sabato 6 aprile 2019

Qui i veterani romani coltivavano una terra generosa: Il sito archeologico del Carduino!

Il ricordo delle tante masserie sparse tra Piscinola e Marianella, in un territorio un tempo tutto coperto da una lussureggiante vegetazione, rappresenta ormai un ricordo del passato, ma è un valore storico-antropologico da tenere ben impresso nella storia di questi quartieri, a futura memora delle prossime generazioni. Le masserie erano, dunque, dei caratteri urbanistici importanti, la cui presenza caratterizzava il territorio della cinta suburbana di Napoli e rappresentano i primitivi nuclei abitativi, le prime cellule urbane e civiche, ancor prima dei celebri Casali. Questa considerazione è fondata su numerose fonti e testimonianze, sia scritte, che archeologiche e monumentali; alcune le abbiamo descritte le scorse settimane, nella pubblicazione dei cosiddetti "Atti dei Curiali e degli Scrinari" (risalenti al X secolo), ma tante sono anche le testimonianze monumentali e quelle archeologiche.
Queste ultime, in particolare, rinvenute nei decenni scorsi in diversi siti, ci danno una conferma della diffusione sul territorio, ma anche la possibilità di eseguire la lettura della loro pianta che, bisogna dire, non è mutata sostanzialmente con il trascorrere dei secoli, con le masserie cosiddette moderne. Le masserie antiche presentavano, normalmente, un certo numeri di locali e ambienti ben organizzati secondo le fasi operative che implicavano la vita agricola dell'epoca e anche in base alle colture tipiche praticate e ai costumi. Le masserie napoletane hanno quindi un retaggio più che millenario, esse risalgono, infatti, al periodo romano e forse anche pre-romano. 
Le testimonianze archeologiche fanno risalire i primi insediamenti al I sec. a.C., ma forse anche i popoli preesistenti ai Romani, i cosiddetti Popoli Italici, come gli Osci e i Sanniti, avevano in uso realizzare questi primitivi nuclei abitativi organizzati, anche se con strutture rudimentali e poco stabili.
Tuttavia sono le cosiddette ville romane (o ville rustiche), sorte in questi luoghi, a darci una descrizione esatta della struttura di una masseria antica; in particolare i resti archeologici visibili in via Tancredi Galimberti, nel quartiere di Scampia e quelli rinvenuti in via Cupa Marfella, nel quartiere di Marianella, nel tenimento chiamato del Carduino o Carderito. Altre testimonianze simili sono presenti in altri quartieri di Napoli, in particolare nel sito archeologico di Ponticelli e in quello della cittadina di Boscoreale.
Per spiegare l'origine della villa romana, dobbiamo fare un salto nella storia di due millenni circa.
Dopo la conquista romana della regione settentrionale di Neapolis, all'epoca denominata Ager Neapolitanus, operata nel corso delle campagne militari contro i Sanniti, i Romani riorganizzarono il territorio conquistato, dividendolo in tante isole ("insule"), tutte di uguali dimensioni, attraverso una ideale maglia geografica, che gli storici definiscono "Centuriazioni". Ogni insula, chiamata "Centuria", aveva una dimensione stabilita e i confini orientati secondo l'orientamento della maglia. Dobbiamo aggiungere però che le Centuriazioni romane furono diverse nel corso dei secoli, e con orientamenti diversi. Ogni "Centuria" fu quindi assegnata a un notabile cittadino romano o a un "veterano" dell'esercito romano, a ricompensa della loro fedeltà e soprattutto del servizio dato a Roma nelle varie campagne belliche.
Gli assegnatari di questi fondi e i loro eredi, con il trascorrere del tempo pensarono di organizzarli per consentire la conduzione dei terreni, quindi realizzarono dei piccoli opifici, ovvero un complesso di edifici in muratura, in struttura mista di tufo e legno, per ospitare, oltre la propria residenza, anche quella dei servi e dei fattori, nonché degli addetti ai lavori nei campi, le loro famiglie, ma anche per praticare l'allevamento del bestiame e per consentire la trasformazione e la conservazione delle derrate ricavate dai raccolti. Furono realizzate anche delle cisterne per la conservazione dell'acqua di origine piovana, data l'assenza di fonti sorgive. Alcune ville presentavano anche un piccolo ambiente termale.
Ci piace in questo post descrivere la storia del sito archeologico del Carduino, in via Cupa Marfella a Marianella, perchè riteniamo il sito archeologico più importante della zona, sia per estensione e sia per la quantità dei reperti rinvenuti, oltre perché esso risulta essere anche il sito archeologico più sfortunato, come appresso avremo modo di scrivere.
Prendiamo in prestito l'interessante articolo pubblicato sul Notiziario N.12, "Archeologia e trasformazione urbana", edito dal Commissario Straordinario per la ricostruzione post terremoto (Titolo VIII L.219/81):


“L’insediamento agricolo di Marianella

Lo scavo effettuato nella località Cupa Marfella a Marianella ha messo in luce i resti di un interessante complesso identificato con una villa rustica.
L’edificio, compreso in un rettangolo di m. 30,70 x m. 34,70, si configura con una pianta piuttosto semplice. Su tre lati di un cortile centrale si articolano tre corpi di fabbrica, quarto lato, invece, è delimitato da un semplice muro di recinzione, nel quale si apriva, verso est l’accesso principale al complesso.
Un ingresso secondario si apre nel corpo principale, ad ovest, che presenta muri in opus reticulatum, dalla fondazioni molto profonde, atte a sopportare un piano superiore. Si tratta dell’abitazione vera e propria, completata, forse, da magazzini. La distribuzione dei singoli ambienti non lascia ancora intravedere, poiché lo scavo tuttora in corso ha appena sfiorato questa zona. Si può comunque ipotizzare la presenza di quelle stanze che, secondo i precetti dell’architettura romana, dovevano usufruire della luce del pomeriggio: cucina, bagno, sala da pranzo, ecc. Ad angolo retto col corpo di abitazione si impostano due lati di larghezza inferiore.
I muri, anch’essi in reticolato, delimitano ambienti col pavimento in semplice terra battuta. L’unico ambiente finora scavato per intero comunica con il cortile centrale mediante una larga apertura. Le ali dell’edificio erano probabilmente adibite a funzioni agricole o di servizio. Davanti ad esse, dal lato del cortile, correva un portico del quale sono conservate le fondazioni.
La tecnica costruttiva così come i reperti recuperati permettono di stabilire che la fattoria fu costruita nella prima metà del I secolo d.C., impiantandosi al posto di una prima villa di età repubblicana. La zona, d’altra parte, continua ad essere frequentata in epoca tardo-antica e medioevale, come dimostrano delle ristrutturazioni limitate. L’impianto della fattoria di Marianella realizza puntualmente il modello di villa rustica tramandatoci dai trattati di architettura ed agronomia di Catone, Varrone e soprattutto, Vitruvio.
Tale fedeltà al modello vitruviano appare tanto più degna di menzione, in quanto le realizzazioni vere e proprie dell’archetipo rimangono finora poco conosciute. Si può citare in Campania la villa di Asellius, presso Boscoreale, leggermente più grande e forse un po’ più antica, nella quale, però, pare che la parte abitativa abbia investito anche le ali.
Tuttavia, l’impronta del modello si riconosce ancora nelle ville cosiddette “ad U” dall’articolazione (con molte varianti) dei loro corpi di fabbrica che abbracciano un cortile centrale. Le ville “ad U” sono assai diffuse nelle provincie dell’Impero romano. La loro funzionalità ne fa uno strumento particolarmente adatto allo sfruttamento del territorio da parte dei proprietari medi, come coloni e veterani.
I materiali recuperati dallo scavo
Vengono qui presentati alcuni dei reperti più significativi: ceramica sigillata italica di produzione napoletana, a pareti sottili e da cucina. La cosa non stupisce affatto: l’area è stata sottoposta ad un intenso dilavamento da parte delle acque pluviali, nonché a ristrutturazioni posteriori. Più abbondanti e significativi sono dunque, sia i rinvenimenti più antichi, pertinenti ad edifici anteriori e successivamente inglobati nei riempimenti che hanno rialzato il livello d’uso al momento della costruzione della villa, sia quelli più recenti, che testimoniano la continuità d’occupazione della zona anche in epoca successiva.
Tra i primi si possono citare manufatti della vicina Neapolis: moneta dell’ultima monetazione napoletana (II metà del III secoli a.C.), ceramica “Campana A” a vernice nera (III-I sec. a.C.), anfore sia locali che d’importazione. Tra i secondi, ceramica sigillata chiara A (II sec. d.C.) e alto-medievale.

Purtroppo dobbiamo aggiungere, a conclusione di questa bella pagina di storia locale, che il sito archeologico del Carduino risulta essere largamente inesplorato, perché gli scavi non furono completati durante il primitivo rinvenimento degli anni '80-'90, e persiste un grave stato di incuria e soprattutto il perenne stato di abbandono e l'impossibilità di poterlo consegnare alla fruizione pubblica, ai visitatori e agli appassionati di archeologia. Alcuni anni fa l'associazione "G.A.N.", Gruppo Archeologico Napoletano, ha cercato, con l'aiuto di volontari, alcuni addirittura provenienti da diverse parti d'Italia, di eseguire la "deforestazione" delle erbacce presenti, e principalmente dei rovi infestanti, ma il lavoro si  rilevò subito immane e praticamente impossibile da eseguire con le limitate forze e risorse disponibili. Occorre dunque che il sito archeologico del Carduino venga inserito in un impegnativo e sistematico progetto di recupero e di valorizzazione, a cura delle Istituzioni ed Enti preposti, ben consapevoli del notevole apporto che esso può dare alla cultura comunitaria, sia locale che regionale, alla valorizzazione e alla vivibilità dei quartieri interessati. Noi ci speriamo...

Per il reperimento delle notizie, che hanno consentito la realizzazione di questo post, dobbiamo ringraziare pubblicamente gli archeologi Serena Russo e Marco Giglio e tutti i soci del "Gruppo Archeologico Napoletano".

Salvatore Fioretto

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