sabato 11 marzo 2023

La Piedimonte “insurrezionale” a Piscinola... una cronaca di 52 anni fa...

"La ferrovia “Piedimonte” è stata anche scenario di un avvenimento di protesta, che si verificò a Piscinola, agli inizi degli anni ‘70.
Difficile da immaginarsi, ma indirettamente essa rappresentò la “scintilla”, che accese gli animi contrapposti su un campo di protesta, fino a sfociare in una vera e propria battaglia campale, svoltasi, inconsuetamente, durante l’occupazione delle campagne piscinolesi di “Scampia”.
Era l’anno 1971, la campagna di Piscinola fu sventrata, trasformata e resa sterile, dopo una lunghissima quiete secolare, fino ad essere calpestata, mortalmente, con cingolati e mezzi di cantiere.

La stazione di Piscinola imbiancata dopo la nevicata

Questi mezzi, con il loro rovinoso movimento, distruggevano ogni forma di vita, vegetale e animale.
Alberi di noci, viti e pioppi furono divelti praticando dei grossi crateri alla loro base, per estrarre anche la famosa “radica di noce”. I fori nel suolo furono poi lasciati aperti, un po’ come un amorfo paesaggio lunare.
Fortunatamente la ferrovia “Piedimonte” divideva ancora, con la sua linea ferrata, la piana di Scampia dalla parte marginale della campagna Piscinola, quella che era confinante con il centro storico, comprendente anche alcune masserie: facendo, in un certo senso, da scudo. E, forse, proprio grazie a questa linea ferrata che una parte marginale del “verde” piscinolese è sopravvissuta per altri trent’anni circa.

In quelle circostanze di esproprio un gran numero di contadini si trovarono da un momento all’altro senza più reddito e senza più terra. Percependo che il Comune non ne voleva saperne di assumerli o trovare loro un’occupazione alternativa, issarono una grande barricata davanti all’ingresso del cantiere, posto proprio di fronte al rione “Don Guanella”.
Per due giorni tutta la zona fu uno scenario di movimenti di camionette della Celere e un fronte di contadini con i loro familiari (donne, anziani e ragazzi), senza che però accadessero incidenti.

Era il mese di gennaio, faceva molto freddo e la notte era dura da trascorrere. Si accesero dei falò, che illuminavano l’intera zona, con una luce spettrale...!
Tutta l’area era diventata stranamente libera, senza confini, senza nemmeno più un albero.

Tratto di ferrovia verso l'abbandono, a Secondigliano

La terra e il cielo si incontravano in un orizzonte, mai visto prima di allora. Addirittura i Piscinolesi si accorsero che in fondo alla loro pianura si vedevano le cime dell’Appennino Campano...! Eppure c’erano sempre state, ma occultate alla vista da una lussureggiante vegetazione...

Intanto le ditte appaltatrici con i loro camion attendevano impazienti nelle retrovie, alle spalle delle camionette della polizia, pronte per iniziare le loro opere. Si doveva costruire, tra l’altro, un asse stradale importante, che avrebbe di lì a poco collegato il nuovo insediamento di edilizia popolare di Scampia con la costruenda Tangenziale e quindi con il centro della città di Napoli. E poi palazzi, palazzoni, molti palazzoni!

Stazione di Piscinola in abbandono

La mattina del secondo giorno di protesta l’aria incominciò ad essere pesante, il nervosismo era palpabile nell’aria! I poliziotti della Celere erano sempre lì schierati in gran numero e con l’equipaggiamento antisommossa.
Ad un certo punto, la struttura della ferrovia “Piedimonte” fu investita da questo avvenimento storico, tutt’altro che esaltante per la storia millenaria di Piscinola.
Un gruppetto di giovinastri, sui venti anni, si posizionarono sui binari della ferrovia, a lato dei due schieramenti e incominciarono a lanciare i sassi della massicciata verso lo schieramento della polizia. Il responsabile della forza pubblica, temendo forse che la situazione potesse degenerare e sfuggire di mano, diede subito l’ordine di attaccare i protestanti.

Ultime campagne prima della distruzione

Furono lanciati numerosi lacrimogeni, che trasformarono il territorio in un misero campo di battaglia...!
Naturalmente i contadini furono coinvolti loro malgrado nei tafferugli.
Diverse furono le persone costrette quel giorno a farsi medicare all’ospedale, alcuni dei quali fecero registrare dei giorni di prognosi.
Nell’edizione serale dei quotidiani locali (a quell’epoca alcuni giornali avevano due edizioni giornaliere), furono pubblicati articoli che raccontavano nei dettagli l’episodio di cronaca accaduto e si attribuivano le responsabilità dello scontro ai contadini, che avevano, a detta dei cronisti, innescato la reazione della forza dell’ordine.



Cantiere di costruzione della stazione di Piscinola del metrò
Fortunatamente le Associazioni di categoria, che tutelavano gli interessi dei contadini, riuscirono a far valere pacificamente i diritti dei loro iscritti per un’occupazione stabile, al punto che l’amministrazione comunale decise di assumere nelle file del suo organico molti contadini di Piscinola e delle zone limitrofe, per i quali non ci sarebbe stata altra scelta che quella di emigrare nelle regioni del Nord dell’Italia.

Per dovere di cronaca, la famosa strada, di cui abbiamo parlato, è stata completata a distanza di oltre quarant'anni e, poi, per diversi anni è stata esercita mancante del tratto di collegamento alla Tangenziale, a Capodichino. Fino all'anno 2010, in alcune cronache di giornali e in alcune trasmissioni televisive veniva raccontato che la strada era in costruzione da quindici anni...! Com’è corta la memoria dei giornalisti...!!
Morale del racconto: alla fine, per colpa di un gruppo di “teppistelli”, i contadini di Piscinola stavano per andare in galera o rimetterci la vita, proprio quando qualcuno gridava ancora: “Dare la terra ai contadini...!”
Prima di allora, solo nel lontano 1910, la campagna piscinolese fu espropriata dalla società “Chemins de Fer du Midi de Italie”, per realizzare la nuova linea ferroviaria “Napoli-Piedimonte D’Alife”. Di quegli anni non si hanno notizie di scontri o di proteste. Eppure anche allora l’esproprio delle terre non dovette essere indolore, perché la ferrovia divise, in due parti indipendenti, estesi appezzamenti di terreno.
I contadini sono stati per natura sempre parsimoniosi, diligenti e lungimiranti e hanno sempre saputo discernere il progresso che porta al benessere, da quello che invece non porta da nessuna parte. Difatti i risultati dell’espansione urbanistica del 1971 sono sotto gli occhi ed il giudizio di tutti noi...!!!"
Salvatore Fioretto

Questo racconto è stato tratto dal libro "Piscinola, la terra del Salvatore. Una terra, la sua gente, le sue tradizioni", di S. Fioretto, anno 2010, ediz. The Boopen. La parte riportata in carattere corsivo è stata adattata ai giorni di oggi. 


venerdì 10 marzo 2023

La “Piedimonte” e la tartaruga… un dono speciale nell'anno 1972!

Introduciamo nei prossimi post di Piscinolablog due racconti autobiografici, che descrivono episodi di vita quotidiana legati al rapporto con la ferrovia Napoli Piedimonte d'Alife a Piscinola, risalenti entrambi ai primi anni '70. Il primo, già inserito in un precedente post, riguarda la scoperta di un animale alquanto singolare, in prossimità della linea ferroviaria. Il secondo, un episodio di resistenza dei contadini per l'occupazione delle campagne piscinolesi.
I due racconti sono stati tratti dal libro "Piscinola, la terra del Salvatore. Una terra, la sua gente, le sue tradizioni" di S. Fioretto, anno 2010, ed. The Boopen. Buona lettura! 

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Ecco un altro racconto di vita agreste, un avvenimento realmente accaduto, nel quale i protagonisti sono il treno della “Piedimonte” ed una piccola tartaruga…!
Era l’anno 1972, credo che si era in luglio ed era un caldissimo e assolato pomeriggio d’estate, senza un alito di vento. Io ero in campagna con i miei amici di infanzia e i miei genitori... si...! Proprio quella campagna che costeggiava la linea della ferrovia “Napoli-Piedimonte D’Alife”. Mio padre era impegnato a raccogliere le patate. Con un movimento brusco nel terreno faceva uscire i tuberi dal solco e noi poi lo seguivamo a raccoglierli ed a riporli in casse di legno.
La “Piedimonte” ogni tanto percorreva la linea costeggiante il nostro poderino, facendo sentire il suo inconfondibile rumore metallico...
Ad un tratto, ecco che dal terreno, in una zona vicina alla ferrovia, fuoriuscì un oggetto strano, a forma di mezza sfera... portava una scacchiera regolare a due colori: nero e giallo...
La cosa non passò inosservata, mio padre… incuriosito, subito prese tra le mani quest’oggetto, un po’ strano, pensando a una calotta di palla di gomma... ricordate? Quelle con cui un tempo si facevano giocare i bambini nei cortili ed aveva la stessa forma.
Stava quasi per gettarla lontano dal confine, quando ad un tratto dalla calotta fuoriuscirono quattro zampette e la testa di una povera tartaruga che si muovevano, come per avvertirci della sua presenza! Apparteneva ad una specie di quelle esotiche… credo!
Non vi dico la sorpresa di noi bambini! Ci mettemmo tutti subito a fare festa attorno alla tartaruga trovata per caso.
Con molta probabilità essa fu lanciata da qualche viaggiatore dai finestrini durante una corsa della “Piedimonte” o caduta dalle mani di qualche bambino affacciato ai finestrini medesimi; altrimenti, mai e poi mai sarebbe sopraggiunta in quel luogo.
La mia campagna era allora distaccata dalle strade e completamente isolata dal resto della città: si trovava in mezzo ad ettari di verde ed era costeggiata solo dalla ferrovia su di un solo lato.
Non vi nascondo che quella tartaruga divenne per diversi anni una compagna di giochi.
Si cibava solo di lattuga. In inverno andava sempre in letargo e scompariva dal cortile, ma in primavera, ai primi raggi di sole tiepido, me la ritrovavo all’improvviso tra i piedi alla ricerca di cibo.
Poi, intorno al 1975, la tartaruga scomparve del tutto e non la rividi più. Mi sa che me la rubarono mentre si trovava nel cortile, oppure morì nel suo letargo. Credo più alla prima ipotesi, perché il mio cortile allora era frequentato da altri ragazzi.
Ci rimasi molto male, era diventata come una persona di famiglia!
Purtroppo, le cose belle finiscono sempre presto, come la “Piedimonte” d’altronde...!

Per molti anni, con il sopraggiungere della primavera, invano speravo di rivedere spuntare dai cespugli questo animaletto un po’ bizzarro, ma ciò rimase solo una mia speranza... senza che si realizzasse mai più!
La tartaruga, nelle credenze degli antichi, è simbolo di libertà, saggezza, amore per la terra natia e fertilità. Se furto fu, allora si può dire che in quel momento alla nostra terra furono simbolicamente sottratti tutti i suoi valori, per sempre...!
Oggi, a distanza di decenni, considero quella tartaruga, in un certo senso, come “donata” dalla “Piedimonte”!
Un dono davvero speciale per un fanciullo di allora!
Grazie per tutto, cara e vecchia “Piedimonte”...!
Salvatore Fioretto

 
 

sabato 4 marzo 2023

L’allevamento del maiale e la conservazione della carne...

Proponiamo questo racconto, che è una sintesi di una tradizione molto antica e un tempo (quando era consentita) era diffusamente praticata nel quartiere di Piscinola e in tutto il circondario di Napoli e Provincia, parliamo della pratica di allevare e macellare i maiali in ambito domestico. Da notare anche il "rito" che era praticato dai nostri antenati per conservare le carni fresche, per tutto il periodo dedicato alla macellazione degli animali e anche per alimentare una socialità conviviale: una genialità tutta nostrana...!

"Anche l’allevamento del maiale era considerato in passato un rito, che si perpetuava nelle masserie di Piscinola da generazioni e costituiva un momento di aggregazione e di festa tra conoscenti e vicini.
Si iniziava il “ciclo” in primavera con l’acquisto di un maialetto, che avveniva presso altri contadini in possesso di scrofe, oppure presso i vari mercati, che si svolgevano nel circondario del nostro territorio. Di solito il maiale era di razza bianca, ma non si trascuravano anche le altre razze. Molto apprezzata per le carni era la razza scura, detta “Lucchese”.

Razza detta "Lucchese"

Il maiale era allevato in un angolo coperto della masseria, opportunamente lastricato di cemento o pietre, perché, come si sa, il maiale mangia di tutto e scava fosse e buche.
Il pasto normalmente dato al maiale consisteva in una poltiglia d’avena (‘a vrenna) mista a frutta, patate lesse, pane duro, ortaggi e avanzi di cucina. Il pasto (‘o pastone) era dato due volte ogni giorno, versato in speciali contenitori rettangolari ricavati da massi scolpiti di pietra vesuviana. A seconda dei periodi dell’anno si poteva dare anche mais, bulbi di rape (‘e scatozze), zucche, zucchini ed altri prodotti dell’orto.

La crescita e l’ingrasso dell’animale duravano in genere un anno. Verso la fine dell’inverno, di solito a gennaio, si eseguiva l’uccisione del maiale.
La vittima di turno era adagiata in orizzontale su una tinozza di legno capovolta e trattenuta da almeno cinque o sei persone forzute. Si procedeva a recidere la giugulare con un coltello appuntito (‘o scannaturo) e a raccogliere rapidamente il sangue in un recipiente di rame.
Il primo raccolto era destinato alla produzione del “sanguinaccio” (il tipico dolce di Carnevale), mentre quello successivo, più coagulato, era utilizzato in cucina e veniva fritto.
Spesso
, ad operazione conclusa, si contavano i feriti tra i presenti, a causa dei forti calci lanciati dalla povera bestia in agonia!
Una volta morto, il maiale veniva accuratamente pulito delle setole, con grossi coltellacci e lavato con acqua bollente. Poi gli adulti della famiglia provvedevano a tagliare la testa, che veniva appesa ad un’asta di legno (‘a furcina).
Lavaggio degli intestini per preparare salsicce

Il corpo veniva issato in verticale e appeso con due ganci alle travi della stalla. Si effettuava la recisione dell’addome e la raccolta di tutti gli organi interni in un grosso recipiente.
Si sa del maiale non si butta niente!
All’evento partecipavano tutte le famiglie della masseria, alle quali, secondo l’usanza, si donava un piatto contenente dei pezzi di carne rappresentanti le varie parti del maiale (coratelle, fegatielle, tracchiolelle, ecc.). Ovviamente il rito si ripeteva a catena, perché era d’obbligo, al momento dell’uccisione del proprio maiale, ripetere l’”attenzione” verso i vicini, che avevano offerto della carne in dono. Così facendo, ognuno aveva assicurato della carne fresca suina per la durata di almeno un paio di mesi!
Capocollo

Dopo un giorno di riposo si procedeva al taglio delle carni, secondo le varie usanze culinarie. La conservazione delle parti del maiale veniva fatta con prodotti semplici e metodi antichi, quali: il sale, il pepe, l’affumicatura e la stagionatura.
Le due zampe posteriori venivano subito salate per farne prosciutti. Le parti di grasso erano anch’esse salate e pepate per la produzione di pezzi di lardo. Tutte le parti prodotte erano appese e messe ad essiccare. Le interiora venivano pulite e salate per renderle elastiche e utili per la produzione di salsicce e di “nnòglie”.
Noglie

Le “nnòglie” avevano la forma di salami, ma erano riempite con carni più grasse, ricavate dal collo, dal capo e dalle interiora (milza, ecc.), rese piccanti con pepe nero.
Si procedeva, poi, alla produzione di salsicce e di salami. Tutte le carni selezionate erano tagliate a punta di coltello in piccoli pezzettini o erano macinate in una particolare macchina tritacarne ad azionamento manuale. Successivamente la carne era salata e pepata, aggiungendo del vino rosso e dei finocchietti. Si formavano poi le salsicce, riempiendo con la carne ottenuta le budella d’intestino. Durante il riempimento si utilizzava un semplice imbuto d’alluminio o addirittura un corno bucato. Con abili giochi di mano, si formavano le salsicce, distanziando, intrecciando e legando con filo di spago i vari segmenti.
Lardo

Con dei spilli si foravano in più punti le budella, per favorire il drenaggio dei grassi liquidi. Le salsicce, una volta pronte, erano quindi appese su assi di legno accanto al camino, per favorirne l’asciugatura. Tra le diverse fila appese s’interponevano delle foglie di alloro, per aromatizzare le carni.
Si procedeva poi a conservare le parti più pregiate: il “capocollo”, il “filetto” e la “ventresca”. Con il fegato si otteneva un ottimo piatto, realizzato con cipolle fritte. Il cuore veniva fritto con le cipolle e foglie d’alloro, avvolto nella famosa “rezza ‘e core”.
vessica per contenere la sugna

Particolare menzione merita la produzione della sugna (‘a ‘nzogna) che, come si sa, era il condimento principe della tradizione contadina. L’olio era poco usato, sia perché costava molto, sia perché non era prodotto nelle nostre campagne.
La sugna era preparata facendo cuocere in un grosso tegame, per molto tempo, tutte le parti grasse del maiale, che venivano tagliate a pezzetti. Durante la cottura si aggiungevano delle foglie di alloro per aromatizzare il grasso. Una volta che il grasso era completamente sciolto si faceva raffreddare il pentolone, fino a raggiungere la temperatura ambiente. Le parti residue (cicole) erano pressate in uno speciale tamburo con dischi forati, per estrarne tutto il grasso ancora impregnato. Qualcuno usava anche una “premi patate”!
Sugna stagionata in vessica
Quando la sugna si era rappresa e addensata, una parte di essa veniva versata in una sacca, ricavata dalla vescica del maiale. La restante parte di sugna era messa in barattoli di terracotta smaltati di colore bianco, coperti con della carta di sigillo e riposti in credenza. Per queste operazioni si utilizzava un cucchiaio di legno (‘a cucchiarella). La sacca piena di sugna era inserita in un canestrino di vimini e appesa in cucina, pronta per essere utilizzata come condimento. Le “cicole” venivano invece mangiate durante la cena o i pasti frugali ed erano considerate dai bambini delle vere leccornie.
Fegatelli di maiale da friggere con foglie di alloro

I piedi, il muso, le zampe e le orecchie del maiale erano le delizie della cucina piscinolese. Venivano bollite e poi condite con limone e un po’ di sale.
Lo stomaco e le altre interiora del maiale formavano un’ottima trippa da cucinare con sugo di pomodoro o gustata lessa con il limone. Le tracchiole (‘e tracchiulelle) del maiale venivano utilizzate dalle nostre nonne la domenica, per la preparazione del ragù (‘o rragù). Le ossa, infine, venivano utilizzate per il brodo.
"Pezza di lardo"

Tutte le altre interiora del maiale: come polmoni, fegato, cuore, milza erano ridotti a pezzettini e utilizzati per preparare una speciale salsa, mista a pezzi di carne, molto piccante chiamata “soffritto” o “zuffritto”. Per preparare questo sugo, le interiora di maiale si cuocevano insieme alla conserva di pomodoro, aromatizzata con foglie di alloro e molto peperoncino. Il “zuffritto” era fatto cuocere ininterrottamente a fuoco lento, fino a quando il sugo diventava molto concentrato.
Esso veniva poi conservato in barattoli di terracotta e si utilizzava nelle sere di inverno, per inzuppare “freselle” di pane, dopo averlo riscaldato e diluito con un poco di acqua. Spesso questo piatto tipico della nostra cucina veniva servito ai manovali che lavoravano nelle campagne, accompagnato da un pezzo di pane casareccio.
Nei primi anni del 1900, per regolamentare a livello sanitario, questa antica pratica diffusa tra i Piscinolesi, di macellare i maiali in proprio nei cortili, si decise, come annota il Vicesindaco di allora marchese G. Lucarelli, di realizzare un macello pubblico in Via Plebiscito.
Pratica di affumicatura
Quest’ultimo luogo, proprio per la presenza del macello pubblico, fu denominato “Capo ‘a chianca”. Tuttavia questa decisione non servì a distogliere i Piscinolesi dallo svolgere ogni anno il tradizionale rito di macellare i maiali in proprio.
Il maiale era considerato così importante nella vita sociale ed economica del luogo, che un aspirante sposo soleva rompere un fidanzamento solo dopo che terminavano gli ultimi pezzi di carne suina. Come pure il perdurare del fidanzamento dopo tale periodo significava che le nozze erano vicine…!"

Salvatore Fioretto

Il testo del racconto è stato integralmente tratto dal libro "Piscinola, la terra del Salvatore. Una terra, la sua gente, le sue tradizioni", di S. Fioretto, anno 2010, ed. The Boopen. 

Soffritto tradizionale, con foglie di alloro