Questi
miei ricordi risalgono a persone di Piscinola che esistevano prima del 1945 ed
entrano nella mia memoria di bambino e di ragazzetto. Il mio limite è
rappresentato dal fatto che dal 1960 sono andato ad abitare nel centro della
città e, quindi, questa mia testimonianza copre 15 anni di vita vissuta e riporta anche le memorie apprese dai più
vecchi.
Foto panoramica su Piscinola (foto di Ciro Pernice) |
Come
chiesto, seguirò traccia di costoro, riportando anche l’ubicazione toponomastica
delle rispettive attività e aggiungendo qualche ricordo personale o aneddoto
storico locale.
Forno a legna (foto di repertorio) |
Intanto mi era poco chiaro il fatto che nella nostra
realtà rurale, che conosceva a menadito la panificazione, la vinificazione, la
norcineria e l’arte casearia, gli esercizi pubblici più numerosi fossero
proprio i negozi alimentari: in un piccolo borgo come Piscinola se ne contavano, a
mia memoria, almeno otto.
Queste salumerie vendevano legumi secchi, biscotti,
pasta, formaggi, salumi, prosciutti, che acquistavano all’ingrosso per la
rivendita al minuto, ma l’elemento che più le caratterizzava erano la
produzione e la bontà del pane, come donna Nunziatina e donna Giulia, che
avevano dei forni di proprietà e quindi erano panificatori che lavoravano e
infornavano per l’intera notte e fornivano pane anche ad altri salumieri.
Donna Nunziatina, anticipando i tempi e i gusti,
produsse, quasi in regime di monopolio, i primi panini, sfilatini e rosette,
ossia quei formati di pane che tornavano più comodi per preparare le merende degli operai edili e dei
braccianti agricoli; pane più soffice e per taluni anche più gustoso delle eterne
fette o cozzetti di pane casereccio semiraffermo, che a parecchi provocava il
singhiozzo.
Forno a legna (foto di repertorio) |
La produzione di panini e di rosette,
mutuata dalla panificazione francese, ebbe notevole successo e suppongo che sia
stato uno dei tanti motivi per i quali in quel tempo i Biancardi erano i più
floridi salumieri di Piscinola. Difatti la concorrenza, per reggere il passo, era
costretta a variare l’offerta e allora don Gennaro andava a comprare il pane a
Casandrino, mentre don Eugenio andava a rifornirsi a Melito o spingersi sino alle
colonne di Giugliano, se non ad Aversa.
Interno di antica salumeria (foto di repertorio) |
C'erano poi i beccai, che macellavano capi di bestiame, quasi sempre non
controllati dai veterinari del macello comunale e una pletora di ambulanti che
vendevano caramelle, segatura, biscotti, giocattoli, piccola biancheria; erano quasi tutti improvvisati, senza essere a regola con le leggi, ma a quei tempi, poi, non si badava tanto a queste cose...
Gli stessi contadini vendevano, in maniera occasionale, verdure, pomodori, frutta, ortaggi, agrumi, ogni tipo di legume, uova, pollame, conigli, maiali, guanciali di maiale, pancette, salami, capicolli e soppressate, formaggi e, infine, vino fragola o d’altra qualità, abbondantemente annacquato con acqua, in palese concorrenza con i vinai ed i beccai del posto...
Gli stessi contadini vendevano, in maniera occasionale, verdure, pomodori, frutta, ortaggi, agrumi, ogni tipo di legume, uova, pollame, conigli, maiali, guanciali di maiale, pancette, salami, capicolli e soppressate, formaggi e, infine, vino fragola o d’altra qualità, abbondantemente annacquato con acqua, in palese concorrenza con i vinai ed i beccai del posto...
Forno a legna (foto di repertorio) |
Parlo di pane, che poteva essere una risorsa
gastronomica, un piatto d’eccellenza, al pari dei prodotti che venivano dalla
tradizione contadina: della macellazione dei conigli allevati in fossa o in
cortile, dei polli, delle oche e dei tacchini allevati nei cortili, del maiale (da cui si ricavavano prelibati
salami, prosciutti e soppressate) o della tradizione casearia, che a Piscinola,
pur essendo minore, dava uno splendido prodotto, come la cagliata, così leggera
e gustosa che, in questi tempi di diete leggere, tornerebbe utilissima e
troverebbe gran mercato come prodotto D.O.C.G. (denominazione di origine
controllata e garantita).
Macellazione del maiale (foto di repertorio) |
Bottega di macelleria e salumeria (foto di repertorio) |
Prima del terremoto, certe sere che stavamo nel forno di mio cognato Ciccio, panificatore dell’ultima ora, c’inventammo delle ‘mangiate per solo forno’.... partecipate da comuni amici, ora tutti laureati, non vi descrivo le pietanze..., ma ricordo Gennaro che, ispirato da Tonia, si autoinvitava, intervenendo con una messe di salami, formaggi e vini di sua produzione e, a fine cena, ci ammanniva di suoi versi e prose, il cui successivo commento svelava una partecipazione d’amorosi sensi..., inconsapevolmente elevando, improvvisamente, quelle cene frugali di forno, ad eccelsi convivi...!
Mappa di Napoli e dei trentatré Casali, di Luigi Marchese, 1807 |
Per i negozi e le altre attività commerciali, inizierò
dal centro di Piscinola, per andare via via sul suo perimetro:
Piazza
Municipio (oggi Piazza G. B.Tafuri)
La
piazza era una specie d’agorà nella quale sfociavano le vie perché era sede del
Municipio (Ufficio Anagrafe, Medico Condotto, Maternità)
In
senso orario – palazzo Chiarolanza: 1 farmacia e 2 cantina + tavola calda
fratelli Sarnacchiaro. Chiesa S.S. Salvatore; Nel palazzo Grammatico – 3 Baccaleria, 4 Salumeria, 5 Sali, Tabacchi e Chinino di Stato, Sede Partito Comunista, 6 Cantina di Don Lorenzo e Rafilina.
1) La
farmacia del dott. Raffaele Chiarolanza.
Era ubicata all'angolo della Piazza, dove ora
c’è una pizzeria. La farmacia era
condotta da un nipote del professore senatore omonimo, il dott. Raffele Chiarolanza. Era
anche una laboratorio di erboristeria dove si approntavano preparati galenici e di
erbe officinali. Anche la moglie del dott. Raffaele era laureata in farmacia e spesso fungeva da medico vero e proprio.
Palazzo e Giardino Chiarolanza (foto di S. Fioretto) |
Ricordo che da ragazzi, a volte, affondavamo con le scarpe nel fango,
penetrando nel fitto canneto che superava i cinque metri d’altezza, dove
vedevamo strisciare bisce d’acqua, rane, rospi, girini e lente sanguisughe, che
raccoglievamo in barattoli per portarle al farmacista don Raffaele Chiarolanza. Il dottore le annegava in un boccale di vetro pieno d’acqua. Subito dopo, le vedevamo risalire la
parete di vetro, lente e nere. Queste sanguisughe servivano a fare i ‘salassi’
su parti del corpo ferite o infiammate, dove magari non era possibile incidere,
perché la sanguisuga s’attaccava sulle parti interessate e iniziava a
succhiare il "sangue infetto" e ne permetteva la
purificazione. Talvolta erano necessarie diverse sanguisughe e quando erano
gonfie di sangue si staccavano e si riportavano indietro alla farmacia. Spesso venivano
attaccate al collo di chi soffriva di pressione alta o in tutti i casi di problemi ematici, in cui si riteneva salutare effettuare un salasso.
Veduta panoramica di Piscinola (foto di Giuseppe DiVaio) |
Ma c'era anche donna Francischella 'a spaccalegna’ che riforniva don Raffaele di strane erbe
medicinali e/o officinali, che erano solo a loro due note, utili per farne tisane, pozioni e
medicamenti. Quelli che riesco a ricordare sono i semi di Lino, con i quali si
facevano i famosi ‘impiastri’, capaci di succhiare e sanare il pus piocianico da
foruncoli in suppurazione, da cisti, da ferite infette e da fistole, mentre con l’Ortica ed altre spezie ricavava unguenti per curare la
forfora o gli eccessi seborroici del cuoio capelluto e anche le infiammazioni della cute.
Altri
cari ricordi personali mi legano a don Raffaele Chiarolanza per la sua grande umanità e amicizia, ma non starò qui a raccontarli...
2) la cantina dei fratelli Sarnacchiaro (già da me descritta in dettaglio in un altro post, pubblicato nel blog qualche tempo fa, e che qui ora riassumo)
Anche i fratelli Sarnacchiaro erano cantinieri,
ma il locale era strutturato a modo di trattoria, nel primo c’era il bancone di
mescita dei vini, un locale cucina in muratura e quello attiguo con grandi tavole da
sei posti, con tovaglie a quadroni rossi e blu.
Banchetto estivo nel giardino della trattoria Sarnacchiario (foto Sarnacchiaro) |
Dal primo locale cucina, si
entrava in un minuscolo servizio e, mediante tre soli scalini, in un cortile
aperto interamente coperto da tralci di glicini posti negli angoli del vasto
spazio rettangolare.
In primavera quei tralci
formavano un pergolato così fitto che davano ombra ed era spettacolare, tanto
per il colore delicato di viola chiaro, quanto per il profumo emanato dai fiori. Era una trattoria rinomata nel Borgo
ed anche fuori, talvolta, di domenica mattina dal treno della Piedimonte, sortivano gruppi
e famiglie d’avventori, che chiedevano l’indicazione della Trattoria
Sarnacchiaro e noi subito indicavamo l’insegna della farmacia del dott.
Chiarolanza, che confinava proprio con la trattoria.
Ancora oggi che ci penso mi
sembra una stranezza come in un borgo così piccolo ci fossero tante
osterie, perché oltre a Don Lorenzo e ai fratelli Sarnacchiaro, c’erano ancora la
trattoria dei Di Guida, in via del Plebiscito e quella dei ‘Carmusine’, in via V. Emanuele.
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……Ebbi un
barlume di speranza, quando, qualche anno fa, s’ipotizzò di portare a Piscinola una
succursale della scuola alberghiera, poi confinata ad Agnano, navigai non poco
con la fantasia, sulla possibilità di introdurre nei piani di studi, queste
nostre specialità, così come accaduto con la cucina della costiera sorrentina o
di quella puteolana e bacolese, che hanno cambiato con notevole successo la
ristorazione nazionale e internazionale, con l’apporto delle filiere
tradizionali rivisitate in chiave meno grassa.
Tinozzi di legno con uva (foto di repertorio) |
Quest’opportunità, contornate anche da sagre locali, indette da associazioni, di concerto con Comuni e Municipalità,
volte alla promulgazione di un’autentica cucina contadina o povera, non è stata
mai colta. Vuoi per la tipica indolenza piscinolese, ma soprattutto per l’idiota
ignoranza dei nostri politici, che non hanno saputo o voluto vedere, anche in
queste semplici cose, l’occasione di un diverso possibile sviluppo economico e
sociale di Piscinola. Eppure bastava vedere cosa accadeva nelle plaghe della
costiera sorrentina e flegrea in generale ed, invece, hanno perseverato
nell’ignoranza, non credendoci sino in fondo, come sta accadendo nei paesi e
nei piccoli centri dell’area aversana, avellinese e beneventana, dove la ripresa
economica si sta realizzando anche mediante una fioritura d’impresa privata che
investe in agriturismi, ma soprattutto in cantine e ristoranti a medio-basso
costo. Tutte attività queste che propongono proprio la riscoperta della tradizionale cucina povera
contadina, anche mediante la vendita di salumi, vini, formaggi e prodotti
tipici d’artigianato e richiamano sia un turismo "mordi e fuggi", che quello stanziale,
cose ormai entrate nel costume di tante popolazioni nella cosiddetta era del
tempo libero.
Luigi Sica
(segue la seconda parte, nel successivo post, che pubblicheremo a breve)
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