martedì 28 luglio 2020

Alfonso de' Liguori, un Santo, un uomo, che fu anche dotto grammatico e delicato poeta, nel secolo dei Lumi...!

Portale della cappella di S. Alfonso a Marianella
Ci apprestiamo a festeggiare l'annuale ricorrenza del "Dies Natalis", ovvero della nascita al cielo, di colui che viene evocato con la celebre massima: "...il più Santo tra i napoletani e il più napoletano tra i santi", ossia di Alfonso Maria de Liguori, che come è noto morì a Pagani di Nocera, l'1 agosto 1787. Tanti aspetti della sua lunga e intensa vita abbiamo già messo in risalto su queste pagine di Piscinolablog, aspetti che riguardano soprattutto le sue virtù umane, artistiche e intellettuali; a dire il vero sono delle qualità non comuni per un uomo del suo tempo, ma Alfonso seppe essere ragazzo prodigio e uno studente assiduo, ben avviato dai suoi cari genitori, allo studio delle discipline storico-umanistiche, al discernimento dei trattati filosofico-letterari, nonchè allo sviluppo dell'ingegno scientifico e artistico. Abbiamo già parlato di Alfonso scrittore, del pittore, del musicista, del compositore di canzoni, dell'insegnante di aritmetica, del zelante avvocato e del promotore del presepe napoletano. In questo post che dedichiamo al Santo di Marianella, parleremo di Alfonso insegnante di grammatica e poi, anche, di Alfonso raffinato poeta e cantore della natura e del creato...
Nell'anno 1750, Alfonso diede alle stampe un compendio di grammatica, destinato all'insegnamento dei novizi che si accostavano alla congregazione del Redentore da lui fondata, il libricino s'intitola: "Alcuni brevi avvertimenti per la lingua Toscana". La nascita di questa piccola ma significativa opera ha un curioso percorso storico che raccontiamo, prendendo spunto da uno scritto di padre Oreste Gregorio, pubblicato su “S. Alfonso”, rivista mensile di apostolato alfonsiano (anno XI novembre 1940, num.11):
"S. Alfonso dimorava nel 1746 a Deliceto mezzo a un folto gruppo di discepoli, tra cui diversi giovinetti, ammessi da poco nel suo Istituto missionario. Ad essi occorreva un maestro. Ebbene l'infaticabile Fondatore, sottraendo qualche ora ai gravi studi di Teologia morale sulla Medulle del Busembaum, con paterna bontà si assise tra i banchi scolastici per insegnare geografia e aritmetica.
Compendio di grammatica di S. Alfonso, ed. 1830
Né ricusò di spiegare ai suoi cari birichini gli elementi della lingua italiana, nel cui avviamento non sì attenne al comodo metodo coevo, che pretendeva far germinare l'idioma nostro gentile da quello latino con guazzetti spesso goffi e temerari. (Sono note le proteste del Soresi, amico del Parini, contro il comune procedimento sbagliato).
E messo da parte il famoso Portoreale, si accinse al duro lavoro, ispirandosi alle classiche tradizioni nostrane. Egli non aveva avuto nell'adolescenza una salda formazione grammaticale: il suo pio precettore Don Domenico Buonaccia (1) restò evidentemente rannicchiato nel guscio dei criteri ormai invalsi, dando tutte le deprecate preferenze al latino, ligio a logore formole empiriche. S. Alfonso non si fermò neppure al manuale stampato. Con un coraggio che stupisce prese a consultare le grammatiche più celebri, quei grossi tomi capaci di far sbadigliare i meno pigri. E stava sulla cinquantina. Non aveva ceduto alla tentazione di razzolare in talune prefazioni di vecchi dizionari : sistema a quel tempo generale, benché una tal maniera d'istruirsi sembrasse al Vico scioperata. Le lezioni limpide e brevi piacquero: alcuni degli allievi intelligenti, Tannoia o Landi, dovettero con insistenza pregare il santo maestro a riunirle in un libro. Gli appunti coordinati vennero alfine fuori da una stamperia di Napoli, quando tutti, più o meno, balbettavano, secondo l'improperio di V. Alfieri."
Per fare un commento sintetico del contenuto dell'opera, prendiamo in prestito ancora lo scritto di Padre Gregorio:
"Il trattatello non ha nessuna pretenzione scientifica, né assume alcun tono: comprende dieci capitoletti 1) dei pronomi ; 2) degli articoli e preposizioni ; 3) dei verbi ; 4) dei nomi e degli avverbi ; 5) degli accenti ; 6) dell'apostrofo ; 7) delle lettere maggiori ; 8) dei punti e virgole ; 9) del dividere le sillabe ; il 10) tratta di  alcuni avvertimenti particolari per lo scrivere latino>.
Il prospetto indica da sé il sano criterio adottato dall'autore, il quale avvisa con semplicità di aver ricavati i precetti dal Salviati, dal Buommattei, dal Cinonio, dal Facciolati, dal Maiello. Tra i nomi segnati sul frontispizio incontriamo con piacere i più operosi ed onorati.
Sant'Alfonso, anche in questo campo, non si attaccò ai panni d'un unico maestro, né aderì all'esperienza di una scuola. Nell'elenco ci sono due fiorentini, un forlivese, un padovano e un napoletano: per essere completi bisogna aggiungervi P. Segneri e il Muratori, l'autorità dei quali vien posta in rilievo a proposito della congiunzione <perché>.
A prima vista si coglie l'intento precipuo dell'autore: evitare le discussioni oziose, che rendevano lo studio grammaticale un vero fastidio con la ridondanza eruditiva, ed enunciare i precetti, necessari per bene scrivere, con chiarezza e precisione. Non ha la ricchezza di particolari del Corticelli (Regole ed osservazioni della lingua toscana, Bologna, 1745), ma in molte questioni la risoluzione è identica.
Il libretto riuscì, senza dubbio, una novità: negli ambienti cristallizzali suscitò anche un certo scalpore. Nei Seminari si venerava il metodo di Claudio Lancelot: né mancavano sul lido di Napoli i fantastici, che pensavano all'opera bizzarra dell'accademico lunatico Partenio Tosco intitolata "L'eccellenza della lingua napoletana con la maggioranza sopra la toscana".
I Brevi avvertimenti parvero intentare una riforma. Agili e umili, senza rumore, apportarono un non trascurabile contributo alla restaurazione letteraria. I critici nella colluvie delle attuali grammatiche possono non tenerne conto, ma per il '700 era un altro affare.
Nella parte puramente dottrinale S. Alfonso si attiene, assai spesso, al Buommattei, riguardato siccome il padre della grammatica italiana: in quella lessicale preferisce il Facciolati, suo contemporaneo, che nel 1721 pubblicò la preziosa Ortografia moderna italiana per uso del Seminario di Padova. Né si astiene dal discutere le opinioni divergenti, lasciandosi guidare nella scelta dall'uso vivo. Anche a lui il popolo apparve come un legislatore della lingua più attendibile d'uno scrittore vissuto in altro secolo o d'un'Accademia chiusa in quattro pareti odoranti di muffa. Tale felice intuito salvò la sua prosa ascetica da ogni determinato manierismo, come se ne cacciava allora alle falde del Vesuvio!
Trattando della ripetizione dell'articolo dinanzi ai sostantivi, il santo grammatico scrive testualmente : <Dice il Buommattei che quando alla prima parola v'è l'articolo, si dee replicare alla seconda. All'incontro quando non v'è alla prima, non si dee mettere alla seconda, v. gr.: il padre e la madre: non già: il padre e madre. Ma all'incontro dice il Salviati che ben alle volle l'articolo del primo nome può servire al secondo, ancorché di genere diverso, secondo l'esempio di Giovanni Villani: E poi que' della lega colla volontà e procaccio de' Fiorentini; cioè: colla volontà e col procaccio> (Avvertimenti, cap. II). In pratica egli segue il consiglio del Buommattei, considerando quasi come una eccezione il modo del Salviati.
Alfonso in giovane età, dipinto conservato nel museo alfonsiano
In una questione di ortografia si esprime cosi: «Si può dire  si che, né pure, come che, ed ancora: sicché, neppure e comeché. Quando si uniscono dunque le due parole, e la prima è accentuata, si hanno da raddoppiare sempre le lettere con fare: acciocché, sicché, neppure, perocché. Ma quando la prima parola non è accentata, si scrive senza raddoppiar la lettera, come: poiché, comeché, oltreché. Sebbene dica Facciolati che anche possono raddoppiarsi le lettere, scrivendo: comecché, oltrecché. Ma è meglio e più usato il non raddoppiarle» ("Avvertimenti, cap. V").
S. Alfonso prima del 1750 usò il raddoppiamento della consonante in tutte le congiunzioni, come in "Considerazioni su S. Teresa" (1743) e "Riflessioni utili ai Vescovi" (1745): dopo il 1753 adottò la maniera più usata di comeché, quantunque il senese P. Bandiera nel suo procelloso "Gerotricamerone" continuasse per la vecchia via di comecché. Per colpa di editori modernissimi sono scomparsi da alcuni libri di S. Alfonso «veduto e vivuto». Invece era precisa la sua volontà ortografica. «Ho veduto, non visto; vivuto, non vissuto > (Avvertimenti, cap. III).
Cappella S. Alfonso nella casa natale a Marianella, foto '900
A tal proposito il Corticelli notava: «Il verbo vivere fa vivuto, presso gli antichi visso e presso il Salvini vissuto, ch'è maniera più frequente ma men regolata» (Lib. I, cap. 43). «Veduto, soggiunge il Facciolati, in prosa é più, usato che visto». Basilio Puoti più tardi rilevava: «Visto si usa poco in prosa». Del resto Manzoni nella prima stesura del suo romanzo adoperò veduto.
Le poche citazioni sono sufficienti a Illuminare sulle altre pagine del caratteristico libretto, che in gran parte non pare ancora antiquato. E' un vero peccato che gli stampatori ignoranti abbiano non di rado posto in contradizione lo scrittore col grammatico! Per conoscere un po' le afflizioni di S. Alfonso bisogna svolgere il suo Epistolario. Nel 1763 scriveva dolente al Remondini: «In Napoli povere quell'opere che si Fanno rivedere a chi non è l'autore!» Gli errori si accumulavano ed erano lanciate sul mercato delle edizioni scellerate, come testimoniava Giustiniani nel "Saggio storico-critico sulla tipografia del regno di Napoli" (Napoli, 1793).
S. Alfonso nel dettare i suoi libri ascetici non amava i fiorami e i merletti del bello stile, ma non odiava la grammatica. E neppure l'ignorava. Rifuggiva dal periodare sgangherato, dalla goffaggine delle frasi... Nella sua prosa non c'è il periodo tormentato come nel grandissimo Vico o carezzato come nel Tornielli, chiamato il Metastasio del pulpito. Nè suppongo che il Barelli avrebbe potuto ripetere a S. Alfonso quel che nel 1763 diceva al Genovesi: «Quando scrivi le tue sublimi Meditazioni, lascia scorrere velocemente la penna, lascia che al nominativo vada dietro il suo bel verbo, e dietro al verbo l'accusativo senz'altri rabeschi, e lascia nelle Fiammette e negli Asolani e ne' Galatei e in altri tali spregevolissimi libercoli i tuoi tanti conciossiacosaché e i perocché e gl'imperciocché e i verbi in ultimo e l'è tra un adiettivo e l'altro...».
Il Dottore zelantissimo non ha simili smorfie di lingua, che sono in fondo raccattature.

Piazza Marianella con museo e campanile della cappella di S. Alfonso, foto anni 2000, antemodifiche
Ecco alcune parti dell'opera, estratte a caso, tanto per mostrare al lettore come Alfonso enuncia le regole di grammatica:
"Capo VI – DELL'APOSTROFO
L'apostrofo si pone quando s'incontrano due medesime vocali: l'amara doglia, bell'odore, ec.; ma quando non sono le medesime, è meglio usare due vocali: santa invidia, bello ingegno, ec.; benché non è errore scrivere ancora bell'ingegno, sant'invidia. E quando le due vocali fanno mal suono, sempr'è meglio mettere l'apostrofo, scrivendo l'invidia, l'incontro, l'uomo, e così anche nelle parole questo, quello, santo, grande, è meglio dire quest'uomo, sant'uomo, grand'uomo, ec. che questo uomo, ec.
Nelle parole ognora, sinora, talora, ognuno, qualora non si mette l'apostrofo, ancorché sieno due parole, come né anche sulle parole pel, tral, fral, sul, col, nel. 





Capo VII - DELLE LETTERE MAGGIORI

Deliceto (FG). Antica foto della Casa Redentorista
La lettera maggiore si mette sempre che si fa da capo o dopo il punto, ed anche dopo i due punti quando si cita l'autorità di qualche scrittore o il detto d'alcuno, per esempio disse: Io sarò sempre lo stesso. Rispose: E quando mai ec. Si mette per 2. in tutt'i generi e specie naturali e spirituali: Angeli, Demonj, Uomini, il Leone, l'Oro, ec.
Per 3. Comunità, Senato, Capitolo, Congregazione, Popolo, Clero, Concilio, Città, Paese, Provincia, Esercito, Parlamento e simili.[...]

Capo VIII – DE' PUNTI E VIRGOLE
Avvertasi che le seguenti regole spettano così alla lingua italiana come alla latina.
La virgola significa solamente interrompimento, onde si mette avanti l'e o l'o o né quando il senso è diviso, v. gr. voglio saper scrivere latino, e almeno leggere greco; non voglio scrivere a Pietro, né leggere le sue lettere; ma non si mette, secondo l'uso moderno, quando il senso è congiunto: voglio prima conoscerlo e vederlo; non mi fido né di scrivere né di leggere. [...]
                 ------------------------------------------------ <  O  >  -----------------------------------

E veniamo ora ad Alfonso poeta. Lo racconteremo attraverso lo scritto di Padre Mario Giordano: "La poesia della natura in S. Alfonso" (Pubblicato sempre su “S. Alfonso”, anno XI novembre 1940, num. 11); il nostro relatore descrive, in maniera ineguagliabile,  la grandezza poetica di Sant'Alfonso:
"E sempre vero che il poeta manifesta tutta la propria anima secondo che la natura, maestra dei maestri, a lui parla nel suo arcano linguaggio. E la natura parla al cuore e alla fantasia del poeta con un fascino irresistibile! Ogni cosa che in essa si trova è un motivo, uno slancio a cantare: un ruscello che scorre sperduto tra i boschi, un tramonto, un uccellino che pigola son atti a far vibrare le corde più intime.
Più si conosce la natura, più s'è poeta.
Stemma di Sant'Alfonso, vescovo di S. Agata dei Goti (BN)
I Santi di Dio che sono i conoscitori migliori della natura, sono i poeti autentici. Davide sulle vette luminose di Sion o nelle fertili pianure di Saron, prorompeva in quei salmi, in cui le stelle, le acque ed i fiumi elevano grandiosi inni al Creatore: S. Francesco d'Assisi nelle fresche foreste della nativa Umbria, ugualmente commosso, chiamava il vento, il fuoco, le allodole, gli alberi per lodare insieme il Signore. S. Alfonso, mistico cantore partenopeo, non rimane inerte tra le bellezze circostanti: come i vati ispirati dell'Oriente, come i pii aedi Umbri anch'egli canta sotto il magico cielo della sua Compania.— Ebbe anima veramente poetica, per cui amò la natura e cercò nei suoi fenomeni godimenti puri e sante elevazioni spirituali. Oh: quante volte si sottrasse allo sguardo delle moltitudini por trovare nella campagna silente, sotto l'ombra di alberi annosi, una parola grande e solenne...!
Sulle pittoresche rocce di Amalfi, negli olezzanti prati Nocerini, nel sorriso del cielo e del mare di Napoli sentì inebriante la presenza di Dio. Per questo in un aureo trattatello intitolato: "Modo di conversare alla familiare con Dio", scriveva: <Quando voi guardate campagne, marine, fiori, frutta che vi rallegrano con la loro vista o col loro odore, dite: Ecco quante cose belle, quante creature Iddio ha creato per me in questa terra, acciocché io l'ami... Quando mirate fiumi o ruscelli, pensate, che come quelle acque corrono al mare e non si fermano, così voi dovete correre sempre a Dio ch'è il vostro unico Bene..., quando udite uccelli che cantano, dite: anima mia, senti come questi animaletti lodano il loro Creatore; e tu che fai?  
La natura spiega dinanzi al tuo sguardo le pagine d'un volume meraviglioso, nel quale la bontà, la sapienza, la dolcezza di Dio si squadernano. Gli elementi naturali sono come tanti fratelli, che assurgono alle strofe alate d'una soave canzone d'amore. 
Fu un mattino primaverile, forse del fiorente maggio, che si svelò al Santo il panorama di Scala nel suo radioso e carezzevole incanto. I vetusti monti Camensi verdeggianti, le ridenti valli coi ringiovaniti castagni stormenti e i prati morbidamente ricoperti di odorose erbe dovevano rapire Alfonso in quell'alba mite, mentre allegri stormi di uccelli svolazzavano cinguettando insolitamente. Dinanzi a tale spettacolo come non vibrare l'anima sua naturalmente poetica? come non sentirsi inebriato? 
Se ci fossimo trovati presenti alla grande scena dietro il ciglione di qualche viuzza, che da S. Maria dei Monti mena alla Cattedrale, avremmo visto Alfonso giulivo ora posare le pupille sul tranquillo Tirreno, ora elevarle in alto e guardare un quadro infinitamente migliore. Lassù, in quella regione azzurra, contemplava il suo Dio e la Madre di Lui. Nella pienezza dell'amore che l'inondava, sentì potente il bisogno di sfogarsi nel canto e cantò:

"Su lodate, o valli, o monti,
prati, erbette, fiumi e fonti.
La più bella Verginella
ch'abbia fatto Il Creator...".

Chiesa di Marianella e Congrega, foto anni '50 ca.
Come il Salmista, come Francesco d'Assisi invita le creature ad unirsi al suo inno ardente. Nel suo impeto abbraccia gli esseri più attraenti della natura e dolcemente li trascina a cantare. Ma le valli, i monti, i prati e i fiumi non sembrano soddisfarlo a pieno. Con amabile apostrofe chiama ancora i rigagnoli e gli uccelli ad accrescere quel coro imponente:

"Ruscelletti, mormorando
ed augelli, voi cantando
alla vostra gran Regina
Ancor voi, su fate onor."



Parla quasi Alfonso con gli elementi della natura e li ritrae con si squisita forma che sembra proprio ascoltare il mormorio gaio di quei ruscelletti, le cui limpide acque ora scorrono placide tra due rive di erbette, ricamate da mille fiorellini integri, ora sormontano gorgogliando un mucchio di ciottoli per scomparire sotto verdi cespugli. Al richiamo iterato le valli si ridestano dalla loro abituale armonia, i monti che si elevano nell'azzurro si scuotono dalla eterna meditazione dell'infinito, le aure sospendono i loro fremiti. In quel mirabile silenzio, il poeta si aderge felice e confida gli slanci del suo cuore agli esseri che pendono dal suo labbro.
Un tale carattere della poesia di Alfonso induce a pensare che Egli sia un poeta popolare dei primi secoli, nato per sbaglio nel '700. I suoi compagni non sono Marini, Maggi e Rolli, ma Dominici, Bianco da Siena e S. Francesco, il quale in mezzo al coro delle acclamazioni degli esseri a Dio stava nella solenne letizia dell'estasi come un musicista tra le armonie dei suoni."

Statua reliquario di S. Alfonso conservata nella cappella dedicata al Santo, nella chiesa di Pagani (SA)
Alfonso, da ragazzetto, fece voto di impegnarsi durante la sua vita per fare solo cose importanti a servizio della sua fede e di non perdere mai tempo inutilmente e così, a distanza di 233 anni dalla sua morte (ricordiamo che morì ultranovantenne), Egli continua a stupirci, soprattutto quando scopriamo i frutti dello scibile del suo sapere e della sua cultura, che gli hanno consentito di generare opere, per contenuto creativo e d'intelligenza, molto significative; solo per le sue qualità di scrittore e di teologo merita un capitolo a parte e non per altro è stato riconosciuto "Dottore della Chiesa Universale". La sua vita è stata tutta imperniata su una continua sperimentazione e su una continua applicazione di concetti e di pratiche innovative, in ogni campo, perfino nell'architettura, ma sempre con il precipuo scopo di porsi a servizio dei tanti poveri e del popolo, i quali, altrimenti, non avrebbero potuto accedere alla cultura e alla conoscenza. Alfonso è stato innanzitutto un grande uomo, un uomo moderno, anticipatore del progresso e della libertà della cultura, nel bel mezzo del secolo dei Lumi!
Salvatore Fioretto

Nella ricorrenza del Santo, la redazione di Piscinolablog porge gli auguri al quartiere di Marianella e a tutti i suoi abitanti, e in particolare a coloro che portano il nome di Alfonso. Buona festa a tutti voi!!