
Capasso nacque a Napoli, il 22 febbraio 1815, nel
quartiere Porto, da genitori originari di Frattamaggiore.
Il padre, Francesco,
era un ricco commerciante di canapa, la madre, Maria Antonia Patricelli, era
casalinga, molto religiosa. Alla madre dedicò nel 1846 il saggio: “Topografia
Storico Archeologica della Penisola”, definendola “Raro esempio di cristiane e domestiche virtù”. Rimasto presto
orfano di padre, a soli 6 anni, iniziò gli studi nel Seminario di Napoli, completati
poi a Sorrento, dove si era trasferito con la famiglia, perché la madre ebbe a
risposarsi con un facoltoso possidente sorrentino. Dimostratosi già in tenere età un talento
nell’apprendimento, soprattutto del latino, del greco e della
storia antica, era dotato di profondo acume e di spirito critico, al di fuori del
suo tempo.
A 18 anni iniziò un lungo viaggio per la penisola
italiana, accompagnato da un caro amico, durante il quale ebbe modo di constatare
la grave carenza della ricerca storiografica nell’Italia meridionale, già da
lui evidenziata nel corso degli studi.


A 29 anni gli fu affidata da un insegnante,
che lo ebbe molto a cuore, il prof. Troya, che fu fondatore della Società di Studi Storici (primo nucleo antesignano
della Società di Storia Patria), la direzione del settore della Società dedicato alla ricerca e al
riordinamento dei documenti riguardante il periodo aragonese, in particolare quanto concerneva la figura del re Alfonso d’Aragona "il Magnanimo". La Società durò solo tre anni, perché fu chiusa dal governo borbonico, durante i moti del 1848; anche se questo triennio fu proficuo di esperienze per il Capasso.
Bartolommeo Capasso diede vita a un nuovo metodo della studio della Napoli Antica, minuziosamente esaminata nei costumi, nelle leggi, negli usi, nella lingua e nelle costruzioni monumentali.
Bartolommeo Capasso diede vita a un nuovo metodo della studio della Napoli Antica, minuziosamente esaminata nei costumi, nelle leggi, negli usi, nella lingua e nelle costruzioni monumentali.

Nello stesso anno sposò una ragazza diciannovenne, dalla quale
ebbe tre figli, due femmine e un maschio. Purtroppo il fanciullo morì a soli cinque
anni, a causa della sua costituzione debolissima.
Nel 1849 diede alle stampe: “Memorie storiche della chiesa sorrentina” e, dopo pochi mesi, il
saggio “Sull’antico sito di Napoli e
Palepoli”, dedicato al figlioletto scomparso.
Nel 1855 pubblicò: “La Cronaca napoletana di Ubaldo edita dal Pratilli nel 1751 ora
stampata nuovamente e dimostrata una impostura del secolo scorso”.

Intanto, con l’Unità d’Italia, poteva rivedere la
luce la “Società di Studi Storici”, mentre nel 1876, insieme a Giuseppe de Blasiis,
Camillo Minieri Riccio, Benedetto Croce e altri, il Capasso fondava la “Società Napoletana
di Storia Patria”, della quale fu inizialmente vicepresidente e poi presidente,
dal 1883 fino alla sua morte. La "Società di Storia Patria" è tutt’oggi esistente
e attiva, con una pregevole e ricca biblioteca. Fondò anche la celebre rivista storica: ”Archivio storico delle Provincie
napoletane”.


Come tutti i personaggi semplici e modesti d’animo, non ebbe
velleità di gloria. Non ebbe mai incarichi di insegnamento, ma moltissime onorificenze
accademiche: "Professore onorario dell’Università di Napoli", "Professore honoris causa dell’università di Heidelberg" e altre. Fu
collaboratore e corrispondente di diverse riviste tedesche specializzate in
storia e archeologia.
Fu deputato di "Storia Patria" delle regioni Toscana,
Umbria e Marche, nonché socio delle principali accademie italiane ed europee, tra le quali: l'Accademia dei
Lincei e L'Accademia Ercolanese. Lo seguirono con passione diversi giovani collaboratori, che divennero poi autentici accademici e
prosecutori della sua opera, tra questi: Carlo Luigi Torelli della provincia di
Foggia, Gaetano Capasso e il figlio Carlo, quest'ultimo professore di economia
dell’Università di Napoli e autore di approfonditi studi storici sulla città di Frattamaggiore.

Ritornando a Bartolommeo, nel 1882 il governo
italiano gli affidò l’incarico di Soprintendente dell’Archivio di Stato di
Napoli, ruolo che accettò dopo notevole insistenze.
All’Archivio di Stato egli profuse un eccezionale
impegno di Archivista, contribuendo tra l’altro a dare alla luce fasci di pergamene abbandonate,
collocandole divise per periodi; “Anteriori al 1806 e posteriori”, divise per
organismi emittenti: Tribunale di S. Lorenzo, altri tribunali, deputazioni,
ecc.


L’ultimo fu il famoso testo “Napoli greco romana”, pubblicato dopo la morte dalla "Società di Storia Patria", tramandando le memorie di archeologia antica della città di Napoli, altrimenti le trasformazioni del “Risanamento” avrebbe per sempre cancellato.

Morì a Napoli, il 3 marzo 1900.

A Bartolommeo Capasso dobbiamo un "grazie speciale"
per averci tramandato, attraverso il suo capolavoro: “Monumentia ad Neapolitani Ducatus pertinentia ….”, le memorie antiche
della nostra terra. Il contenuto di antiche pergamene e di atti rogati del
periodo medioevale, che parlano della storia di Piscinola, Miano, Marianella, e
di tutti i Casali del circondario, con la specificazione di molte località e
toponimi antichi, senza la sua opera, sarebbero stati altrimenti del tutto dispersi e dimenticati per sempre, specie dopo il grave danno subito con la distruzione dei "Registri della cancelleria
angioina e aragonese", ad opera dei soldati tedeschi, a S. Paolo Belsito, nel
1943.
Ringraziamo riconoscenti il grande Bartolommeo Capasso, riportando una sua massima, della quale cerchiamo di far nostro tesoro: “…quali
eredi del patrimonio lasciato dai nostri padri, noi abbiamo l’obbligo di
custodirlo, ma anche di lavorare per far sì che questo ricco patrimonio
fruttifichi…”.
Grazie di tutto, don Bartolommeo!!
Grazie di tutto, don Bartolommeo!!
Salvatore
Fioretto