martedì 28 marzo 2017

Le coltivazioni di Canapa, Lino, Gelso e Cotone attraverso i secoli, nell'Area Nord di Napoli....




Quella che fu la sterminata plaga dell'"Ager Neapolitanus", chiamata così dai Romani, fu fin dagli albori degli insediamenti antropici stabili luogo rinomato per la produzione di diverse cultivar ed essenze arboree, utilizzate per la realizzazione di fibre tessili vegetali, destinate alla produzione di capi di abbigliamento, di tessuti e di diversi tipi di stoffe, per un vasto e variegato utilizzo.
Coltivazione di Lino
Nei secoli che seguirono, gli abitanti dei territori posti a nord della nobile Capitale, tra essi: Piscinola, Marianella, Miano, Chiaiano, Secondigliano, Melito, e via, via fino a Casoria, Afragola, Arzano, Frattamaggiore, Casalnuovo, ecc. ecc., oltre all'agricoltura e all'allevamento del bestiame, si specializzarono nella produzione di fibre tessili, ma anche nella trasformazione in filati e in cordami. Venivano utilizzate fibre coltivate e prodotte localmente, quali: Canapa, Lino, Seta, Cotone e, poi, ovviamente anche filati di origine animale, ossia la lana degli ovini.
A Secondigliano e a Casoria, per esempio, una delle principali attività extra-agricole era proprio quella della filatura. La gran parte della popolazione di Arzano era poi impiegata nell'attività di "pettinatura" del lino e della canapa, lavoro che si svolgeva anche in altri centri e contadi della provincia di Napoli e nella stessa città. 
Nel Seicento, Secondigliano si reggeva su un'economia prevalentemente agricola, grazie al terreno fertilissimo. Numerosi impianti di alberi di gelso si trovavano lungo l'antica arteria che collegava (e collega tutt'oggi), Secondigliano a Melito, ad Aversa, fino a Roma (l'attuale Scampia!). La seta qui prodotta era di ottima qualità, e fu definita tra le migliori prodotte del Regno di Napoli, nel secolo XVII. Di buon livello era anche la produzione del lino che veniva lavorato in casa dalle donne, mentre gli uomini provvedevano al commercio, esportando i filati e i prodotti di tessitura fuori dai confini dell'antico Casale. Sempre a Secondigliano, tra la fine del Settecento e l'inizio dell'Ottocento, molto fiorente era anche la tessitura dei capi in felpa.

Citiamo le testimonianze storiche raccolte sulla vocazione del territorio per la produzione di fibre tessili e filati.

Testimonianze storiche sulle coltivazioni di canapa, di lino e di gelso
Canapa
Il Summonte, citando i Casali esistenti nel XIV secolo intorno alla città di Napoli, tra cui quello di Piscinola, così scrive “[…] Questi Casali sono abbondantissimi di frutta di ogni sorta e qualità[…]. 
Sono anco fertilissimi di vini preziosi e delicati, di frumento, di lino finissimo e canapo di grande qualità, di bellissime sete, vittovaglie di ogni sorte, selve, nocellami, polli, uccelli, et animali quadrupedi, così da fatica come da taglio: gli abitatori di questi Casali, quasi ogni giorno vengono a Napoli a vendere le loro cose” .
Il Sacco nel 1796 scrive: […] Piscinola Casale Regio di Napoli nella provincia di Terra di Lavoro (!), ed in Diocesi di Napoli, il quale giace in una pianura, d’aria temperata e nella distanza di quattro miglia dalla città di Napoli. Sono da notarsi in detto Casale, il quale esisteva sin dal tempo, in cui la città di Napoli fu presa e saccheggiata da Belisario, generale dell’imperatore Giustiniano, una chiesa parrocchiale sotto il titolo del SS. Salvatore, ed una confraternita laicale sotto la invocazione del Sagramento. 
Il suo territorio produce grani, granidindia, lini e canapi. Il numero degli abitanti ascende a milleottocentoquarantasei sotto la guida spirituale di un Parroco.”
Il Libro Dizionario Geografico ragionato del Regno di Napoli di Lorenzo Giustiniani a Sua Maestà Ferdinando IV, re delle Due Sicilie, edito nel 1804, riporta testualmente: “Da una carta celebrata in Napoli, citata dal Chiarito, a 29 agosto dell’anno XLIV dell’impero di Costantino e VII di Romano, si legge: “Petiam terre in loco dicto prato in Piscinula”. Il suo territorio fa grano, granone, lino, canapa, vino e frutta. Gli abitanti ascendono a 1954 (anno 1804), tutti addetti all’agricoltura e alla negoziazione de loro prodotti”.
Scheda botanica della Canapa
Nel libro “Historia del Regno di Napoli, ultimamente diviso in 15 provincie…” di Giuseppe Maria Alfano, Napoli 1823, è scritto: “Piscinola, Casale Regio, in piano, d’aria mediocre, Dioc. di Napoli, circa 4 miglia distante dalla città. E’ antichissimo, poiché esisteva sin dal tempo in cui la città di Napoli fu presa e saccheggiata da Belisario Generale dell’imperatore Giustiniano. Produce Grani, Granidindia (mais), lini, canapi. Fa’ di popolazione 1906”.
Nel libro “Corografia dell’Italia” di G. B. Rampoldi, Volume III, Milano 1834, si legge: “Piscinola, volgarmente Pascinola, villaggio del Regno delle Due Sicilie, provincia di Napoli, distretto di Casoria, cantone di Mugnano, con circa 1800 abitanti. Il suo territorio, intersecato dalla via che da Napoli conduce a Caserta, è dei più ubertosi che immaginare si possa. Abbondantissime sono le messi, copiose le piante fruttifere e prelibati i loro prodotti. Sta sette miglia a ostro di Caserta e altrettanto a borea di Napoli [...]”.

La macerazione nel lago di Agnano...
Il lago di Agnano è stato utilizzato per secoli dagli abitanti di Piscinola e di altri centri dell'Area Nord di Napoli, per la macerazione del lino e della canapa. Per favorire tale pratica e agevolare il collegamento stradale al lago, i Borboni realizzarono l'importante asse viario, denominato la "Strada dei Canapi Agnano-Miano", oggi via V. Janfolla e altre strade ad essa collegate, attraverso i quartieri dell'Arenella (Pigna) e di Fuorigrotta (leggere il post dedicato alla "Via Miano Agnano, la prima tangenziale di Napoli").  
Lago di Agnano e il casino di caccia borbonico, foto di fine '800
Successivamente alla realizzazione di quest'arteria, il Comune di Piscinola avanzò richiesta di fondi alla allora Deputazione Provinciale di Napoli, per finanziare la costruzione di una nuova strada per Miano, che si congiungesse col nuovo asse viario per Agnano (oggi Via Vittorio Veneto), ma a causa del cambio di Governo, scaturito dall'unificazione del Regno d'Italia, all'abolizione del Comune di Piscinola e alle lungaggini burocratiche cittadine, essa veniva completata solo nell'anno 1913...!
L'utilizzo del lago di Agnano fu proibito durante i periodi di calamità pubblica in città, anche se le disposizioni di divieto furono quasi sempre disattese dai nostri antichi concittadini, tanto da scaturirne pubblici ammonimenti, destinati ai cittadini evasori...
Ecco una testimonianza raccolta nella cronaca del tempo: “Napoli nell’anno 1764, documenti della carestia e della epidemia…”:
Macerazione della canapa
[…] Con dispaccio del 13 luglio del 1764 venne vietata la macerazione della canapa e del lino nel lago di Agnano, come cosa pregiudizievole alla pubblica salute, e si ordinò di farsi il macero nel Fusaro, nel lago di Patria e in altri luoghi lontani dall’abitato e poiché i contadini di Piscinola, Marianella e Chiajano ed altri si negarono di ubbidire, fu ordinato dal Commissario di Campagna di procedere con rigore contro i trasgressori […]”.
Nei secoli precedenti al XIX secolo anche le zone dell’area est di Napoli, ricche di paludi, furono utilizzate per macerare Lino e Canapa. Infatti a Barra, furono gli Angioini ad avviare un'efficace azione di bonifica di queste zone acquitrinose e malsane, dove dai tempi del Ducato si poneva a macerare il lino e la canapa; ciò permise con il tempo la graduale sistemazione del suolo e il ripopolamento della campagna dando luogo alla formazione del primo nucleo del casale di Barra. Ignorato il problema sotto il domino degli Svevi, l’intervento di bonifica dello Stato proseguì a più riprese in età aragonese e culminò nell'anno 1485.
Macerazione della canapa
Successivamente agli interventi di bonifica e di prosciugamento del lago di Agnano, la canapa veniva condotta a macerare ai Regi Lagni, dove si trovavano ampie vasche attrezzate e piazzali idonei per l'essiccazione dei covoni
La società francese "Chemin de Fer du Midi de Italie", gerente della ferrovia "Napoli Piedimonte d’Alife", proprio per far fronte alle numerose richieste di trasporto da parte dei tanti lavoratori, braccianti stagionali, occupati in queste attività legate alla Canapa (lavoratori provenienti dalle provincie di Napoli e Caserta), aveva istituita, a partire dagli anni ’20-‘30, una fermata facoltativa proprio nei pressi del ponte sul canale, denominata, appunto, "Regi Lagni".

La coltivazione del Gelso e la Bachicoltura.
Bozzoli di seta
Ai primi del Settecento, nel territorio compreso tra Secondigliano, San Pietro a Patierno, Miano, Piscinola, Melito, Arzano e Casavatore, venne incrementata la coltivazione dei gelsi per alimentare i bachi da seta. 
Ne conseguì una fiorente produzione di seta a livello artigianale e familiare, che preannunciava l'avveneristica istituzione borbonica dell’industria serica di San Leucio,  promossa dal Re Ferdinando IV. 
Baco da seta
A Secondigliano buona parte delle case era provvista almeno di un telaio per la lavorazione e tessitura della seta a domicilio, ma anche del lino. La lavorazione della seta e del lino persistette in questi territori per tutto l’Ottocento.
Anche il Casale di Piscinola, poi divenuto Comune autonomo, ebbe dei luoghi principalmente dedicati alle lavorazioni delle fibre e alla loro tessitura: il toponimo dell'attuale Via Cupa della Filanda deriva dalla presenza, nei tempi antichi, di molte filande a sud di Piscinola, dedite alla tessitura del lino e della seta.

Tessuto di seta "damascato"
Sulla produzione e sul commercio della seta i dati disponibili sono relativi al decennio 1774-1783 e si riferiscono alle spedizioni verso Napoli delle sete prodotte. I dati mostrano oscillazioni molto ampie da un anno all'altro: poco meno di 20.000 libbre nel '74, 11700 libbre nel '75, quasi 30.000 nel '76... e poi un lento e progressivo calo fino a 10000 libbre de primi anni '80 e ad un minimo di 4.300 libbre nel 1783.        
Il Columella Onorati sosteneva di aver osservato nei dintorni di Napoli tre varietà di gelso: a foglia bolognese, a foglia palermitana e a foglia bianca "nostrale”. Le ultime due, più diffuse, erano rispettivamente a frutto rosso e bianco, ma la bianca "nostrale" era largamente utilizzata...

La canapa ed il lino
La canapa ed il lino, come si è già detto furono un tempo largamente utilizzate nell’economia contadina, per la produzione di filati e di stoffe sia a carattere semi-industriale, che semplicemente per l'utilizzo familiare.Queste fibre si ricavavano dalle piante coltivate nei nostri campi in maniera intensiva. Esse avevano, in sostanza, fasi di lavorazione tra loro molto simili.
Corde di canapa
Descriveremo la produzione della canapa, perché ci è giunta la testimonianza diretta degli anziani che la coltivavano durante la loro fanciullezza. I semi di canapa (‘o cannule) erano messi a dimora nel mese di marzo, eseguendo sul terreno solchi ravvicinati, mediante piccole zappe. A luglio, quando le piante iniziavano ad ingiallire, si estirpavano (scippavano) e venivano messe a seccare distribuite sul terreno. Per rendere omogenee le superfici, si “giravano” più volte i fusti, affinché anche le parti non esposte al sole divenissero uniformi alle altre.
Si eseguiva poi una “scrollatura” degli arbusti, in modo da favorire la caduta delle foglie rinsecchite. Successivamente venivano eliminate le radici e le cime degli arbusti, mediante dei tagli netti eseguiti con una specie di macete. I fusti ottenuti erano quindi raggruppati in piccoli fasci e legati con elementi della stessa canapa. I fasci di canapa erano caricati su appositi carri, detticarrette”, e trasportati nelle vasche di macerazione, che si trovavano nei pressi dei Regi Lagni. Lì venivano immersi in acqua a macerare (‘a maturà) per circa dieci giorni, coprendoli con dei pesi zavorra o semplicemente con pietre.
Produzione di corde a Frattamaggiore
Una volta estratti dall’acqua, i fusti venivano messi ad asciugare, esposti al sole nei piazzali adiacenti.  Si preferiva conferire ai fasci di canapa la posizione verticale aperta, a forma di cono. Naturalmente sia l’occupazione delle vasche che dei piazzali era fatta a titolo oneroso e doveva essere pagata con un contributo in natura o in moneta.
Terminata l’asciugatura, i fusti di canapa erano riportati nelle masserie per essere ulteriormente essiccati nelle “arie”.
Seguiva l’operazione di “sfribratura”, che consisteva in una specie di “pestaggio”, praticato per estrarre le fibre dal fusto. L’attrezzo utilizzato per l’operazione consisteva in un apposito scanno (macennola), munito di una leva di legno corta e pesante, con un’apposita scanalatura, dentro la quale si poneva il fascio di canapa, per subire il “pestaggio”. 

Produzione di corde a Frattamaggiore: I "funari"
Queste fasi della lavorazione erano condotte da operatori specializzati, impiegati solo per l’occasione. Un’altra operazione particolare era la “pettinatura” di finitura, che consisteva nello spatolare le fibre della canapa con uno speciale attrezzo di legno detto “spatula”. Normalmente queste due ultime lavorazioni erano condotte dallo stesso operatore, che veniva chiamato “pettinatore”.
Al termine dell’operazione di “pettinatura”, si raggruppavano tre o quattro matasse e si componevano i fasci, che avevano dimensioni stabilite per essere trasportati e venduti in un “Consorzio”.
"Macennola"
I “Consorzi” erano degli opifici abbastanza diffusi nella zona ed erano situati sia nei pressi di Afragola, che nelle zone di Frattamaggiore, Grumo e Caserta. All’interno di un “Consorzio” c’era un tecnico “estimatore”, che attribuiva, con il suo giudizio, un grado d’apprezzamento alla qualità della canapa da acquistare.
Il grado d’apprezzamento variava secondo la scala di qualità: 1, 2, 3. Più alto era il "numero d’apprezzamento" e più scadente era la qualità della canapa e quindi meno valore economico gli era attribuito.
Spesso, in occasione di una cattiva stagione primaverile, la canapa s’imbruniva durante la “maturazione” e questa anomalia della fibra rappresentava uno degli elementi che le facevano perdere di valore durante la vendita.
In sostanza, il valore della canapa seguiva l’andamento del mercato ed era soggetto ad un vero e proprio “borsino di scambio”.
Cartolina di Frattamaggiore
Una curiosità che abbiamo raccolto dagli anziani è stata quella che il costo della canapa stipulato dal “Consorzio”, al momento del conferimento, era solo fatto “per approssimazione”, poiché il “consorzio” provvedeva al termine della stagione a correggere la quota stipulata, via via che il “mercato” si adeguava al prezzo stabilmente praticato. In sostanza, a distanza di mesi dalla vendita, si veniva chiamati e si riceveva ulteriore denaro.
Sovente una certa quantità di canapa veniva utilizzava nell’ambito della famiglia del contadino, il quale la raccoglieva su dei fusi e provvedeva a farla tessere in alcune filande della zona, attrezzate con telai semi automatici. 
Sicuramente un tempo le masserie possedevano, oltre ad arcolai e fusi, anche i telai di legno per la tessitura della canapa, poi andati in disuso. Con questi attrezzi le donne del paese preparavano il loro corredo prima di sposarsi.
Frattamaggiore: Monumento dedicato ai lavoratori di Canapa: "La canapina"
A livello industriale fiorenti erano i piccoli e medi insediamenti sorti nelle cittadine di Frattamaggiore, Casandrino, Melito e altre località, specializzati nella produzione di cordami. Le corde prodotte in questi centri sono state diffusamente utilizzate per secoli dalle navi della marina borbonica, e presso le tante industrie del Regno di Napoli e anche all'esterno di esso. 
Non abbiamo raccolto testimonianze sulla produzione del lino a Piscinola, forse perché la coltivazione di questa pianta è stata praticata in tempi ancora più remoti ed è quindi scomparsa ormai da troppi anni. Molto probabilmente la produzione del lino avveniva sul finire dell'Ottocento solo a carattere locale in base a particolari esigenze familiari. Di sicuro in ogni masseria era presente una grossa pietra di basalto grigia, utilizzata per la lavorazione di questa pregiata fibra.

I Meuricoffre coltivano il cotone a Piscinola…
Abbiamo già pubblicato sulle pagine di questo blog un post dedicato alla famiglia dei banchieri svizzeri Meuricoffre, che promossero soprattutto investimenti ed affari nel campo della finanza, dell’agricoltura e della navigazione.
Fiore di cotone
A seguito della Rivoluzione Americana (1780), le importazioni in Europa del cotone si erano drasticamente ridotte e il rampollo della famiglia, Oscar, pensò bene di attrezzare il suo terreno situato a Piscinola, con piantagioni di cotone. Tale progetto però richiedeva la costruzione di due capienti cisterne per l’irrigazione delle piantine di cotone, oltre che di un sistema di condotte per l’adduzione dell’acqua piovana.
L’investimento si presentava già al suo nascere assai costoso, perché era necessario assoldare maestranze specializzate e importare macchinari provenienti da fuori Napoli. A chi gli faceva notare l’enormità della spesa da affrontare in relazione al guadagno atteso, Oscar Meuricoffre rispondeva che l’acqua poteva essere utile anche ai contadini piscinolesi...
Dopo l’approvazione da parte del Comune di Piscinola, il progetto passò alla Deputazione Provinciale di Napoli.
Non sappiamo se l’investimento ebbe un buon rendimento, sappiamo solo che l’opera idraulica fu realizzata, come pensata da Oscar.
Le cronache registrano che, alla sua morte, il Comune di Piscinola si trovò in possesso di un piccolo acquedotto, per soddisfare i bisogni idrici e di sete della popolazione locale.
Arcolaio
L’idea di coltivare il cotone in provincia di Napoli, non fu poi tanto una novità, perché coltivazioni di cotone erano diffuse nei primi decenni dell’'800 in diverse provincie del Regno e soprattutto in alcune zone circostanti la città di Napoli, come a Torre del Greco. 
Nel notiziario “Atti del Regio Istituto d’incoraggiamento alle scienze naturali”, si riporta una sostanziosa descrizione delle piantagioni di cotone e dei ricavi industriali attendibili, oltre ad uno studio del clima e della geomorfologia del territorio esistente attorno alla città di Napoli ed in altre terre del Regno delle Due Sicilie. In quest’opera si dimostrava, in effetti, la fattibilità tecnico-agraria della coltura del cotone anche nel nostro territorio, come poi sperimentata da Oscar.

Formazione di corde a livello artigianale
A conclusione di questo interessante argomento, c’è da aggiungere che nonostante la variegata quantità di mestieri esistenti nel territorio a Nord di Napoli, e in particolare a Piscinola, è stata la lavorazione della canapa, del lino e della seta ad avere e conservare per molti secoli un posto di rilievo tra i mestieri maggiormente esercitati dalla popolazione locale. Per lavorare e produrre queste fibre a volte occorreva sfidare le disposizioni delle autorità sanitarie, come abbiamo visto nell’anno 1764, quando gli abitanti di Piscinola, Marianella, Chiaiano e di altri Casali non si persero d'animo e continuavano a portare i canapi e i lini a macerare nel lago di Agnano, nonostante i divieti imposti dal governo della città.
Salvatore Fioretto 

Alcuni paragrafi inseriti in questo post sono stati tratti dal libro: "Piscinola, la terra del Salvatore. Una terra, la sua gente, le sue tradizioni", di S. Fioretto, ed. The Boopen, 2010.

(Tutti i diritti per la pubblicazione dei testi del blog sono riservati all'autore, ai sensi della legislazione vigente)

N.B.: Le foto riportate in questo post sono state liberamente ricavate da alcuni siti web, ove erano pubblicate. Esse sono state inserite in questa pagina di storia della città, unicamente per la libera divulgazione della cultura, senza alcun secondo fine o scopo di lucro.
 







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