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| Piazza B. Tafuri, 2011- Foto di S. Fioretto |
Considerata la mole della trattazione, è stato necessario suddividere il testo in cinque parti.
Buona lettura!
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Titolo:
“Ecclesie Domini et Salvatoris nostri Ihesus Christi de memorato loco Piscinule”
Sottotitolo:
Sintesi storica dell’antichissima chiesa del Santissimo Salvatore in Piscinola
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La fondazione e le fonti storiche della Chiesa del SS. Salvatore
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| Diario di Santa Visita del card. F. Carafa, 1542 |
Non si conosce con precisione la
data di fondazione della nostra chiesa e nemmeno l’origine del culto del SS.
Salvatore, a cui è dedicato il tempio piscinolese. Molto probabilmente la
chiesa ha avuto molte trasformazioni e rifacimenti nei secoli, partendo da una
primitiva edicola, cappella o chiesetta e, poi, con successivi ampliamenti
subentrati nei secoli, essa è giunta fino ad oggi con le dimensioni odierne che osserviamo. Purtroppo, non sono stati mai eseguiti degli scavi, delle indagini
archeologiche e stratigrafiche per studiare le origini della chiesa e le opere
d’arte ancora in essa nascoste, fatta eccezione per alcuni ritrovamenti
occasionali emersi in concomitanza degli sporadici lavori di ristrutturazione e
di ampliamento fatti eseguire tra l’800 e il ‘900, come diremo nel seguito
della trattazione.
Secondo lo storico dott. Franco Biagio
Sica, nella sua opera: “Viaggio nella mia Terra, memorie storiche del Casale di
Piscinola”, il culto degli abitanti del luogo verso il SS. Salvatore scaturisce
dal rapporto di vicinanza avuto dai primitivi abitanti di Piscinola con una
comunità di monaci Benedettini (o forse monaci Basiliani), che si erano insediati
in un cenobio posto sull’isolotto di Megaride (chiamata all’epoca Insula Maior
o Stella Maris), tale monastero era dedicato al SS. Salvatore. Questi
monaci possedevano a Piscinola un terreno (forse una “grancia”, che comprendeva
probabilmente un terreno con una fattoria annessa), che da questi monaci prese
l’appellativo (definito “prediale”) di “Terra del Salvatore”, dato che i monaci
si chiamavano, appunto, “monaci del Salvatore” e anche l’isola di Megaride
venne indicata nelle carte antiche con il toponimo di “Isola del Salvatore”… Ben presto il luogo, che
comprendeva questo possedimento dei monaci, prese il nome di “Terra del
Salvatore” e costituirà uno dei toponimi più antichi di Piscinola, tanto da
essere citato dai “Curiali”, (così chiamati i notai dell’epoca antica), per
delimitare i confini dei terreni oggetto di transazioni e vendita in epoca
medioevale. È facile desumere che il continuo contatto della popolazione del
luogo con questi monaci, che sicuramente erano spesso presenti nella Piscinola
antica, abbia favorito l’attecchimento del culto del Gesù
Trasfigurato, cioè al SS. Salvatore, presso gli abitanti, tanto da diventare il protettore dell’antico
Casale di Piscinola. Seguirebbe, poi, l’edificazione di una iniziale edicola e,
poi, di un tempietto dedicato in suo onore.
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| Mappa dei Casali di Napoli in epoca ducale (XI sec.), di B. Capasso |
Il documento “rogato” più antico,
nel quale si riporta il riferimento alla “Terra del Salvatore”, è un atto di
vendita datato 20 agosto dell’anno 941 (al tempo degli imperatori d’Oriente,
Costantino e Romano), con il quale un tale Gregorio, figlio di Sergio, vende a
Giovanni suo cognato, quattro appezzamenti di terreno in Piscinola, tra questi,
c’è il pezzo di terra che porta il nome di “Fracta” e confina con i beni dei
Longobardi, dei Toccatocca, di Gregorio Spataro e con la terra del monastero
dell’Isola del Salvatore (Notam Instr. S. Gregori, n.297).
Per avere conferma dell’esistenza
della nostra chiesa bisogna arrivare al 10 ottobre dell’anno 1033, quando in un
altro documento risulta che già esisteva una chiesa dedicata al SS. Salvatore. In
questo documento, rogato per mano del curiale Sergio, si apprende che il
presbitero Martino, custode della chiesa dei Santi Cosma e Damiano, vende a
Stefano Ferrario, chiamato Bonisculo, un appezzamento di terreno, detto “ad Nipititum”,
sito presso S. Sossio a Piscinola, e che questa terra confinava con la terra del
presbitero e patrizio di nome Pietro, con la terra dell’“Estaurita Plevis” chiamata
San Sossio, con la terra di Leone Luppari e con la terra che appartenne a Maria
Russo di Donna Agata, dove sorge la “Staurita Plevis” chiamata chiesa del
Salvatore in Piscinola (Ecclesie Domini et Salvatoris nostri Ihesus Christi de memorato loco
Piscinule). Non sappiamo però se la “Terra del Salvatore”
abbia accolto la nascente chiesa dedicata al SS. Salvatore oppure queste siano
state due entità distinte e indipendenti.
Altro documento, successivo al
primo, che conferma l’esistenza della chiesa di Piscinola, è l’atto rogato,
datato il 23 dicembre 1058, nel quale un certo Pietro che era suddiacono, abate
e rettore del monastero del beatissimo Agnello, vendeva a Giovanni, detto
Spadaro, presbiterio e primicerio, custode della chiesa di San Severo, una
terra in località “Vipitico” (Vitipicum), situata in San Sossio presso
Piscinola, che confinava tra gli altri, con la terra di Maria Russa di donna
Agata, tale terra era detenuta dalla Staurita Plevis, chiamata chiesa del Salvatore in
Piscinola in Piscinola.
Queste prime due testimonianze
attestano che la chiesa del SS. Salvatore era già presente nell’XI secolo e
lasciano anche desumere che essa sia stata in quel periodo già nel pieno esercizio
delle sue funzioni religiose. In base a tale assunzione si può trarre, con una certa
approssimazione, che la chiesa del Salvatore sia stata fondata almeno un
centinaio di anni prima del 1033; quindi, l’origine del tempio risalirebbe a un
decennio intorno alla metà del X secolo, quindi intorno al 940; tale
ipotesi è rafforzata dalla testimonianza che seguirà nel prossimo paragrafo.
Antichità della Chiesa del SS. Salvatore
La chiesa del SS. Salvatore è
unanimamente riconosciuta nell’ambito della Archidiocesi di Napoli come la
chiesa parrocchiale più antica della sua parte extra moenia; tale
riconoscimento è desunto per confronto con alcuni documenti e testimonianze
storiche che riguardano l’antichità della chiesa di San Giacomo a Calvizzano.
Infatti, lo storico Marco Antonio Sirleto, nella sua opera “Platea….”, pubblicata nell’anno
1663, scrive che la chiesa di San Giacomo in Calvizzano era antichissima e che
era seconda per datazione dopo quella di Piscinola. Mentre in un altro antico documento "Monumenta ad napolitani ducatus Historiam Pertinentia", scritto da Bartolomeo Capasso, (che viene celebrato per conto del
Duca di Napoli), si afferma che nell’anno 951, già esisteva la chiesa di
San Giacomo. Tuttavia quest’ordine non sempre fu rispettato nelle decisioni amministrative della diocesi, come nel 1337, quando le parrocchie della diocesi di Napoli, eccetto quelle cittadine, furono divise in tre Arcipreture; quelle dell’area collinare di Napoli furono affidate all'amministrazione della chiesa di San Giacomo di Calvizzano, pur non essendo la chiesa più antica della zona, mentre la chiesa del SS. Salvatore fu inserita sotto la sua giuridistizione. Successivamente il titolo di “Arcipretura” passò alla chiesa della Madonna delle Grazie di Porta Piccola a Capodimonte, che era ancora più recente delle prime due...
La chiesa medioevale
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| Affresco della Madonna della Misericordia, XIV sec. |
L’amministrazione e il culto della chiesa, tra Cappellania e Maestria…
Fino ai secoli XIV-XV, le chiese erano delle “Cappellanie” e venivano governate da un gruppo di laici chiamati “Maestri”, mentre il culto era da questi affidato a un cappellano, il quale ufficiava sporadicamente in sito le funzioni religiosi. Solo a partire dal XIV secolo le chiese furono affidate stabilmente a un sacerdote scelto dalla Curia, che divenne così anche rettore della chiesa a lui affidata (rettoria), perché governava gli affari della parrocchia, oltre ad esercitarne il culto. Nacque così la “parrocchia”. Ma forse questo processo dalle nostre parti è stato più lento è graduale, perchè nella relazione di "Santa Visita" del cardinale Francesco Carafa, del 1542, risulta che il sacerdote officiante nella chiesa del Salvatore, don Antonio Ristaino, è un "Cappellano", mentre esiste ancora il "Rettore", tale Baldassarre Pepe.
L’Estaurita o Staurita…
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| Carte des Enviros de la Ville et du Golfe de Naples”, di Carlo Werber, 1778 (Part.) |
L’antica chiesa del SS. Salvatore, insieme all’altra chiesa antica di Piscinola dedicata a San Sossio Diacono e Martire, erano due “Estaurite” (Staurita Plevis). L’”Estaurita” era una organizzazione composta da laici impegnati che avvertivano l’esigenza di unirsi in un sodalizio per aiutare i bisognosi. Questi, con il passare del tempo, ebbero l’esigenza di nominare un governo che amministrasse questo loro sodalizio. I componenti di questo governo erano chiamati “Maestri” e per questo col tempo il sodalizio fu chiamato anche “Maestria”. Tra i compiti dell’”Estaurita” c’era la nomina del cappellano a cui affidare le funzioni ecclesiastiche, seguiva l’amministrazione della chiesa, la sua manutenzione e le spese di gestione, nonché eseguire la missione (non secondaria), di aiutare i bisognosi. Il termine di “Estaurita” o “Staurita” deriva dal greco “Stauros” che significa “croce”, perché le chiese che erano rette da una “Estaurita” potevano esporre pubblicamente la Croce, indicando così di possedere le rendite e i benefici che le erano assegnati e che le consentivano di svolgere le funzioni assistenziali che abbiamo descritto, mentre il termine “Plevis” indicherebbe il tipo di organizzazione, strutturata e indipendente. L’Estaurita si governava in maniera indipendente rispetto al parroco e alla curia, ed è facile immaginare quanti dissapori e contrasti sorsero tra questi nel corso del tempo, come avvenne anche a Piscinola... Lo storico Don Carlo Celano, nella sua opera intitolata “Notizie del bello, dell’antico, e del curioso della Città di Napoli (giorn. 2, pag. 27)”, riporta che a Napoli le chiese “Estaurite” erano ventinove e cita un’usanza particolare svolta da queste organizzazioni: “Nel giorno della Domenica delle Palme, una croce ornata di palme veniva portata in processione e poi piantata nel mezzo del sagrato davanti la chiesa. Poi il popolo depositava offerte ed elemosine che venivano raccolte dall’Estauritario con gli altri Decani, ossia i capi dell’Estaurita”.
L’elenco dei parroci
Dai diari conservati nell’Archivio Parrocchiale e dai documenti conservati nell’Archivio Diocesano di Napoli, si riesce a risalire ai nomi dei parroci (o cappellani) che a partire dal XVI secolo hanno officiato e retto la Chiesa del SS. Salvatore. Non si conoscono, purtroppo, i nomi di quelli antecedenti all’anno 1538.
1538 Don Antonio Ristaino (o Ristaldo) - cappellano![]() |
| Lapide con i parroci, ingresso chiesa SS. Salvatore |
1576 Don Giovanni Antonio Melfi
1585 Don Giovanni Antonio Feulo
1621 Don Pietro Salterio
1654 Don Francesco De Giorgio
1688 Don Antonio Vitale
1700 Don Giuseppe Cimmino
1702 Don Francesco D’Alterio (o Galtiero)
1723 Don Carmine Danese
1780 Don Giovan Battista Mosella
1800 Don Ambrogio Tagliamonte
1804 Don Simone D’Arbrito
1829 Don Pietro Ferraro
1870 Don Luigi Russo
1901 Don Domenico Gallo
1932 Don Luigi Aruta
1936 Don Raffaele Carandente
1947 Don Angelo Ferrillo
1989 Don Franco Bianco
2012 Don Lucio Pagano
2024 Don Angelo Guarino (Parroco Attuale)
Questi nomi sono incisi sulla lastra marmorea che è collocata sulla parete destra dell’ingresso della chiesa, e viene continuamente aggiornata nel tempo.
Le rendite e i beni della chiesa dal XVI secolo
La chiesa di Piscinola ha goduto
in passato di diverse rendite e di beni immobili, spesso pervenuti dai lasciti
testamentari da parte dei fedeli. Sono stati i parroci dei primi decenni del
‘600 a investire risorse e proventi nell’acquisto di beni immobili in modo da
generare una rendita costante per rendere la chiesa autosufficiente. Ma
l’usanza di assicurarsi una rendita era già presente nel secolo precedente,
infatti, dai diari di Santa Visita dell’Arcivescovo Francesco Carafa, redatti
nel 1542, apprendiamo, in dettaglio, di tutti i beni posseduti e le rendite percepite
dalla chiesa di Piscinola in quell’anno, quando il rettore era don Baldassarre
Pepe e il cappellano era Don Antonino Ristaldo (o Ristaino). Tra le rendite
godute, c’erano gli affitti di terreni, come i cinque moggi situati a
Piscinola, condotti da contadini per conto del magnifico Geronimo Carmignano,
con rendita di 5 ducati l’anno e, a seguire, quelli di altri due terreni e
anche di cinque abitazioni e vari cespiti, tenuti sia dentro che fuori al
Casale di Piscinola.
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| Mappa dei dintorni di Napoli A.Valmagini, metà '800 (part.) |
Riguardo agli oggetti preziosi posseduti si menziona: “Nella detta chiesa sono i seguenti beni,
cioè: una croce d'argento; una coppa d'argento; un pianeta di velluto cremisi e
l'altro di stoffa d’Olanda; con una camicia e un mantello; quattro tovaglioli
che sono acquistati attraverso l'elemosina, dagli uomini dell'Università” (ossia
dal governo del Casale).
Nel libro: “Chiesa e comunità
nella diocesi di Napoli tra il cinque e settecento”, scritto da Carla Russo, è riportato chea Napoli il reddito più alto percepito dagli investimenti immobiliari di
case era quello del parroco di Piscinola, che raggiunse il picco massimo nel
1623, con 105 ducati, mentre negli ultimi due decenni del ‘600 esso era
compreso tra i 36 e i 38 ducati. Nel secolo XVIII le rendite della nostra
chiesa scesero progressivamente, con punte di 30 ducati nel 1714 e di 21 ducati
nel 1746. Ma i parroci della chiesa di Piscinola furono tra quelli che
mostrarono maggior interesse nell’investire nella proprietà edilizia, se si
tiene presente che il parroco Carmine Danese, in carica nel 1746, aveva
investito 230 ducati, mentre l’altro parroco, Antonio Vitale, alcuni decenni
prima, aveva investito 90 ducati per l’acquisto di un terreno. (Fine prima parte)
Salvatore Fioretto







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