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domenica 7 dicembre 2025

Quinta parte - La “Ecclesie Domini et Salvatoris nostri Ihesus Christi de memorato loco Piscinule... la storia della chiesa del SS. Salvatore in Piscinola (quinta parte)

 (segue dalla quarta parte)

L’oratorio parrocchiale

L'oratorio parrocchiale comprende un teatro, un campo di basket, un campo di calcetto, il campo di bocce e lo spazio per il tavolo da ping pong. Il piazzale a contorno dei campi è curato con alberi, cespugli e aiuole con fiori. Sono inoltre presenti un locale bar/snack e i servizi igienici. In un lato è presente un piccolo e singolare ricovero antiaereo, costruito fuori terra, in cemento armato, e puo ospitare al massimo due persone. Esso fu fatto realizzare dai precedenti proprietari del terreno, nel corso della Seconda Guerra Mondiale. L’oratorio comprende diversi altri locali coperti, dislocati nei diversi piani dei vari corpi di fabbrica che si ergono attorno ad un ampio cortile carrabile, con accesso diretto da piazza B. Tafuri. 
L'acquisione degli immobili e la costruzione dell’oratorio parrocchiale furono resi possibili grazie all'operato del parroco don Francesco Bianco, al sostegno economico dell’Arciconfraternita del SS. Sacramento in Piscinola e alle donazioni dei fedeli.
Sempre riguardo agli spazi dell'oratorio, nel lato sinistro dell’ingresso principale della chiesa, si accede ai locali che un tempo furono sede dell’Associazione Cattolica”, gli ambienti ricavati durante gli interventi degli anni '60, sono composti da due sale sovrastanti e comunicanti tra loro, attraverso una scala di ferro. Il locale inferiore presenta un’apertura che si apre direttamente sulla piazza B. Tafuri. 

L’archivio storico parrocchiale ante tridentino

L’Archivio Storico Parrocchiale, conservato nella chiesa del SS. Salvatore, contiene una vasta raccolta di manoscritti, detti Tomi o Registri, di cui il più vecchio risultava redatto a partire dall’anno 1524. Questo libro rappresentava, quindi, il più antico registro dei nati e dei morti conservato nelle parrocchie dei Casali napoletani; infatti, fu istituito ben quaranta anni prima del Concilio di Trento. Fu il Concilio, infatti, a sancire l’obbligo di adottare questo tipo di scrittura nell’ambito della Chiesa Cattolica universale.
L’Archivio parrocchiale comprende ben sessantacinque Tomi o Registri e, oltre al registro ante-Tridentino, contiene (l'inventario è riferito all'anno 1989):

- n.25 registri dei Battesimi;

- n.25 registri dei Matrimoni;

- n.14 registri dei Defunti.

In questi documenti sono registrati, oltre ai battesimi, ai matrimoni e ai funerali, anche delle importanti disposizioni arcivescovili, insieme ad altre notizie secondarie. Si leggono, ad esempio, i pagamenti delle pigioni, le spese di manutenzione e di consumo, le elemosine fatte per la chiesa e per il Casale di Piscinola. Sono in essi contenute, poi, le descrizioni minuziose degli avvenimenti più importanti della comunità, come le epidemie, le eruzioni del Vesuvio, i terremoti, ma anche notizie di feste collettive e familiari, come i matrimoni e i battesimi.
In questi “registri” sono ricorrenti i nomi delle famiglie residenti, tra cui quelle considerate originarie del luogo, come: De Lisa, Danese, Sarnataro, Sica, Cuozzo, Fioretto, Palladino De Dominico... e a partire dal 1650: Della Corte, Bonaguro, Mele, Maiorano, Bocchetto, Giordano e Marono.
Purtroppo, il libro più antico, risalente al XVI secolo (1524-1613), considerato un unicum nel suo genere, perché redatto già da alcuni anni prima delle disposizioni obbligatorie dettate dal Concilio di Trento, è stato disperso alcuni anni fa.

Lasciti e donazioni fatti alla chiesa del SS. Salvatore

Il celebre pittore napoletano, Francesco De Mura, dispose nel suo testamento, redatto nel 1780 presso il notaio Valenzia (il notaio aveva la sede nel casale di Piscinola), un aiuto concreto per la riattazione della chiesa del Salvatore, intimando il suo erede, il Pio Monte della Misericordia, a provvedere secondo le necessità dell'edificio sacro, attraverso il suo regio sovrintendente: “Dippiù io suddetto D. Francesco, codicillando, voglio, ordino e comando che, occorrendo al detto avvocato Sig.r  D. Gio: Battista Gallotti, mio carissimo Amico e  Compadre, soccorso per provederealli bisogni della parocchiale chiesa del Casale di Piscinola, debba il detto Sacro Monte mio Erede somministrarcelo, secondo ne farà Le Istanze e richieste il detto Avvocato Sig.r D. Gio: Battista Gallotti, per lo quale soccorsomi le rimetto alla coscienza del medesimo…”.

Processione conclusiva della Santa Missione con il Crocefisso, 
organizzata dal gesuita padre Juè, anni '50
Il barone avvocato G. B. Gallotti è stato il Regio Sovrintendente della chiesa, a lui abbiamo dedicato un post alcuni anni fa.

Il barone G.B. Gallotti, soprintendente della Chiesa del SS. Salvatore

La baronessa Chiara Ciampitelli lasciò alla parrocchia di Piscinola, a mezzo di istrumento rogato nell’anno 1880, una rendita annua di 722,50 lire.
Nell’anno 1923, Aniello Capasso donò alla parrocchia “due vani terranei e due stanze superiori situate a Piscinola" (Decreto regio di autor. del 16 maggio 1923); questi dovrebbero essere i locali parrocchiali che un tempo costituivano l’oratorio parrocchiale situato in via V. Emanuele a Piscinola.
Nell’anno 1937 la parrocchia ricevette (nelle mani del reggente parrocchiale, tale don Francesco de Simone), la somma di 49.100 lire nominali, in titoli di rendita pubblica, dall’avv. Giovanni Casilli.

Le cerimonie e gli eventi sontuosi e solenni celebrati in questa chiesa

Nella chiesa del Salvatore sono stati celebrati nei secoli scorsi diversi eventi sontuosi e solenni legati alla vita privata delle famiglie nobili che avevano nei secoli passati la loro residenza a Piscinola, come i matrimoni e i battesimi tenuti dai membri delle casate, tra i quali: i de Luna di Aragona, i Liguori e i conti di Trivento e altri.  Tra questi ricordiamo le fastose nozze del cavaliere Ercole de Liguori (figlio di Antonio), con Donna Maria Gusmana Sambiase, dei principi di Campana, avvenuto il 27 maggio 1668. Ercole Liguori era un trisavolo di Sant'Alfonso M. de Liguori, infatti era nato nel 1630. 
Alcuni matrimoni furono così imponenti e partecipati dalla comunità, tanto che nei diari dei matrimoni della Chiesa vennero registrati dal parroco sottolineando la partecipazione "dell'intera Università"..., come avvenne il 6 agosto del 1578, festa del Salvatore, quando furono celebrate le nozze di Pietro Angelo di Palma e di Pordemia di Domenico. Lo stesso capitò il 24 gennaio del 1580, al matrimonio di Mimico (Domenico) de Lisa e Rosa Danese, quando i testimoni furono don Giovanni Luigi de Luna e il sig. Giulio Mandano. 
Per quanto concerne i battesimi dei discendenti delle famiglie nobili dimoranti a Piscinola, ricordiamo quello di Giovanni Francesco, figlio di Don Marco d'Afflitto, conte di Trivento e di donna Beatrice Carafa, celebrato nella chiesa di Piscinola, il 17 settembre del 1574. 
Un'altra notizia interessante (che risulta riportata, assieme alle altre citate in questo paragrafo degli eventi solenni, nel libro: "Viaggio nella mia terra" di F. B. Sica, tratte dal registro purtroppo disperso, del 1524), è la dichiarazione resa al parroco di Piscinola, il giorno 27 agosto 1611, con la quale don Cesare Carmignano dichiara di sapere che Michele Sarnetaro è figlio di Sabbatino e di Aurelia Rossella di Piscinola. Tale notizia viene confermata anche dal nobile don Antonio de Luna, figlio di Geronimo. La cosa interessante è quella che don Cesare Carmignano dovrebbe essere il capostipite della nobile famiglia dei Carmignano, divenuto celebre nella storia di Napoli per essere stato il costruttore dell'Acquedotto napoletano del XVII secolo (detto appunto "Acquedotto del Carmignano"), che progettò e realizzò a proprie spese e poi donò alla città di Napoli. La sua presenza a Piscinola diventerà un futuro campo di ricerca...

Le leggende…

Il “Cippo” sotto al campanile

Fino agli anni Sessanta, quando fu avanzato il corpo della facciata della chiesa, alla base del campanile che era conformata con una alta volta a sesto intero, era conservata una grossa pietra di marmo bianco, che ha alimentato diverse leggende e cunti tra gli abitanti di Piscinola. Molti anziani riferiscono che essa sia stata un avanzo di un grosso capitello, forse di epoca romana o di un altare paleocristiano, mentre altri asseriscono che sia stata solo una grossa pietra scalfita e logorata dal tempo, senza particolari forme. 
Tra le leggende più raccontate legate a questo misterioso reperto, c’è quella detta del “cippo sotto al campanaro, ovvero una grossa e antica pietra che conteneva un prezioso tesoro (di monete di “Merenghi“ d’oro) che fu rubato dai ladri insieme a una pisside d’oro. Questa pietra risulterebbe stata inglobata nel corpo di fabbrica, durante gli interventi alla facciata degli anni ’60. L'intero racconto è contenuto in un post che abbiamo pubblicato diversi anni fa.

"La leggenda del cippo sotto al campanaro" 

Il furto della statua d’argento del Salvatore… una leggenda o storia vera?

Si racconta che molto tempo fa, nella chiesa di Piscinola esisteva una statua d’argento del SS. Salvatore. Una notte vennero i ladri e la portarono via su un carro, trainato da cavalli molto veloci. A metà strada, però, i cavalli si fermarono e non volevano più proseguire la corsa, forse per il peso del carico aumentato miracolosamente a dismisura…. Uno dei ladri, dopo varie insistenze, non riuscendo a riprendere la corsa, si rivolse verso la statua ed esclamò: “Ma sì Santo ‘o sì diavule…?” (Sei un Santo oppure sei un demonio?), al ché i cavalli subito ripresero velocemente la fuga, raggiungendo la meta prefissata dai ladri. Si dice che poco tempo dopo il bandito blasfemo morì dannato, dopo aver molto patito…!
Questo racconto, pervenuto attraverso i racconti degli anziani (che appresero a loro volta dai loro avi), ha il sapore di leggenda; tuttavia, potrebbe essere un fatto realmente accaduto, perché come si è detto tra i beni posseduti dalla chiesa, catalogati nella “Santa Visita” del cardinale Pignatelli, sono annoverate due “statue dorate” del SS. Salvatore. Inoltre, c'è da considerare che la maggior parte delle parrocchie che si trovano confinanti con Piscinola conservano, ancora oggi, nelle rispettive chiese, una statua d’argento del loro santo protettore, come Miano, Secondigliano e Chiaiano ed è quindi lecito pensare che anche Piscinola conservasse nei secoli passati una statua d’argento del Suo Protettore, poi scomparsa in circostanze ignote oppure sottratta dai ladri. È anche lecito pensare che essa possa essere stata requisita durante il Decennio Francese, oppure durante la Restaurazione Borbonica, come avvenne in altre realtà cittadine. Purtroppo, mancano testimonianze certe a tal riguardo.

La leggenda del furto della statua d'argento del Salvatore 

Conclusioni e ringraziamenti

Siamo giunti così alla conclusione di questo primo documento sull'antica chiesa del SS. Salvatore, scritto per tracciare un primo compendio storico interamente dedicato all'antica ecclesia piscinolese. Come è stato scritto nella premessa, esso vuole rappresentare una "prima pietra" posata per un futuro saggio ancora più approfondito. Volutamente non sono state riportate le fonti storiche dalle quali abbiamo attinte molte notizie utilizzate in questo lavoro, a causa del ridotto spazio disponibile nel blog. 

Si ringraziano tutte le persone che hanno contribuito negli anni a fornire foto, aneddoti e informazioni sulla chiesa. Si ringrazia lo storico dott. Franco B. Sica, autore del saggio "Viaggio nella mia terra", dal quale abbiamo tratto, come riportato, diverse notizie. Si ringraziano, infine, il sig. Antonio Manna e il parroco della chiesa del SS. Salvatore, don Angelo Guarino, per la disponibilità e l'aiuto da essi fornito. 

Salvatore Fioretto 



sabato 24 ottobre 2020

Alcuni racconti, per ricordare i primi dieci anni del libro "Piscinola, la terra del Salvatore"!

In questo post riportiamo alcuni racconti tramandati dalla tradizione orale raccolta direttamente dai ricordi dei nostri anziani. Alcuni racconti sono delle leggende, altri invece appartengono alle cronache degli anni scorsi... Essi sono tratti dal mio libro: "Piscinola, la terra del Salvatore, una terra, la sua gente, le sue tradizioni", edizione The Boopen, anno 2010, che in queste settimane festeggia i primi dieci anni di vita...! La pubblicazione del libro è stata una esperienza bellissima, che mi ha portato tante belle soddisfazioni, oltre all'arricchimento umano, per le tante persone conosciute. Grazie al libro, tante nuove notizie e testimonianze mi sono arrivate, e poi tanto interesse ha suscitato nel quartiere, con la riscoperta della storia di Piscinola soprattutto da parte dei giovani.
Diretta conseguenza di questa bella esperienza, è stata la creazione del blog: "Piscinolablog" e della pagina rivista facebook: "Amici di Piscinolablog". Grazie!
Ecco i racconti:

La leggenda del “Cippo sotto ‘o campanaro”

Tanto tempo fa, prima dell’ampliamento della chiesa del SS. Salvatore, ossia prima dei lavori di costruzione della nuova facciata neoclassica, l’antico campanile si presentava avanzato rispetto a questa e alla sua base presentava una grossa volta “a botte”, con un arco a tutto sesto. Alla base dell’arco a volta, che fungeva anche da passaggio pedonale, esisteva un vecchio cippo marmoreo. Questa pietra, a forma un po’ cilindrica, era forse l’avanzo di un altare paleocristiano, di cui si ignorava la provenienza. Si presentava già a quei tempi in pessimo stato di conservazione, rotta in due metà, a causa degli “acciacchi” subiti nel corso dei secoli. Spesso essa era oggetto di gioco dei bambini ed era utilizzato dagli scugnizzi dell’epoca per improvvisare qualche esibizione di destrezza fisica!
Campanile e arco chiesa SS. Salvatore, anni '40

Secondo la leggenda, una notte di tanto tempo fa, un gruppo di ladruncoli agirono indisturbati e riuscirono a spaccare il mausoleo in due parti e ad estrarre un vero e proprio “tesoro”, che vi era nascosto all’interno. Si narra che dentro al cippo furono trovate numerose monete d’oro, dette “marenghi” ed una pisside d’oro, contenente ostie consacrate. Questi ladri portarono rapidamente via tutto il “tesoro”, servendosi di un carro trainato da buoi. Tuttavia, durante la fuga, lungo la vecchia “cupa” per Miano, in corrispondenza di un saliscendi lì esistente, i buoi “s’inchiantarono”, ossia si impuntarono e non permettevano al carro ed ai suoi conduttori di proseguire il tragitto. A nulla valsero i tentativi dei ladri per far avanzare le bestie, anche con colpi di frusta e botte. Ad un certo momento uno di questi ladri ebbe un’idea brillante, immaginando a chissà quale misterioso arcano si nascondesse nella pisside d’oro, pensò bene di prelevare dal tesoro l’oggetto d’oro, con il suo contenuto sacro e di poggiarlo sul muretto che costeggiava la “cupa”. Così facendo i buoi ripresero a trainare il carro e proseguirono il loro tragitto, senza opporvi altra resistenza. I Piscinolesi ed il Parroco del tempo, dal canto loro, avvertiti dell’avvenimento dagli abitanti del luogo, accorsero in processione a prelevare la pisside d’oro ed a riportarla in chiesa, tra l’acclamazione dei fedeli, che gridarono al miracolo. Di questa pisside, se veramente esistita, si è persa ogni traccia. Del famoso “cippo” sappiamo solo che, a seguito dei lavori di ampliamento della navata della chiesa, fu sotterrato nelle fondamenta della nuova facciata e tutt’oggi giace ancora lì.

La leggenda della “Casa dei serpenti”

Questo rudere archeologico è situato in mezzo allo spartitraffico di Via Tancredi Galimberti ed è stato in parte interrato a seguito della costruzione di quest’asse stradale, avvenuta agli inizi degli anni ’70. Secondo le ricerche archeologiche condotte dagli studiosi negli scorsi decenni, questi resti appartengono, con ogni probabilità, ad una casa romana di censo agiato. Ne sono testimoni anche la conformazione delle mura, costruite in “opus reticolatum”. 
Ruderi di villa rustica romana in via T. Galimberti
Infatti in vicinanza di queste mura, durante la costruzione del “Rione 167”, sono stati rinvenuti molti resti di una necropoli osco-romana. In occasione della prima guerra mondiale, si sa che i giovani si rifugiarono nelle cavità presenti al suo interno, per nascondersi e sfuggire alle perquisizioni dei Carabinieri, che andavano in giro alla ricerca dei disertori di guerra. Il rudere era detto anche “Casa dei serpenti”, per lo stato di abbandono in cui versava e per la presenza di rovi e di tane di serpenti al suo interno. Un alone di mistero ha sempre aleggiato intorno a queste vestigia, con leggende tramandate di generazione in generazione. Una di questa è da ricondursi al fatto che il rudere presentava un’enorme cavità al suo interno e veniva utilizzato dalla gente per eliminare i cani randagi. Infatti, una volta che venivano qui gettate, le povere bestiole non potevano più fuoriuscirne e morivano di fame e di sete. Queste perciò ululavano e abbaiavano per giorni interi. I loro “lamenti” venivano interpretati dai bambini, ma anche dagli adulti, come voci di fantasmi e di entità misteriose.

Un ricco tesoro sotto la “Piazza”…!

Piazza B. Tafuri, foto con effetto artistico di S. F.

Secondo alcune testimonianze, da un lucernario esistente nel sottotetto del palazzo “Chiarolanza” sporgeva, fino agli anni cinquanta, una statua a mezzo busto di un curioso e strano personaggio.
Qualcuno, addirittura, guardandolo, riconosceva le sembianze di un goffo monaco. Questa figura era stata scolpita con il braccio e l’indice protesi in avanti, come per indicare un punto preciso, posto nel centro della Piazza B. Tafuri. La credenza popolare asseriva che questa statua volesse ricordare ai posteri che lì, proprio in  mezzo alla piazza principale, vi fosse sepolta un’antica vasca, nel cui interno si celasse un ricchissimo tesoro! Chissà se questa leggenda ha qualche legame con quell’ipotesi che fa derivare il toponimo di Piscinola da un’antica vasca o cisterna dell’acqua…!

Il furto della statua d’argento del Salvatore

 Si racconta che molto tempo fa nella chiesa di Piscinola esisteva una statua d’argento del SS. Salvatore. Una notte vennero i ladri e la portarono via su un carro, trainato da cavalli molto veloci. A metà strada, però, i cavalli si fermarono e non volevano più proseguire la corsa, forse per il peso del carico aumentato miracolosamente a dismisura…. Uno dei ladri, dopo varie insistenze, non riuscendo a riprendere la corsa, si rivolse verso la statua ed esclamò: “Ma sì Santo ‘o sì diavule…?” (Sei un Santo oppure sei un demonio?), al ché i cavalli subito ripresero velocemente la fuga, raggiungendo la meta prefissata dai ladri. Si dice che poco tempo dopo il bandito blasfemo morì dannato, dopo aver molto patito…!

La leggenda della marchesa di Rutigliano

La masseria di via Vecchia Miano, prima dell'abbattimento, 2002

Dopo l’effimera Repubblica Partenopea dichiarata nel 1799 e la breve restaurazione borbonica, il Regno di Napoli fu occupato dalle truppe francesi di Giuseppe Bonaparte, cugino di Napoleone.
I Francesi, una volta insediati nell’ex Regno delle Due Sicilie, iniziarono una dura e spietata opera di repressione, specie nei confronti dell’aristocrazia e del clero, secondo i dettami della Rivoluzione Francese. Molti furono i nobili catturati e mandati al patibolo o alla ghigliottina. Alcuni di essi, vicini alla famiglia regnate, riuscirono però a fuggire, riparando in Sicilia, che intanto era rimasta nelle mani del re Borbonico. Forse anche nel nostro territorio questo mutamento politico-amministrativo ebbe delle conseguenze storiche pesanti. Secondo un antico racconto, un po’ leggendario, la marchesa di Rutigliano (o Rovigliano), che abitava nel suo casale di campagna in Via Vecchia Miano, preferì la morte, anziché essere catturata e giustiziata sul patibolo dai “giacobini”. All’approssimarsi dei Francesi, in preda al terrore, si lanciò dal balcone della sua residenza, gridando: “…Arrivano llì Francesi, …arrivano llì Francesi…!!

Qualcuno scrisse: “Viva i garibaldini”…!

Via del Salvatore, lato chiesa
Una scritta anonima, tracciata con vernice rossa, richiamava la frase patriottica di “VIVA I GARIBALDINI” e si poteva leggerla ancora chiaramente, fino alla metà degli anni ’80, sull’imponente muro di tufo in Via SS. Salvatore. Una volta demolito il muro, intorno al 1988, la scritta è entrata a far parte a pieno titolo tra i misteri e le leggende che accompagnano la storia di Piscinola. Nessuno sa dire con certezza se essa sia stata scritta per mano di qualche filo-garibaldino piscinolese che, nel lontano 1860, acclamò in questo modo la venuta di Garibaldi a Napoli, oppure fu uno slogan elettorale del partito “Fronte Democratico Popolare”, scritta forse durante le elezioni politiche del 1948, quando questo partito presentò come suo emblema elettorale il volto Garibaldi. Il mistero resta…!

Uno sciopero al rovescio…!

Targa toponomastica in via Plebiscito a Piscinola
Questo episodio, alquanto atipico, è accaduto al principio degli anni cinquanta in Via Madonna delle Grazie. Un gruppo di giovani piscinolesi, disoccupati, pensarono bene di inscenare una forma di protesta, per attirare l’attenzione delle forze politiche sul loro bisogno di lavoro. 
Invece di organizzare la consueta manifestazione di protesta, con blocchi e slogan per le strade, come siamo abituati ai nostri tempi (anche perché allora era modesto il numero di autoveicoli circolanti), pensarono di mettersi a lavorare gratuitamente al servizio della collettività. Ripararono a loro spese il selciato della Via Madonna delle Grazie che si trovava in pessimo stato di conservazione (allora la strada aveva ancora i caratteri di una “cupa”). Se si adottasse anche oggi questa brillante iniziativa per protestare, oltre a non avere i soliti blocchi stradali, di cui siamo purtroppo anche vittime, ci troveremmo di fronte a manifestazioni pacifiche e utili alla collettività. Ma forse a quei tempi la vita si svolgeva secondo altri canoni e con altre concezioni sul significato di rispetto civico...

“Aspetta, ca dimane t’ ’o ddico …!”

Portale ligneo del palazzo de Luna d'Aragona
Si racconta che un vecchio piscinolese non sposato (zito), che viveva con la madre anziana, una sera fu coinvolto casualmente in una rissa, che si accese in un locale da gioco di Piscinola. Costui, mentre cercava di far da paciere, fu selvaggiamente pugnalato. Tornato a casa, la madre si accorse del suo stato e iniziò a supplicarlo di dire chi era stato a pugnalarlo. Egli, incurante della gravità della ferita, che intanto sanguinava abbondantemente, disse impassibile alla madre, di non preoccuparsi e che le avrebbe raccontato tutto con calma il giorno seguente. Pare che esclamò, dicendo: “Aspetta, ca dimane ‘a matina t’ ’o ddico…! L’uomo, purtroppo, morì nella notte. Da allora è rimasto il detto: “Faje comm’ ’a chillo ca dicette: aspetta ca dimane ‘a matina t’ ’o ddico…!

Un incontro reale: la regina Elena di Savoia e due contadinelle di Piscinola!!

La regina d’Italia, Elena di Montenegro, ebbe a soggiornare spesso nella Reggia di Capodimonte. Si sa che quando era a Napoli prendeva lezioni di dialetto napoletano, perché pensava che i re e le regine dovevano parlare i dialetti dei loro sudditi come lingua propria... Era amante della cultura partenopea, anche perché, prima che diventasse regina, ebbe il titolo di “Principessa di Napoli”.

Palazzo reale e parco (bosco) di Capodimonte, 1964
Si racconta che la Regina un giorno si recò per una passeggiata nella parte della Reggia di Capodimonte, che era chiamata il “Boschetto” e, lungo il tragitto, incontrò due contadinelle di Piscinola, che erano prese a estirpare l’erba in una radura. Pensò di sperimentare con queste donne il livello di acquisizione del “suo” dialetto; si fermò e chiese loro: “Che facitè…?” Esse levarono il capo da terra e una le rispose: “Signò, scippamme l’éverà” (“Signora, stiamo estirpando l’erba”). Lei continuò chiedendo: “A che ora site venute?” (Da quanto tempo siete qui?) e queste risposero: “Da quanno fa juorno” (Dall’alba) e poi ancora: “Quando ve ne andrete?” e loro: “Quanne fa notte” (A notte). Elena chiese ancora quanto guadagnassero per un lavoro così lungo e pesante e le ragazze risposero che guadagnavano soltanto dodici soldi al giorno“E’ poco, è poco, poverette!” esclamò Elena. Ella poi aggiunse: “Torno subito”. La regina Elena rimase affascinata dalla semplicità di quell’incontro. Rincasò nella Reggia e poco dopo fece ritorno nello stesso luogo, portando con sé un sacchettino di confetti, che distribuì alle due donne. Riflettendo ad Elena parve curioso elargire soltanto dei confetti e così aggiunse anche del denaro, che le ragazze accettarono volentieri. Continuò, quindi, a conversare piacevolmente, stando seduta tra le ragazze. Dopo poco queste compresero, molto stupite, che stavano parlando a tu per tu con la regina d’Italia in persona! 

Salvatore Fioretto 

Il racconto della regina Elena è stato liberamente tratto dal racconto contenuto nel libro “Elena e Vittorio. Mezzo secolo di Regno tra storia e diplomazia”, di  G. ARTIERI e P. CACACE. Ediz. Luni, anno 1999. Si ringraziano sempre gli amici Natale Mele e Pasquale di Fenzo per la loro generosa collaborazione, presente e passata.