Autoritratto, Francesco De Mura |
Singolare è la storia che stiamo per raccontare, che vede legata questa nostra antica chiesa alla figura di un grande pittore del secolo dei Lumi, attivo nel periodo del tardo barocco-roccocò napoletano, parliamo del celebre artista Francesco De Mura. Al pittore si legano nella vicenda altri due personaggi, che pure hanno operato in questo piccolo Casale e lasciato una traccia della loro vita nella sua storia. Essi sono il regio notaio Michele Valenzia e il giureconsulto, barone Giambattista Gallotti.
Allegoria delle arti, di Francesco De Mura |
SS. Severino e Sossio. Volta affrescata da Francesco De Mura |
Fu senza dubbio presso la bottega del Solimena - che subito lo predilesse e lo considerò il più dotato dei suoi allievi - che il De Mura acquisì, anche sulla scorta degli insegnamenti del Giordano, del De Matteis e del "colorare" di Giacomo Del Po, il suo mestiere e la capacità di un disegno forbito e delicato insieme. Famosi sono i panneggi dei personaggi rappresentati nelle sue opere.
Francesco De Mura divenne un’artista
richiesto e ambito, sia nel Regno di Napoli e sia nelle più importati corti d'Europa, le sue tele sono oggi conservate
nelle principali residenze reali e nei più importanti musei europei, dalla Spagna, alla Russia, finanche negli Stati Uniti d'America. Notevole
sono le opere conservate presso le collezioni private, tra le più benemerite ed
importanti.
Dipinto di Francesco De Mura |
Datato 1740 è l'enorme affresco per la volta della
chiesa napoletana dei SS. Severino e Sossio, retta dai padri benedettini,
considerato suo capolavoro, rappresentante S. Benedetto e S. Scolastica che propagano le regole
dell'Ordine. L'opera è stata il punto di riferimento per tutti i colti viaggiatori del "Grand Tour",
da Cochin a Fragonard. Per la stessa chiesa dipinse, tutt'intorno all'enorme
navata, 32 Santi, Pontefici e Vescovi benedettini, che furono pagati 1.800
ducati, il 25 dicembre 1745.
Altro grande lavoro del De Mura
fu la realizzazione, nel 1746, della tela gigantesca per la rimodernata chiesa
angioina di S. Chiara a Napoli, da porre sull'altare maggiore (quasi come un fondale da
palcoscenico...), al di sopra della tomba di Roberto d'Angiò: rappresentava S.
Chiara ed altri santi francescani nel trionfo dell'Eucarestia, e venne
distrutta dai bombardamenti del 1943 (resta una foto Alinari). Per la stessa chiesa De Mura realizzò la tela: S. Chiara che mette in fuga i
Saraceni con il Santissimo, dipinta poco dopo il 1746, e Salomone che dirige l'edificazione
del tempio, dipinta nel 1751-52.
Chiesa della Nunziatella, volta affrescata da F. De Mura |
La produzione artistica del De Mura è ampissima: tanto egli fu prolifico di tele e capolavori d'arte figurativa che elencare tutte le sue opere sarebbe un'impresa non poco ardua e corposa!
Il 3 settembre 1772, Luigi Vanvitelli
scriveva: "Il migliore di tutti li
dipintori, che presentemente sono in Napoli, nel quale concorrono le parti che
avere deve un valent'uomo, per distinguersi sopra gli altri, egli è Don
Francesco de Muro, di cui sarebbe desiderabile averne qualche opera a fresco
sulle mura del Real Palazzo di Caserta..." (cfr. N. Spinosa, L.
Vanvitelli e i pittori attivi a Napoli nella seconda metà del Settecento..., in
Storia dell'arte, 1972, 14, pp. 204).
Il 20 maggio 1756 portò a compimento il magnifico ritratto del Cardinale Antonio Sersale (arcivescovo di Napoli dal 1754 al 1776).
La stanchezza (aveva ormai 75 anni) e il disgusto per le sopraffazioni subite in seno alla famiglia (cfr. Napoli, Pio Monte, Testamento, 17 febbraio 1770: "ebbi a soffrire molte inquietudini non compatibili né alla mia età né alle mie applicazioni..."), lo indussero a rinunziare alla prestigiosa carica di direttore della Reale Accademia di nudo, come risulta dalla lettera di dimissioni che firmò il 9 marzo 1770 (Lorenzetti, 1952). Malgrado la rinunzia all'incarico e l'accettazione delle sue dimissioni, al De Mura fu pagato lo stipendio sino alla sua morte.
Martirio di Virginia, tela di Francesco De Mura |
Il 20 maggio 1756 portò a compimento il magnifico ritratto del Cardinale Antonio Sersale (arcivescovo di Napoli dal 1754 al 1776).
La stanchezza (aveva ormai 75 anni) e il disgusto per le sopraffazioni subite in seno alla famiglia (cfr. Napoli, Pio Monte, Testamento, 17 febbraio 1770: "ebbi a soffrire molte inquietudini non compatibili né alla mia età né alle mie applicazioni..."), lo indussero a rinunziare alla prestigiosa carica di direttore della Reale Accademia di nudo, come risulta dalla lettera di dimissioni che firmò il 9 marzo 1770 (Lorenzetti, 1952). Malgrado la rinunzia all'incarico e l'accettazione delle sue dimissioni, al De Mura fu pagato lo stipendio sino alla sua morte.
Sacra famiglia e S. Giovanni Battista, tela di Francesco De Mura |
Non sappiamo quali interessi l’artista
ebbe nell’allora Casale di Piscinola, se dipinse tele per la chiesa del
Salvatore (Diversi quadri sono andati perduti all'inzio del secolo scorso) o per l’Arciconfraternita del SS. Sacramento, all’epoca già attiva e operante,
ma sappiamo che fu cliente e soprattutto amico di un famoso notaio regio dell’epoca,
che a Piscinola aveva il suo studio, e forse l'abitazione, il cui nome era Michele Valenzia.
L’11 ottobre 1780 per mano del notaio Michele Valenzia di Piscinola, De Mura stilò il suo testamento e al Pio Monte di Misericordia di Napoli lasciò gran parte delle sue sostanze. Gli lasciò tutto quanto contenesse la sua casa: un capitale che raggiungeva la impressionante cifra (in danaro contante) di 55.454 ducati, oltre i suoi 187 quadri, gli argenti, il mobilio, le carrozze, nonché altre numerose fedi di credito...! Dispose che tutte le sostanze dopo l'avvenuto inventario fossero vendute e "... che di quel denaro ricavato fosse invertita la rendita in soccorso di gentiluomini e di gentildonne poveri o di nobili famiglie di fuori, e dimoranti in Napoli o nelle sue borgate."
L’11 ottobre 1780 per mano del notaio Michele Valenzia di Piscinola, De Mura stilò il suo testamento e al Pio Monte di Misericordia di Napoli lasciò gran parte delle sue sostanze. Gli lasciò tutto quanto contenesse la sua casa: un capitale che raggiungeva la impressionante cifra (in danaro contante) di 55.454 ducati, oltre i suoi 187 quadri, gli argenti, il mobilio, le carrozze, nonché altre numerose fedi di credito...! Dispose che tutte le sostanze dopo l'avvenuto inventario fossero vendute e "... che di quel denaro ricavato fosse invertita la rendita in soccorso di gentiluomini e di gentildonne poveri o di nobili famiglie di fuori, e dimoranti in Napoli o nelle sue borgate."
Piazza B. Tafuri e facciata della chiesa del SS. Salvatore, anno 2004 |
Nel suo testamento aggiunse un
codicillo, che così recitava:“Io Francesco de Mura di questa Città ritrovandomi infermo di corpo, sano
però per la Dio grazia di mente, e d’intelletto, e del mio retto parlare e memoria parimente
esistente, dichiaro, che sotto il dì undici Ottobre dell’anno 17ottanta feci il
mio inscriptis chiuso, e suggellato Testamento, che diedi a conservare al regio
Notar D. Michele Valenzia di Napoli. Indi il 26 Febbraio dell’Anno 17ottantuno
feci un Codicillo chiuso che consegnai parimenti…”.
Tra le disposizioni dettate si
legge anche un pensiero di riconoscenza nei riguardi del suo notaio e amico
Michele Valenzia:
Autoritratto di Francesco de Mura (Galleria degli Uffizi) |
E voglio che gli esecutori del presente mio Codicillo siano quelli stessi da me stabiliti nel citato testamento inscriptis, con le medesime facoltà, e non altrimenti. E finalmente dichiaro, che con il suddetto mio testamento, ordinai di corrispondersi al mag.co Notar Don Michele Valenzia, annui docati venticinque sua vita durante, colle leggi e condizioni indetto Testamento…”.
Si noti, nella lettura dei brani estratti dal testamento, la ricorrente menzione dell’avvocato Giambattista Gallotti, dichiarato suo "carissimo amico e compadre”...
…Ogni dubbio si debba sciogliere e, dichiarare dal suddetto Sig.r Avvocato D. Gio: Battista Gallotti a chi ho
comunicata tutta la mia volontà, e che mi ha consigliato nel presente mio
Testamento, e la dichiarazione facienda dal medesimo, si abbia come parte del
presente mio Testamento, e si debba ad unguem osservare ed eseguire dal detto
mio Erede, atteso così è mia volontà.
Piscinola Lì undici Ottobre millesettecento ottanta- Io Francesco di Mura ho disposto come sopra.
Piscinola Lì undici Ottobre millesettecento ottanta- Io Francesco di Mura ho disposto come sopra.
Chiesa del SS. Salvatore parte absidale |
Nello stesso testamento, stipulato nello studio di Piscinola, il De Mura dispose anche il luogo della sepoltura, al sopraggiungere della sua morte: "...nella chiesa del convento di S. Pasquale di 88 alcantarini di Chiaja, al quale convento si ritrovano pagati ducati 50 per detto interro...".
Guarigione di un cieco, tela di F. De Mura |
Le sue ultime volontà concludono,
dicendo: “Lascio Esecutori di questo mio
ultimo testamento L’ill.re Marchese Presidente della regia Camera della
Sommaria, Sig.r Don Angelo Granito, L’Ill.re Marchesino D. Giovanni Granito e L’Avv.
Sig.re D. Gio: Battista Gallotti.
Il giorno 19 agosto 1784, nel pieno della calura estiva, Francesco De Mura morì al terzo piano del palazzo del principe di Torino (nell'attuale via Foria, tratto Pontenuovo), dove abitava in un appartamento composto da sedici stanze, località quella della città all'epoca assai amena.
Il giorno 19 agosto 1784, nel pieno della calura estiva, Francesco De Mura morì al terzo piano del palazzo del principe di Torino (nell'attuale via Foria, tratto Pontenuovo), dove abitava in un appartamento composto da sedici stanze, località quella della città all'epoca assai amena.
Le volontà del De Mura ebbero
anche un percorso giuridico alquanto travagliato, tanto che alla sua morte si ebbe una controversia sorta tra la Casa “Santa Ave Gratia Piena” e il “Pio
Monte Della Misericordia”, anche se quest'ultimo era considerato, chiaramente, beneficiario del patrimonio
per lascito testamentario, dell'intero immenso patrimonio dell'artista.
Ritratto del conte John J. Mahony, tela di Francesco de Mura |
Per quanto riguarda il terzo
personaggio di questo racconto storico, ossia dell’avvocato e giureconsulto, nonché barone, Giovanbattista
Gallotti, le fonti storiche riportano che era originario della provincia di
Salerno, era infatti nato nel 1718, in terra di Battaglia.
All’età di 20 anni fu mandato
dai genitori a Napoli, a formarsi presso lo studio del cugino, l’avvocato Tomaso
Benevento. Studiò le varie discipline umanistiche e scientifiche, la filosofia e le
lingue antiche, ma poi si soffermò sul diritto naturale, ecclesiastico e di
guerra, acquisendone ampia conoscenza ed erudizione. Si dedicò all’insegnamento
e all’attività forense, distinguendosi per rettitudine, onestà e dedizione.
Ritratto di prelato, opera di F. De Mura |
Rinunciò
alla carica di giudice della Gran Corte della Vicaria, offertagli dal Re Ferdinando
I, per le sue doti e per lo stile accademico: rinunciò alla toga, sacrificando tutto
se stesso alla difesa dei diritti sacri dell’uomo e alla difesa dei diritti dei
suoi assistiti.
Anche se non lasciò opere di grande
mole, nessuno che abbia letto le scritture legali di Giambattista Gallotti gli potrà
negare il valore e la laude di sommo giureconsulto, esaltandone lo stile che lo contraddistinsero.
Fu apprezzato in patria, così come dagli studiosi stranieri. Uomo molto
religioso, pose sempre la fede come baricentro del suo operare con giustizia ed
equità.
Facciata chiesa parrocchiale del SS. Salvatore, anno 2004 |
Ai baroni Gallotti sono legati altri episodi ed eventi della storia del Casale di Piscinola, che narreremo, per ovvie ragioni di spazio e di argomento, in un apposito post futuro.
Salvatore Fioretto
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Napoli Chiesa dei Santi Severino e Sossio -Volta affrescata da Francesco De Mura |
Allegoria, opera di F. De Mura |
Le foto riportate in questo post sono state liberamente tratte da alcuni siti web dove erano contenute, questo senza alcun fine di lucro, ma solo per la libera divulgazione della cultura.
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