriti al centro di Napoli, attrezzando alla buona un convoglio del treno delle “Ferrovie Secondarie” (un tram delle Tramvie Provinciali o forse proprio un treno della ferrovia Napoli-Piedimonte) e conducendolo fino allo stazionamento di Napoli, dove i feriti potevano essere rapidamente soccorsi presso un ospedale cittadino. Tante persone devono la loro vita a questo eroe, che si chiamava brigadiere Sarno.
Elvira oggi è una simpatica signora settantottenne, che vive ancora in questo antico e popoloso borgo di Napoli; ride e scherza Elvira, come tutte le signore napoletane della sua età; però, quando ricorda e racconta quel triste episodio vissuto quando era piccola, la sua voce di fa subito rauca e tremula, gli occhi luccicano affioranti lacrime e ritorna indietro con il pensiero: a quella bambina, terrorizzata e stupita, nascosta dietro ai vetri di una finestra di cucina, che aveva conosciuto troppo presto il significato del “male”, durante un assolato e triste pomeriggio di primavera di settanta(1) anni fa…!"
(1) Il racconto è stato scritto nell'anno 2013.

Secondo alcune testimonianze raccolte, l'elettromotrice coinvolta nel bombardamento di Secondigliano fu pesantemente danneggiata e non più rimessa in circolazione. Questa dovrebbe essere stata contraddistinta con la denominazione "E4". Sappiamo che le elettromotrici costruite per la ferrovia "Napoli Piedimonte d'Alife" furono nove, mentre quelle conosciute circolanti fino alla soppressione della ferrovia sono state otto, mancante appunto della numero "4". In tutta la raccolta fotografica rinvenuta fino ad oggi, questa vettura. la "E4", non appare mai in circolazione, mentre nella raccolta fotografica di Rohrer è riportata una foto, dell'anno 1972, che ritrae una elettromotrice in fase di ricostruzione, con cassa atipica, che presenta su di un lato una finestra ovale, quindi mai vista in circolazione...

Stazione di Secondigliano oggi
 
Oggi, a distanza di 81 anni da quell'episodio cruento, sarebbe opportuno eseguire un approfondimento storico documentale e ricordare, magari con una lapide, questi nostri sfortunati concittadini, che hanno perso ingiustamente la propria vita in un momento travagliato della storia della Nazione.
Salvatore Fioretto
 
I nomi dei personaggi inseriti in questo racconto sono di fantasia. Qualsiasi riferimento a persone, dell’epoca o anche recenti, è puramente causale.
Il testo è stato integralmente tratto dal libro: "C'era una volta la Piedimonte" di S. Fioretto, ed. Atena net, anno 2014 e come tale è soggetto al diritto d'autore.

 

venerdì 12 aprile 2024

"Piscinola, la terra della musica", ecco Antonio Sarnacchiaro... di G. Sarnacchiaro

"Piscinola è la Terra della Musica...!" Abbiamo sempre più motivi per sostenere che questo non è un semplice slogan scelto a caso, ma è una definizione acclarata, nella quale si concentrano tantissimi ricordi e molte testimonianze riguardanti le storie e le biografie di tanti personaggi: di direttori di musica, di musicisti, di compositori, di cantanti, e di cantautori... Infatti questa pagina divulgativa di "Piscinolablog" ha raccolto in questi anni tante testimonianze di storie, di eventi e di aneddoti a tal riguardo; alcuni di questi artisti, purtroppo, sono stati letteralmente dimenticati nel tempo e altri non sufficientemente divulgati.
Siamo convinti che la fonte di questa dedizione per la musica scaturisca da un retaggio culturale ereditato dalle generazioni precedenti, che hanno trasmesso alle nuove leve questa passione, tanto da favorirne il pullulare di maestri e di cantanti, nati o vissuti in questo piccolo borgo di periferia a settentrione della città di Napoli. Sicuramente avrà contribuito tantissimo la tradizione contadina con i suoi canti 'a figliola, 'a fronna, le tammurriate e le nenie e, ancor di più e certamente, la passione per la musica di insieme, come quella bandistica, che qui grande successo e molta attenzione ebbe nei decenni passati! 
Siamo quindi convinti che sono stati questi retaggi trasmessi dagli antichi piscinolesi, che si sono poi contaminati con altri generi musicali, come il Bughi bughi e  il Blues introdotti da parte dei soldati angloamericani, durante l'occupazione di liberazione nell'ultimo conflitto bellico, che hanno dato seguito a tutto questo attecchimento e a questa dedizione per la musica tra le generazione degli anni del dopoguerra, passando per il "boom economico", fino ai nostri tempi. Infatti tanti sono stati i complessi musicali e i singoli artisti che hanno saputo raccogliere il testimone ereditato dagli antichi, di coltivare l'arte della musica e del bel canto,  adattando la tradizione musicale e sperimentando nuovi generi e ritmi musicali, come il Rock & Roll.
Quella che si racconterà in questo post è la storia di un'altro cantautore piscinolese, il quale, oltre ad affermarsi nel panorama musicale cittadino, ha saputo varcare anche i confini regionali e farsi apprezzare nel mondo dello spettacolo, partecipando ai festivals canori e ai programmi televisivi; parliamo del cantautore Antonio Sarnacchiaro, noto anche con il suo pseudonimo d'arte di "Tony Sarno".
Svolgendo le nostre ricerche, siamo riusciti a conoscere la sua storia e quindi a contattare il suo caro fratello, Gaspare, il quale
ci ha generosamente scritto una biografia del maestro, che pubblichiamo, oggi, integralmente.
Ecco la storia di Antonio Sarnacchiaro, purtroppo ha un epilogo un po' triste.

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"Antonio Sarnacchiaro nacque a Piscinola il 12 gennaio 1947, da Sarnacchiaro Eugenio e Musella Angela. Mentre la mamma era casalinga, il suo papà lavorava di mattina come impiegato presso il ministero della difesa, dopo lavoro andava a dare un aiuto ai fratelli nel loro locale situato in piazza Bernardino Tafuri a Piscinola, noto come la cantina dei fratelli Sarnacchiaro.
Antonio fin dall'infanzia, essendo il primo di quattro figli, (Maria, Flora e Gaspare) ebbe una responsabilità che lo avvicinò ancor di più ai suoi genitori e lo dotò di un senso precoce di dovere e protezione verso i suoi fratelli. Crescendo in una famiglia che valorizzava l'unione e il sostegno reciproco imparò presto l'importanza dei legami familiari e comunitari.
Antonio per il suo carattere un po' troppo vivace fu mandato dai genitori nel collegio dei frati teatini, vicino Morlupo (Roma) con il cugino Gaspare Musella. Grazie all'insegnamento dei frati e la ferrea vita religiosa all'interno del collegio, ebbe un radicale cambiamento, però finite le scuole medie decise di non seguire più la vita monastica e andò via dal collegio.
Dai frati fu notato per le sue doti canore e fu inserito nel coro come solista e da lì nacque il suo amore per il canto. Proseguì gli studi fino alla laurea in economia e commercio presso l'ateneo Federico II di Napoli. Crebbe in quegli anni la passione smisurata per il suo idolo: "Elvis PRESLEY "di cui la voce era molto simile. Conosceva a memoria tutte le sue canzoni e le cantava in un inglese perfetto, infatti peculiare è un episodio che era solito raccontare, di una sua esibizione in un locale di Napoli frequentato da soldati americani, che si congratularono con lui credendolo Elvis, visto il suo perfetto accento, americano.
Fece diversi passaggi in tv private dell’epoca, e diverse incisioni tutte sempre seguendo lo stile e la musicalità di Presley (rock e blues).  
In seguito fu notato dall’ingegnere GUZZO, che aveva la distribuzione alla FONIT cetra. Questi lo fece presentare nel 1981 al festival di Napoli, diviso in tre serate dall' 8 al  10 maggio, trasmesso anche in televisione.
Antonio presentò il brano in napoletano intitolato: "E CE 'A STA'" scritto e musicato da Sarnacchiaro, Liberato, Barassi, Sica. Il festival fu presentato da Franco Solfiti, coadiuvato da Maria Laura Soldano e l'orchestra era diretta dal maestro Gianni Aterrano e trasmesso a colori dal teatro Metropolitan da "Rai 3". Il coro era quello dei "2 più 2" di Nora Orlandi e ospiti famosi furono: Gino Bramieri, Gianfranco D'angelo, Ugo Pagliai, Paola Gasmann, Franco Rosi, Ida Di Benedetto, Lina Sastri, Lilli Carati, Franco Franchi, I sergenti a sonagli, e infine Ambra e Nando Orfei.
Poco dopo la partecipazione al festival Antonio incise anche un LP cantando sulle basi di canzoni di Presley. Questo album rappresentava una produzione molto particolare e all'avanguardia in quanto non si trattava di semplici cover, ma di basi di Presley riarrangiate con testi in lingua napoletana (cosa molto rara per l'epoca), scritti da Antonio e Renato Rutigliano.
Antonio quindi si stava pian piano affermando come nascente talento musicale, tanto che iniziò a ricevere svariate proposte per partecipare a tournée in giro per l'Italia.
Dopo aver vinto un concorso in Pretura come cancelliere però scelse il sicuro al probabile, mettendo da parte la carriera artistica.
Nonostante ciò, continuò a nutrire la passione per il canto, in particolare per Presley, di cui era riuscito a reperire dischi introvabili in Italia come quelli della casa discografica americana "CAMDEM".
La sua passione ed il suo talento furono molto apprezzate anche dai colleghi, i quali lo invitarono occasionalmente alle feste in locali, organizzate da giudici della pretura di Napoli.
Inoltre incise diversi C.D. in studi di registrazione di suoi amici avvocati, dischi che conservo gelosamente fra i miei ricordi più cari. Dopo aver tracciato il sentiero per i suoi fratelli minori, Antonio proseguì il suo viaggio nella vita con gioia e determinazione.
Nel corso degli anni, si avvicinò a un nuovo capitolo emozionante: il matrimonio e la paternità dalla quale ebbe due splendidi figli, Laura ed Eugenio, che rappresentavano la ragione della sua vita, amati più di qualsiasi altra cosa al mondo.
Antonio inoltre non era solo un padre amorevole, ma anche uno zio eccezionale. Tra i suoi nipoti c’è anche Nicola Nardella, attuale presidente della Municipalità Piscinola, Marianella, Chiaiano, Scampia.
Ma purtroppo questa storia non ha un lieto fine, in quanto il triste mattino del 3 febbraio 2010, mentre attraversava le strisce pedonali facendo il solito tragitto per andare al lavoro, Antonio fu travolto da un’auto che viaggiava a
folle velocità."

Gaspare Sarnacchiaro

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Ecco alcune sue incisioni:

1) Ce 'a sta'

2) Ma che guaje ch'amme passato

3) 'O miezz blues

4) M'abboffo 'e sciù

5) Freve

 

Quando abbiamo letto questa storia ci siamo commossi, perché, oltre ad aver scoperto un altro artista di questa terra, forse ingiustamente e molto presto dimenticato, abbiamo conosciuto la sua breve ma intensa vita artistica e siamo rammaricati per la sua ingenerosa e triste fine. Abbiamo chiesto di avere notizie più approfondite su questo artista di Piscinola, e trascriverle nella nostra pagina culturale, al fine di farlo conoscere soprattutto ai giovani lettori ma anche ai veterani, che forse non hanno ancora conosciuto Antonio.
La sua storia inserita in questo blog rimarrà, da oggi in avanti, un indelebile ricordo nella bella storia di Piscinola!
Ringraziamo calorosamente il caro fratello di Antonio, Gaspare, che ha scritto per noi questo bel ricordo; ringraziamo anche il dott. Giuseppe Lanzuise, per averci aiutato a conoscere questa storia. 

Grazie! Viva la musica di Piscinola!

S.F.