Visualizzazione dei post in ordine di data per la query valenzia. Ordina per pertinenza Mostra tutti i post
Visualizzazione dei post in ordine di data per la query valenzia. Ordina per pertinenza Mostra tutti i post

domenica 7 dicembre 2025

Quinta parte - La “Ecclesie Domini et Salvatoris nostri Ihesus Christi de memorato loco Piscinule... la storia della chiesa del SS. Salvatore in Piscinola (quinta parte)

 (segue dalla quarta parte)

L’oratorio parrocchiale

L'oratorio parrocchiale comprende un teatro, un campo di basket, un campo di calcetto, il campo di bocce e lo spazio per il tavolo da ping pong. Il piazzale a contorno dei campi è curato con alberi, cespugli e aiuole con fiori. Sono inoltre presenti un locale bar/snack e i servizi igienici. In un lato è presente un piccolo e singolare ricovero antiaereo, costruito fuori terra, in cemento armato, e puo ospitare al massimo due persone. Esso fu fatto realizzare dai precedenti proprietari del terreno, nel corso della Seconda Guerra Mondiale. L’oratorio comprende diversi altri locali coperti, dislocati nei diversi piani dei vari corpi di fabbrica che si ergono attorno ad un ampio cortile carrabile, con accesso diretto da piazza B. Tafuri. 
L'acquisione degli immobili e la costruzione dell’oratorio parrocchiale furono resi possibili grazie all'operato del parroco don Francesco Bianco, al sostegno economico dell’Arciconfraternita del SS. Sacramento in Piscinola e alle donazioni dei fedeli.
Sempre riguardo agli spazi dell'oratorio, nel lato sinistro dell’ingresso principale della chiesa, si accede ai locali che un tempo furono sede dell’Associazione Cattolica”, gli ambienti ricavati durante gli interventi degli anni '60, sono composti da due sale sovrastanti e comunicanti tra loro, attraverso una scala di ferro. Il locale inferiore presenta un’apertura che si apre direttamente sulla piazza B. Tafuri. 

L’archivio storico parrocchiale ante tridentino

L’Archivio Storico Parrocchiale, conservato nella chiesa del SS. Salvatore, contiene una vasta raccolta di manoscritti, detti Tomi o Registri, di cui il più vecchio risultava redatto a partire dall’anno 1524. Questo libro rappresentava, quindi, il più antico registro dei nati e dei morti conservato nelle parrocchie dei Casali napoletani; infatti, fu istituito ben quaranta anni prima del Concilio di Trento. Fu il Concilio, infatti, a sancire l’obbligo di adottare questo tipo di scrittura nell’ambito della Chiesa Cattolica universale.
L’Archivio parrocchiale comprende ben sessantacinque Tomi o Registri e, oltre al registro ante-Tridentino, contiene (l'inventario è riferito all'anno 1989):

- n.25 registri dei Battesimi;

- n.25 registri dei Matrimoni;

- n.14 registri dei Defunti.

In questi documenti sono registrati, oltre ai battesimi, ai matrimoni e ai funerali, anche delle importanti disposizioni arcivescovili, insieme ad altre notizie secondarie. Si leggono, ad esempio, i pagamenti delle pigioni, le spese di manutenzione e di consumo, le elemosine fatte per la chiesa e per il Casale di Piscinola. Sono in essi contenute, poi, le descrizioni minuziose degli avvenimenti più importanti della comunità, come le epidemie, le eruzioni del Vesuvio, i terremoti, ma anche notizie di feste collettive e familiari, come i matrimoni e i battesimi.
In questi “registri” sono ricorrenti i nomi delle famiglie residenti, tra cui quelle considerate originarie del luogo, come: De Lisa, Danese, Sarnataro, Sica, Cuozzo, Fioretto, Palladino De Dominico... e a partire dal 1650: Della Corte, Bonaguro, Mele, Maiorano, Bocchetto, Giordano e Marono.
Purtroppo, il libro più antico, risalente al XVI secolo (1524-1613), considerato un unicum nel suo genere, perché redatto già da alcuni anni prima delle disposizioni obbligatorie dettate dal Concilio di Trento, è stato disperso alcuni anni fa.

Lasciti e donazioni fatti alla chiesa del SS. Salvatore

Il celebre pittore napoletano, Francesco De Mura, dispose nel suo testamento, redatto nel 1780 presso il notaio Valenzia (il notaio aveva la sede nel casale di Piscinola), un aiuto concreto per la riattazione della chiesa del Salvatore, intimando il suo erede, il Pio Monte della Misericordia, a provvedere secondo le necessità dell'edificio sacro, attraverso il suo regio sovrintendente: “Dippiù io suddetto D. Francesco, codicillando, voglio, ordino e comando che, occorrendo al detto avvocato Sig.r  D. Gio: Battista Gallotti, mio carissimo Amico e  Compadre, soccorso per provederealli bisogni della parocchiale chiesa del Casale di Piscinola, debba il detto Sacro Monte mio Erede somministrarcelo, secondo ne farà Le Istanze e richieste il detto Avvocato Sig.r D. Gio: Battista Gallotti, per lo quale soccorsomi le rimetto alla coscienza del medesimo…”.

Processione conclusiva della Santa Missione con il Crocefisso, 
organizzata dal gesuita padre Juè, anni '50
Il barone avvocato G. B. Gallotti è stato il Regio Sovrintendente della chiesa, a lui abbiamo dedicato un post alcuni anni fa.

Il barone G.B. Gallotti, soprintendente della Chiesa del SS. Salvatore

La baronessa Chiara Ciampitelli lasciò alla parrocchia di Piscinola, a mezzo di istrumento rogato nell’anno 1880, una rendita annua di 722,50 lire.
Nell’anno 1923, Aniello Capasso donò alla parrocchia “due vani terranei e due stanze superiori situate a Piscinola" (Decreto regio di autor. del 16 maggio 1923); questi dovrebbero essere i locali parrocchiali che un tempo costituivano l’oratorio parrocchiale situato in via V. Emanuele a Piscinola.
Nell’anno 1937 la parrocchia ricevette (nelle mani del reggente parrocchiale, tale don Francesco de Simone), la somma di 49.100 lire nominali, in titoli di rendita pubblica, dall’avv. Giovanni Casilli.

Le cerimonie e gli eventi sontuosi e solenni celebrati in questa chiesa

Nella chiesa del Salvatore sono stati celebrati nei secoli scorsi diversi eventi sontuosi e solenni legati alla vita privata delle famiglie nobili che avevano nei secoli passati la loro residenza a Piscinola, come i matrimoni e i battesimi tenuti dai membri delle casate, tra i quali: i de Luna di Aragona, i Liguori e i conti di Trivento e altri.  Tra questi ricordiamo le fastose nozze del cavaliere Ercole de Liguori (figlio di Antonio), con Donna Maria Gusmana Sambiase, dei principi di Campana, avvenuto il 27 maggio 1668. Ercole Liguori era un trisavolo di Sant'Alfonso M. de Liguori, infatti era nato nel 1630. 
Alcuni matrimoni furono così imponenti e partecipati dalla comunità, tanto che nei diari dei matrimoni della Chiesa vennero registrati dal parroco sottolineando la partecipazione "dell'intera Università"..., come avvenne il 6 agosto del 1578, festa del Salvatore, quando furono celebrate le nozze di Pietro Angelo di Palma e di Pordemia di Domenico. Lo stesso capitò il 24 gennaio del 1580, al matrimonio di Mimico (Domenico) de Lisa e Rosa Danese, quando i testimoni furono don Giovanni Luigi de Luna e il sig. Giulio Mandano. 
Per quanto concerne i battesimi dei discendenti delle famiglie nobili dimoranti a Piscinola, ricordiamo quello di Giovanni Francesco, figlio di Don Marco d'Afflitto, conte di Trivento e di donna Beatrice Carafa, celebrato nella chiesa di Piscinola, il 17 settembre del 1574. 
Un'altra notizia interessante (che risulta riportata, assieme alle altre citate in questo paragrafo degli eventi solenni, nel libro: "Viaggio nella mia terra" di F. B. Sica, tratte dal registro purtroppo disperso, del 1524), è la dichiarazione resa al parroco di Piscinola, il giorno 27 agosto 1611, con la quale don Cesare Carmignano dichiara di sapere che Michele Sarnetaro è figlio di Sabbatino e di Aurelia Rossella di Piscinola. Tale notizia viene confermata anche dal nobile don Antonio de Luna, figlio di Geronimo. La cosa interessante è quella che don Cesare Carmignano dovrebbe essere il capostipite della nobile famiglia dei Carmignano, divenuto celebre nella storia di Napoli per essere stato il costruttore dell'Acquedotto napoletano del XVII secolo (detto appunto "Acquedotto del Carmignano"), che progettò e realizzò a proprie spese e poi donò alla città di Napoli. La sua presenza a Piscinola diventerà un futuro campo di ricerca...

Le leggende…

Il “Cippo” sotto al campanile

Fino agli anni Sessanta, quando fu avanzato il corpo della facciata della chiesa, alla base del campanile che era conformata con una alta volta a sesto intero, era conservata una grossa pietra di marmo bianco, che ha alimentato diverse leggende e cunti tra gli abitanti di Piscinola. Molti anziani riferiscono che essa sia stata un avanzo di un grosso capitello, forse di epoca romana o di un altare paleocristiano, mentre altri asseriscono che sia stata solo una grossa pietra scalfita e logorata dal tempo, senza particolari forme. 
Tra le leggende più raccontate legate a questo misterioso reperto, c’è quella detta del “cippo sotto al campanaro, ovvero una grossa e antica pietra che conteneva un prezioso tesoro (di monete di “Merenghi“ d’oro) che fu rubato dai ladri insieme a una pisside d’oro. Questa pietra risulterebbe stata inglobata nel corpo di fabbrica, durante gli interventi alla facciata degli anni ’60. L'intero racconto è contenuto in un post che abbiamo pubblicato diversi anni fa.

"La leggenda del cippo sotto al campanaro" 

Il furto della statua d’argento del Salvatore… una leggenda o storia vera?

Si racconta che molto tempo fa, nella chiesa di Piscinola esisteva una statua d’argento del SS. Salvatore. Una notte vennero i ladri e la portarono via su un carro, trainato da cavalli molto veloci. A metà strada, però, i cavalli si fermarono e non volevano più proseguire la corsa, forse per il peso del carico aumentato miracolosamente a dismisura…. Uno dei ladri, dopo varie insistenze, non riuscendo a riprendere la corsa, si rivolse verso la statua ed esclamò: “Ma sì Santo ‘o sì diavule…?” (Sei un Santo oppure sei un demonio?), al ché i cavalli subito ripresero velocemente la fuga, raggiungendo la meta prefissata dai ladri. Si dice che poco tempo dopo il bandito blasfemo morì dannato, dopo aver molto patito…!
Questo racconto, pervenuto attraverso i racconti degli anziani (che appresero a loro volta dai loro avi), ha il sapore di leggenda; tuttavia, potrebbe essere un fatto realmente accaduto, perché come si è detto tra i beni posseduti dalla chiesa, catalogati nella “Santa Visita” del cardinale Pignatelli, sono annoverate due “statue dorate” del SS. Salvatore. Inoltre, c'è da considerare che la maggior parte delle parrocchie che si trovano confinanti con Piscinola conservano, ancora oggi, nelle rispettive chiese, una statua d’argento del loro santo protettore, come Miano, Secondigliano e Chiaiano ed è quindi lecito pensare che anche Piscinola conservasse nei secoli passati una statua d’argento del Suo Protettore, poi scomparsa in circostanze ignote oppure sottratta dai ladri. È anche lecito pensare che essa possa essere stata requisita durante il Decennio Francese, oppure durante la Restaurazione Borbonica, come avvenne in altre realtà cittadine. Purtroppo, mancano testimonianze certe a tal riguardo.

La leggenda del furto della statua d'argento del Salvatore 

Conclusioni e ringraziamenti

Siamo giunti così alla conclusione di questo primo documento sull'antica chiesa del SS. Salvatore, scritto per tracciare un primo compendio storico interamente dedicato all'antica ecclesia piscinolese. Come è stato scritto nella premessa, esso vuole rappresentare una "prima pietra" posata per un futuro saggio ancora più approfondito. Volutamente non sono state riportate le fonti storiche dalle quali abbiamo attinte molte notizie utilizzate in questo lavoro, a causa del ridotto spazio disponibile nel blog. 

Si ringraziano tutte le persone che hanno contribuito negli anni a fornire foto, aneddoti e informazioni sulla chiesa. Si ringrazia lo storico dott. Franco B. Sica, autore del saggio "Viaggio nella mia terra", dal quale abbiamo tratto, come riportato, diverse notizie. Si ringraziano, infine, il sig. Antonio Manna e il parroco della chiesa del SS. Salvatore, don Angelo Guarino, per la disponibilità e l'aiuto da essi fornito. 

Salvatore Fioretto 



sabato 26 novembre 2022

Professore, deputato, ministro, giurista.... Pasquale Stanislao Mancini, Avvocato di Piscinola... (1^ parte)

La storia di Piscinola è piena di personaggi storici famosi, che qui sono nati o hanno trascorso parte della loro vita oppure hanno esercitato la loro professione. Già in passato abbiamo raccontato la vita dei notai Valenzia e Liccardi, del procuratore regio Ferdinando Lestingi, del soprintendente Gallotti, di San Ludovico da Casoria, del card. Celestino Cocle, tanto per citarne alcuni...
Questa volta racconteremo la biografia di un altro personaggio importante e famoso, passato alla storia d'Italia, nel periodo a cavallo tra la Restaurazione Borbonica e l'unificazione italiana dei Savoia, e che ha trascorso parte della sua vita nel Comune di Piscinola, parliamo dell'avv. Pasquale Stanislao Mancini.
Considerando la proficua e intensa attività di questo statista, cercheremo di contenere al massimo la lunghezza della trattazione, racchiusa in due post.

--------------------------- o  O  o -------------------------

Pasquale Stanislao Mancini nacque in provincia di Avellino, nel piccolissimo comune chiamato Castel Baronia, il 17 marzo 1817, da una famiglia di estrazione borghese e benestante; i suoi genitori furono Francesco Saverio e Maria Grazia Riola. Un ruolo decisivo per la formazione pedagogica di Mancini l'ebbe la madre, che fu donna di elevata cultura e di profonda sensibilità. Pasquale Mancini compì i suoi primi studi al seminario di Ariano Irpino e, successivamente, si trasferì a Napoli, per frequentare il liceo del SS. Salvatore, dove era seguito da uno zio materno, Giambattista Riola, che fu anch'egli avvocato. Dotato di ingegno, perspicacia e entusiasmo, al fuori dal comune nell'apprendere ogni disciplina,  durante la sua formazione giovanile spaziò dal diritto, alla fisica, alle scienze naturali, alla letteratura e, addirittura, finanche alla geologia e allo studio dei terremoti. Non mancò di coltivare la sua principale passione che fu il giornalismo, ma anche la musica e la poesia. A Napoli in quel periodo si respirava una coinvolgente aria di rinnovamento culturale e scientifico.  Dopo la licenza liceale, si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza e conseguì il titolo accademico, nell'anno 1835. Notevole fu anche l'impegno nel campo letterario in cui si cimentò con successo. Si ricordano, tra i suoi lavori e opere: Impressioni di un viaggio campestre (1836) la traduzione di P.J. Bèranger (1837), e il Saggio di una versione poetica di Giobbe (1838). Fu anche poeta, sue furono le poesie che saranno edite raccolte solo dopo la sua morte (1904), quali: "Incerti voli. Nuove poesie del giovanetto Pasquale Stanislao Mancini", e "Senza amore".  
Nell'anno 1840
convolò a nozze con donna Laura Beatrice Oliva, anche lei appassionata della poesia.
Poco dopo il tirocinio, si avviò alla professione di avvocato e, a partire dal 1840, si dedicò anche all'insegnamento di diritto privato.
Nel campo dell'editoria, acquistò la proprietà del periodico Le Ore Solitarie, nel 1838, coprendo il ruolo di direttore. Il giornale, inizialmente a tiratura quindicinale, passò ad essere semestrale, col nuovo nome di "Giornale delle Scienze morali, legislative ed economiche": una rivista dedita alla trattazione di temi giuridici e amministrativi, con sezioni informative sui vari aspetti della cultura napoletana, sulla filosofia, e sull'attività accademica italiana e straniera.
Successivamente, dal 1844 al 1847, il periodico fu trasformato, cambiando anche il titolo in Biblioteca di scienze morali, legislative ed economiche. Queste iniziative editoriali gli consentirono di farsi conoscere nell'ampio panorama italiano dell'epoca, anche al di fuori delle Alpi, soprattutto da coloro che erano dediti agli approfondimenti e agli studi in materie giuridiche, estese ai campi delle attività umane, quali l'istruzione, l'agricoltura, l'economia, e i sistemi assistenziali, per le quali si registravano già all'epoca delle profonde carenze normative e soprattutto di carattere moderno.
Mancini fu autore di molte opere di Diritto, ricordiamo: Intorno alla proprietà letteraria e ad un opuscolo di Raffaele Carbone. Ragionamento, Napoli 1841, Intorno alla libertà dell'industria ed a' privilegi. Considerazioni, 1842. Pubblicò anche dei saggi legati alla vita sociale di quel periodo (Sul colera e delle cagioni che han preservato finora le provincie del Principato Ulteriore dal colera, Napoli 1836; Nuove idee sulle elettricità applicate all'invenzione di un paratremuoto, 1837 e 1884; Intorno alla libertà dell'industria e ai privilegi, Bologna 1842; Dell'utilità di ordinare i nuovi asili di mendicità nel Regno di Napoli sotto forma di colonie agricole. Discorso, 1843).
In quel periodo intraprese numerosi viaggi, allacciando relazioni amichevoli, anche e soprattutto durante la sua partecipazione a numerosi congressi. Tutte queste situazioni contribuirono alla conoscenza di numerosi personaggi e anche delle realtà italiane vocate al liberalismo.
Per le sue idee liberali e di sinistra, man mano si avvicinò alla politica partenopea.
E' in questo periodo, coincidente con i primi esercizi della sua professione di avvocato, che le fonti registrano la permanenza di Pasquale Mancini nel Comune di Piscinola, tanto da venire indicato, come vedremo nel seguito della trattazione, con l'appellativo di "Avvocato di Piscinola".
Dopo la costituzione, concessa dai Borboni, nel 1848, fondò il trisettimanale "Riscatto italiano", avente come obiettivo il sostegno dell'iniziale cambiamento liberale dello Stato.  Continuò, l'esperienza editoriale con un'altra testata, sempre da lui fondata, chiamata "La Libertà italiana". Fu quindi eletto deputato del parlamento napoletano, nel distretto di Ariano Irpino. Tuttavia il momento liberale concesso dal sovrano durò pochissimo e, chiusa definitivamente la Camera del Parlamento, si misero in moto le corti speciali.
Mancini divenne quindi manifastamente contrario alla politica della monarchia Borbonica e, avvertendo molto prossimo il suo arresto, si trasferì esule nel Regno di Sardegna, stabilendosi a Torino, ove giunse il 5 ottobre 1849.
A Torino, diede alle stampe il libro dove denunciava il clima instaurato a Napoli dai Borboni, dal titolo: le Relazioni di magistrati e pubblicisti italiani sopra le quistioni legali e costituzionali della causa per gli avvenimenti del 15 maggio 1848 a Napoli.
Nel 1850, il governo sardo gli assegnò una cattedra di "Diritto pubblico esterno e internazionale", nell'Università di Torino. Nell'anno 1851, Mancini introdusse il proprio corso universitario con una prolusione dal titolo "Della nazionalità come fondamento del diritto delle genti" (Torino 1851; poi inserita dal Mancini in Diritto internazionale. Prelezioni con un saggio sul Machiavelli, Napoli 1873.
La sua attività culturale e letteraria non si arrestò e pubblicò anche la riedizione del
Saggio storico di Vincenzo Cuoco.
Insieme all'insegnamento e al lavoro intellettuale, il Mancini portò avanti anche l'attività professionale di avvocato, sia quella forense che quella del suo studio legale. Divenne nel Foro di Torino un avvocato di fama e di successi, e di posizione agiatissima!
Stimato giurista e esperto di diritto, fu chiamato a collaborare dai vari governi succeduti nel Regno di Piemonte e Sardegna.
Già nel 1850, il
guardasigilli Siccardi inserì Mancini in una commissione creata per rivedere le leggi civili e criminali; poco dopo, fu eletto membro della Commissione per la statistica giudiziaria.
Nel 1852, in collaborazione con G. Pisanelli e con A. Scialoja, portò a termine, il Commentario del Codice di procedura civile per gli Stati sardi, con la comparazione degli altri codici italiani e delle principali legislazioni straniere.
Intanto, già nel 1851, gli  fu concessa la cittadinanza sarda, che gli consentiva di poter
esercitare la professione legale, sia nei tribunali e sia in Cassazione.
Nel novembre 1850, fu incaricato, sempre dal ministro Siccardi, di preparare, insieme al Pescatore, il disegno di legge sull'introduzione del matrimonio civile.
La collaborazione del Mancini continuò con il governo Rattazzi nella preparazione della legge sulla soppressione delle corporazioni ecclesiastiche, promulgata, poi, nel 1855, in tutto il Regno sardo.
Fu eletto deputato nel parlamento dello Stato Piemontese, dell'aprile 1860 (VII legislatura), nel collegio di Sassari. Seguirono, da allora, altre conferme, infatti, Mancini fu sempre eletto in tutte le elezioni successive: dalla VII, alla XVI legislatura, in continuità fino alla morte, anche nel parlamento italiano.
Fu uomo di ispirazione politica di sinistra, ma tale orientamento non implicava nessun irrigidimento ideologico, né lo poneva in antitesi con le idee politiche della Destra cavouriana; anzi con Cavour, collaborò nella fase dell'unificazione legislativa postunitaria.
Ormai considerato a Torino il giurista più esperto sulle questioni dell'organizzazione statale e nei problemi di diritto internazionale, il Mancini nel periodo delle annessioni dei vari stati e staterelli dell'Italia centrale e meridionale, fu inviato dal Cavour nelle varie città annesse, per studiare i problemi legislativi in essere e organizzare l'unificazione legislativa del nuovo Stato unitario.
Nell'ex Regno delle Due Sicilie, dopo la l'annessione avvenuta nel 1860, Mancini fu inserito all'interno del Consiglio di luogotenenza, presieduto dal Farini, nel ruolo di consigliere senza portafoglio. Entrò subito in contrasto con la politica di Farini, ritenuta troppo sbilanciata a favore degli autonomisti, e rassegnò le dimissioni il 27 novembre 1881. Seguì nell'informare il Cavour, della situazione pericolosa che si stava creando, con la trasmissione del suo Memorandum, con cui faceva un resoconto degli errori commessi e fornendo consigli su come riorganizzare la luogotenenza, ma soprattutto consigliava la rapida unificazione legislativa.
A valle di questi contrasti, il Farini fu sostituito nell'incarico di luogotenente con il principe Eugenio di Savoia Carignano.
                                     (segue nella seconda parte)
Salvatore Fioretto

 

sabato 1 febbraio 2020

Una terra di santi... poeti, giuristi e navigatori.: il barone avv. Giambattista Gallotti (V parte)

Continuando la serie delle biografie riguardanti i personaggi che sono nati o hanno trascorso una parte della loro esistenza nell'antico Casale di Piscinola, ricordiamo in questo post la figura del Barone Giambattista Gallotti, che fu celebre giureconsulto del Regno e nominato dal Re Ferdinando I, Soprintendente della Chiesa Parrocchiale del SS. Salvatore in Piscinola.
Il tribunale della Vicaria a Napoli
Del barone Gallotti già avemmo modo di accennare alla sua presenza e alla sua attività a Piscinola, quando descrivemmo la vita del pittore Francesco De Mura e del notaio Michele Valenzia.
Giambattista Gallotti ebbe i natali nel comune di Battaglia, in provincia di Salerno, nell'anno 1718. Suo padre, Carlo, che fu barone dei feudi di Battaglia e di Casaletto, si mostrò sempre un uomo integerrimo e di nobili costumi. 
Dotato fin dalla tenerissima età di grande ingegno, Giambattista si mostrò precocemente sveglio e arguto nell'apprendimento, oltre a essere dotato di carità religiosa nel far del bene; tali doti precoci fecero subito accendere nei genitori la speranza di un fulgido futuro, a lui riservato. 
All'età di venti anni, i genitori concordarono nel trasferire Giambattista nella capitale del Regno e di affidarlo alle cure del cugino, Tommaso Benevento, che era affermato avvocato del foro di Napoli. Anche l'avvocato Tommaso, si distingueva per la sobrietà dello stile di vita e la rigida condotta: cose che destarono forte emulazione nel giovane e contribuirono a plasmare il suo carattere. Dall'avvocato Benevento, Giambattista apprese i primi rudimenti del diritto. Oltre allo studio delle opere più famose degli scrittori greci e latini, il suo interesse si estese, poi, alle opere degli scrittori e poeti della letteratura italiana antica. 
Ritratto del barone Giambattista Gallotti in età senile
Studiò la filosofia, le scienze naturali conosciute nella sua epoca e, quindi, le materie di giurisprudenza. Il diritto naturale, con le istituzioni di Eineccio, gli scritti di Burlemachio, i doveri dell'uomo e del cittadino trattati da Pussendorfio, il diritto della guerra e della pace di Ugon Grozio, il diritto delle genti del Wattel, nonché i trattati giuritici di Seldeni, di Coccei e di Tomasii. Seguirono gli studi del diritto romano, ovvero dello spirito di legislazione di quelli che furono i conquistatori del mondo. Dopo le istituzioni di Giustiniano, affrontò la lettura dei commenti del Vinnio, del Cujaceo, del Perezio, del Goveano, di Noodt, di Brunemanno, di Duareno, di Fabron, di Domat, di Giaconzo e di Dionisio Gotofredi. Continuò con le opere dei giuristi del diritto patrio antico: di Matteo d'Afflitto, di Andrea d'Isernia, Andrea di Capua, di Carlo Tapia, di Rovito, di Marinis e del De Franchis. Studiò il diritto criminale.
Studiò le opere di Anton Mattei, di Beon, di Beccheria e di Romagnosi.
Studiò diritto canonico, immergendosi nello studio e nell'apprendimento attraverso le opere di  Vanespen, Florente, Barbosa, Aluiso, Boemero e Tomasio.
Passò quindi a sperimentare il terreno pratico dell'attività forense, per mettere in pratica l'erudizione appresa nello studio.
"Ed eccolo nell'arido terreno sparso di bronchi e di spine, in cui non di rado l'impostura il cavillo e la mediocrità rapiscono il premio al vero merito e i buoni talenti non possono fare a meno di vedersi trasandati e avviliti ....". (cit.)
Piscinola, Piazza Municipio (oggi piazza B, Tafuri), part. da cartolina d'epoca
Il nostro Gallotti, entrato, per così dire, in quel mare immisurabile dell'attività del Foro, pieno di nobili idee e di coraggio, non si smarrì, ben sapeva che la conquista della fama di "Principe del Foro" dipendeva dalle capacità dell'intelletto e da altri nobili qualità, che non appartengono al resto degli uomini, sapendo che la più essenziale delle cognizioni dell'avvocato doveva essere la conoscenza dello spirito e del cuore umano.
Era convinto, infatti, che il primo dovere dell'avvocato era quello di saper conoscere gli uomini, essere istruito delle loro virtù, dei loro vizi, delle loro debolezze;  essere dotato della più vasta intelligenza, del più facile discernimento e della capacità di conoscere e saper applicare le regole e i principi legali ai casi particolari. Per quanto concerne le virtù del cuore, l'avvocato, per il Gallotti, doveva essere pronto a sacrificare con generosità la propria libertà, essere disposto a sormontare gli ostacoli che possono presentarsi, avere uno zelo ardente nel difendere l'infelice e l'innocente e, ancora, avere una nobile franchezza, saper coltivare il linguaggio della verità e, non ultimo, avere un disinteresse a tutta prova: tutto questo doveva contribuire a non alterare la grandezza di animo che deve caratterizzare il giureconsulto.
La Sua vasta conoscenza e l'intelligenza gli avvalsero la stima dei più ragguardevoli magistrati del Foro, dei colleghi e di quanti lo conobbero e lo frequentarono. Tale statura mantenne negli anni, sempre privo di lusinghe, d'ipocrisia, di sfrenato orgoglio, anche quando gli affidarono importati cause per controversie di natura feudali, ecclesiastiche, "fedecommessarie" e "consuetudinarie".
Nell'intendo di servire con umiltà la sua Patria, egli, privatamente, nella sua casa, offriva lezioni di diritto, con amore e passione, a una schiera di giovani allievi, bramosi di apprendere la nobile materia del diritto, della quale, Gallotti, ne era depositario e cultore.
A tutti destava ammirazione vedere il precettore essere attorniato da giovani studenti, che seguivano il maestro con interesse e questo li ripagava di limpidissima e chiara esposizione, li illuminava, li arricchiva e li temprava... Dai sui studenti uscirono giureconsulti di grande fama, tra cui: Vincenzo Aloi e Giuseppe Cappelli, quest'ultimo già consigliere della Suprema Corte di Giustizia.
La Sua notorietà talmente che si diffuse e fu apprezzata che il sovrano Ferdinando I, lo nominò, a giusto vedere, giudice della Gran Camera della Vicaria. Ma egli, sempre di animo modesto, ringraziò il monarca per l'onore concesso e rinunciò alla carica, preferendo dedicare tutto il suo tempo alla difesa dei diritti sacri dell'uomo, a difendere i suoi clienti e a guidare i suoi studenti.
Chiesa del SS. Salvatore parte absidale
Ciononostante, lo stesso re, Ferdinando I, lo assegnò al governo del Banco di San Giacomo e, poco dopo, lo nominò soprintendente della Chiesa Parrocchiale del SS. Salvatore in Piscinola. E per quest'ultimo tempio, il Gallotti si prodigò non poco, e ci riuscì, a condurre a termine il suo restauro, dato che al momento della sua investitura la chiesa si presentava praticamente nello stato cadente. C'è da aggiungere che, contrariamente ai tanti, che pur prodigandosi per risolvere i problemi, chiedono in cambio compensi o favori, il Gallotti non solo rifiutò i compensi spettanti, ma addirittura ci rimise anche del denaro dalla propria tasca...!
Fu amico del notaio Michele Valenzia di Piscinola e del celebre pittore Francesco de Mura. Fu, quindi, nominato dal De Mura esecutore del legato che egli concesse, con testamento, alla chiesa del SS. SalvatoreNel testo estrapolato dal testamento, che qui riportiamo in parte, si noti la ricorrente menzione dell’avvocato Giambattista Gallotti, dichiarato dal De Mura, suo "carissimo amico e compadre”... ecco il testo:
…Ogni dubbio si debba sciogliere e, dichiarare dal suddetto Sig.r Avvocato D. Gio: Battista Gallotti a chi ho comunicata tutta la mia volontà, e che mi ha consigliato nel presente mio Testamento, e la dichiarazione facienda dal medesimo, si abbia come parte del presente mio Testamento, e si debba ad unguem osservare ed eseguire dal detto mio Erede, atteso così è mia volontà. 
Piscinola Lì undici Ottobre millesettecento ottanta. Io Francesco di Mura ho disposto come sopra.
Il barone Salvatore Gallotti
Il pittore Francesco De Mura tanto apprezzava le qualità umane e spirituali del barone Gallotti, che gli volle regalare il crocifisso conservato nella sua casa, con questa disposizione: “Ed oltre a ciò Lego a beneficio dello stesso avvocato Sig.r Gio: Battista Gallotti il mio Crocifisso, che conservo in uno Scarabatto nella stanza del mio Letto, unito collo stesso Scarabatto ed altro di suo ornamento, acciò si ricordi dell’Anima mia”. Risultano aggiunti poi altri codicilli al testamento, il 16 luglio 1782. 
Le ultime volontà del pittore, sempre menzionando Gallotti, concludono, dicendo: “Lascio Esecutori di questo mio ultimo testamento L’ill.re Marchese Presidente della regia Camera della Sommaria, Sig.r Don Angelo Granito, L’Ill.re Marchesino D. Giovanni Granito e L’Avv. Sig.re D. Gio: Battista Gallotti.
Non sappiamo quanti figli ebbe Giambattista e nemmeno il nome della consorte, sappiamo però che il più celebre dei suoi figli fu Salvatore, che seguì le orme paterne di giureconsulto e di filosofo. Salvatore Gallotti nacque a Napoli nell'anno 1775, fu subito affidato al precettore Vincenzo De Verio, seguirono gli insegnamenti del padre, Giambattista, svolti tra le mura domestiche, poi del domenicano Minasi e di Marino Guarano. Fu dal Sovrano nominato giudice, prima del tribunale civile di Cosenza e, poi, di quello di Napoli. Fu nominato anche presidente dell'Accademia di Giurisprudenza a Napoli. Viene ricordato per essere stato uno dei primi commentatori delle opere di Giambattista Vico.
Ritornando a Giambattista Gallotti, sappiamo che fu un fervidissimo credente cattolico. Egli mise, sopra ogni cosa della vita, la religione, considerando che ogni verità è emanata da Dio, che è la verità infinita... Suo il nobile pensiero secondo il quale: ...laddove non vi è Dio, non vi è verità...! Le dottrine filosofiche ammortiscono e disseccano la vita, esse tutto tolgono all'uomo, eccetto la miseria... e lo conducono alla tomba assieme all'inquietudine e ai rimorsi. Da tali principi trasse una pietà solida e illuminata, che fu esempio per tutti.
Fu semplice come la verità, saggio come la legge, disinteressato come la giustizia; non si macchiò mai di alcuna onta di scandalo e non inseguì desideri di una falsa gloria.
Opera scritta da Giambattista Gallotti
Quando si avvicinarono gli ultimi momenti della sua vita, seppe attendere il giorno estremo con serenità, con confidenza e con attesa del giusto. Ripeteva spesso: "Paventi colui, che spandendo un velo sulla ragione, fabbricossi un sistema mostruoso, non ravvisò che un circolo eterno di cose, si atterrò sul sostegno delle sue infelicità, e fu così stolto, che assoggettandosi all'impero del capriccio e della forza, rendette assolute e sovrane tutte le voglie della natura peccatrice. Questo uomo tradì sé stesso, dissimulò e compresse i moti benefici del suo cuore, e gittandosi in una notte eterna e dubbiosa, ricusò sin nel sepolcro il conforto de' miseri, la speranza". (cit.)
Con queste frasi volle ricevere l'estrema unzione nella chiesa e, dopo aver dato l'ultimo saluto e benedizione ai suoi amati figlioli, carico di meriti e consumato dagli acciacchi e dagli anni, morì nel mese di giugno del 1799.
Non ci sono prervenute molte opere di Gallotti, ma coloro che hanno potuto leggere i suoi scritti di natura legale, si sono resi conto dello spessore del sommo giureconsulto. 
Coltivò in vita sua tantissime amicizie, perlopiù di persone che vivevano al di fuori dei confini del Regno. Alla sua dipartita furono in tantissimi a ricordarlo e a rimpiangerlo.
Gran parte di questa biografia sul barone Giambattista Gallotti è stata tratta dal discorso funebre, scritto dall'amico Nicola Morelli di Gregorio.
Salvatore Fioretto

venerdì 22 febbraio 2019

Quei notai di Piscinola, di tanto tempo fa...!




Antico stemma della municipalità di Napoli
A volte sorprende scoprire, nel corso delle nostre ricerche, tante notizie storiche riguardanti l'antico Casale di Piscinola. Sorprende soprattutto il fatto che un centro civico periferico, alquanto limitato, sia per estensione superficiale che per numero di abitati, abbia prodotto tanta eccellenza e sia stato nel corso dei secoli il luogo di appartenenza di tanti personaggi notabili della storia di Napoli; abbiamo, infatti, narrato su queste pagine del blog tante storie di personaggi: dai patrioti agli illuministi, dagli scrittori agli scienziati, dai musicisti ai letterati, dai condottieri ai giureconsulti. E non si finisce mai di scoprire...! Continuiamo a trovare nuove notizie, sempre più importanti e preziose, che riguardano questa terra: un piccolo scrigno della cultura! Un luogo antico, seppur piccolo, ma con una storia di degno di rispetto!! E possiamo dirlo, senza riserve: il quartiere di Piscinola non è secondo a nessun quartiere di Napoli per importanza storica! Sono le notizie pubblicate fino ad oggi a darci conferma di quanto sostenuto!
Questa considerazione la possiamo estendere ugualmente anche agli altri antichi Casali del territorio a nord di Napoli, Marianella, Miano, Chiaiano, Polvica, Secondigliano, ecc.
Questa volta descriveremo un pezzo di storia del quartiere, che è forse ancora inedita, vale a dire di quando Piscinola, tra i secoli XVIII e XIX, fu una delle sedi notarili del Regno di Napoli.

Iniziamo con la testimonianza più antica, risalente alla seconda metà del '700.
Autoritratto di De Mura (Galleria degli Uffizi)
Dalla storia del pittore napoletano Francesco De Mura ricaviamo la testimonianza che narra dell'esistenza e dell'operato del regio notaio Nicola Valenzia, con sede nel casale di Piscinola. Valenzia fu notaio di fiducia e soprattutto amico del famoso pittore De Mura, appartenente come è noto alla scuola napoletana di pittura del tardo barocco. Non sappiamo quasi niente della vita di questo notaio, ovvero se a Piscinola avesse solo l'ufficio o anche la sua abitazione. Forse era attaccato a questo territorio per origini familiari e forse per nascita, ma al momento, in base alle informazioni che abbiamo, non possiamo affermarlo con certezza. Altre ricerche occorreranno...
L’11 ottobre 1780 per mano del notaio Michele Valenzia di Piscinola, il pittore Francesco De Mura dettò il suo testamento, attraverso il quale, al Pio Monte di Misericordia di Napoli lasciava gran parte delle sue sostanze. Gli lasciò tutto quanto contenesse la sua casa: un capitale che raggiungeva l'impressionante cifra (in danaro contante) di 55.454 ducati, oltre i suoi 187 quadri, gli argenti, il mobilio, le carrozze, nonché altre numerose fedi di credito...!
Nell'atto scritto a Piscinola, a conclusione delle disposizioni di De Mura, si legge:“Io Francesco de Mura di questa Città ritrovandomi infermo di corpo, sano però per la Dio grazia di mente, e d’intelletto, e del mio retto parlare e memoria parimente esistente, dichiaro, che sotto il dì undici Ottobre dell’anno 17ottanta feci il mio inscriptis chiuso, e suggellato Testamento, che diedi a conservare al regio Notar D. Michele Valenzia di Napoli. Indi il 26 Febbraio dell’Anno 17ottantuno feci un Codicillo chiuso che consegnai parimenti…”.
Mappa dei luoghi a nord di Napoli, anno 1836 ca.
Allo studio notarile di Piscinola, De Mura tornò altre volte per aggiungere codicilli al suo testamento, fino al febbraio del 1781.
In uno di questi codicilli, per dimostrare la sua stima e riconoscenza per l'amicizia, si legge anche un dono offerto al notaio Michele Valenzia:
[...]“Item lascio juri Legati al suddetto Regio Notar Don Michele Valenzia, mio carissimo amico, docati cento per una sola volta, per un fiore per le tante fatighe per me fatte…”.
Nell'atto si legge, ancora: "E voglio che gli esecutori del presente mio Codicillo siano quelli stessi da me stabiliti nel citato testamento inscriptis, con le medesime facoltà, e non altrimenti. E finalmente dichiaro, che con il suddetto mio testamento, ordinai di corrispondersi al mag.co Notar Don Michele Valenzia, annui docati venticinque sua vita durante, colle leggi e condizioni indetto Testamento…”
Sotto al documento si legge chiaramente il luogo della stipula notarile: Piscinola Lì undici Ottobre millesettecento ottanta - Io Francesco di Mura ho disposto come sopra.
(notizie tratte da "Napoli Nobilissima", vol. 9, ed. Arte Tipografica, 2008). 
Nella Prammatica di Ferdinando IV del 10 luglio 1803, si apprende che il notaio di stanza a Piscinola era un certo D. Giosuè Piccirillo.
Antico stemma della municipalità di Napoli
Un'altro notaio regio, attivo nella sede di Piscinola, nella metà dell’’800, fu D. Filippo Barbati. Troviamo il suo nome riportato in un regio dispaccio, emesso nell'anno 1849. L'atto, del quale riportiamo la parte d'interesse, sancisce l’approvazione reale per l’accettazione delle donazioni offerte da alcuni fedeli in favore dell’opera della Congregazione dei Sacri Cuori di Gesù e Maria in Secondigliano. All’epoca era ancora vivente il suo fondatore, oggi diventato santo, ovvero San Gaetano Errico: nato e morto a Secondigliano. 
L’atto in parola recita così:
(N.874) "Decreto contenente il sovrano beneplacito accordato alla congregazione de’ PP. Missionari sotto il titolo de’ SS. Cuori di Gesù e Maria in Secondigliano nella provincia di Napoli per accettare le pie disposizioni in pro di essa fatte: 1 dal sacerdote D. Giovanni Riccardi con pubblico testamento del primo di settembre 1845 per notajo in Ponticelli Raffaele Benigno; 2 dal sacerdote D. Pasquale Occhicone per atto tra vivi de’ 25 di agosto 1840 pel notajo in Andretta Giambatista Luongo; 3 Da Maria Gaetana Russo con testamento pubblico de’ 26 di maggio 1832 pel notajo in Piscinola Filippo Barbati; 4 da Caterina Altamura per atto tra vivi de’ 23 di luglio 1828 pel notajo Michele Casolla; 5 da Orsola Alfiero con testamento pubblico de’ 12 di luglio 1837 per notajo Cosmo Miranda; 6 dal sacerdote D. Cosmo Andretta con testamento mistico de’ 5 aprile 1838 presso il riferito notajo Miranda; 7 e finalmente da Berardino Cardone con pubblico testamento de’ 17 di febbraio 1842 pel notajo Filippo Barbati; dovendo però restar salvi i diritti de’ terzi, ed eseguirsi tutte le condizioni e clausole accennate da’ suddetti pii disponenti ne’ loro atti rispettivi, de’ quali dovrà pure prendersi nota nella platea della congregazione. (Napoli, 16 maggio 1849)." (da "Collezione delle leggi e de' decreti reali del Regno delle Due Sicilie" , pp. 130-131).

1692, Campagna Felice, Bulifon-de Silva

Il terzo regio notaio di Piscinola, qui narrato in ordine di tempo, è stato D. Domenico Liccardi. Ecco i documenti che testimoniano sulla sua esistenza e sul suo operato:
(N. 9985) Decreto che autorizza la chiesa parrocchiale di S. Biase di Mugnano in provincia di Napoli ad accettare il legato rimasole dal sacerdote D. Sabatino Chianese con testamento pubblico de’ 9 aprile 1844 per lo notajo in Piscinola Domenico Liccardi; salvo i diritti de’ terzi, e dovendo eseguirsi i pesi imposti, e notarsi nella platea della chiesa (Napoli, 14 febbrajo 1846).
Stemmi dei Sedili di Napoli
(N. 10168) Decreto che permette alla chiesa parrocchjale di Piscinola in provincia di Napoli ad accettare la donazione fattale da D. Teresa Ippolito con istrumento de’ 18 di ottobre 1845 per lo notajo Domenico Liccardi; salvo i diritti de’ terzi e l’esecuzione de’ pesi imposti da notarsi nella platea della chiesa parrocchiale. (Napoli, 12 giugno 1846)."
Sempre riferendoci a documenti che menzionano il notaio Domenico Liccardi, interessante, a parer nostro, è questo decreto che abbiamo trovato e che riportiamo per intero: esso descrive una controversia sorta per problemi di eredità. La cosa interessante è quella che esso ci consente di leggere, a distanza di oltre 170 anni, un documento ufficiale del tempo, quando Napoli era capitale di un Regno e quando gli atti ufficiali riportavano, oltre le disposizioni del re regnante, con tanto firma e di sigillo reale, anche la sottoscrizione di una serie di ministri in carica.
(N. 11274) Decreto autorizzante la chiesa parrocchiale di S. Biase in Mugnano ad accettare la disposizione fatta in suo favore da D. Sebastiano Tafuri.
Napoli, 11 Gennajo 1848.
FERDINANDO II. PER GRAZIA DI DIO RE DEL REGNO DELLE DUE SICILIE, DI GERUSALEMME EC. DUCA DI PARMA, PIACENZA, CASTRO EC. EC. GRAN PRINCIPE EREDITARIO DI TOSCANA EC. EC. EC.
Veduto il testamento per atto pubblico de’ 6 di ottobre 1845 per lo notajo in Piscinola Domenico Liccardi, col quale D. Sebastiano Tafuri, tolti due legati di ducati cento l’uno, chiamava a se erede della proprietà de’ suoi beni la chiesa parrocchiale di S. Biase in Mugnano, e nell’usufrutto D.a Cristina Liccardi e D.a Benedetta e D.a Teresa Tafuri, madre e sorelle di lui rispettivamente, col peso dell’istituzione di una cappellania e della elemosina di annui ducati cinquanta a’ poveri di Mugnano;
Veduta la domanda della chiesa anzidetta, chiedente il nostro beneplacito per l’accettazione della enunciata disposizione;
Veduti i reclami da parte di D. Cristina Liccardi, e delle sorelle Tafuri, pe’ quali si attaccava il testamento per nullità, e per lesione di legittima della madre del testatore, e della proprietà delle sorelle;
Veduto l’istrumento di transazione de’ 14 di agosto 1846 per lo notajo in questa capitale Giovanni Mango, approvato con rescritto pontificio de’ 16 aprile 1847, per lo quale è stabilito che, fermo rimanendo l’usufrutto come sopra disposto, dovesse la proprietà dividersi in due parti eguali, l’una a favore della chiesa parrocchiale, l’altra delle signore Liccardi e Tafuri, con che però dovesse rimanere a carico della chiesa stessa il pagamento di due legati su riferiti di ducati cento l’uno, e degli altri pesi imposti;
Veduto l’articolo 826 della prima parte del Codice per lo Regno delle Due Sicilie;
Veduto il parere della Consulta de’ nostri dominii di qua del Faro;
Sulla proposizione del nostro Ministro Segretario di Stato di grazia e giustizia;
Abbiamo risoluto di decretare e decretiamo quanto segue.
Art.1 Accordiamo il nostro beneplacito perché la chiesa parrocchiale di S. Biase in Mugnano, provincia di Napoli, possa accettare con beneficio dell’inventario la disposizione come sopra in favor suo da D. Sebastiano Tafuri, ne’ termini però dell’istrumento di transazione de’ 14 di agosto 1847, che rimane approvata, salvo rimanendo i diritti di terzi.
2. Di tale disposizione e de’ pesi annessivi, che dovranno esattamente eseguirsi, sarà presa nota nella platea della chiesa medesima.
3. I nostri Ministri Segretarii di Stato di grazia e giustizia, degli affari ecclesiastici, e dell’interno, ciascuno per la parte che lo riguarda, sono incaricati della esecuzione del presente decreto.
                                               Firmato FERDINANDO.


Il Ministro Segretario di Stato
di grazia e giustizia
Firmato, Nicola Parisio
Il Consigliere Ministro di Stato
Presidente internino del Consiglio de’ Ministri
Firmato, Marchese di Pietracatella.




Altre indagini e ricerche ci attendono, per cercare i dettagli della storia e della vita dei personaggi qui narrati, ma ci vorrà ancora del tempo...; intanto il post pubblicato ha saputo rendere un altro meritato elogio alla terra che li ha accolti: a Piscinola, terra di santi, di poeti, di musicisti, di scrittori, di giureconsulti e... di notai!
Salvatore Fioretto