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sabato 1 febbraio 2020

Una terra di santi... poeti, giuristi e navigatori.: il barone avv. Giambattista Gallotti (V parte)

Continuando la serie delle biografie riguardanti i personaggi che sono nati o hanno trascorso una parte della loro esistenza nell'antico Casale di Piscinola, ricordiamo in questo post la figura del Barone Giambattista Gallotti, che fu celebre giureconsulto del Regno e nominato dal Re Ferdinando I, Soprintendente della Chiesa Parrocchiale del SS. Salvatore in Piscinola.
Il tribunale della Vicaria a Napoli
Del barone Gallotti già avemmo modo di accennare alla sua presenza e alla sua attività a Piscinola, quando descrivemmo la vita del pittore Francesco De Mura e del notaio Michele Valenzia.
Giambattista Gallotti ebbe i natali nel comune di Battaglia, in provincia di Salerno, nell'anno 1718. Suo padre, Carlo, che fu barone dei feudi di Battaglia e di Casaletto, si mostrò sempre un uomo integerrimo e di nobili costumi. 
Dotato fin dalla tenerissima età di grande ingegno, Giambattista si mostrò precocemente sveglio e arguto nell'apprendimento, oltre a essere dotato di carità religiosa nel far del bene; tali doti precoci fecero subito accendere nei genitori la speranza di un fulgido futuro, a lui riservato. 
All'età di venti anni, i genitori concordarono nel trasferire Giambattista nella capitale del Regno e di affidarlo alle cure del cugino, Tommaso Benevento, che era affermato avvocato del foro di Napoli. Anche l'avvocato Tommaso, si distingueva per la sobrietà dello stile di vita e la rigida condotta: cose che destarono forte emulazione nel giovane e contribuirono a plasmare il suo carattere. Dall'avvocato Benevento, Giambattista apprese i primi rudimenti del diritto. Oltre allo studio delle opere più famose degli scrittori greci e latini, il suo interesse si estese, poi, alle opere degli scrittori e poeti della letteratura italiana antica. 
Ritratto del barone Giambattista Gallotti in età senile
Studiò la filosofia, le scienze naturali conosciute nella sua epoca e, quindi, le materie di giurisprudenza. Il diritto naturale, con le istituzioni di Eineccio, gli scritti di Burlemachio, i doveri dell'uomo e del cittadino trattati da Pussendorfio, il diritto della guerra e della pace di Ugon Grozio, il diritto delle genti del Wattel, nonché i trattati giuritici di Seldeni, di Coccei e di Tomasii. Seguirono gli studi del diritto romano, ovvero dello spirito di legislazione di quelli che furono i conquistatori del mondo. Dopo le istituzioni di Giustiniano, affrontò la lettura dei commenti del Vinnio, del Cujaceo, del Perezio, del Goveano, di Noodt, di Brunemanno, di Duareno, di Fabron, di Domat, di Giaconzo e di Dionisio Gotofredi. Continuò con le opere dei giuristi del diritto patrio antico: di Matteo d'Afflitto, di Andrea d'Isernia, Andrea di Capua, di Carlo Tapia, di Rovito, di Marinis e del De Franchis. Studiò il diritto criminale.
Studiò le opere di Anton Mattei, di Beon, di Beccheria e di Romagnosi.
Studiò diritto canonico, immergendosi nello studio e nell'apprendimento attraverso le opere di  Vanespen, Florente, Barbosa, Aluiso, Boemero e Tomasio.
Passò quindi a sperimentare il terreno pratico dell'attività forense, per mettere in pratica l'erudizione appresa nello studio.
"Ed eccolo nell'arido terreno sparso di bronchi e di spine, in cui non di rado l'impostura il cavillo e la mediocrità rapiscono il premio al vero merito e i buoni talenti non possono fare a meno di vedersi trasandati e avviliti ....". (cit.)
Piscinola, Piazza Municipio (oggi piazza B, Tafuri), part. da cartolina d'epoca
Il nostro Gallotti, entrato, per così dire, in quel mare immisurabile dell'attività del Foro, pieno di nobili idee e di coraggio, non si smarrì, ben sapeva che la conquista della fama di "Principe del Foro" dipendeva dalle capacità dell'intelletto e da altri nobili qualità, che non appartengono al resto degli uomini, sapendo che la più essenziale delle cognizioni dell'avvocato doveva essere la conoscenza dello spirito e del cuore umano.
Era convinto, infatti, che il primo dovere dell'avvocato era quello di saper conoscere gli uomini, essere istruito delle loro virtù, dei loro vizi, delle loro debolezze;  essere dotato della più vasta intelligenza, del più facile discernimento e della capacità di conoscere e saper applicare le regole e i principi legali ai casi particolari. Per quanto concerne le virtù del cuore, l'avvocato, per il Gallotti, doveva essere pronto a sacrificare con generosità la propria libertà, essere disposto a sormontare gli ostacoli che possono presentarsi, avere uno zelo ardente nel difendere l'infelice e l'innocente e, ancora, avere una nobile franchezza, saper coltivare il linguaggio della verità e, non ultimo, avere un disinteresse a tutta prova: tutto questo doveva contribuire a non alterare la grandezza di animo che deve caratterizzare il giureconsulto.
La Sua vasta conoscenza e l'intelligenza gli avvalsero la stima dei più ragguardevoli magistrati del Foro, dei colleghi e di quanti lo conobbero e lo frequentarono. Tale statura mantenne negli anni, sempre privo di lusinghe, d'ipocrisia, di sfrenato orgoglio, anche quando gli affidarono importati cause per controversie di natura feudali, ecclesiastiche, "fedecommessarie" e "consuetudinarie".
Nell'intendo di servire con umiltà la sua Patria, egli, privatamente, nella sua casa, offriva lezioni di diritto, con amore e passione, a una schiera di giovani allievi, bramosi di apprendere la nobile materia del diritto, della quale, Gallotti, ne era depositario e cultore.
A tutti destava ammirazione vedere il precettore essere attorniato da giovani studenti, che seguivano il maestro con interesse e questo li ripagava di limpidissima e chiara esposizione, li illuminava, li arricchiva e li temprava... Dai sui studenti uscirono giureconsulti di grande fama, tra cui: Vincenzo Aloi e Giuseppe Cappelli, quest'ultimo già consigliere della Suprema Corte di Giustizia.
La Sua notorietà talmente che si diffuse e fu apprezzata che il sovrano Ferdinando I, lo nominò, a giusto vedere, giudice della Gran Camera della Vicaria. Ma egli, sempre di animo modesto, ringraziò il monarca per l'onore concesso e rinunciò alla carica, preferendo dedicare tutto il suo tempo alla difesa dei diritti sacri dell'uomo, a difendere i suoi clienti e a guidare i suoi studenti.
Chiesa del SS. Salvatore parte absidale
Ciononostante, lo stesso re, Ferdinando I, lo assegnò al governo del Banco di San Giacomo e, poco dopo, lo nominò soprintendente della Chiesa Parrocchiale del SS. Salvatore in Piscinola. E per quest'ultimo tempio, il Gallotti si prodigò non poco, e ci riuscì, a condurre a termine il suo restauro, dato che al momento della sua investitura la chiesa si presentava praticamente nello stato cadente. C'è da aggiungere che, contrariamente ai tanti, che pur prodigandosi per risolvere i problemi, chiedono in cambio compensi o favori, il Gallotti non solo rifiutò i compensi spettanti, ma addirittura ci rimise anche del denaro dalla propria tasca...!
Fu amico del notaio Michele Valenzia di Piscinola e del celebre pittore Francesco de Mura. Fu, quindi, nominato dal De Mura esecutore del legato che egli concesse, con testamento, alla chiesa del SS. SalvatoreNel testo estrapolato dal testamento, che qui riportiamo in parte, si noti la ricorrente menzione dell’avvocato Giambattista Gallotti, dichiarato dal De Mura, suo "carissimo amico e compadre”... ecco il testo:
…Ogni dubbio si debba sciogliere e, dichiarare dal suddetto Sig.r Avvocato D. Gio: Battista Gallotti a chi ho comunicata tutta la mia volontà, e che mi ha consigliato nel presente mio Testamento, e la dichiarazione facienda dal medesimo, si abbia come parte del presente mio Testamento, e si debba ad unguem osservare ed eseguire dal detto mio Erede, atteso così è mia volontà. 
Piscinola Lì undici Ottobre millesettecento ottanta. Io Francesco di Mura ho disposto come sopra.
Il barone Salvatore Gallotti
Il pittore Francesco De Mura tanto apprezzava le qualità umane e spirituali del barone Gallotti, che gli volle regalare il crocifisso conservato nella sua casa, con questa disposizione: “Ed oltre a ciò Lego a beneficio dello stesso avvocato Sig.r Gio: Battista Gallotti il mio Crocifisso, che conservo in uno Scarabatto nella stanza del mio Letto, unito collo stesso Scarabatto ed altro di suo ornamento, acciò si ricordi dell’Anima mia”. Risultano aggiunti poi altri codicilli al testamento, il 16 luglio 1782. 
Le ultime volontà del pittore, sempre menzionando Gallotti, concludono, dicendo: “Lascio Esecutori di questo mio ultimo testamento L’ill.re Marchese Presidente della regia Camera della Sommaria, Sig.r Don Angelo Granito, L’Ill.re Marchesino D. Giovanni Granito e L’Avv. Sig.re D. Gio: Battista Gallotti.
Non sappiamo quanti figli ebbe Giambattista e nemmeno il nome della consorte, sappiamo però che il più celebre dei suoi figli fu Salvatore, che seguì le orme paterne di giureconsulto e di filosofo. Salvatore Gallotti nacque a Napoli nell'anno 1775, fu subito affidato al precettore Vincenzo De Verio, seguirono gli insegnamenti del padre, Giambattista, svolti tra le mura domestiche, poi del domenicano Minasi e di Marino Guarano. Fu dal Sovrano nominato giudice, prima del tribunale civile di Cosenza e, poi, di quello di Napoli. Fu nominato anche presidente dell'Accademia di Giurisprudenza a Napoli. Viene ricordato per essere stato uno dei primi commentatori delle opere di Giambattista Vico.
Ritornando a Giambattista Gallotti, sappiamo che fu un fervidissimo credente cattolico. Egli mise, sopra ogni cosa della vita, la religione, considerando che ogni verità è emanata da Dio, che è la verità infinita... Suo il nobile pensiero secondo il quale: ...laddove non vi è Dio, non vi è verità...! Le dottrine filosofiche ammortiscono e disseccano la vita, esse tutto tolgono all'uomo, eccetto la miseria... e lo conducono alla tomba assieme all'inquietudine e ai rimorsi. Da tali principi trasse una pietà solida e illuminata, che fu esempio per tutti.
Fu semplice come la verità, saggio come la legge, disinteressato come la giustizia; non si macchiò mai di alcuna onta di scandalo e non inseguì desideri di una falsa gloria.
Opera scritta da Giambattista Gallotti
Quando si avvicinarono gli ultimi momenti della sua vita, seppe attendere il giorno estremo con serenità, con confidenza e con attesa del giusto. Ripeteva spesso: "Paventi colui, che spandendo un velo sulla ragione, fabbricossi un sistema mostruoso, non ravvisò che un circolo eterno di cose, si atterrò sul sostegno delle sue infelicità, e fu così stolto, che assoggettandosi all'impero del capriccio e della forza, rendette assolute e sovrane tutte le voglie della natura peccatrice. Questo uomo tradì sé stesso, dissimulò e compresse i moti benefici del suo cuore, e gittandosi in una notte eterna e dubbiosa, ricusò sin nel sepolcro il conforto de' miseri, la speranza". (cit.)
Con queste frasi volle ricevere l'estrema unzione nella chiesa e, dopo aver dato l'ultimo saluto e benedizione ai suoi amati figlioli, carico di meriti e consumato dagli acciacchi e dagli anni, morì nel mese di giugno del 1799.
Non ci sono prervenute molte opere di Gallotti, ma coloro che hanno potuto leggere i suoi scritti di natura legale, si sono resi conto dello spessore del sommo giureconsulto. 
Coltivò in vita sua tantissime amicizie, perlopiù di persone che vivevano al di fuori dei confini del Regno. Alla sua dipartita furono in tantissimi a ricordarlo e a rimpiangerlo.
Gran parte di questa biografia sul barone Giambattista Gallotti è stata tratta dal discorso funebre, scritto dall'amico Nicola Morelli di Gregorio.
Salvatore Fioretto

sabato 20 giugno 2015

Un noto pittore, un giureconsulto e un notaio… salvarono dalla rovina la chiesa del SS. Salvatore in Piscinola…

Autoritratto, Francesco De Mura
La millenaria chiesa parrocchiale del Casale di Piscinola, dedicata al SS. Salvatore, ha avuto nella sua lunga storia momenti di splendore alternati a momenti di decadenza ed incuria... Più volte, infatti, nelle fonti storiche e nei vari documenti ritrovati, emergono problematiche legate allo stato di conservazione dell'edificio, vuoi per incuria umana e vuoi per fattori esterni, come eventi calamitosi: i terremoti, i nubifragi, ecc., nonché le conseguenti azioni  e le opere di ripristino.
Singolare è la storia che stiamo per raccontare, che vede legata questa  nostra antica chiesa alla figura di un grande pittore del secolo dei Lumiattivo nel periodo del tardo barocco-roccocò napoletano, parliamo del celebre artista Francesco De Mura. Al pittore si legano nella vicenda altri due personaggi, che pure hanno operato in questo piccolo Casale e lasciato una traccia della loro vita nella sua storia. Essi sono il regio notaio Michele Valenzia e il giureconsulto, barone Giambattista Gallotti.
Allegoria delle arti, di Francesco De Mura
Il pittore Francesco De Mura nacque a Napoli, il 21 aprile del 1696, da Giuseppe ed Anna Linguiti. Il padre, Giuseppe, era originario della provincia di Salerno (era nato a Scala, presso Amalfi), ma prese presto a frequentare Napoli per la professione esercitata di mercante, infatti negoziava la lana in una strada, che fu poi spazzata via dal Risanamento di Napoli, chiamata “via Orti del Conte”. Già dalla tenera età emersero le sue doti non comuni di apprendimento e di grande passione per le arti ornate.
SS. Severino e Sossio. Volta affrescata da Francesco De Mura
Dopo una brutta esperienza in un collegio napoletano, fu dai genitori indirizzato presso la bottega del pittore Domenico Viola, dal quale apprese i primi rudimenti della nobile arte. Ben presto, nell'anno 1708, passò nella più celebre bottega napoletana di pittura, quella dell’abate Francesco Solimena, che fu anche maestro del celebre Sant’Alfonso Maria de Liguori (nato anche lui nel 1696). Nella bottega del maestro Solimena, Francesco De Mura vi rimase fino a tutto il 1730.
Fu senza dubbio presso la bottega del Solimena - che subito lo predilesse e lo considerò il più dotato dei suoi allievi - che il De Mura acquisì, anche sulla scorta degli insegnamenti del Giordano, del De Matteis e del "colorare" di Giacomo Del Po, il suo mestiere e la capacità di un disegno forbito e delicato insieme. Famosi sono i panneggi dei personaggi rappresentati nelle sue opere.
Francesco De Mura divenne un’artista richiesto e ambito, sia nel Regno di Napoli e sia nelle più importati corti d'Europa, le sue tele sono oggi conservate nelle principali residenze reali e nei più importanti musei europei, dalla Spagna, alla Russia, finanche negli Stati Uniti d'America. Notevole sono le opere conservate presso le collezioni private, tra le più benemerite ed importanti.
Dipinto di Francesco De Mura
Le committenze, importanti, proseguirono senza sosta nella sua vita: i benedettini dell'abbazia di Montecassino e quelli della chiesa napoletana dei SS. Severino e Sossio gli offrirono interventi di notevole consistenza e prestigio che lo impegnarono per alcuni anni (1731-1745).
Datato 1740 è l'enorme affresco per la volta della chiesa napoletana dei SS. Severino e Sossio, retta dai padri benedettini, considerato suo capolavoro, rappresentante S. Benedetto e S. Scolastica che propagano le regole dell'Ordine. L'opera è stata il punto di riferimento per tutti i colti viaggiatori del "Grand Tour", da Cochin a Fragonard. Per la stessa chiesa dipinse, tutt'intorno all'enorme navata, 32 Santi, Pontefici e Vescovi benedettini, che furono pagati 1.800 ducati, il 25 dicembre 1745.
Chiesa della Nunziatella, volta affrescata da F. De Mura
Altro grande lavoro del De Mura fu la realizzazione, nel 1746, della tela gigantesca per la rimodernata chiesa angioina di S. Chiara a Napoli, da porre sull'altare maggiore (quasi come un fondale da palcoscenico...), al di sopra della tomba di Roberto d'Angiò: rappresentava S. Chiara ed altri santi francescani nel trionfo dell'Eucarestia, e venne distrutta dai bombardamenti del 1943 (resta una foto Alinari). Per la stessa chiesa De Mura realizzò la tela: S. Chiara che mette in fuga i Saraceni con il Santissimo, dipinta poco dopo il 1746, e Salomone che dirige l'edificazione del tempio, dipinta nel 1751-52.
La produzione artistica del De Mura è ampissima: tanto egli fu prolifico di tele e capolavori d'arte figurativa che elencare tutte le sue opere sarebbe un'impresa non poco ardua e corposa!
Martirio di Virginia, tela di Francesco De Mura
Il 3 settembre 1772, Luigi Vanvitelli scriveva: "Il migliore di tutti li dipintori, che presentemente sono in Napoli, nel quale concorrono le parti che avere deve un valent'uomo, per distinguersi sopra gli altri, egli è Don Francesco de Muro, di cui sarebbe desiderabile averne qualche opera a fresco sulle mura del Real Palazzo di Caserta..." (cfr. N. Spinosa, L. Vanvitelli e i pittori attivi a Napoli nella seconda metà del Settecento..., in Storia dell'arte, 1972, 14, pp. 204).
Il 20 maggio 1756 portò a compimento il magnifico ritratto del Cardinale Antonio Sersale (arcivescovo di Napoli dal 1754 al 1776).
La stanchezza (aveva ormai 75 anni) e il disgusto per le sopraffazioni subite in seno alla famiglia (cfr. Napoli, Pio Monte, Testamento, 17 febbraio 1770: "ebbi a soffrire molte inquietudini non compatibili né alla mia età né alle mie applicazioni..."), lo indussero a rinunziare alla prestigiosa carica di direttore della Reale Accademia di nudo, come risulta dalla lettera di dimissioni che firmò il 9 marzo 1770 (Lorenzetti, 1952). Malgrado la rinunzia all'incarico e l'accettazione delle sue dimissioni, al De Mura fu pagato lo stipendio sino alla sua morte.
Sacra famiglia e S. Giovanni Battista, tela di Francesco De Mura
Dal carattere schivo e riservato, ebbe e coltivò pochissimi amici, dei quali non si dimenticò mai e soprattutto volle lasciare loro un segno della sua stima, al momento della sua scomparsa.
Non sappiamo quali interessi l’artista ebbe nell’allora Casale di Piscinola, se dipinse tele per la chiesa del Salvatore (Diversi quadri sono andati perduti all'inzio del secolo scorso) o per l’Arciconfraternita del SS. Sacramento, all’epoca già attiva e operante, ma sappiamo che fu cliente e soprattutto amico di un famoso notaio regio dell’epoca, che a Piscinola aveva il suo studio, e forse l'abitazione, il cui nome era Michele Valenzia.
L’11 ottobre 1780 per mano del notaio Michele Valenzia di Piscinola, De Mura stilò il suo testamento e al Pio Monte di Misericordia di Napoli lasciò gran parte delle sue sostanze. Gli lasciò tutto quanto contenesse la sua casa: un capitale che raggiungeva la impressionante cifra (in danaro contante) di 55.454 ducati, oltre i suoi 187 quadri, gli argenti, il mobilio, le carrozze, nonché altre numerose fedi di credito...! Dispose che tutte le sostanze dopo l'avvenuto inventario fossero vendute e "... che di quel denaro ricavato fosse invertita la rendita in soccorso di gentiluomini e di gentildonne poveri o di nobili famiglie di fuori, e dimoranti in Napoli o nelle sue borgate."
Piazza B. Tafuri e facciata della chiesa del SS. Salvatore, anno 2004
Il pittore, ormai vecchio, era rimasto solo, senza figli e senza eredi diretti; nel 20 giugno 1768 era morta la sua cara moglie, D. Anna D’Ebreù, che aveva sposato nel novembre del 1727.
Nel suo testamento aggiunse un codicillo, che così recitava:“Io Francesco de Mura di questa Città ritrovandomi infermo di corpo, sano però per la Dio grazia di mente, e d’intelletto, e  del mio retto parlare e memoria parimente esistente, dichiaro, che sotto il dì undici Ottobre dell’anno 17ottanta feci il mio inscriptis chiuso, e suggellato Testamento, che diedi a conservare al regio Notar D. Michele Valenzia di Napoli. Indi il 26 Febbraio dell’Anno 17ottantuno feci un Codicillo chiuso che consegnai parimenti…”.
Tra le disposizioni dettate si legge anche un pensiero di riconoscenza nei riguardi del suo notaio e amico Michele Valenzia:
Autoritratto di Francesco de Mura (Galleria degli Uffizi)
[...]“Item lascio juri Legati al suddetto Regio Notar Don Michele Valenzia, mio carissimo amico, docati cento per una sola volta, per un fiore per le tante fatighe per me fatte…”. Il De Mura dispose in un codicillo aggiunto posteriormente al primo testamento, un aiuto concreto per la riattazione della chiesa del Salvatore, intimando il suo erede, il Pio Monte della Misericordia, a provvedere secondo le necessità dell'edificio sacro, attraverso il suo regio sovrintendente: “Dippiù io suddetto D. Francesco, codicillando, voglio, ordino e comando che, occorrendo al detto avvocato Sig.r  D. Gio: Battista Gallotti, mio carissimo Amico e  Compadre, soccorso per provedere alli bisogni della parocchiale chiesa del Casale di Piscinola, debba il detto Sacro Monte mio Erede somministrarcelo, secondo ne farà Le Istanze e richieste il detto Avvocato Sig.r D. Gio: Battista Gallotti, per lo quale soccorsomi le rimetto alla coscienza del medesimo… 
E voglio che gli esecutori del presente mio Codicillo siano quelli stessi da me stabiliti nel citato testamento inscriptis, con le medesime facoltà, e non altrimenti. E finalmente dichiaro, che con il suddetto mio testamento, ordinai di corrispondersi al mag.co Notar Don Michele Valenzia, annui docati venticinque sua vita durante, colle leggi e condizioni indetto Testamento…”
Si noti, nella lettura dei brani estratti dal testamento, la ricorrente menzione dell’avvocato Giambattista Gallotti, dichiarato suo "carissimo amico e compadre”... 
…Ogni dubbio si debba sciogliere e, dichiarare dal suddetto Sig.r Avvocato D. Gio: Battista Gallotti a chi ho comunicata tutta la mia volontà, e che mi ha consigliato nel presente mio Testamento, e la dichiarazione facienda dal medesimo, si abbia come parte del presente mio Testamento, e si debba ad unguem osservare ed eseguire dal detto mio Erede, atteso così è mia volontà.  
Piscinola Lì undici Ottobre millesettecento ottanta- Io Francesco di Mura ho disposto come sopra.
Chiesa del SS. Salvatore parte absidale
In effetti anche questo personaggio è stato attivo a Piscinola, lasciandone ampia e meritoria memoria del suo operato. Il pittore Francesco De Mura tanto apprezzava le qualità umane e spirituali del barone Gallotti, che gli volle regalare il crocifisso conservato nella sua casa, con questa disposizione: “Ed oltre a ciò Lego a beneficio dello stesso avvocato Sig.r Gio: Battista Gallotti il mio Crocifisso, che conservo in uno Scarabatto nella stanza del mio Letto, unito collo stesso Scarabatto ed altro di suo ornamento, acciò si ricordi dell’Anima mia”.
Nello stesso testamento, stipulato nello studio di Piscinola, il De Mura dispose anche il luogo della sepoltura, al sopraggiungere della sua morte: "...nella chiesa del convento di S. Pasquale di 88 alcantarini di Chiaja, al quale convento si ritrovano pagati ducati 50 per detto interro...". 
Guarigione di un cieco, tela di F. De Mura
Aggiungerà poi altri codicilli al testamento, il 16 luglio 1782. 
Le sue ultime volontà concludono, dicendo: “Lascio Esecutori di questo mio ultimo testamento L’ill.re Marchese Presidente della regia Camera della Sommaria, Sig.r Don Angelo Granito, L’Ill.re Marchesino D. Giovanni Granito e L’Avv. Sig.re D. Gio: Battista Gallotti. 
Il giorno 19 agosto 1784, nel pieno della calura estiva, Francesco De Mura morì al terzo piano del palazzo del principe di Torino (nell'attuale via Foria, tratto Pontenuovo), dove abitava in un appartamento composto da sedici stanze, località quella della città all'epoca assai amena.
Le volontà del De Mura ebbero anche un percorso giuridico alquanto travagliato, tanto che alla sua morte si ebbe una controversia sorta tra la Casa “Santa Ave Gratia Piena” e il “Pio Monte Della Misericordia”, anche se quest'ultimo era considerato, chiaramente, beneficiario del patrimonio per lascito testamentario, dell'intero immenso patrimonio dell'artista.
Ritratto del conte John J. Mahony, tela di Francesco de Mura
Nella controversia in parola l'”Ave Gratia Piena” pretendeva l'eredità, avanzando come prova la versione secondo la quale il De Mura era stato un trovatello "esposto" alla ruota dell'Annunziata, battezzato col nome di Francesco e successivamente affidato, perché lo allevasse, ad Andreana Pastore, moglie del lanaiolo Pompilio di Amura (cfr. Causa, 1970, pp.5 2 s.). Per questo il De Dominici (1743) scriveva che il pittore era figlio di Pompilio…
Per quanto riguarda il terzo personaggio di questo racconto storico, ossia dell’avvocato e giureconsulto, nonché barone, Giovanbattista Gallotti, le fonti storiche riportano che era originario della provincia di Salerno, era infatti nato nel 1718,  in terra di Battaglia. 
Ritratto di prelato, opera di F. De Mura
All’età di 20 anni fu mandato dai genitori a Napoli, a formarsi presso lo studio del cugino, l’avvocato Tomaso Benevento. Studiò le varie discipline umanistiche e scientifiche, la filosofia e le lingue antiche, ma poi si soffermò sul diritto naturale, ecclesiastico e di guerra, acquisendone ampia conoscenza ed erudizione. Si dedicò all’insegnamento e all’attività forense, distinguendosi per rettitudine, onestà e dedizione.
Rinunciò alla carica di giudice della Gran Corte della Vicaria, offertagli dal Re Ferdinando I, per le sue doti e per lo stile accademico: rinunciò alla toga, sacrificando tutto se stesso alla difesa dei diritti sacri dell’uomo e alla difesa dei diritti dei suoi assistiti.
Anche se non lasciò opere di grande mole, nessuno che abbia letto le scritture legali di Giambattista Gallotti gli potrà negare il valore e la laude di sommo giureconsulto, esaltandone lo stile che lo contraddistinsero. Fu apprezzato in patria, così come dagli studiosi stranieri. Uomo molto religioso, pose sempre la fede come baricentro del suo operare con giustizia ed equità.
Facciata chiesa parrocchiale del SS. Salvatore, anno 2004
Fu chiamato ad amministrare la chiesa del SS. Salvatore di Piscinola dal re Ferdinando I, infatti nel libro “Opere di Nicolò Morelli dall’autore medesimo rivedute corrette e ammendate, 1846 Volume I”, così si riporta: [...]"Il magnanimo Ferdinando I obliar non potendo il riverito nome del nostro Gallotti, lo chiamava al governo del Banco di S. Giacomo, e poco di poi creavalo sopraintendente della Chiesa parrocchiale di Piscinola. Corrispose alla fiducia del suo Signore assai del proprio contributo per la ristaurazione di quel cadente edificio. Che se alcuno non reputa questo un gran pregio, io lo prego a considerare, che mentre pure sono creduti utili alla città coloro che faticando per essa, non ne ricusano mercede, Giambatista alle fatiche imprese a vantaggio della sua patria, e dei suoi concittadini aggiunse ancora il dispendio. Morì nel mese di giugno del 1799. 
Ai baroni Gallotti sono legati altri episodi ed eventi della storia del Casale di Piscinola, che narreremo, per ovvie ragioni di spazio e di argomento, in un apposito post futuro.
Salvatore Fioretto
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Campanile della chiesa del SS. Salvatore, veduta dalla Villa Mario Musella, anno 2015


Napoli Chiesa dei Santi Severino e Sossio -Volta affrescata da Francesco De Mura




Allegoria, opera di F. De Mura

Le foto riportate in questo post sono state liberamente tratte da alcuni siti web dove erano contenute, questo senza alcun fine di lucro, ma solo per la libera divulgazione della cultura.

domenica 21 giugno 2020

Il Comune di Piscinola, tra la Restaurazione borbonica e l’Unita’ d’Italia (parte seconda)


Continuiamo in questo post la narrazione delle vicende storiche del Comune di Piscinola, che abbiamo iniziato nella parte prima, e analizzeremo sinteticamente i motivi che causarono l'epilogo dell'Ente comunale. 
La vita dell'amministrazione piscinolese continuò, dopo la restaurazione borbonica, in seno alla conservata struttura della Provincia di Napoli, sotto la soprintendenza del Distretto di Casoria. In quel periodo Piscinola contava 2218  abitanti (anno 1858), quasi tutti dediti ai lavori agricoli nei campi del territorio comunale. C'erano anche un discreto numero di persone dedite ai lavori nell'edilizia, nella manutenzione delle selve e nelle cave di Chiaiano, per l'estrazione del tufo. Purtroppo il ridotto numero degli abitanti, l'esigua estensione territoriale del Comune e, soprattutto, la mancanza di una imprenditoria fiorente e di un mercato di derrate prodotte, che portassero introiti alle casse comunali, attraverso le imposte dei dazii sui beni di consumo, furono significativamente determinanti per l'esistenza del  Comune di Piscinola, portando alla sua rapida soppressione, avvenuta nell'anno 1866 (1 gennaio).
Il bilancio delle casse comunali erano quindi gravate da debiti significativi, a fronte dei quali il Comune non riusciva nemmeno al pagamento dei ratei degli interessi annuali. Questi debiti derivavano soprattutto da impegni finanziari contratti dal Comune nei decenni precedenti all'Unità d'Italia e che furono acquisiti dalla famiglia Gallotti, dal precedente debitore, don Vito Majullari (ducati 8900)
Non conosciamo ancora con precisione le cause che portarono alla formazione del debito; sappiamo che una parte di esso scaturì dal debito contratto con il duca don Giuseppe Giordano di Falangola (ducati 2032), come descritto nella prima parte, purtuttavia c'erano anche delle sostanziose pendenze pregresse e una traccia ci conduce addirittura al periodo vicereale, quando fu richiesta dalla comunità un'ingente liquidità di danaro, per far fronte al "riscatto" del Casale contro la paventata compavendita. Ma questa è materia di ulteriori future ricerche storiche.
Poi c'erano le spese per la manutenzione corrente del territorio, le spese amministrative e i contributi che il Comune doveva versare ogni anni alle casse dell'Ente provinciale per la realizzazione delle infrastrutture nel territorio provinciale...
Ecco alcune delle numerose delibere scritte durante le sedute della Deputazione della Provincia di Napoli di quegli anni, riguardanti i solleciti e le interpellanze rivolte al Comune di Piscinola, per il pagamento dei creditori o per la conciliazione a fronte della richiesta di aumento degli interessi da parte degli stessi. Quando troveremo altre informazioni, provvederemo a implementare e ad aggiornare questo elenco. 

Dal “Giornale dell’intendenza della Provincia di Napoli”, anno 1859 settembre n.19 Consiglio provinciale Risoluzioni Sovrane su i voti del Consiglio provinciale del 1859. 
14°.  In ordine alla imposizione di grana otto addizionali al contributo diretto di Piscinola per addirsene il prodotto a pagare a favore della famiglia del Barone Gallotti  l’annua rata di duc. 500,, - pel debito di oltre duc. 9000,, - con l’interesse pel 3 ed un quarto per cento; il Consiglio opinava di chiamarsi le parti a novella conciliazione, ed in ogni caso, di limitarsi a sole grana quattro la progettata imposizione; potendosi al mancante supplire con levarsi la tariffa del dazio sul consumo del vino. Ha determinato la M.S. che ella categoricamente vi riferisca.

Dagli atti dell'Archivio storico per le Provincie Napoletane, del periodo 1859-1863

L’11 febbraio si approva l’aumento della tassa in Cardito, Piscinola e Portici, con aumento per quest’ultimo comune della tassa del vino per sanare “un deficit di ducati 2000 esitati dalle casse comunali nel 1859 per truppe in transito e manutenzione di strade in occasione della permanenza della regia corte”; nella stessa occasione veniva quasi raddoppiato il tributo di Mugnano (A.S.N., ivi).

59.° I. Veduta la precedente deliberazione del 14 novembre ultimo, con cui furono domandati taluni schiarimenti circa la convenzione progettata tra il Municipio di Piscinola, ed i signori Gallotta creditori del Comune.
Veduta la deliberazione di quella Giunta municipale del 1° corrente mese, dalla quale risulta di non essersi la giunta medesima uniformata alle disposizioni della Deputazione.
Considerato che ai termini dell’art. 133 della legge comunale e provinciale possono meritare approvazione le contrattazioni di prestiti, non già progettati in astratto, o trattative di accordi senza che sieno definiti i patti tutti del contratto.
Inteso il Deputato signor Scotti Galletta,
La Deputazione non trova luogo a deliberare sugli atti di sopra accennati della Giunta municipale di Piscinola, e di nuovo invita ad uniformarsi alle deliberazioni del 14 novembre 1863.

72.° VII. Il Sindaco di Piscinola domandò dilazione a tutto il mese corrente per la soddisfazione del ratizzo delle opere pubbliche provinciali del 1863, atteso la deficienza del numerario in cassa.
La Deputazione
Inteso il Deputato signor Colletta,
Annuisce alla domanda.

278.° XXIII. La giunta Municipale di Piscinola, con deliberazione del dì 24 del passato mese, domandò l’autorizzazione di stare in giudizio contro il Barone signor Giuseppe Gallotti, il quale per credito contro il Comune di L. 30,330.76 aveva eseguito pegnoramento di uno stabile di proprietà del Comune medesimo, ed aveva chiamato il Municipio innanzi ai Tribunali per gli atti di espropriazione.
La Deputazione cav. Avellino,
Approva l’anzidetta deliberazione della Giunta, non tralasciando però d’inculcare al Municipio di non impegnare il Comune in una lite dispendiosa quantevolte non abbia valevoli ragioni di opporre al creditore.
Intervengono il signor marchese D’Afflitto Prefetto Presidente ed i Deputati signori Scotti, Galletta, Colletta.

289.° VII. La giunta municipale di Piscinola chiede dilazione sino a giugno prossimo al pagamento dei ratizzi provinciali per 1863 in duc. 59.28, adducendo che il Percettore della fondiaria non ha versato il primo bimestre del prodotto dei centesimi addizionali d’interessi del Comune, per avervi posto sequestro il Cassiere comunale di Mugnano.
La Deputazione
Inteso il Deputato signor Colletta,
E ritenuto il principio stabilito di non doversi accordare dilazione.
Rigetta la domanda.

4^ tornata -  2 settembre 1863. 
31° XVI. Il Sotto Prefetto di Casoria riferisce che il Sindaco di Piscinola non ha adempiuto al pagamento dei duc. 80, dovuti a Gaetano Riccio sin dal 1856 per estaglio di manutenzione di strada comunale, eccependo la mancanza del numerario in cassa; assicura però il Sotto Prefetto che non sia questa la ragione vera del rifiuto, bensì che voglia il Sindaco maltrattare il Riccio, dal quale non ebbe il compenso che si attendeva.
Il deputato Relatore signor Colletta, facendo conoscere che il Sotto Prefetto procederà contro il Sindaco per la sua indelicatezza, propone spedire sopra luogo lungo un Commissario ai termini dell’art. 138 della legge 23 ottobre 1859.
Il Prefetto Presidente osserva che il Commissario rappresenta la parte governativa, e non può provvedere là dove il Governo non ha facoltà, ed inoltre va a carico del Municipio, non già di coloro che stanno all’amministrazione del Comune e non adempiono al proprio dovere, come sarebbe il caso in disamina.
Il Deputato Cav. Avellino domanda se sarebbe consentiti i piantoni militari.
Il Presidente risponde che si adottano per le condizioni di tale specie le disposizioni delle antiche leggi.
Il Deputato Cav. Avellino dice che convenga per le uniformità del servizio adottare per principio che saranno spedite le coazioni ai Cassieri comunali inadempienti.
Il Prefetto propone di trarsi il mandato di ufficio al Cassiere di Piscinola pel credito del Riccio, salvo  la spedizione dei piantoni se non eseguirà il pagamento.
La Deputazione l’adotta.

5^ tornata -  21 ottobre 1863 
84° XXI. Veduta la nota del sotto Prefetto del Circondario dii Casoria dei 24 dello scorso settembre circa la renitenza del Comune di Piscinola di pagare i rateizzi arretrati al comune di Mugnano.
Inteso il deputato sig. Colletta,
Veduta di Napoli da Capodimonte. Stampa ottocentesca
La Deputazione delibera trarsi il mandato d’ufficio alla cassa del Comune di Piscinola, per le somme stanziate in bilancio a pro del Comune di Mugnano in soddisfazione dei rateizzi arretrati. 

9^ tornata -  14 novembre 1863
167.° IX. I signori Francesco Luciano, ed altri Gallotti vantano contro il Comune di Piscinola un credito a tempo indefinito di duc. 4144.72; ma non avendo il Municipio pagato i convenuti interessi alla scadenza i creditori domandarono la rescissione del contratto, ed il pronto pagamento della somma.
Procedutosi al preventivo esperimenti di conciliazione, secondo la legge, fu progettata una transazione, mercé la quale il debito del Comune sarebbe ridotto a duc. 3050, ben vero da pagarsi fino a dicembre 1863, o al più a tutto aprile 1864.
Il Consiglio comunale con deliberazione del dì 16 passato mese ha consentito alla proposta transazione; e poiché il Comune manca assolutamente di mezzi, ha proposto torre a prestito la somma sia dalla Cassa di risparmi sia dalla Cassa di deposito e prestiti, o in altro modo qualunque, fissando l’epoca del pagamento a fine aprile. Si osserva che se da una parte la transazione sembra utile al Comune atteso la economia di oltre ducati mille ; dall’altra parte questo vantaggio scomparisce quando si riflette al patto di pagare prontamente un debito a tempo definito, e che il Comune, mancando di mezzi, dovrà torre la somma a prestito, gravandosi d’interessi assai maggiori di quello che pagava ai signori Gallotti del 3 ½ per cento. Si proporrebbe adunque approvare la transazione, e conseguentemente la deliberazione del Consiglio comunale di Piscinola, bensì quantevolte il Comune non dovesse prendere la somma a mutuo con un interesse maggiore del 4 per cento.
I deputati Giura e Capuano fanno considerare che la Deputazione, secondo la legge comuna e provinciale vigente, non ha facoltà che di approvare o disapprovare la deliberazione del Consiglio comunale, non già di variarla, o di porre condizioni di approvazione.
Il deputato relatore signor Scotti Galletta presenta la deliberazione seguente:
“La Deputazione provinciale preparatoriamente dispone che il Consiglio comunale indichi il modo, i patti, e la ragione d’interessi, coi quali intende contrarre il mutuo di duc. 3050, in esito di che si riserba di dare le provvidenze ulteriori.”.
Il Deputato signor Rossi si è astenuto.

La controversia del Comune di Piscinola con il debitore, barone Gallotti, si inasprì, arrivando, nel 1858 perfino alle aule del tribunale di Napoli, che viene chiamato dal Gallotti a pronunciarsi sulla legittimità della procedura della notifica dell'atto di pignoramento.

Da “Giureprudenza civile della Corte Suprema di Giustizia di Napoli”, opera compilata da Luigi Capuano, vol. I, Napoli, 1861).
Ricorso contro la decisione della Gran Corte Civile di Napoli 1^ Camera, del 24 aprile 1858, nella causa tra il Comune di Piscinola e Gallotti. 
768) Per fare decorrere i termini a produrre i gravami nello interesse de’ Comuni, la notifica delle sentenze e delle decisioni dev’essere fatta al Sindaco, e non all’Intendente (irrecettibile).
30 settembre 1858 – Presid. Cav. Jannaccone – Relatore March. Puoti – P.M. Comm. Falconi)
La Corte Suprema ha considerato: “Che la legge, nel concedere alle parti litiganti la facoltà di richiamarsi da talune sentenze e decisioni, ha formato dei termini, oltre i quali siffatti reclami non potessero prodursi; affinché non sia perenne l’incertezza di chi ha avuto parte in un giudizio; e perché del decorrimento di tali termini si avesse legale sicurezza, ga prescritto che le sentenze e decisioni fossero intimate a coloro coi quali si è litigato, e con forme stabilite, e per mezzo di ufficiali a tal uopo ordinati, punto non curando la notizia di fatto, che se ne fosse potuta avere.
Che da questi principii procede l’indubitata verità, che l’intimazione, dalla quale i  termini per la produzione di gravami competono; e  quando i litiganti, sono enti che han solo una persona legale, o tali cui la legge concede per sua particolare provvidenza che altri agissero per essi, e ne curino il governo, l’intimazione debbe esser fatta a coloro che per legge possono intentar giudizio per esse, o difenderli. La legge prescrive che i Comuni sieno nei giudizii rappresentati dai Sindaci. L’art. 56 e 57 della L. del 12 dicembre 1816, enumerando tutti i carichi e le facoltà dei Sindaci, rifermano la verità, che i Sindaci rappresentino e governino immediatamente i Comuni, e costituiscano la loro persone legale in tutte le relazioni politiche, civili e giudiziarie.
Che i Sindaci istituiscono i giudizii pei Comuni; ed a questi è mestieri per legge indirizzar le citazioni per chiamare i Comuni in giudizio, come art. 164 LL. di PP. CC.; conseguentemente ai Sindaci solamente debbano intimarsi le decisioni per far decorrere il termine, oltre il quale il ricorso per annullamento non è permesso. […] 
Nella causa tra il Barone Gallotti ed il Comune di Piscinola il ricorso è stato prodotto quando erano trascorsi tre mesi dall’intimazione della decisione al Sindaco del Comune, e non ancora erano compiuti dall’intimazione fatta all’Intendente. SI è dunque prodotto un ricorso fuori i termini assegnati dalla legge contro una decisione già passata in giudicato. Il ricorso dunque è irrecettibile.

La situazione divenne sempre più insostenibile per la sopravvivenza dell'amministrazione piscinolese, tanto che il Consiglio Comunale di Piscinola, già con le sue deliberazioni, del 9 dicembre 1860, del 29 agosto 1861 e del 30 maggio 1862, inviò richieste e solleciti al Consiglio Provinciale di Napoli, per divenire un Comune autonomo più grande, unicamente insieme con i Villaggi di Miano e di Marianella (già facenti parte del Comune di Napoli nel quartiere S. Carlo All'Arena) oppure essere aggregato anch'esso, come "Villaggio", al Comune di Napoli... 
Ma questo è l'argomento della "terza parte". 
Salvatore Fioretto