sabato 19 aprile 2025

I pulcini e le uova simboli della Pasqua e della grande tradizione contadina del territorio (Seconda parte)

(Segue dalla prima parte)

La primavera, come è noto, inizia con il risveglio della natura, ed è proprio questa stagione dell'anno che è contraddistinta con la produzione delle uova da parte delle galline e di altre specie di volatili. Ed ecco che nella storia dell'umanità le uova sono state assunte a rappresentare questo passaggio di stagione, come simbolo di rinascita sociale e umana. Già in epoche remote, nelle antiche civiltà della storia, come in quelle egiziana, persiana e cinese, le uova assumevano un significato beneaugurante, di prosperità e di fecondità ed erano offerte in dono tra familiari, amici e conoscenti. In epoca romana i contadini usavano seppellire nei campi delle uova colorate di rosso, per auspicare un abbondante raccolto...
I cinesi, i greci e altri popoli antichi usavano credere che un uovo gigante fosse l'origine dell'universo e del suo rinnovarsi (Cosmogonia), mentre, in epoca romana, gli abitanti di Neapolis  usavano credere che Virgilio, insigne poeta latino, a cui si attribuivano anche dei poteri magici, avesse nascosto un immaginario uovo dentro la fortezza della città (castello che prende oggi il nome  di "Castel dell'ovo"), attribuendogli il potere di proteggere e conservare indenne l'abitato. La sua scoperta avrebbe comportata l'inevitabile distruzione dell'intera città! 
Con l'avvento del Cristianesimo, tutte le tradizioni precedenti furono adattate alla nuova religione e anche le uova furono assunte per simboleggiare il Cristo che risorge. Infatti il passaggio del pulcino dalla fase embrionale alla vita, attraverso la rottura del guscio duro, veniva a simboleggiare la Resurrezione del Cristo, con la rottura del legame della morte che segna la vita degli uomini e del creato.
Secondo la leggenda, poi, l'uovo ha caratterizzato anche uno dei primi miracoli avvenuti subito dopo la Resurrezione: si narra che quando Maria Maddalena si recò dagli apostoli per annunciare di aver incontrato, nei pressi del Sepolcro, Gesù resuscitato, San Pietro non le credette inizialmente ed ebbe a dire che era impossibile, allo stesso modo delle normali uova si colorassero di rosso da sole..., disse: "ti crederò solo se le uova che porti nel cestello si coloreranno di rosso"... Si racconta che le uova effettivamente cambiarono di colore in rosso purpureo, con il sommo stupore dell'Apostolo...!
I primi cristiani usavano regalare uova colorate di rosso ad amici e conoscenti, al termine dei riti religiosi, proprio per testimoniare la Resurrezione.
Nel Medioevo i cristiani usavano portare le uova in chiesa per essere benedette e che poi facevano bollire e le mangiavano nel pranzo pasquale, donandole anche ai servitori. Le uova venivano colorate di rosso anche per simboleggiare il sangue versato da Gesù durante la crocifissione. Ecco quindi l'usanza, ancora in auge oggi, di mangiarle nel periodo pasquale, assieme ad affettati, ricotte e formaggi.
Per arrivare alla tradizione di donare le uova di cioccolata durante la Pasqua, dobbiamo arrivare al secolo XVIII, molti secoli dopo la scoperta dell'America e l'introduzione in Europa del cacao estratto dalla pianta originaria del Messico. Secondo alcuni fu in Francia, quando regnava Luigi XIV ("Re Sole"), a far realizzare a corte le prime uova di cioccolato, anche se non pochi sostengono che le uova di cioccolato erano già in uso presso le popolazioni messicane.
Questa tradizione si è perpetuata nei secoli in tutte le altre nazioni, fino ad arrivare alla Russia degli Zar. Fu lo zar Alessandro III,  infatti, ad affidare nel 1883 l'incarico all'orafo francese Peter Carl Fabergè per la realizzazione di un uovo prezioso da regalare alla moglie Maria. L'uovo conteneva al suo interno altre uova più piccole, per finire con un tuorlo d'uovo tutto d'oro, con ancora all'interno una gallinella d'oro smaltata e rivestita di pietre preziose.
Da quell'anno Fabergé divenne l'orafo di corte, realizzando ogni anno uova di forme diverse, anche in occasioni straordinarie, come i matrimoni, le nascite di rampolli di corte e l'inaugurazione di ferrovie e strade. Ancora oggi esiste il marchio Fabergé che crea gioielli artistici e preziosissimi.
Le prime uova di cioccolato furono prodotte in Europa nella prima metà dell''800 (si racconta che i primi esemplari erano interamente piene di cioccolato).  Ma per vedere la produzione industriale di uova di cioccolato in serie, come quelle attuali, dobbiamo attendere l'anno 1875, quando John Cadbury realizzò il suo primo stabilimento di produzione.
Questo breve excursus storico sull'uso dell'uovo nelle civiltà antiche fa comprendere come esso sia stato considerato un elemento di vitale importanza nella storia dell'umanità. 
Anche nell'arte culinaria troviamo che l'uovo rappresenta un elemento importantissimo, non solo per l'alimentazione giornaliera, ma anche quale simbolo di una tradizione ultramillenaria.
Ricordiamo come in passato ai bimbi veniva al mattino offerto un uovo fresco da "zucare" (succhiare). Molte mamme e massaie usavano ricorrere al contadino di fiducia per assicurarsi l'approvvigionamento di uova freschissime di giornata, oppure acquistarle dalla venditrice ambulante, che immancabilmente girava per le strade del quartiere, con un grande cesto di vimini ripieno di uova, portato sulla testa, dando la caratteristica voce di richiamo: "ova fresca... ova fresca...!".
Per estrarre facilmente il contenuto dell'uovo (da noi chiamato anche "cococco"), si eseguivano due forellini contrapposti al guscio (uno nella parte sommitale e l'altro alla base), in modo da consentire l'entrata dell'aria. Ma per i bambini gracili e i malati debilitati si usava dare al mattino un "uovo sbattutto" col caffè, che veniva preparato unendo in un bicchiere, un uovo con dello zucchero e del caffè. Il tutto veniva amalgamato energicamente, attraverso l'utilizzo di un cucchiaino da dessert.
Ma era nel periodo Pasquale che le uova avevano, ed hanno ancora oggi, un ruolo centrale e importante nella maggiore festività cristiana dell'anno.
Le uova, oltre ad essere tra gli ingredienti occorrenti per la preparazione, fanno da corona ai superbi "Casatielli", mentre riempiono con abbondanza le gustose "Pizze Chiene". Nella pastiere, poi, le uova sposano magnificamente la ricotta di vaccino, lo zucchero e i canditi e la fanno diventare uno dei dolci pasquali più apprezzati e conosciuti dell'arte dolciaria italiana!
Discorso a parte sono le frittate che in passato avevano un posto più centrale nella nostra tradizione a tavola. Da ricordare quelle gustose preparate con funghi di pioppo (chiuppetielli - chiuvetielli) e quelle con le cipolle o gli spaghetti (frittata di maccheroni). Le uova sode erano utilizzate anche per comporre le classiche "fellate" pasquali, ovvero gli abbondanti vassoi coperti da fette di salame, salsicce stagionate, ricotta salata, capicollo, pancetta e altro ben di dio, accompagnato con fave fresche, pane integrale cafone ('o ppane 'e rane) e un buon vino rosso...!
Tutti questi elementi erano gustati durante le spensierate gite collettive di pasquetta  (gite dell'Archetiello, svolte nel Lunedì in Albis), che i nuclei familiari e le persone di un tempo usavano effettuare recandosi nei luoghi ameni del territorio, non necessariamente lontani come avviene oggi, ma a stretto giro, come presso l'Alveo di Mugnano-Calvizzano, il Bosco di Capodimonte, la Reggia di Caserta, oppure a Montevergine.

A termine di questo post dedicato alla Pasqua, porgiamo a tutti i lettori e ai simpatizzanti di "Piscinolablog", una Buona e Serena Pasqua!

Salvatore Fioretto 



giovedì 17 aprile 2025

I pulcini e le uova simboli della Pasqua e della grande tradizione contadina del territorio (Prima parte)

Con l'approssimarsi della Pasqua di Resurrezione, abbiamo pensato di ricordare la tradizione contadina legata all'allevamento dei polli e al significato storico antropologico attribuito alle uova in rapporto alla ricorrenza cristiana. Buona Lettura!

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In ogni masseria e in ogni cortile del centro storico era presente un recinto destinato all’allevamento delle galline, detto “‘o vallenaro”. In questo a volte si allevavano anche altri volatili, quali anatre, oche e tacchini.
Il “vallenaro”era un grosso pollaio realizzato alla buona, spesso dai ragazzi, utilizzando una rete zincata e degli steccati di legno di castagno o più semplicemente di abete o di pioppo.
Dentro il “vallenaro” c’erano diverse zone atte ad accogliere le bestiole durante l’allevamento.
Nella zona bassa, c’era la parte frequentata dai polli durante le ore diurne, che corrispondeva praticamente a tutta l’area di calpestio del pollaio. In esso erano anche presente uno o più abbeveratoi, realizzati riutilizzando qualche vecchia pentola di alluminio e una mangiatoia costruita alla buona con tavolette di legno.
I polli erano nutriti sempre con granoturco prodotto nelle campagne; tuttavia ai polli si davano in pasto anche gli avanzi dei pasti domestici, come pane bagnato, patate, insalata, e altri ortaggi.
Nella zona superiore del “vallenaro” c’erano delle asticelle, sopra le quali le galline e i galli si appollaiavano durante la notte. Negli angoli c’erano pure delle vecchie ceste piene di paglia, dove le galline erano solite deporre le uova e dove effettuavano anche la cova.
Non tutte le uova erano però lasciate nel pollaio, ma solamente quelle che erano state fecondate dal gallo e destinate alla riproduzione (ova ‘ngallate). Ovviamente bisognava verificare prima se la gallina mostrava la volontà di covare le uova: questo era facilmente intuibile dalle massaie, in base al comportamento e dai versi che emetteva nella circostanza il volatile.
Diverse erano le specie di volatili che erano allevate nel nostro territorio, c'erano le varietà dette "livornesi", le "padovane" e quella molto produttiva di uova, che era chiamata "ovajola". Non trascurabile era la presenza costante della varietà nana di volatili, chiamata in gergo: "galline coccodè" e "galli chicchirichì", che poi appartengono alla razza detta: "Bantman". Questi polli erano allevati a scopo prevalentemente ornamentale, per la bellezza del piumaggio dei galletti, per il timbro acuto dei loro canti mattutini e anche perchè le gallinelle avevano una produzione intensiva di uova, che si ripeteva più volte nel corso dell'anno. Altra particolarità di questa razza era quella che le galline effettuavano costantemente la cova delle uova ed era possibile utilizzarle per riprodurre i pulcini delle altre varietà grandi, meno avezze alla cova, eseguendo la semplice sostituzione delle uova nella fase iniziale.
La cova delle uova durava circa ventuno giorni e terminava con la schiusa dei pulcini.
La nascita dei pulcini non era simultanea, ma dipendeva sopratutto dalla posizione assunta dalle uova durante la cova. Infatti quelle più coperte e quindi più riscaldate dalla chioccia, schiudevano sempre per prima.
I pulcini che nascevano per primi, erano prelevati e protetti in un luogo caldo della casa, spesso vicino al camino. Per farli “rinforzare”, si dava da mangiare loro delle molliche di pane inzuppate con vino rosso.
Una volta nati tutti i pulcini, la chioccia abbandonava la cova, emettendo un verso caratteristico; si gonfiava con le piume e cercava di raccogliere tutti i pulcini sotto le sue ali. Poi, insieme ai pulcini, si recava a razzolare in giro per la masseria.
Era bello osservare le chiocce mentre cercavano vermiciattoli e piccoli semi nel terreno e invitavano con dei richiami caratteristici i pulcini a cibarsi. Quando la chioccia si spostava, i pulcini la seguivano come tanti soldatini. Ad ogni rumore sospetto, la chioccia (‘a vroccola) emetteva un verso caratteristico, a mo’ di richiamo ed i pulcini, tutti insiemi, accorrevano obbedienti a rifugiarsi sotto le sue ali protettrici.
Man mano che crescevano, alcuni pulcini più robusti venivano selezionati per essere ingrassati come capponi per il Santo Natale o per Pasqua (‘e capune). Ad essi si tagliava con una lama la cresta e i padiglioni, asportando le gonadi.
I capponi venivano ingrassati alimentandoli con il granone, avena e pane bagnato (‘a vrenna).          
          
               (Segue nella seconda parte)

Salvatore Fioretto

Gran parte del racconto di questo post è stato tratto dal libro storico atropologico: "Piscinola, la terra del Salvatore - Una terra, la sua gente, le sue tradizioni" ed. The Boopen  2010, di S. Fioretto.