sabato 23 gennaio 2021

Le "aziende agricole" del passato: le Masserie (seconda parte)

Per descrivere una masseria che sia rappresentativa di tutte quelle che un tempo esistevano nel territorio, ne ricorderemo una che è sopravvissuta fino ai primi mesi del 2002, la masseria “Torre Gualtieri” nel tenimento chiamato "Marchesa di Rutigliano" situata a Piscinola, nell'antica via omonima, oggi via Vecchia Miano.

Veduta della masseria Torre Gualtieri e campagna del suo tenimento Marchesa di Rutigliano, 1995

L’ubicazione

Questa masseria, sicuramente risalente al XVII secolo, riportata nelle mappe e nei documenti più antichi, era situata in Via Vecchia Miano (abbascio Miano). Essa faceva parte di un esteso fondo agricolo che era denominato “Tenimento Marchesa di Rutigliano” (o Rovigliano). Forse per tale motivo la Via Vecchia Miano, nel tratto in questione, un tempo era denominata “Via Rovigliano”.
Questo complesso architettonico costituiva, come si evidenzia nelle mappe, l’unica opera ubicata al di fuori del perimetro dell’edificato storico di Piscinola, ossia l’edificato compreso tra Via Pagliano (Vico degli Operai) e Via Vecchia Miano.

Foto in una masseria di Piscinola, di Giovanni De Stefano

La struttura architettonica e gli spazi esterni
La masseria “Torre Gualtieri” aveva una poderosa struttura difensiva, infatti era dotata di una cortina di mura molto alta e aveva l’ingresso molto caratteristico, perché anch’esso di tipo fortificato, con un massiccio portone di legno a due battenti, incastonato in uno dei due enormi archi a tutto sesto ivi presenti.
La struttura d’ingresso rappresentava la parte più alta e monolitica del complesso architettonico, quasi a simboleggiare una specie di torre d’avvistamento e di difesa. Ad essa si accedeva direttamente dalla strada, attraverso una breve rampa che raggiungeva un terrapieno in tufo alquanto alto.
Notiamo nel territorio circostante Piscinola altre strutture simili alla nostra, come la masseria di S. Giovanni, nella quale è presente una struttura d’ingresso anch’essa a forma di torre, con un portale altissimo a sesto acuto e con due belle volte “a crociera”. Altro esempio è la masseria “Torricelli” di Mugnano, costruita attorno ad un mausoleo cinerario romano a forma di torre, da cui deriva sicuramente il suo nome.
La struttura architettonica della masseria “Torre Gualtieri” appariva alquanto disomogenea, per i diversi volumi degli edifici che la componevano. Alcuni di essi si mostravano come aggiunti un po’ alla rinfusa al “corpo” centrale d’ingresso.
Il resto dei fabbricati erano disposti “a corte”, attorno ad uno spazio centrale, chiamato “aire” e comprendeva una serie di servizi comuni, tra i quali: il bagno, il forno, il pozzo, una o più stalle per il bestiame e il relativo fienile, chiamato “mezzaniello”.
La masseria, poi, aveva diversi giardini (con alberi di fichi, legnasante (cachi), limoni ed aranci) e le attrezzature utilizzate per la pulizia e per il confezionamento delle noci e per la produzione del vino.

Masseria Torre Gualtieri, arco d'ingresso fortificato, via V. Miano, 2000

L’utilizzo degli ambienti coperti
Le stalle erano in muratura e suddivise in varie zone. La parte destinata agli equini (asini, muli e cavalli) era più angusta, perché meno frequentata, mentre quella destinata alle mucche ed agli ovini era più ampia, per permettere la relativa mungitura.
Il maiale era allevato all’interno di recinti coperti, non necessariamante dentro le stalle.
Lo sterco degli animali (strame) era raccolto nelle stalle e trasportato nei campi, mediante carri, detti “carrette” o “riroti”, trainati da muli o cavalli.
Il vino era contenuto in botti, sistemate all’interno di locali sotterranei abbastanza profondi e bui (‘e rotte). Vicino al locale chiamato “basso” (vascio), era presente, poi, un grosso locale chiuso, tipo deposito, destinato ad immagazzinare i prodotti della campagna, prima che venissero trasportati al mercato.

Le abitazioni dei contadini
Le abitazioni si componevano di locali disposti su due livelli.
Il “basso” (vascio) si componeva di una grossa camera, posta al piano terra, corredata di un camino “a campana”, da un lato e da un piccolo locale interno destinato alla cucina. Nella cucina i fornelli erano realizzati in muratura e acciaio e venivano alimentati con legna: quasi sempre avanzi di potatura. Le pentole grandi (caurare) erano collocate in un foro circolare, realizzato dentro il piano di pietra. Questo foro formava, attraverso un cerchio di ferro battuto, una sorta di incastro per la pentola. Le pentole piccole e le padelle si appoggiavano, invece, sopra a dei piatti di acciaio, realizzati mediante anelli concentrici, di ferro battuto, che si incastravano uno dentro l’altro. Sotto queste strutture erano presenti delle camerette, nelle quali si introduceva la legna e si poteva “soffiare” sul fuoco, con un apposito ventaglio composto da vimini e varie fibre.

Interno Masseria, vista dell'"Aire" e pietra per lavorare il lino, 1971
Ad una parete della cucina era collocata una rastrelliera in legno, sopra la quale veniva “esposto” tutto il pentolame di rame, portato in dote dalle donne.

I mobili erano pochi, di manifattura semplice, composti per il “basso” da una credenza o “cristalliera”, utilizzate per il contenimento delle suppellettili, da una grossa tavola in legno e da alcune sedie impagliate; mentre nella camera del piano superiore c’era un armadio, un letto con spalliere in ottone o ferro e un comò del tipo “segreter”.
I materassi erano realizzati con sacchi di canapa riempiti di “stuglie” di granoturco. Le stuglie venivano cambiate ogni anno.
Il bagno era minuscolo, spesso pensile, come in questo esempio, ricavato “a sbalzo” sul corpo di fabbrica, mentre, era consueto che si utilizzassero vasi da notte o pitali, che durante il giorno erano conservati nei comodini ai lati del letto.
Il riscaldamento degli ambienti della “zona giorno” era molto semplice e consisteva nell’accendere il fuoco nel camino. Nelle strutture più antiche il camino era costruito rigorosamente a forma di campana e nel suo interno conteneva due sedili di pietra contrapposti, che permettevano a due persone di sedersi e dialogare.

    Masseria Torre Gualtieri, dalla campagna del suo tenimento, 1995

Negli ambienti dove non si disponeva del camino, si utilizzava un braciere di rame, bruciando della carbonella (vrasiero cu’ ‘e gravunelle). Il braciere si collocava su un supporto di legno o di ferro, sul quale si potevano appoggiare i piedi. Per “attizzare” il carbone si disponeva anche di una palettina in rame o di ferro.

Nelle camere da letto (‘a cammera) si usava lo “scarfalietto”, ossia una sorta di padella in rame, nel quale si poneva del carbone acceso. Lo “scarfalietto” era posizionato sotto le coperte prima di andare a dormire, dentro ad un distanziatore chiamato “monaco”. Quest’ultimo era una sorta di navicella realizzata in doghe di legno e serviva ad alzare le coperte, per non farle stare in contatto con le pareti roventi dello “scarfalietto”. D’inverno gli indumenti e gli altri panni erano messi ad asciugare sopra il braciere, utilizzando una specie di cupola, fatta anch’essa di listelli di legno; mentre durante le giornate assolate gli indumenti venivano esposti (spasi) al sole, nell’”aire”.

   Masseria Torre Gualtieri dalla campagna del suo tenimento, 2000

I momenti di vita comune
I momenti di aggregazione nelle masserie coincidevano con l’utilizzo delle strutture comuni, come il pozzo, il forno e l’aire.
Il forno era adoperato durante i fine settimana, per la cottura del pane e durante le feste dell’anno, per la cottura di dolci e dei piatti rustici locali.

Altro momento di unione degli abitanti della masseria era la lavorazione del granoturco che avveniva a fine estate. Anziani, giovani, donne e bambini la sera si disponevano a formare un grande cerchio, intorno a covoni di mais e procedevano, dapprima, all’asportazione delle “stuglie” esterne delle spighe e, poi, all’asportazione dei chicchi, aiutandosi con utensili appuntiti (chiamati spuntoni).
L’evento era accompagnato dal racconto di aneddoti e ricordi da parte degli anziani. Le pannocchie migliori (‘e spighe ‘e graurine) venivano selezionate per la semina dell’anno successivo ed erano conservate sotto gli androni o volte, appese a forma di grappoli, insieme a “pennoli” di pomodori, sorbe (sovere), cachi (legnasante) e meloni (mullune ‘e pane).

   Scorcio della Masseria vista dalla stradina detta "Carrara", 2000

L’”aria” (detta anche aire) era utilizzata per eseguire l’essiccazione delle derrate agricole prodotte nella campagna. Essa veniva anche utilizzata per bacchiare i cereali ed i legumi e, ancora, per svolgere le attività domestiche e ludiche. Di questo spazio e delle lavorazioni che in esso si eseguivano, daremo un’ampia descrizione nei post futuri.
Negli spazi aperti della masseria era solito assistere al razzolare del pollame, insieme ad anatre ed oche. Spesso, come in primavera, le chiocce portavano in giro i pulcini appena nati.
Il pozzo non era altro che una grossa cisterna interrata in tufo, destinata al contenimento dell’acqua piovana raccolta dai tetti degli edifici, convogliata in esso attraverso una serie di canalizzazioni. L’acqua veniva poi prelevata mediante un secchio legato ad una corda di canapa, attraverso un “mulinello” in legno (Tròciola). L’acqua raccolta dal pozzo era riservato agli usi domestici e per abbeverare il bestiame.
Altra struttura comune era una grossa pietra vesuviana che era presente al centro della masseria. Questa era una grossa pietra lavica, con la superficie a vista ben levigata e veniva utilizzata dalle donne e dalle ragazze per la lavorazione del lino occorrente per realizzare la dote per le nozze.

Una giornata trascorsa in masseria…
Come è logico pensare, la vita nella masseria si svolgeva nel corso della giornata in ambienti diversi, con l’interessamento anche delle campagne ad essa collegate. Durante il giorno, si frequentavano i locali e le zone, poste ai piani bassi della masseria (‘o vascio), mentre, di notte, si era soliti abitare nelle camere poste ai piani superiori (‘a cammera). La sveglia per tutti gli abitanti era fissata di buon mattino, al primo canto del gallo, ossia intorno alle quattro. Occorreva per prima cosa mungere le mucche e, poi, a seguire, pulire e governare tutti gli altri animali presenti nella stalla. 

Masseria Torre Gualtieri, dal lato della via V. Miano a Piscinola, 2000

Alle prime luci dell’alba gli uomini si recavano nei campi per eseguire le attività agricole, mentre le donne si dedicavano alla cura della casa e alla preparazione del pranzo. Intorno a mezzogiorno si faceva un pranzo frugale, consumato sul posto di lavoro.
Le donne trasportavano in grosse zuppiere avvolte in un panno, detto “muccaturo”, un unico pasto destinato ad alimentare tutti gli addetti ai lavori. Il vino, naturalmente, durante e dopo il pasto non doveva mancare mai ed era trasportato in “mummare” di terracotta o in fiaschi impagliati. Non si faceva uso di bicchieri.
Si continuava poi a lavorare fino all’imbrunirne. Le donne preparavano la cena e si dedicavano alle attività secondarie, come al ricamo, oppure alla preparazione delle conserve. Quando gli uomini ritornavano dai campi, si eseguiva la seconda mungitura delle mucche e si governava di nuovo gli animali con fieno e graniglie varie.
Al termine dei lavori, i contadini rincasavano nei “bassi” e si sedevano accanto ai focolari aspettando la cena. La cena era costituita quasi sempre da minestre, oppure da ortaggi vari, cucinati in maniera semplice, posti in un’unica zuppiera ed “esposta” alle posate di tutti i familiari. Al termine del pasto, i vecchi raccontavano alcuni racconti ai bambini seduti attorno al focolare scoppiettante e si andava presto a dormire.

Foto di famiglia nella masseria "Renza 'e Vascio", foto di Ferdinando Kaiser

Le unità di misura adoperate nella società agricola di un tempo
Le unità di misura adoperate nel mondo rurale hanno origini antichissime e variavano sensibilmente in rapporto al territorio. Citiamo quelle più utilizzate nella nostra zona e, quindi, nel nostro esempio citato:
Misure di superfici:
1 moggio (aversano) detto “mojo”     3.364 m2, ossia 0,3364 ettari
1 “quarta di terra”                               336 m2
Misure di capacità:
1 “tummolo"    (misura di granaglie) 0,54 ettolitri, ossia 54  kg ca.
1 “votta”                                             500 litri circa
1 “mezza votta”                                  250 litri circa
1 “carrato”                                          308 litri circa
1 “varrile”                                           44 litri circa
1 “carratiello”                                      35 litri circa
1 “quartarulo”                                     11 litri circa.

Foto dei ruderi della Masseria, in fase di demolizione, marzo 2002

Purtroppo l’antica masseria “Torre Gualtieri” nel tenimento "Marchesa di Rutigliano" di Piscinola, è stata miserevolmente abbattuta nella primavera del 2002, per far posto ad un “piccolo e oscurato” giardino pubblico, ancora senza nome, progettato e realizzato nell’ambito del “programma di ricostruzione del dopo terremoto”.

Forse l'utilizzo dell'antica struttura poteva essere più utile per la comunità e soprattutto più nobile per la sua storia, se finalizzato alla conservazione e alla realizzazione di un "Museo stabile della tradizione contadina del territorio", come è stato fatto a San Pietro a Patierno nella "Masseria Luce", oppure come si propose nella mostra estemporanea dell'anno 2004, di realizzare un "Museo del ricordo di Piscinola-Marianella". 
Masseria Torre Gualtieri nella mappa dell''800 di Piscinola
Purtroppo questo progetto, tutt'oggi, è stato sempre trascurato e disatteso da parte di tutti...

Il contenuto del presente post è stato completamente tratto dal libro: "Piscinola, la terra del Salvatore. Una terra, la sua gente, le sue tradizione", di S. Fioretto, ed. The Boopen, 2010.

Per questioni di spazio del blog, seguirà una "terza parte" del post, con il continuo dell'elenco delle masserie esistenti nel territorio e tante altre foto.
Salvatore Fioretto

 

Bozzetto allegorico di Piscinola, composizione grafica di S. Fioretto


venerdì 22 gennaio 2021

Don Luigino Iommelli, un marianellese innamorato di Sant'Alfonso...

Già qualche tempo fa scrivemmo un post dedicato a  tutti i "frutti" che sono nati dall'esempio trasmesso dal grande Sant'Alfonso. A quell'elenco di Santi e di Beati dobbiamo aggiungere anche la storia di questo povero ragazzo, anch'egli nativo di Marianella che, appassionato della vita del gran Santo redentorista, volle dedicarvi tutta la sua giovanissima e breve vita, frequentando l'educandato alfonsiano, con la speranza di farsi presto Missionario Redentorista. Si chiamava Luigi Iommelli. Il giovane seminarista, purtroppo, morì prematuramente per un brutto male, quando non aveva compiutò ancora 27 anni. Lo ricordiamo oggi, riportando la cronaca dell'epoca, al momento della sua dipartita, scritta nel giornale periodico di Pagani, del mese di settembre 1950:

E’ volato al cielo il piccolo missionario Luigino Iommelli.

Marianella 7 novembre 1933, Napoli 11 agosto 1950.
11 agosto 1950. Un altro piccolo missionario del nostro Educandato volava al cielo ad accrescere la schiera dei 7 compagni che ivi fanno corona a S. Alfonso.
Ebbe comune la terra natia con S. Alfonso, Marianella di Napoli, dove sbocciava il 7 febbraio 1933. Nella chiesetta del Santo trascorse la sua fanciullezza quale chierichetto, eccellendo fra tutti per la sua pietà. I suoi genitori non ebbero di che rimproverarlo. E S. Alfonso lo scelse per la sua Congregazione.
Sacrificando gli affetti più cari entrava nel nostro Educandato, dove nei cinque che sono di ginnasio seppe valorizzata la sua innata bontà col fermo proposito di diventare ogni giorno migliore.
Fu devotissimo del S. Cuore e della Madonna. Nei mesi di maggio e giugno era solito ornare a sue spese la cappella dell’Educandato.
Le missioni estere, il suo sogno costante. Con quanto entusiasmo me ne parlava un giorno a Marianella. Lo confidò al M. R. P. Provinciale e negli ultimi giorni, anche per iscritto a un nostro missionario della Calabria.
E come era grande il suo attaccamento alla vocazione! Ne sono eloquente testimonianza le parole confidate in un intimo colloquio al P. Direttore: “Padre, ieri  sera ho pianto ed ho pregato il Signore di farmi piuttosto morire che abbandonare la Congregazione…". Per assicurare la sua permanenza nell’Istituto volle sottoporsi alla difficile operazione, le lo portò alla tomba.
Con questo coraggio accettò il grande sacrificio. Non volle che altri lo ponessero sul tavolo operatorio, ma vi volle salire da se’.
Prima si inginocchiò  e si raccolse un istante in preghiera. Forse – divino segreto noto agli Angeli – avrà ripetuto con più fervore la sua totale donazione a Gesù per la vita e per la morte. A chi voleva compiatirlo nei suoi acerbi dolori dopo l’operazione, seppe rivolgere queste mirabili parole: “Che cosa è il mio dolore in confronto di quello di Gesù? Non voglio essere compatito…".
Gesù lo vide troppo bello e lo colse per sé. “Vedete, il S. Cuore mi chiama e mi vuole vicino a se…" furono le sue ultime
parole.

Scritto da P. Vittorio M. Errichiello (p. redentorista), in "S. Alfonso, rivista di apostolato alfonsiano", mensile, anno XXI, n.9, settembre 1950, Pagani (SA).

Questi sono i personaggi che ci trasmettono un grande esempio di vita e pertanto li teniamo cari nei ricordi della storia del territorio, e nei nostri ricordi, nei nostri cuori...

Salvatore Fioretto