sabato 21 ottobre 2023

La storia dei Casali di Napoli: Piscinola gode lo status di Casale Regio Demaniale... parte III

(Segue dalla II parte) Il “Cedolare Angioino” fornisce notizie preziose circa le imposte applicate ai vari Casali. Infatti la somma dei tributi da questi versati, al periodo risalente il testo, era di 186 once, contro le 506 once, corrisposte all’erario dagli abitanti della città di Napoli.
Con il trascorrere dei secoli, i Casali Demaniali godettero di un’ampia autonomia amministrativa nei confronti della corona e della curia vescovile. In alcuni di essi, già trasformati in “Università”, erano presenti forme di autogoverno e di assistenza, attraverso propri sindaci o eletti, che amministravano i Casali in modo del tutto indipendente, provvedendo ai bisogni dei cittadini con gabelle sui prodotti e pedaggi sui trasporti.
La giurisdizione della città consisteva nell’amministrare l’Annona e alcuni dazi promiscui. Esisteva un ispettore (“Giustiziere della Grassa”), assistito da un suo designato (“Catapano”), che avevano il compito di visitare i Casali per vigilare sulla qualità e sul prezzo imposto al pane e ad altri prodotti.
Al fisco si pagava il “Focatico”, che nel 1442 ammontava a un ducato per ogni nucleo familiare. Comunque i Casali Demaniali dovettero considerarsi privilegiati rispetto a quelli baronali, perché ricevevano una giustizia più obiettiva ed equa.

Ritratto giovanile di Ferdinando III detto il Cattolico

Alfonso D’Aragona, detto il Magnanimo, inasprì il sistema fiscale per compensare il deficit contratto dalla Corona durante le guerre e a causa della magnanimità con cui Egli dispensava favori e beni. Il re, con editto del 1443, dispose il censimento ai fini fiscali della popolazione dei Casali e della città, detto “Numerazione dei focolari” e stabilì che la tassa pagata da ogni “focolare” ammontasse a 42 carlini. Dal pagamento di questa tassa furono esonerati parecchi Casali intorno alla città di Napoli, insieme agli abitanti della stessa capitale. Riporta Nicola Del Prezzo: “Il timore di sommosse doveva comunque esserci, visto che in primis ad essere esentati erano i cittadini della capitale”.
Durante la dominazione Aragonese, il re di Napoli, Ferdinando III detto “Il Cattolico” (Ferdinando II d’Aragona), concesse, in data 15 ottobre 1505, il privilegio alla città di Napoli di non vendere o donare ad alcuna persona i suoi Casali.
Nell’opera: “Nuova, e perfettissima descrizione del Regno di Napoli, diuiso in dodici provincie, nella quale brevemente si tratta della città di Napoli, e delle cose più notabili…”, di Enrico Bacco Alemanno, edita nel 1629, si riporta la seguente testimonianza: “NAPOLI: città inclita, capo del Regno, per privilegio che tiene, non si numera, né anco tutti i suoi casali che sono quarantatré, per dodici miglia intorno, però non pagano cosa alcuna. […] Seguono i NOMI DEI CASALI della città di Napoli, quali per privilegio, che tiene detta città, non pagano pagamenti fiscali, né altro. San Pietro a Patierno, La Fragola, Lo Salice, Casalnuovo, Fratta Maiore, Grummo, Pescinola, […]”.

Una delle mappe elaborate da GiovanBattista Porpora, nel 1779
Durante il periodo di Viceregno spagnolo, a causa delle ristrettezze economiche della Corona spagnola, sempre alle prese con estenuanti guerre e spese militari, fu presa la decisione di vendere i Casali. Decisione maturata formalmente nel dicembre del 1619. A nulla valsero le istanze presentate alla Regia Camera della Sommaria, dal Procuratore Francesco Tedaro, che appellandosi al privilegio concesso nel 1505 da Ferdinando III “Il Cattolico”, domandò che non si mettessero in vendita i Casali.
Tra il 1620 ed il 1637 molti Casali furono venduti dal Viceré spagnolo ai baroni locali, suscitando vivaci proteste tra gli abitanti.
Il 15 giugno del 1637 gli abitanti dei Casali si sollevarono tutti uniti, in un’accesa protesa contro l’ordine del Viceré di Napoli, Don Ramiro de Guzman duca di Medina del Las Torres (al trono per conto del re Filppo IV di Spagna). Alla protesta parteciparono trentadue Casali, tra i quali Piscinola. Nonostante il tumulto, la Regia Camera della Sommaria, competente del Foro Feudale, non tenne alcun conto delle richieste e delle rimostranze dei Casali e quindi ratificò la decisione vicereale.
Molti Casali, per non cadere nelle mani dei baroni, furono costretti ad esercitare lo strumento dello “Ius Praelationis”, ossia la possibilità di ritornare allo status di “Regio Demanio” pagando alla Regia Camera, nell’arco di un anno, lo stesso prezzo di vendita offerto dai baroni. Non tutti i Casali riuscirono però a “riscattarsi”.
I Casali che si “riscattarono” passarono sotto lo stato di “Casale Autonomo”, detto anche “Communità” (ossia Comune) ed erano governati dall’assemblea delle famiglie, che poi regolavano i loro rapporti fiscali con il governo centrale, attraverso un Procuratore del Regno.
Sappiamo per certo che nel 1637 il Casale di Piscinola si oppose al progetto del Viceré di vendere il Casale al principe di Cardito. In quel periodo Piscinola contava 129 nuclei familiari, ogni nucleo era chiamato “fuoco” e si componeva mediamente di 5 persone.
Intanto, nell’anno 1647, la città di Napoli fu chiamata a “donare” un milione di ducati richiesti dalla maestà cattolica, Filippo IV. La “Piazza della città” stabilì di applicare una gabella sulla farina, divisa in maniera diversa tra la Città e i Casali del Distretto. Per far fronte alla nuova gabella, i Casali dovevano sborsare 3 carlini a tomolo di farina, mentre la città di Napoli un solo carlino a tomolo.
Per il Casale di Piscinola la gabella fu valutata 1.822,75 ducati e fu anticipata con un prestito, dai signori Alessandro Brancaccio e Alfonso de Liguori (trisavolo di Sant’Alfonso), attraverso il patto “quandocunque” (pagamento in qualunque tempo), in base alla propria disponibilità. A causa di questo debito contratto, il Casale di Piscinola ritornò ad essere a rischio di vendita.
Il problema della vendita dei Casali fu molto sentito dalla popolazione locale, fino al punto che, durante i moti del 1647, Masaniello impose nel trattato firmato con il Viceré Duca De Arcos (detto “Capitoli”), l’impegno di non vendere in futuro i Casali.
Al capitolo 43 di questo Trattato si legge: “Item, che tutti li Casali di questa Fidelissima Città in ogni futuro tempo debbiano essere, e stare in demanio, non obstante qualsivoglia alineatione, vendita, o donatione in contrario fatta, le quali si declarano nulle, anche in conformità delle Gratie sopra ciò fatte per lo Serenissimo Re Cattolico, confermate per la Cesarea Maestà di Carlo V”.
Dopo la morte di Masaniello il problema si ripresentò, infatti in un documento datato 17 dicembre 1669 si ricava che il principe di Cardito arrivò a offrire ben 22 ducati per “fuoco”, “[...]senza le giurisdizioni delle eccellentissime Portolania e Cacia[...]”(termini usati per indicare i tributi sulla concessione degli spazi pubblici e sul commercio dei formaggi). Anche un certo “signore”, di nome Pisani, offrì un’alta cifra per l’acquisto di tutti i Casali messi in vendita, tra cui quelli di Piscinola e di Marianella.
Per la transazione di Piscinola furono offerti fino a 2875 ducati (rif. Consiglio Collaterale Consultarum, Vol. 10). La vendita di Piscinola e degli altri Casali, non ebbe però luogo.
Nel 1678 le Università di Secondigliano, Casavatore, S. Pietro, Piscinola, Marianella, Barra, Soccavo fecero richiesta di restare nel Demanio, offrendo di pagare 25 ducati a “fuoco”.
Alla fine si ebbero delle transazioni per ogni Casale. A conferma di ciò sappiamo, attraverso una “Consulta” dello stesso anno 1678, che i Casali sopra menzionati appartenevano ancora al Demano (ASN Sommaria Consultationum Vol. 76 fl. 253 t.).
Nel 1679 il Casale di Piscinola riuscì finalmente a “riscattarsi” ed a rimanere nel Regio-Demanio; purtroppo così non avvenne per Marianella e Miano. Ecco quanto scriverà l’Avv. Rossi, due secoli dopo a tal proposito: “Nel 1679, il Casale di Piscinola per sottrarsi alla Jattura di essere venduto come le altre terre demaniali, e cadere sotto il giogo dei Baroni, pagò alla Regia Corte di Sua Maestà Cattolica Carlo II, la somma di duc. 3800, come da istrumento per Notar Paolo Giuseppe Russo in Napoli”.
Mappa di Napoli e dei suoi 33 casali, di Luigi Marchese, 1804

Restando ancora in tema di gabelle, in uno scritto dell’anno 1647, tratto dalle determinazioni del Consiglio Collaterale (Vol. 179 fl. 124), firmato da un certo Ribera, apprendiamo una notizia relativa alla soluzione del problema dell’acquisto della farina a 2822 ducati per tarì e all’esenzione dalla gabella sul “Panizandi”: “…li ha fatto grazia di donarli il jus panizandi e fattala esempte da nisse imposizioni et pagamento ad essa Vendita, e poiché Em.mo Signoro, desidera essa Vindita tra i suoi cittadini offertare detto Jus Panizandi et per fare una poteca di Pizzicheria per detto effetto”. Con questo atto, il principe De Luna aveva ceduto al Casale di Piscinola il diritto di esenzione dalle gabelle sulla panificazione. Fu stabilito che la linea di confine di esenzione dall’”Arrendamento della farina” (cioè la gabella sulla farina) passasse a valle dello stesso palazzo “De Luna”.
Singolare fu la controversia sorta nel 1700, tra il governatore dell’Arrendamento della farina e alcuni nobili che avevano le loro masserie nel territorio piscinolese, tra cui gli eredi di Don Francesco de’ Liguoro, l’Abate Don Carlo Carafa, il marchese Don Danzi principe di Belvedere, il dottor Bartolomeo Imparato e i monasteri di S. Agostino alla Zecca e di S. Giovanni a Carbonara; la controversia mirava a stabilire se i cespiti rientrassero o meno nel territorio di esenzione dalla gabella.
In diverse occasioni, proprio per queste controversie, su richiesta dei vari governatori degli “Arrendamenti”, si verificarono gli esatti confini della città con i Casali, per determinare le zone di esenzione dalle imposte, apponendo anche dei “termini” sulla linea di “confinazione”.
A tal fine, nel 1776, il governatore dell’”Arrendamento della farina”, affidò l’incarico all’ingegnere Camerale Giambattista Porpora, di redigere una “Mappa generale della confinazione” tra Napoli ed i Casali circostanti.
L’opera fu completata nel 1779 e comprendeva sedici mappe dipinte a tempera e un manoscritto introduttivo, oggi conservati nella Biblioteca della
Società di Storia Patria.
Col trascorrere del tempo divennero sempre più numerosi i Casali che erano diventati Universitas (cioè Comune) ed avevano dei Sindaci o Eletti.
Con la dinastia dei Borboni la situazione amministrativa dei Casali rimase immutata, fino all’avvento dei Francesi. (continua nella IV parte)

Salvatore Fioretto 

giovedì 19 ottobre 2023

Uno scrittore e una pittrice famosi preferiscono la quiete di Chiaiano alla città: Onorato Fava e Giulia Masucci

Ecco altri due personaggi che sono vissuti nel nostro territorio e che hanno dato onore e lustro alla nostra terra, ci riferiamo al celebre scrittore Onorato Fava e alla consorte, la pittrice Giulia Masucci. Il territorio interessato è il quartiere di Chiaiano, dove i due coniugi elessero la loro residenza durante la seconda metà della loro vita e dove, come ci risulta, si spensero. Molto interessante è scoprire la fama raggiunta da Onorato Fava, soprattutto come scrittore di racconti per ragazzi. Chissà quanti personaggi, scorci di luoghi ed episodi, descritti nelle sue opere, sono stati ispirati o tratti dall'osservazione diretta condotta durante il periodo di residenza a Chiaiano o girovagando nel territorio circostante, della cosiddetta "Area Nord" di Napoli! Lo scopriremo leggendo le sue opere...

 

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Lo scrittore Fava Onorato nacque in un piccolo paesino della provincia di Vercelli, chiamato Collobiano, il 7 luglio del 1859; i suoi genitori furono: Eusebio Onorato (anche lui insegnante e scrittore di testi scolastici) e Gioacchina Fighetti. Nel 1865 il padre dovette trasferire la sua famiglia a Napoli, per ricoprire un ambito incarico di direttore scolastico.
Fava, dopo aver frequentato il Regio Istituto Tecnico, si scrisse alla facoltà di lettere dell’Università di Napoli, dove conseguì la laurea; tra i suoi insegnanti compaiono Francesco de Sanctis e Luigi Settembrini.
Una volta laureatosi, dopo una breve esperienza lavorativa presso il Banco di Napoli, ricoprì il ruolo di insegnante di lettere presso le scuole medie statali della città di Napoli; professione che esercitò con abnegazione e passione per trentasei anni. Fu amico di Roberto Bracco e Armando Diaz, fin dai banchi dell’istituto tecnico. Ebbe scambi epistolari e di collaborazione con gran parte degli esponenti del mondo culturale del suo tempo, sia napoletani che italiani, tra i quali Matilde Serao, Giovanni Verga, Roberto Bracco, Benedetto Croce, Gabriele D'Annunzio, Giosuè Carducci, Ferdinando Russo, Salvatore Di Giacono e tanti altri ancora.
Già da studente, non ancora ventenne, Fava iniziò a interessarsi di cose letterarie, dirigendo il giornale dell’Istituto, intitolato “Lo Studente”, nel mentre, nel 1877, fu corrispondente della rivista francese, pubblicata a Parigi, chiamata “La Muse”.
Onorato Fava partecipò anche alla società dei “Nove Musi” (divenuta poi "Dieci Musi"), fondata dallo storico Benedetto Croce, che si riuniva presso la trattoria “Pallino” al Vomero, e poi anche presso la libreria "Pierro", a Port’Alba. Fu proprio il libraio Pierro a pubblicare le prime opere di Fava.
Fu assiduo frequentatori di vari salotti letterari che in quel periodo erano molto in voga a Napoli, come quello del Procuratore di Cassazione, Giovanni Masucci (anche lui dilettante poeta e letterato, oltre che insigne giurista). Tra i frequentatori più assidui del salotto Masucci, ricordiamo: Benedetto Croce, Luigi Conforti, Francesco Saverio Nitti, Vincenzo Pica, Ferdinando Russo, e altri. Presto Masucci divenne suo suocero, perché impalmò a nozze, nel 1891, la figlia Giulia, apprezzata pittrice della scuola napoletana di fine Ottocento e di inizio Novecento. Il testimone di nozze fu il celebre giurista Emanuele Gianturco, mentre l’amico giornalista, Vincenzo Pica, gli dedicherà un’opera letteraria ispirata a una leggenda giapponese.
Fava scrisse la sua prima novella nel 1879, intitolata “Art. 588 Codice civile”. Nel 1880 pubblicò “Provvidenza”, che gli permise di vincere il primo premio indetto dal giornale il “Corriere del Mattino”, come migliore novella.
Fu collaboratore di moltissimi giornali, periodici e quotidiani, cittadini e nazionali, sui quali pubblicava a episodi le sue opere letterarie. Tra quelli campani ricordiamo: il “Corriere di Napoli”, “La Tavola rotonda”, “Corriere del mattino”, “Cronaca napoletana”,  “Cronaca partenopea”, “La Rivista nuova”, e tanti altri. Fece anche parte del consiglio direttivo del “Circolo Filologico Napoletano”.
Oltre alla sua passione letteraria di scrittore, Onorato tentò timidamente anche altre esperienze artistiche, come la fotografia e la poesia.
Scrisse molti romanzi, novelle e opere letterarie: tra i romanzi ricordiamo: "Vita napoletana", “Rinascimento”, "La rinuncia", “Acquarelli”, “La discesa di Annibale“, “Contro i più”, “Ali chiuse”, "Provvidenza" e altre.
Tra le novelle: "
Art. 588 Codice Civile,Per le vie”, “Cose che avvengono”, "Serate invernali", Maestrina; “Serenità”, “Storie di ogni giorno”, “Sonatine, "Il bicchiere di Kirschwein", “Torna la primavera” e altre.
Tra i lavori teatrali ricordiamo “Teatro color di rosa”, pubblicato nel 1925.
Onorato Fava si cimentò e con estro, anche a scrivere opere destinate ai fanciulli; impegno che gli portò la fama di scrittore apprezzato, anche oltre i confini nazionali, iniziando dal famoso libro: “Granellin di pepe” (Treves, Milano 1885, più volte premiato) e continuando con: “L'isola del silenzio”, “Serate invernali”, "Il libro delle piccole cose", "Il piccolo re di un piccolo mondo", “Il mio birichino”, “Buonsoldato”, I racconti dell'anno”, “Tesoruccio - Mimì e il Topolino”, "Le pantofole del re", "Trezzadoro", “Francolino”, "La pecorella", "Gennariello", “La principessa Luccioletta”, Al paese dei giocattoli”, "Il diavoletto di Marechiaro", “Al paese delle stelle”, “Le avventure di Bottaccino”, "Gli zoccoletti rossi", “Bliz e Friz”, "Il bambino degli incontri", “Cip cip e Glu glu” "La bambina dei perchè" e altri ancora...
Suo è anche il saggio, “Il fanciullo nella letteratura", scritto nel 1932.
Tantissime furono le riedizioni che ebbero le sue opere e i suoi scritti, e tanti furono tradotti in diverse lingue. Tra i premi ricevuti, da segnalare la medaglia d'oro all’esposizione di Edimburgon, nel 1890 e la medaglia argento all’esposizione di Parigi, nel 1891, entrambi ricevuti per la pubblicazione del romanzo “Granellin di pepe”.
Tra i riconoscimenti ufficiali: il Ministero della Pubblica Istruzione conferì a Fava,
nel 1892, la medaglia d’argento dei “Benemeriti dell’Istruzione Popolare”, mentre, nel 1919, venne nominato Commenda del Regno d’Italia.
Umberto Fava aveva l’abitazione napoletana presso il popolare quartiere Stella, ma negli ultimi decenni della sua vita si ritirò a vivere a tempo pieno nella quiete della sua residenza di campagna, situata nel territorio della frazione di Chiaiano, nella quale morì il 23 settembre del 1941. In questa residenza era morto lo stesso genitore, Eusebio, nell’anno 1911. Non siamo riusciti ancora a identificare la casa di Chiaiano che fu residenza della famiglia Fava, ma lo scopriremo nel corso delle nostre future ricerche.

Ritratto di donna, di G. Masucci

Per quanto concerne la pittrice Giulia Masucci, moglie di Fava, nacque a Serino, il 29 dicembre 1855, frequentò l’Accademia di Belle Arti di Napoli, dove fu allieva di Enrico Rossi e di Vincenzo Volpe. Per i soggetti delle sue tele preferì prevalentemente i ritratti di personaggi, ma non disdegnò i paesaggi. Espose i suoi quadri, nelle rassegne “Promotrice di Napoli” e di Brera, dove fu sempre apprezzata. Nel 1886 partecipò alla “XII Esposizione della Permanente di Napoli”.

Tra le sue tante opere, ricordiamo: “Nel tugurio”, “Per la sposa” (acquistato alla promotrice di Napoli dal Cav. Morelli), “Una Bambina con fiori” (venduto alla Provincia di Napoli), “Una letterina” (esposto a Napoli e a Brera e qui venduto). Da ricordare anche un dipinto che la pittrice aveva intitolato: “Vedute di Chiaiano e di Serino”.
Salvatore Fioretto




































Una puntata del primo romanzo di Fava "Articolo 588 Codice Civile", pubblicato da "Gazzetta Letteraria", nell'anno 1879.