domenica 31 gennaio 2021

Le "aziende agricole" del passato: la masseria delle Cesinelle, di G. Baiano (terza parte)

Nella terza parte di questo post, dedicato alle masserie del territorio, abbiamo scelto la bella descrizione della masseria delle "Cesinelle" di Chiaiano, tratta dal libro del gen. Giovanni Baiano: "Il figlio della selva". Intanto salutiamo e ringraziamo il caro amico e scrittore Giovanni.                                                      S. F.

Ecco il racconto:

"Le Cesinelle com'erano nel 2006.

Fino alla partenza per il servizio militare, eravamo trentadue residenti sulla masseria, a prescindere da chi veniva a lavorare e dai componenti della famiglia Sarnelli, che abitavano nella confinante masseria delle Cesine.
Nel periodo estivo, vi trascorreva le vacanze anche la proprietaria della masseria, la Signora Ina D'Aniello con il marito, Arduino dottor Pianese e due figlioletti, Checco (Francesco) e Pasquale, ed un altro ancora nel materno e vistoso grembo.
Spesso nelle ore pomeridiane, con uno dei due bimbi sulle spalle, per gli ombrosi sentieri, si arrivava fin dove c'erano ancora i resti di un'antica villa romana, in parte sotterrata.
Ivi giunti, ci sdraiavamo sui freschi e teneri prati scampati alla calura estiva e mentre si respirava quell'aria ricca di ossigeno e di profumi delle selve di Casaputana, si rimaneva per qualche ora ad ascoltare il suggestivo silenzio e la deliziosa voce di quel solitario, rinfrescante  e tranquillo luogo.
Avevo allora appena undici, dodici anni.
nel periodo della grande guerra, sulle Cesinelle arrivarono anche altre tre famiglie di sfollati napoletani, per un complessivo di ventisette persone.
E in quegli anni che si sono accumulati tanti ricordi che riposano sul letto della mia mente e ogni tanto si svegliano e mi pregano di non farli morire.
Sarà anche per questo motivo che ho deciso di fissarli una volta e per sempre su queste pagine, con la speranza di farli sopravvivere alla mia esistenza, quale memoria storica di un'epoca e di un contesto sociale ed ambientale, che continua ad evolversi in modo vertiginoso e preoccupante per le nuove generazioni.
Nonostante la guerra ed i bombardamenti e le tragiche vicende che seguirono, vissi lassù in un clima quasi sereno, forse perché per noi ragazzini la guerra era solamente un gioco per grandi, o comunque un affare che non ci coinvolgeva.
Alla fine dell'ottocento, mio nonno, nato e vissuto fino ad allora nel vicino Comune di Marano, e già proprietario di un piccolo pezzo di terreno in quella zona, prese in affitto circa nove moggi di terreno di questa masseria del Comune di Chiaiano ed Uniti.
Per abitazione, gli fu assegnato, a piano terra, un locale e tre stalle per gli animali domestici, due stanze al piano di sopra e una parte della soffitta, adibito a fienile, che noi chiamavamo "suppigno".
La stanza a piano terra era dotata di un rudimentale "fuculare" (focolare) ed era usata come locale in cui si ricevevano visite, si mangiava, si soggiornava e si depositava parte della frutta secca e cereali.
Era un locale abbastanza ampio che probabilmente era stato costruito oer la servitù, considerato che presentava una grande e robusta porta in legno, un pavimento sterrato, un soffitto sostenuto da grosse travi e listelli di legno di castagno.
Può anche darsi che fosse una stanza del fattore dove la moglie preparava i pasti. Col passare degli anni, l'utilizzo del focolare aveva annerite tutte le pareti ed il soffitto.
Solo negli anni Sessanta, mio padre la rese più decente con lavori di una rozza soffittatura, una rustica pavimentazione ed una pittatina alle pareti.
Al centro, c'era un vecchissimo tavolo molto lungo per dodici persone, con uno scanno di legno da un lato, su cui sedevano solo i figli maschi (cinque). Sulle sedie, agli altri tre lati, sedevano tutti gli altri appartenenti alla numerosa famiglia. C'era, inoltre, una grande cassapanca di legno, ai piedi del lettino del nonno, in cui erano conservati i pezzi di pane e le "freselle", cotti nel forno a legna.
A fianco al letto, accostato alla parete di destra, c'era pure un vecchio armadio per gli abiti e la biancheria intima del nonno, anch'esso tutto incrostato di nero fumo.
Quando io e i miei due fratelli, Vincenzo e Biuccio, raggiungemmo l'età della pubertà, al posto del letto del nonno fu piazzato un letto più grande per noi tre, perché non ci fu più concesso di dormire nella stanza con le nostre sorelline più piccole. Il lettino del nonno fu allora spostato sul lato opposto, ai piedi del nostro, diviso dalla suddetta cassapanca.
Questi letti erano fatti con due cavalletti di legno su cui poggiavano delle tavole, anch'esse di legno. I materassi erano dei sacconi pieni di foglie secche di mais (sbreglie), o di penne di pollame. Le lenzuola erano di tela di canapa, o di lino, così pure le fodere dei cuscini.
Nelle stalle non mancavano mai le mucche di latte, vitelli e vitelline, né maiali e maialini. Ogni famiglia aveva un asinello o un cavallo, galline da uova, pulcini, galli, capponi, anitre, tacchini, piccioli, conigli e coniglietti di tutte le taglie. Né mancavano due o tre cani e due o tre gatti per famiglia.
Era questo il patrimonio degli animali domestici d'ogni famiglia di contadini di quell'epoca in tutte le masserie della zona e dei vicini paesi.
Al piano di sopra, la stanza da letto più bella e ariosa e decorosamente ammobiliata era usata dai nostri genitori. L'altra interna, con poca luce ed appena dotata di un vecchio comò ed armadio, era occupata da noi figli maschi con meno di dieci anni e figlie femmine.
La masseria era costituita da un vecchio e caratteristico casolare del settecento.
Sorge in cima ad uno dei colli più bassi della collina dei Camaldoli a nord ovest dell'abitato di Chiaiano.
L'antico casolare presenta due corpi aggiunti, per ospitare quattro famiglie di coloni. Se ne costruì prima uno sulla sinistra rispetto agli ingressi e, in epoca più recente, un altro sulla destra.
La campagna circostante è ancora ricca d'alberi da frutta, con presenza di ciliegi, peri, meli, susini e viti di diverse qualità di uva. Siamo nel 2000.
In primavera, tutti questi alberi si caricano di tantissimi fiori dai vivacissimi colori, dal bianco candido al rosa, con svariate sfumature.
Nelle giornate di vento, si assiste ad una spettacolare pioggia di petali variopinti che svolazzano per l'aria, come fiocchi di neve e ricoprono la terra con un manto bianco rosato, su cui spiccano le teste di rossi papaveri e di tanti altri fiorellini di prato. D'estate, poi, quegli alberi si caricano d'abbondanti e saporitissimi fritti di vari colori e dalle varie forme, che si offrono con orgoglio e sempre volentieri a chiunque volesse assaggiarli, anche senza chiedere permesso.
La masseria delle Cesinelle, come tutte le altre della zona, aveva un cortile, un'aia, un forno a legna, un pozzo per la raccolta delle acque piovane, una cantina, che era chiamata "cellaro", ed un sottotetto (suppigno), che veniva usato come fienile.
Tutti questi locali erano d'uso comune oppure opportunamente ripartiti tra i quattro coloni.
Per la sua posizione in cima ad una collina e la composizione e ripartizione dei vari locali e servizi è certamente una delle più caratteristiche masserie della zona, dopo quella della contessa Fontanarosa costruita sul colle Ferrillo, in mezzo alle selve di castagno.
Alle spalle del fabbricato delle Cesinelle c'era un giardino con alberi d'aranci, mandarini e limoni, un fico, una bellissima e altissima pianta di palma, due vecchi alberi d'ulivo che non facevano mai frutto, un gruppo d'alloro, dei nespoli nataligni, detti anche nespoli pelosi.
Questo nostro giardino si distingueva dal resto della campagna per questi alberi particolari e per le rose e i gigli ed altri fiori.
Era l'orgoglio della mia famiglia, cui era stato assegnato, all'atto della divisione della masseria tra i quattro coloni.
Di tutto ciò è rimasto ben poco! Anche della centenaria palma è rimasto solo il tronco, uccisa come tante altre della zona da un verme killer.
Già da molti anni, le tre famiglie hanno abbandonato quelle abitazioni troppo anguste, troppo lontane dal paese e troppo isolate e prive di servizi di qualsiasi genere.
Cominciarono ad andar via, perché non c'era la luce elettrica, telefono e nemmeno acqua potabile, ma solo quella piovana raccolta nel pozzo, piena di vermiciattoli.
Fu solo durante la grande guerra che fu costruito un deposito nel ventre del tufo della nostra selva, quale riserva d'acqua del Serino per la zona ospedaliera.
Tutti i santi giorni, specialmente nel periodo estivo, bisognava scendere laggiù per attingere almeno quella quantità che si usava per bere e cucinare.
Non era così semplice e facile recarsi fin dove passava quella condotta d'acqua. Bisognava attraversare un sentiero nella campagna del nostro vicino, compare Nicola. Si scendeva per una rapida costa di quella nostra selva, attraverso uno stretto viottolo, o saltellando in mezzo agli alberi di olmi, querce ed altri di cui ho sempre ignorato i nomi. Giunti nel suo fondo, si andava avanti, ancora per un breve tratto tra castagni e ginestre, fin sopra il sottostante canalone di Cupa Vrito, dove passava la condotta.
In un certo punto  c'era un tombino coperto da una pesante piastra di ghisa, che bisognava sollevare con un paletto di ferro.
Ci si calava dentro, e, con una chiave inglese, si faceva girare una grossa vite per fare uscire l'acqua da un tubo. Riempiti i due secchi, si richiudeva quella vite, si saliva sopra e si rimetteva al suo posto il coperchio sul tombino. Si tornava indietro per lo stesso ripido viottolo che attraversava il costone, fermandoci ogni tanto per dare un po' di tregua alle mani indolenzite ed al fiato. Ancora altri centro metri circa, tutti in salita e si arrivava sopra la terra del nostro vicino. Lì, dopo un gran respiro di sollievo, ci si buttava per terra per un più lungo riposo, per poi ripartire sempre con quei secchi in mano. Si giungeva a casa senza più forze e con entrambe le mani e braccia indolenzite, maledicendo il nostro destino.

C'era un'altra possibilità di prelevare l'acqua , si scendeva per la strada che conduceva al paese fino alla grotta delle Cesinelle ed anche lì, nella terra del nostro vicino, soprannominato 'o Quartese, c'era un altro tombino con coperchio di ghisa, in cui si doveva scendere per attingerla con le solite operazioni di svitamento e riavvitamento.
Personalmente preferivo andare nella mia selva, dove mi sentivo a mio agio e soprattutto più protetto, per la presenza anche di una fitta vegetazione.

Quella sita nei pressi della grotta era allo scoperto ed io avevo sempre paura di essere sorpreso dagli addetti all'acquedotto, pur sapendo che il prelievo non era vietato a noi coloni della masseria.
Credo che, tra i tanti altri motivi, anche questo sia stato determinante per le mie future decisioni. Ma di queste è ancora troppo presto per parlarne.

Tanto perché si abbia un'idea di come si viveva nelle masserie in quell'epoca, anni Quaranta-Cinquanta, vi dirò che per studiare fino a tarda notte, facevo uso di un lume a petrolio, che mi riempiva le narici di un fumo nero puzzolente e mi faceva bruciare gli occhi. Con la luce del giorno dovevo aiutare mio padre e miei fratelli nei lavori dei campi e della selva.
Nel buio si usavano candele, lumini ad olio e lumi a petrolio. Quando invece, tirava vento e bisognava uscire allo scoperto, si usavano lumi dotati di una campana di vetro, per proteggere la piccola fiammella dal vento e dalla pioggia. La luce ed il telefono fu possibile ottenerli e utilizzarli solo dopo gli anni Sessanta.
Abbandonata a se stessa, quella masseria sta morendo a poco a poco ed io sto assistendo alla sua agonia senza poter far nulla, se non dedicargli dei nostalgici versi."
gen. Giovanni Baiano

Racconto tratto dal libro "Il figlio della selva", di Giovanni Baiano, ed. Collana Poetica Campana, anno 2017 (pagg. 33-38).

Masseria delle Cesinelle, foto di Ferdinando Kaiser

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Ringraziamo il caro amico, scrittore, Gen. Giovanni Baiano, per averci autorizzato alla pubblicazione di questa parte del suo libro dedicata alla sua cara Masseria delle Cesinelle.

Riprendendo l'elenco delle masserie presenti nel territorio, ecco quelle che risultano esistenti nel territorio di Chiaiano, Polvica, S. Croce, Tirone, Nazareth e Orsolona. Alcune di queste sono state trasformate, abbandonate o demolite. Ovviamente, come scritto anche nel precedente post, l'elenco non può essere considerato esaustivo ed è probabile che le alcune masserie sono state elencate più di una volta, con nomi diversi assunti nel tempo.

Chiaiano - Calori - Santa Croce

Dalla mappa di Rizzi Antonio Zannone (1793) si rilevano i seguenti siti, che potrebbero essere stati delle masserie:

-"Riccio"
-"Tutore"
-"Pinto"
-"Colamanca"
-"Cerullo"
-"Martina"
-"Barca"
-"Bocchetta"
-"Brancaccio"
-"Villarosa"
-"Toscanella"
-"Giannone"
-"li Mennilli"
-"Castellaccio".

Masseria Della Corte in via Gaetano Salvatore (Foto di Salvatore Fioretto)

Dal Libro "Santa Croce, nella storia", sono menzionate e illustrate le seguenti masserie delle località di Santa Croce e Calori:

-Masseria "Quaranta"
-Masseria "Marzocchi"
-Masseria "Della Corte" (Ponte Caracciolo)
-Masseria “a Vass’o Cuofane” (Santa Croce)
-Masseria "Palmetiello"
-Masseria "Raiano"
-Masseria "Tre Moggi"
-Masseria "di Lorenzo" (Detto "Peppe ‘o Pitone")
-Masseria "Capuozzo ai due Portoni"
-Masseria "Arco Pinto-Rusciano" (Calori)
-Masseria "Calori di sotto"
-Masseria "Calori di sopra"
-Masseria "Romano" ('Ncopp''a selva - Calori)
-Masseria “Varriale” Chiavazzo (Calori)
-Masseria “Buccio” - Manco (Calori)
-Masseria “Avolio - De Biase"
-Masseria (?) "Villa Vittoria".

Nomi di masserie tratti da altre pubblicazioni:

-Masseria "Terravicina"
-Masseria "Paratina"
-Masseria della "Contessa di Fontanarosa"
-Masseria "Cesine"
-Masseria "Cesinelle"
-Masseria "Fioretti".

S. F.