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Lo scrittore e giornalista Giuseppe Marotta |
“Mare Verde" è una canzone
musicata dal Maestro Salvatore Mazzocco, ma non tutti sanno che i versi furono
scritti da Giuseppe Marotta, l'autore de "L'oro di Napoli". Don
Peppino Marotta scriveva canzoni per diletto, come attività secondaria, ma in
realtà teneva moltissimo ai suoi testi musicali, tanto che, come è riportato
nella sua biografia a cura di Vittorio Paliotti, Don Peppino fu protagonista di
un episodio alquanto insolito per un uomo mite come lui. Si era nel 1961,
quando questa canzone, cui teneva particolarmente, interpretata da Mario Trevi
e Milva, fu cantata al "Giugno della canzone Napoletana", importante
manifestazione canora, che quell'anno sostituì il Festival di Napoli. Ebbene,
la canzone si classificò seconda perché un giurato le assegnò un voto
bassissimo, mentre, col massimo dei voti, spianò la vittoria a
"Credere", una modesta esecuzione dalla stessa Milva e Nunzio Gallo,
di cui si sono perse completamente le tracce. Marotta si recò in Galleria,
passò, forse apposta, al bar dove era solito intrattenersi quel giurato, il
quale vedendolo esclamò: "Don Peppino bello, cosa posso offrire?".
"Oggi offro io!" rispose lo scrittore e gli scaricò tanti di quei paccheri, che ...glielo
dovettero togliere da sotto...! Un'altra
attività secondaria di Marotta era la critica cinematografica.
Pubblicò un
libro dal titolo "Di riffe o di raffe", tipica e intraducibile
espressione napoletana, che raccoglieva le sue recensioni cinematografiche.
Articoli riferiti a film, a volte pessimi, ma che costituivano solo lo spunto
per permettere a Marotta di raccontare i "fattarielli" della sua
Napoli, come ben seppe fare poi in seguito anche Luciano De Crescenzo col suo
Prof. Bellavista. Era conosciuto dalle maschere di tutti i migliori cinema di
Napoli, quel signore che si sedeva nelle ultime file, e scriveva con una strana
penna, formata da due parti, la penna e vera propria e la parte superiore, che
montava una piccola torcia a pila, che gli permetteva di prendere appunti nel
buio della sala, mentre seguiva il film.
Io quella penna l'ho vista...!!
O almeno
credo di averla vista. Allora pensai che fosse una sorta di arma impropria,
come una canna di pistola sormontata da una specie di mirino, che fuoriusciva
dal taschino di una giacca.
Ricordatevi questo particolare...!
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Lo scrittore Giuseppe Marotta |
Ci sono documenti dell'epoca, che
dimostrano che all'inizio del secolo scorso, il proprietario terriero, l’avvocato
Don Mimì Del Forno, chiese alle autorità il marchio di origine per un prodotto
autoctono di assoluta unicità. Oggi si direbbe DOC: le Perzeche di "'Ndonio 'o
Riccio", come le chiamavano... Pesche enormi, vellutate al tatto. Turgide
e generose, invitanti come un seno di nutrice (espressione Marottiana).
Il
fondo di don Mimì Del Forno era coltivato da mio zio, che chiamavo zio Peppe, e
spesso da piccoli frequentavamo.
Don Mimì Del Forno, che tutti
chiamavamo "'O signore", era solito accompagnarsi nella tenuta di
Piscinola con alcuni amici ed amiche, tutte bellissime, che sfoggiavano
eleganti vestiti e cappellini fatti con stoffe ricercate che abbagliavano
letteralmente le mie cugine. Io e Carminiello eravamo più abbagliati dalle
signorine. Gli uomini avevano sempre nomignoli vezzeggiativi, un po’ come il “Barone
degli Ulivi” di Totò, in "Signori si nasce", che si faceva chiamare
Zazzà.
Un vezzo dell'epoca per i nobili:
venivano sempre in calesse. Oltre a Don Mimì, mi ricordo un don Ciccio e un don
Alfò. E c'era anche un Don Peppino... Era quello che mi incuriosiva di più,
perché portava sempre con sè uno strano oggetto, come una canna di pistola col
mirino che fuoriusciva dal taschino della sua giacca. Ve la ricordate quella
strana penna che Marotta usava nel buio delle sale cinematografiche…!?
Doveva, o poteva essere, lo
stesso oggetto.
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Giuseppe Marotta con il cantante Aurelio Fierro |
Perché, per me, si trattava di
Giuseppe Marotta, che non era nobile, ma amava accompagnarsi coi nobili, i
quali erano onorati della sua amicizia. Una frase tratta da una sua opera,
potrebbe rivelarsi chiarificatrice: "Mi rendo conto oggi, solo oggi, che
il destino, o chi per esso, tollera i ricchi, ma li adopera come ingenui
strumenti, li obbliga a non turbare l'ingiustizia e l'inimicizia
universali", oppure, forse ricordandosi della fame e la miseria patite da
ragazzo, orfano di padre, cresciuto con la sorella Ada e la poverissima mamma,
per esorcizzare e allontanare i guai, soleva dire: "Avete malattie, corna,
pene di qualsiasi genere? Per carità, tenetevele!".
Giuseppe Marotta, benché nato a
Capodimonte, aveva vissuto la sua infanzia in Via Materdei, dove tornava spesso
a trovare i sui amici di una volta, tra cui alcuni erano nobili. Coincidenza
vuole che il palazzo della famiglia Del Forno, ubicato tuttora tra piazzetta
Materdei e Via S. Gennaro a Materdei, era vicinissimo alla povera abitazione di
Marotta. Potrebbe trattarsi di un'amicizia d'infanzia, di quelle che durano nel
tempo. Vorrà dire qualcosa? Per me si.
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Portale di ingresso al tenimento della famiglia Del Forno a Piscinola |
Il biografo postumo dello
scrittore, il Prof. Vittorio Paliotti sostiene che la canzone "Mare Verde" fosse stata ispirata a
Marotta dalla vista del prato dello stadio S. Paolo di Napoli. Benché io
consideri quello stadio come il tempio in cui sono state officiate le gesta del
più grande giocatore di tutti i tempi…, mi permetto, molto sommessamente, di
dissentire. Marotta in tutta la sua vastissima bibliografia non ha mai, dico
mai, accennato a un evento sportivo. Forse non era neanche tifoso di calcio.
Era nota la sua proverbiale pigrizia. Mi chiedo come può il terreno di uno
stadio di calcio ispirare versi come: "Nun è campagna è mare, mare verde,
nu golfo d'erba, na scugliera e fronne, ca luntano se perde sott'o cielo d'està"?
Chiudete gli occhi... un po' di fantasia... e potreste rivedere la Scampia che fu...

Chissà se durante quelle passeggiate in calesse con i suoi nobili amici, non
avesse conosciuto una giovane e bionda contadina a cui dedicare: "L'ombra
te veste, ma te spoglia 'o sole, si' d'oro comm'o grano...". Poi continuava
con: "Dorme nu bosco e canta na surgente, sisca nu treno sott'a na
muntagna, va sbarianno c'o viento, na palomma cà e la". Se si trovava al
S. Paolo, quella farfalla doveva essere scappata da un'altra canzone, magari di
Dorelli: "vola la farfalla impazzita oh oh...". Il treno era
chiaramente la "Piedimonte", di cui parleremo più in là e le montagne, senza i
palazzoni attuali, erano le colline del casertano che si intravedevano
all'orizzonte.
E la sorgente? Non era una licenza poetica: c'era anche quella!
I piscinolesi erano ingegnosi. Le strette stradine del paese, lastricate di
basoli lavici, erano tutte in pendenza: 'Ncopp 'o monte, era via Madonna delle
Grazie, 'O Cap 'e coppa, via Vittorio Emanuele, Abbascio Miano era Via Napoli,
i vicoli primo e secondo Plebiscito erano le due "Venelle" di 'O Cap 'a Chianca, Via G. A. Campano era
'Ncopp 'a Vianova 'e Chiaiano. Areta Vigna oggi è storpiata in Via Dietro la
Vigna, che anche i documenti ufficiali confondono ancora con una inesistente
Via Pier delle Vigne. Le acque piovane raccolte lungo queste strade, tutte in
pendenza, confluivano Abbascio all'Acquarone, e da qui immesse in una
grandissima vasca detta piscina, da cui Piscinola, ubicata al centro del paese.
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Palazzo della famiglia Del Forno, a Materdei |
Altra località era detta Piscinella, evidentemente sede di piscine più
piccole. Ma tutte queste vasche erano collegate tra loro da canali che gli
stessi contadini provvedevano a costruire e deviare alla bisogna. Non avevano
niente da invidiare ai famosi Regi Lagni Borbonici, erano solo di dimensioni
più ridotte, ma altrettanto utili ed efficaci. Ma, mentre la costruzione dei
Regi Lagni era costata ingentissimi capitali ai Borboni, qua le cose si
facevano in economia, con l'ausilio di qualche vanga, zappa o marazzola. Senza
ingegneri, ma con ingegno, avevano sempre a disposizione l'acqua per rendere
ancora più fertile questa già fertilissima terra. I campi si potevano allagare
anche quando non pioveva, formando rigagnoli con rane e rospi, che attiravano
anche bisce acquatiche.
Con Carmeniello trovai anche una tartaruga ('a
cestunia), che riuscimmo a salvare, dal divenire un ottimo secondo piatto...
Queste erano, o avrebbero potuto essere, le sorgenti descritte nel testo della
canzone.
Troppe cose combaciano, ma non ci sono prove storiche.
Voi che ne
dite?
La pensate come l'esimio Prof. Vittorio Paliotti, che sostiene che la
canzone fu ispirata a Marotta dal prato del S. Paolo? Io, certo, con qualche
forzatura, un po’ di fantasia, ma tanto amore verso questo quartiere, sono portato
a pensare che i versi di "Mare Verde" siano la perfetta descrizione
di quello che furono questi luoghi.
Fosse anche solo per poterne continuare ad
intonare il finale: "...e ce perdimmo pe' stu mare verde...".
Pasquale di Fenzo
(Tutti i diritti per la pubblicazione dei testi del blog sono riservati all'autore, ai sensi della legislazione vigente)
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Portale e strada di accesso al tenimento di proprietà Del Forno a Piscinola |
Particolareggiata e suggestiva la tua testimonianza storica, caro Pasquale. AnnaMaria
RispondiEliminagrazie a Salvatore Fioretto che ha riordinato questi mie ricordi
RispondiEliminaPasquale Di Fenzo
Ce' ancora molto da imparare. ancora un nuovo tassello di storia Piscinolase grazie all'amico Pasquale
RispondiEliminaL'amenità dei tuoi racconti, Pasquale, non solo ci conduce dolcemente a rivivere il passato
RispondiElimina.... ma ci astrae da un presente, fatto di altri (dis-) valori, restituendoci, anche se per pochi felici momenti la bellezza delle nostre origini!
RispondiEliminaGrazie Rosa per le belle parole. Le stesse tue sensazioni le ho recepite leggendo il libro dell'amico Gigi Sica ('o tabbaccaro) nel suo "Il borgo perduto", dove puoi trovare decine di piccoli racconti narranti la "gens piscinolese"
RispondiEliminaP.le Di Fenzo