venerdì 16 febbraio 2024

I Carafa di Marianella... diventano Cavalieri del Seggio di Nido

Prendiamo spunto da un episodio che ha riguardato la vita politica della città di Napoli durante la dominazione spagnola, per descrivere un pezzo di storia che ha coinvolto, di riflesso, anche il nostro territorio. La vicenda che stiamo a raccontare riguarda la nobile famiglia dei Carafa della Stadera, Principi di Sepino, Conti di Montecalvo e di Ruvo e quindi Baroni di Marianella: il Casale di Marianella fu acquistato da Giovan Tommaso Carafa, già Conte di Ruvo, il 27 giugno 1561.
Questa famiglia, di antico lignaggio e famosa per le grandi imprese condotte nella storia di Napoli, si era anche impiantata nel Casale di Marianella, come pure in quello di Piscinola. Dagli albi araldici e dalle genealogie consultate, risultano diversi componenti di questa nobile famiglia napoletana che sono nati o morti tra Piscinola e Marianella.
Iniziamo con Donna Beatrice Carafa, che sposò don Marco d’Afflitto, conte di Trivento e “signore” di Piscinola. Isabella Carafa, nacque a Napoli nel 1593 e morì a Piscinola il 13 aprile 1618; sposò nel 1607 Francesco Caputo, marchese di Petrella; mentre Carlo Carafa, nato a Napoli il 5 novembre 1602 e sposo di Ippolita Carmignano, morì a Piscinola l’11 luglio 1667. Giovanna Carafa, infine, nacque a Piscinola nel 1638 e sposò, in diverse nozze, Giuseppe Staibano, Fabrizio Staibano e Ascanio Sensale. Morì a Grumo nel 1737. Don Francesco e Don Ludovico Carafa nacquero a Marianella, rispettivamente nel 1630 e nel 1637.
La famiglia Carafa possedeva anche una masseria, denominata “Masseria del Monte”, la quale, come si evince dalla mappa di G. Porpora, si trovava nella parte meridionale del Casale di Piscinola, ai confini con Marianella e con la località “San Rocco”. Non sappiamo se questi nobili avessero in questa zona delle nobili residenze, oppure delle ville di campagna.
Per comprendere bene la storia che risale alla fine del XVII secolo, spieghiamo brevemente alcuni organismi amministrativi che sono menzionati.
A quei tempi, l'amministrazione della città di Napoli era affidata a sei "Sedili" o "Seggi": cinque dei nobili (Montagna, Nido, Capuana, Porto e Portanova) e uno del "Popolo".
Cappella Succorpo di San Gennaro (Duomo), stemma Carafa
I Sedili nominavano i deputati che componevano il "Tribunale degli Eletti" o "di San Lorenzo", che era un organismo preseduto da un magistrato, chiamato "Grassiero" o "Prefetto dell'Annona" (status paragonabile all'attuale Consiglio comunale e al Sindaco). L'organismo giudiziario era il Consiglio Collaterale, presieduto dal Vicerè, e composto da 5 giudici, che aumentavano in caso di guerra. Il Vicerè era nominato a sua volta dalla casa reale di Madrid.
I contenziosi e le liti amministrative, tra i nobili e non nobili, erano regolati dal Sacro Regio Consiglio, a cui si doveva presentare appello. L'annona e gli aspetti fiscali erano invece regolamentati dall'altro tribunale che era chiamato Regia Camera della Sommaria.
Il Seggio di Nido (o Nilo), nell'anno 1562, aveva ratificato il regolamento che disciplinava le procedure per l'aggregazione di nuove famiglie nobili tra i suoi iscritti, che doveva svolgersi "per scritture pubbliche ed autentiche", presentando come prova di nobiltà posseduta dagli aspiranti: "li quattro quarti, vicelet, lo quarto del padre e de la madre; lo quarto de la madre de lo pretendente, e de la madre di sua madre, che siano nobili anticamente". Detta procedura faceva seguito ai precedenti capitoli approvati dagli stessi negli anni: 1500, 1507 e 1524. Il processo d'esame della famiglia aspirante al Seggio durava all'incirca un anno; tenendo presente che, "dal tempo che furono deputati li seggi che non ave memoria d'uomo in contrario, sono stati e sono, che quando uno vuole entrare e godere gli onori e prerogative d'alcuno seggio,  lo dimanda per grazia a quello Seggio; e quando piace alli gentiluomini di esso seggio accettarlo, esaminando le qualità convenienti spettanti alla nobilità, è stato aggregato; e quando non piace alli gentiluomini del seggio, è stato repulsato: al che mai alcuno se ci è intromesso contro la volontà de' Nobili". Ecco ora la vicenda...
Stemma del Sedile Nido
I Carafa di Marianella furono oggetto di controversia tra i nobili cosiddetti di Piazza (contrari) e il governo madrileno (sia del Collaterale che del Vicerè, che erano favorevoli). Non era ovviamente il primo caso che capitava, perchè già negli anni precedenti si erano verificate situazioni analoghe, con altre famiglie nobili e in altri Seggi. Anche per la famiglia Carafa (in particolare per i due fratelli beneficianti del Maggiorascato), la "Piazza nobiliare di Nido" si opponeva all'integrazione "d'ufficio"; la richiesta di aggregazione, che era già stata presentata anni prima, fu esaminata e accantonata... senza sviluppi; ma sul finire del XVII secolo la situazione precipitò, acuendosi e diventando un caso politico di Stato.
La controversia si accese all'improvviso il 4 giugno 1695
, quando il Consiglio Collaterale aveva votato una deliberazione a favore all’ingresso della famiglia Carafa di Marianella nel sedile di Nido. I nobili del Sedile si opposero, presentando le loro controdeduzioni. Cosicché il 15 novembre ebbe a riunirsi il Sacro Regio Consiglio e per tre giorni si ebbero sedute per discutere sulla delicata materia contesa.
C’è da dire che i Seggi in cui era divisa la città di Napoli, conservavano da secoli una spiccata autonomia rispetto al governo della città, ancor prima del periodo vicereale, sia perchè di origine antichissima e sia perchè avevano un forte deterrente sulla vita amministrativa della Capitale: come già detto nominavano i loro rappresentanti a San Lorenzo; quindi forti di questo potere ed autonomia, oltre a soffrire di ingerenze da parte di organismi esterni, non consentivano l’ingresso di nuove famiglie nobili che non fossero di loro gradimento.
La vertenza i questione, che minava l'autonomia di una Piazza, divenne di interesse generale, tanto che, per tutelarsi da questa ingerenza, il Seggio di Nido ottenne dalle altre Piazze che fosse istituita una Deputazione comune.
La tesi fu dibattuta e difesa dall’avvocato della Piazza di Nido che era don Giacinto Arcadi, che ovviamente difendendo i privilegi dei nobili di Piazza, avanzava la tesi ostruzionistica all'ammissione. Di contro un sostenitore dei Carafa, era il Vicerè del momento, ossia il conte di Santo Stefano, il quale cercò di smussare questi ostacoli e di anticipare gli eventi, ma riuscì solo a fissare una scadenza per la deliberazione finale, di due settimane.
I Cavalieri più moderati del Seggio di Nido, che erano favorevoli all’ingresso dei Carafa, decisero di convocare un incontro informale,
per mettere in campo una strategia comune. Ben 35 nobili del Seggio si presentarono appuntamento in una nota libreria cittadina, esistente all'epoca presso Sant’Angelo a Nilo. La mozione messa ai voti fu quella che prevedeva di indire una riunione "ad hoc" del Seggio e votando a favore l'ammissione dei Carafa; così facendo si cercava di anticipare una possibile decisione forzata del magistrato regio; atto che avrebbe minato e messo in discussione la futura autonomia decisionale dei Sedili. Ma non fu trovato un accordo nemmeno in questa occasione, perché la maggioranza dei presenti votò contro la mozione. Quindi la controversia continuò per altre settimane. Si giunse, quindi, al 22 marzo dello stesso anno, quando l'Avvocato Arcadi, assieme ai Deputati delle Piazze, si recò dal Vicerè denunciando di sospetto quasi l’intero Consiglio Collaterale, dopo aver denunciato di sospetto anche il Petra, del Sacro Regio Consiglio. I fatti precipitarono presto, infatti, il Vicerè, non trovando una via di uscita al pericoloso empasse amministrativo del momento, prendendo spunto da un altro incidente capitato nel 23 marzo, ordinò l'arresto dell’Arcadi, il giorno 24 marzo seguente. Ma, come era prevedibile, la sua carcerazione durò pochissimo, perché forte del suo ruolo di agente presso il Cardinale Carafa, vescovo di Aversa e per l’intervento di costui e del cardinale Aguir, facente funzioni dell’ambasciatore spagnolo a Roma, l'Arcadi fu scarcerato nei primi giorni di maggio.

Intanto con la rinuncia presentata dall'Arcadi, la Piazza di Nido decise di eleggere un nuovo Avvocato della Piazza, nella persona di Pietro di Fusco. Inutile dire che la causa continuò con altre ostruzioni e altri colpi mancini, dall’uno e dall’altro fronte, arrivando alla trasmissione da parte del Vicerè alla casa reale di Madrid di una nuova relazione sulla vicenda. La risposta pervenne nel mese di novembre seguente.
Portone di legno del palazzo di Diomede Carafa
Di Fusco nel frattempo dichiarò che la causa non era proseguibile perchè la relazione era stata trasmessa a Madrid senza avere la regia autorizzazione. Madrid quindi autorizzò la prosecuzione della causa, ammonendo il Vicerè  di premunirsi
in futuro della licenza regia. Ci fu intanto un passaggio di consegne, il vicerè conte di Santo Stefano fu sostituito con il Medinaceli. Nel giugno del 1696 l’avvocato della Piazza dei nobili, Di Fusco, tornò alla carica sulla vicenda, ottenendo dal Collaterale di potere reclamare contro la decisione regia, favorevole all’ingresso dei Carafa nel Sedile.
Ovviamente la conclusione della controversia si vedeva allontanare ulteriormente...
Subentrò intanto un problema economico, in quanto si dovevano trovare le risorse finanziare per pagare i legali attivati per questa annosa controversia. La Deputazione della Piazza chiese quindi agli Eletti del nobili di poter attingere direttamente dai fondi dell’Annona Cittadina, per circa 400 ducati. A tale richiesta insorse ovviamente il rappresentante del Popolo, ovvero l’Eletto del Popolo. In realtà si chiedeva impropriamente di attingere al fondo popolare per saldare una controversia che era invece da ritenere di carattere privatistico, non giustificabile con l'ammanco al patrimonio popolare... La richiesta era stata poi avanzata senza prevedere il consenso dell’Eletto del Popolo! Dopo la scontata protesta dell’Eletto, Mercaldo, intervenne il nuovo Vicerè Medinaceli, bloccando il prelievo e subordinando la spesa all'ottenimento del consenso da parte dell’Eletto. Il Vicerè incaricò, poi,
Jaccaninno, che era il reggente  magistrato Grassiero, di trovare un accordo che accontentasse le parti a contendere. I Carafa protestarono ancora contro la decisione del Collaterale, favorevole all’avvocato di Fusco e portando il Vicerè a concedere un appello anche per loro, fissando una udienza del Consiglio Collaterale, il 14 del giugno, per la "Causa di Reclamazione".
Stemma allegorico del Sedile di Nido

A continuazione della vicenda, il De Fusco fu nominato consigliere e la Deputazione dei Nobili dovette nominare un nuovo Avvocato.
Alla fine dell’anno 1694, i Carafa potettero considerarsi finalmente integrati, grazie al sostegno dei Carafa di Maddaloni. Ma la diatriba ovviamente era ben lungi dall’essere definitivamente risolta, infatti, nel giugno 1695, Malizia Carafa e Giacomo Pignatelli, che erano tra gli ostili all’integrazione, inviarono una nuova contestazione al Vicerè, e questo acconsentì alla riapertura della causa.
Questo appello della causa andò avanti fino agli inizi dell'anno 1698. Fu nuovamente discussa la materia nel Collaterale, con l’intervento sia del Sacro Regio Consiglio che del Vicerè. A febbraio si era ormai sicuri sull'esito favorevole della vicenda, anche se gli eletti del Sedile si ostinavano, imperterriti, a osteggiare ancora l'ammissione, ma alla fine furono costretti a accettare il fatto compiuto, evitando in extremis l’onta della forzatura per regio assenso.
Nella convocazione del 20 aprile 1698, la Piazza del Sedile di Nido riconobbe finalmente ai due fratelli Carafa lo status di "eletti" in seno al Seggio, non mancando tuttavia di elevare la formale e sterile protesta in merito al tentativo d'ingerenza subito nelle loro prerogative, e di sottolineare che l'approvazione (sotto forzatura, sic!) non era da considerare pregiudizievole per la loro futura autonomia.

Salvatore Fioretto

La fonte storica del presente post è stata in gran parte “Napoli spagnola dopo Masaniello - Politica, cultura, società”, di Giuseppe Galasso, Firenze, Sansoni ed. 1982.

Statua del dio Nilo, posta nel largo antistante l'antica sede del Sedile che prendeva il suo nome