sabato 29 ottobre 2022

Quella gente di promontorio, un po' montanari e un po' marinai, ma sicuramente legati alla terra! "Il mago nel pozzo", tra cunti e tramando delle radici...

Proprio in questi giorni, svolgendo una visita guidata a delle scolaresche di bambini di Piscinola, ho pensato di narrare a loro la storia di Piscinola dando particolare risalto alle fiabe e alle leggende legate al nostro quartiere. Quindi, per prepararmi all'evento, ho ripreso a leggere la fiaba pubblicata 18 anni fa, dal titolo "Il Mago nel Pozzo (una fiaba su Piscinola), tratta dall'opera teatrale: "L'Albero dei Cento Piani", scritta da Salvatore Nappa e da Luigi Sica. Come è noto, mi piace raccontare questa fiaba al momento di illustrare il palazzo "Don Carlos" di Piscinola, che si trova in via Vittorio Emanuele, meglio noto come 'o Cape 'e Coppo. Raccontare la presenza di misteriosi cunicoli, un tempo dimostratisi presenti ed esplorati dai piscinolesi, suscita sempre un alone di mistero, che è rimasto nel leggendario collettivo magico-popolare, quindi risulta efficace ed anche affascinante associare questa fiaba al luogo che ha uno stretto rapporto con l'acqua e con le radici comunitarie del quartiere. Ebbene, leggendo l'opera, mi ha colpito ancora di più la prefazione, che è una esortazione sulla memoria e sulle radici comunitarie.
Lo scritto rappresenta anche le speranze della gioventù di un tempo, che conservava ancora un legame forte con la campagna, con le tradizioni contadine e con gli anziani. Quello che si trova scritto in merito allo stretto legame generazionale, affinchè si tramandino le tradizioni tra padre e figlio, ovvero tra l'oratore (il vecchio) e l'uditore (i figli, bambini/ragazzi), lo constato e lo provo sempre anche nelle mie iniziative di rievocazioni storiche comunitarie, così come l'ho provato anche ieri mattina, durante l'ultima visita guidata ai bambini della scuola.
Mi piace questa settimana riproporre questo brano, per mostrare tutta la sua bellezza, ricco di passione ed amore per le radici del luogo natio, e invitare i lettori a leggere l'opera il "Mago nel Pozzo":

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"Qualche tempo fa, quando arrivavamo a Piscinola, provenienti da Miano, Chiaiano o Scampia e cioè dal Cap''a Chianca e da Abbascie Miano, sempre ci sorprendevano le lapidi toponomastiche in marmo, zancate ai muri dei primi palazzi, parevano bastioni o roccheforti e ti saresti aspettato che qualcuno calasse un porte levatoio.
Queste due lapidi, recanti la seguente scritta, scavata nel marmo e riempita con piombi nero, in bellissimo carattere italico romano:


VILLAGGIO DI
PISCINOLA
SEZIONE
SAN CARLO ALL'ARENA

Di fronte a queste due lapidi non abbiamo mai pensato di essere nativi e/o residenti del quartiere o della Sezione San Carlo all'Arena, quella precisazione, già marginale sul marmo, diventava inesistente nella mente leggendo "Villaggio di Piscinola" che già ci permeava d'orgoglio ed onore per il fatto d'essere indigeni.
Piscinola si situa a 127 metri sul livello del mare, su un digrado del picco tufaceo dei Camaldoli che su adagia nella pianura della Campania felix del casertano o dei mazzoni a nord e con i meravigliosi Campi Flegrei ad ovest.
Noialtri piscinolesi siamo quindi gente di promontorio, un po' alpini, un po' marinari, mezzi montanari e mezzi pescatori, o forse né l'uno e né l'altro. Nel nostro dna c'è però la campagna, ecco siamo gente di pianura, di campagna, gente di terra ovvero di valori veri.
Comunque l'essere piscinolese non si può spiegare in tre parole.
E' una cosa complessa poichè impone un raffronto difficile, con il nostro passato (i vecchi), il nostro futuro (i figli), mettendo soprattutto la faccia nel nostro quotidiano presente.
Ora se vogliano restare in tema e tornare un po' indietro nel tempo, in cui non c'era la televisione, ecco che anche lo spessore della fiaba, favola, leggenda o cunto, differisce quasi totalmente da quello delle vicine contrade litoranee ed orientali. La nostra tipologia di cunto, favola o leggenda, è singolarmente autoctona, diremmo speciale, provenendo da una stirpe contadina, che diversamente narra e s'anima di elfi, gnomi, streghe, draghi, demoni.
Infatti il nostro vecchio mentre racconta al bambino si premura di sottolineare che nemmeno lui "s'arricorde bbuono". Perchè il racconto è testimonianza di cosa appresa "de relato", per la quale un popolo tramandando  a memoria la sua genesi, costruisce una identità di popolo, di nazione, di stato ed anche di intelligenza. Uno stato che si regge su delle favole, potenza delle fiabe, dei cunti.
Nessuno di noi ricorderà mai bene se non ha mai saputo ascoltare, né sarà ricordato se non avrà saputo farsi ascoltare.
Nel nostro caso il vecchio ha bisogno d'essere ascoltato per specchiarsi negli occhi del bambino per tornare a sua volta bambino, per sentire la sua musica di fondo che gli canterà la nenia, una specie di ruga d'amore che canterà: io ero come tu sei, mentre il bambino ascoltando il vecchio penserà, io vorrò essere come tu eri. E ciascuno dei due canta un'elegia alla morte perchè sa di far parte di un ciclo vitale che comprende l'inizio e la fine.
Ma se il vecchio od il bambino che sarà vecchio non lascia una storia, una traccia della sua vita, una memoria ai posteri, sarà vissuto inutilmente. Gli stessi nostri cari morti ci ammoniscono: la vita dei morti sta nel ricordo dei vivi.
Alcuni di questi predecessori hanno lasciato loro memoria nei nostri ricordi.
Noi vogliamo propalarli affinchè rivivano e richiamati dall'esoterismo delle favole, ci accompagnino e correggano i nostri errori.
Le vecchie favole che ci raccontavano avevano sempre un incipit, misterioso, affascinante, coinvolgente che recitava più o meno così:

Na vecchia e 'nu viecchio
arete a 'nu specchio
arete a 'nu mare,
arete a 'nu mont'
aspiette lloco
ca mò to ccont'.

Gli autori"

(Salvatore Nappa e Luigi Sica)

 

Ringrazio, come sempre faccio, gli autori del testo, Salvatore Nappa e Luigi Sica, miei amici, che sono stati anche miei compagni in diverse iniziative e progetti culturali e spero che in futuro possano essere svolte insieme tante altre belle cose, sempre di questo spessore ed argomento.

Salvatore Fioretto

venerdì 21 ottobre 2022

I "Calori", una terra di antiche origini, divenuta "Calori di Sopra" e "Calori di Sotto"...

Sempre analizzando gli aspetti storici del territorio che si trova a Nord di Napoli, troviamo un'altra antica realtà che ancora oggi prende il toponimo di "Calori", risultante compresa nel vasto territorio del quartiere di Chiaiano. Per comprendere la genesi etimologica del toponimo e i caratteri antropici dell'antico territorio in parola, ricorriamo, come già fatto in passato per altre realtà vicine, al contenuto del compendio storico intitolato: "Santa Croce ai Camaldoli - Napoli, Ieri, Oggi, Domani", a cura di P. Camillo Degetto. Ecco quanto si legge sui "Calori", alle pagg. 36 e 37:

"Nel 1271 tra i "Revocati" riportati nei registri della cancelleria angioina, si leggono i nomi di Pietro, Ligorio, Angelo, Giovanni, Marino, Cesare e Simone Colauri, residenti nel casale di Polvica. E' de desumere, pertanto, che il nome della contrada dei Calori è un nome prediale, derivante da quello dei proprietari terrieri della Contrada: i Colauri, e che nel 1271 i Calori facevano parte del Casale di Polvica quando, nel 1631, il casale di Polvica fu concesso in feudo dal Viceré Conte di Monterrey, quale procuratore del Re di Spagna, a Giovan Battista Salernitano, la contrada Calori fu compresa nel territorio giurisdizionale del Feudo. Ancora oggi nel gergo dialettale, la contrada viene chiamata "Caluri", che sarebbe il nome giusto.
Quella dei Colauri o Caluri era un'antica famiglia di Napoli trasferitasi a Polvica per sottrarsi ai tributi e tasse della città. Ecco perché si trova segnata nell'elenco Angioino dei "Revocati".
La famiglia visse  a Polvica e a Santa Croce fino a tutto il 1800, assieme alla famiglia dei De Liguori ed altre.
Nella famiglia dei Colauri vi fu, per tradizione, sempre un giudice dei contratti. All'epoca, infatti, il notaio si limitava a scrivere il contratto, mentre era il giudice dei contratti, destinato dalla Regia Corte in quella determinata zona o territorio, a presidiare e vigilare perché il contratto fosse conforme alla legge.
Il 21 settembre 1709 Giovanni Calore era Sindaco di Polvica e fu presidente, con il Governatore, gli eletti e numerosi cittadini (tra cui Calore Paolo e Calore Sebastiano) all'immissione di Don Geronimo de Aloisio in possesso del feudo vendutogli dal barone don Nicola Salinas.
Il Chiarito, autorevole studioso dei casali di Napoli, per le notizie sul casale di Polvica si riporta proprio alla raccolta degli atti del Colauri, che rogava anche nel territorio di Marianella.
Altra conferma della professione del Colauri ci viene da Nunziante Pagano, poeta dilettante con il nome di "Abuzio Arsura" nell'accademia del  Portico della Stadera, che nel 1700 si ritirò in solitudine arcadica nella casa di campagna dei Calori: nel poemetto "Mortella d'Orzolona", cioè "di Orsolone", si riferisce proprio al giudice "Caluri" chiamato assieme al notaio nella casa dell'Orsolone per il contratto di costituzione di dote per il matrimonio di detta Mortella.
Nel 1600 i Colauri si trovavano tra gli eletti del casale di Polvica e lo furono anche nel 1700. Furono, del resto, sempre tra i seniori del casale.
Circa la popolazione dei Calori, troviamo che nello "stato delle anime"  redatto dal parroco di Santa Croce del 1714, gli abitanti di età superiore agli otto, cioè idonei alla Comunione, erano 86, compresi in 24 nuclei familiari, tra cui quello di Antonio Cappuccio, Antonio Sollo, Pietro Sollo, Beatrice Varriale vedova Totaro, Franscesco Totaro, Giuseppe Ruoppolo, Domenico di Ruggiero, Giuseppe Mastropietro, Anna Sollo vedova Totaro, Agostino di Biase, Luca di Domenico, Gerrano Priore e Tommaso Calore.
Nella vendita del feudo di Polvica, fatta nel 1780 da donna Costanza Santomango, Duchessa di Minervino, e dal marito don Giuseppe Venturi, al marchese Giuseppe Mauri, troviamo che i "fuochi" (unità di valutazione per gruppi di 5 persone) di tutto il feudo erano 203, per complessivi 1015 abitanti. Di essi 765 erano in Polvica e Arco di Polvica (fuochi 153x5) e 250 ai Calori (fuochi 50x5). La giurisdizione feudale sugli abitanti dei Calori costò all'acquirente 74 ducati a testa, per un totale di 18.500 ducati (Il calcolo ci porta però a 91 duc. a fuoco, forse furono considerati anche l'incidenza di cespiti immobiliari - ndr).
Nel 1700, ai Calori vi era la Cappella di S. Maria di Costantinopoli, nel palazzo Ametrano che si apparteneva alla parrocchia di Polvica, a differenza di  quella con lo stesso nome che troveremo, poi, a Cappella dei Cangiani, succursale di S. Croce. Nel 1714 anche tale Cappella passerà con S. Croce.
Nel 1876, ai Calori di Basso vi era, e vi è ancora, la Cappella del SS. Rosario, appartenente al presidente Angelillo, Cappella che divenne di proprietà, poi, dei Sigg. Arcopinto e Giordano.
Nei giorni festivi vi celebrava la Messa, munito di "Pastor bonus" (cioè autorizzazione a celebrare  fuori diocesi) don Aniello Morlando, che era di Giugliano, diocesi di Aversa.
Dopo la costruzione del Cimitero in Chiaiano, avvenuta intorno all'anno 1820, fu aperta l'attuale strada che porta ai Calori e a S. Croce."
Con l'avvento dei francesi e del decennio francese, (1806 - 1815, prima con Giuseppe Bonaparte e poi con Gioacchino Murat), i Calori furono inclusi nel Comune di Chiaiano. E' da accertare la fonte che considera, tra il 1848 e il 1863, l'appartenenza dei "Comuni Uniti" al territorio amministrato dal Comune di Marano, come risulterebbe in un documento conservato nell'Archivio Storico, Fondo Marzolla - Carta dei Contorni di Napoli, 1848.
Dopo l'Unità d'Italia, a partire dall'anno 1863, Chiaiano, Polvica, S. Croce e tutti gli altri Sobborghi e Rioni di Chiaiano e Polvica, furono accorpati sotto un'unica amministrazione comunale, che prese il nome di "Comune di Chiaiano e Uniti". Il Comune di Chiaiano e Uniti rimase attivo fino all'anno 1926, quando fu inglobato, seppur inizialmente in maniera eterogenea, nella vasta area del Comune di Napoli, come "Villaggio" e poi come "Frazione". Altra particolarità del toponimo è quello dell'uso di distinguere le due zone del sobborgo, poste ad altitudine differenti, differenziandole a loro volta in: "Calori di Sopra" e "Calori di Sotto".

Troviamo l'articolo trascritto molto interessante, sia per la genesi etimologica del toponimo "Calori", ma soprattutto perché consente di conoscere la regola utilizzata nell'anno 1780 per calcolare il valore di un feudo posto in vendita  e, quindi nel nostro caso, il valore complessivamente pattuito per la vendita del Casale di Polvica.

Salvatore Fioretto

Alcune foto sono state tratte dal blog di "Sasàilprofessore" e dall'archivio di Ferdinando Kaiser, che ringraziamo.


venerdì 14 ottobre 2022

Quel legame di affetto e di fede per il "Cuore di Gesù" di Mugnano. Una tradizione secolare...!

Un tempo non lontano, l'approssimarsi della festa del Cuore di Gesù di Mugnano rappresentava l'evento dell'anno molto sentito nel nostro territorio; simbolicamente essa era come uno spartiacque tra il periodo estivo, con la libertà e le belle giornate spensierate di vacanze e l'approssimarsi dell'inverno, con gli impegni scolastici e quelli lavorativi... C'è poi da considerare anche che dopo "l'evento mugnanese" mancavano poche settimane alle "feste cloud dell'anno", che erano quelle del Natale, del Capodanno e della Befana... La festa di Mugnano era come una preparazione per tutti, una grande prova generale...!
Un tempo erano tantissimi, soprattutto le donne anziane residenti a Mugnano, a Piscinola, a Marianella e in altri posti vicini, fino nella provincia di Caserta e anche oltre, che avevano una devozione particolarmente sentita per il Cuore di Gesù.
Quando era la domenica della festa, che cade la terza domenica del mese di ottobre, già la mattina presto si udivano, distintamente in tutto il circondario, i fuochi della “Diana”: era quello l'annuncio che la processione era iniziata e avrebbe percorso per l'intera giornata, fino a tarda sera, l'esteso territorio di Mugnano, raggiungendo ogni suo vicoletto, cupa e masseria.
Anche io ho avuto un rapporto molto familiare e ravvicinato con questa festa, essendo stata mia madre originaria di Mugnano: lei mi parlava spesso dei festeggiamenti e della processione del Cuore di Gesù, di cui era molto devota. Ricordo che appena un paio di anni dopo la sua prematura scomparsa, quando avevo pressappoco dodici anni, decisi di andare a vedere la processione del Cuore di Gesù da solo…, tuttavia non sapevo quale strada prendere, perché non c'ero mai stato da solo...! Allora ricordai le tante volte che eravamo andati a Mugnano dai nonni, prendendo la Piedimonte...

Non ebbi paura e così, senza dire niente a nessuno, per la prima volta mi incamminai seguendo i binari della Piedimonte, pensando: "Sicuramente mi porterà lì....a Mugnano"...!
La Piedimonte, per mia fortuna e per la mia incolumità, già non funzionava da qualche anno..., così riuscii ad arrivarci in sicurezza... Ricordo che fu quello un percorso a piedi lunghissimo e anche estenuante..., fu come un'avventura per me! Una bella avventura!!
Attraversai una sterminata campagna (a quell'epoca), senza mai incontrare una casa o un viandante... gli unici incontri furono con qualche timida biscia, con le tante colorate farfalle e con dei passerotti. Diversi furono i ponti, gli strapiombi e i terrazzamenti attraversati, che oggi non saprei neppure indicare dove si trovassero...! Incontrai purtroppo anche diversi cumuli di detriti riposti ai margini dei binari e dei tubi per l'irrigazione che attraversavano a raso la linea ferrata... La ferrovia purtroppo già si avviava al suo inesorabile destino di abbandono e di saccheggio...!
Ricordo la processione di quell'anno, la banda con le majorette, le tante suore che seguivano l'Immagine del Gesù, tutte italiane..., i numerosi orfanelli che all’epoca erano ancora accuditi nell'Orfanatrofio di Mugnano.
La cosa che mi sorprese e anche affascinò, fu quello di vedere che alcuni anziani, tutti ben vestiti con giacca e cravatta, attendevano la processione, ognuno in dei punti stabiliti del paese, assieme ad altre persone (credo loro amici e conoscenti). Ognuno di essi, poi, chiedendo di fermare la processione, si posizionavano sopra una sedia, in piedi, di fronte alla statua del Cuore di Gesù e leggevano ad alta voce un discorso scritto, che finiva sempre con una dedica e l'invocazione di protezione per Mugnano! Pensai che dovevano essere delle persone notabili di Mugnano, come  dei professionisti o degli ex combattenti...
Negli anni seguenti, altre volte ho ripetuto questo viaggio a piedi, tutto personale e avventuroso, sempre seguendo la linea della Piedimonte, alcune volte anche assieme ad alcuni amici d’infanzia, ma la linea ferroviaria (che fu) diventava anno dopo anno sempre più impraticabile, per la presenza dei rovi infestanti, che finirono per ricoprirla tutta, definitivamente!
Ricordo la pausa che la processione faceva a metà giornata, quando alcune ditte di Mugnano ospitavano nei loro capannoni o nei locali tutti i suoi partecipanti, offrendo un pranzo o un abbondante rinfresco. E ricordo pure che gli orfanelli facevano a gara per accaparrarsi tutti i dolci disponibili...
Altra usanza che mi colpì particolarmente fu l'uso di una grande cassa, che era portata a mano avanti alla processione, lasciando intravedere dall'esterno, attraverso i vetri, le tantissime banconote (di grosso taglio!) che erano contenute, tutte donate in segno di devozione dagli abitanti di Mugnano al momento del passaggio della processione del Cuore di Gesù. Tutti sapevano che quei soldi erano destinati al sostentamento degli orfanelli.

Notavo i tanti anziani ed i malati che si affacciavano dalle finestre delle loro abitazioni, spesso con fatica, sorretti da parenti, per salutare l'immagine del Cuore Gesù. Tanti piangevano per la commozione e tanti pregavano, facendosi il segno della croce...
  E, ancora, le tante belle coperte ricamate esposte ai balconi e i tanti fiori e coriandoli che venivano fatti cadere sulla Statua, come una pioggia colorata... Tutti partecipavano e avevano una gioia incontenibile che traspariva dai loro volti...!
Tanti poi erano i mortaretti che venivano fatti esplodere dagli abitanti in segno di giubilo e di accoglienza all'immagine del Cuore di Gesù, quando sopraggiungeva davanti alle loro abitazione.
Solo gli spari di questi mortaretti coprivano, incessantemente con il loro rumore, l'interminabile giornata della processione, senza un attimo di tregua…, facendo eccezione solo il periodo della pausa meridiana! Durante la giornata, poi, erano anche fatti esplodere saltuariamente i fuochi pirotecnici, quelli professionali, con bombe di tiro (senza colore); questi però erano offerti dalle associazioni cattoliche o da qualche imprenditore locale... Altro fragore che si sommava ai primi fuochi descritti e fino a sera inoltrata...!
I fuochi che si ammiravano invece nel corso della gara pirotecnica, che si teneva il lunedì successivo alla processione, erano veramente qualcosa di sorprendente e di straordinario...!
Un rumore e un frastuono intenso di bombe e di mortai, di giorno e di notte... Quelli notturni, colorati, duravano almeno quattro ore, fino e oltre mezzanotte. Tanto erano possenti, che vibravano i solai e le mura delle case, lontane anche diversi chilometri da Mugnano e sembrava di stare in mezzo a una guerra...! E poi una girandola di tanti colori fatti brillare nell'oscurità del cielo, così come in un grande caledoscopio...!
I mugnanesi, soprattutto gli anziani, erano visibilmente contenti e fieri di questo evento, e giudicavano quel fragore con compiacimento, perché per loro era la dimostrazione di quanto i concittadini ci tenessero ancora per il Cuore di Gesù, nel ringraziarlo per la Sua benevola protezione.
Mugnano, come si sa, è stata la patria dei "fuochisti", che erano dei veri e propri artisti specializzati nella preparazione dei fuochi e nelle esibizioni in gare pirotecniche (alcuni continuano l'attività anche oggi) ed erano famosi e conosciuti in tutto il meridione d'Italia e anche all’estero. Come è logico pensare, esibirsi nella loro terra natia era per essi motivo di vanto e ci tenevano con orgoglio anche a gareggiare tra loro; per questo motivo i fuochi a quell'epoca diventavano interminabili...!
Mia mamma raccontava che un tempo a Mugnano veniva eseguita anche la funzione del “Volo dell'angelo”, sia all'inizio che al termine della processione.
Anche mio padre aveva dei ricordi nitidi della festa di Mugnano. Raccontava che quando si faceva la questua per la festa del SS. Salvatore a Piscinola, spesso il comitato dei festeggiamenti, che andava questuando per raccogliere doni e offerte per la festa, accompagnato dalla Banda di Piscinola, si inoltrava per le tante masserie distanti da Piscinola e spesso  oltrepassava il confine con Mugnano, andando a raccogliere offerte nelle masserie mugnanesi. Gli abitanti offrivano piccoli doni, in natura o in denaro, anche se si trattava della festa di Piscinola.
La cosa bella è quella che lo stesso capitava anche per la festa del Cuore di Gesù di Mugnano: anche in tale circostanza il comitato, accompagnato dalla banda musicale, oltrepassava il confine e si spingeva fino alle masserie di Piscinola.
Anche per loro c’erano piccoli doni e offerte in denaro. Era quello una sorta di gemellaggio, che oggi possiamo considerare come un bell'esempio di solidarietà e di vicinanza tra comunità antiche contigue...!
Probabilmente la banda di Piscinola non fu mai chiamata a suonare a Mugnano, perché mio padre, che suonava nella banda, non l'ha mai ricordato.
Papà raccontava ancora che quando nella loro stalla, che stava a Piscinola, una mucca partoriva un vitellino, la nonna per devozione e anche per ringraziamento, donava il primo latte raccolto agli orfanelli del convento del Sacro Cuore di Gesù a Mugnano. Spesso era il nonno Salvatore, accompagnato da mio padre o da altri figli, a portarlo al convento.

Fino a pochi anni fa, erano in tanti a Piscinola, specie le donne anziane, ad avere la devozione e l’abitudine di recarsi ogni anno a Mugnano, nella domenica mattina della festa, per assistere all'uscita della Statua del Gesù dal Santuario e alla celebrazione della prima messa, che iniziava rigorosamente alle 5:30 del mattino. Una "levataccia" che però era considerata da essi salutare per lo spirito e anche beneaugurante per affrontare con serenità i tanti sacrifici che si presentavano nel corso della loro vita. Era anche un'occasione per ritrovarsi con i tanti devoti del Cuore di Gesù, diventati ormai tutti come una grande famiglia.
Purtroppo con il trascorrere dei decenni molte di queste tradizioni che ho raccontato sono terminate, oppure affievolite; la nostra società, cosiddetta moderna, con le sue corse frenetiche e prototipi, cancella molti ricordi, tuttavia permane ancora oggi e in tante persone la grande devozione per il Cuore di Gesù di Mugnano, per il caro "Scauzone" della venerabile Suor Maria Pia Brando. 
Questo post è dedicato a tutti i cittadini di Mugnano che si apprestano a festeggiare di nuovo il Cuore di Gesù, dopo la sospensione di due anni imposta dalla "Pandemia", è dedicato ancora a tutti i devoti e a tutti quelli che amano ricordare queste belle tradizioni di una volta.
Buona Festa a tutti!

Salvatore Fioretto 

Ringraziamo lo scrittore e ricercatore storico di Mugnano, dott. Carmine Cecere, per averci autorizzato alla pubblicazione delle foto tratte dal sito/blog: "MugnanoStoria". 

Tutti i diritti d'autore per la pubblicazione del contenuto del blog sono riservati agli autori. E' vietato copiare e divulgare il contenuto degli scritti, secondo le disposizioni di legge vigenti sul diritto d'autore e la proprietà intellettuale. 

Il discorso di dedica al cuore di Gesù durante la processione in via Fiori, fine anni '70 
(foto tratta dal gruppo FB "Festa del Sacro Cuore", che ringraziaamo)




giovedì 6 ottobre 2022

Il marchesino di Polvica, Carlo Mauri, martire del '99!

Nella ricerca storica condotta alla riscoperta dei personaggi famosi del nostro territorio, abbiamo trovato l'interessante biografia della breve vita e delle eroiche imprese del Marchesino Carlo Mauri, Feudatario di Polvica, giustiziato dopo le vicende rivoluzionarie del 1799, abbiamo preparato quindi questo post che pubblichiamo per i nostri lettori.
Il marche Mauri fu parte attiva nella Rivoluzione napoletana: fu Comandante del primo battaglione della Guardia Nazionale. Membro della Municipalità e della Commissione per la Toponomastica.

Nacque nel 1742 a Buccino, in provincia di Salerno. Il casale di Polvica, fu concesso in feudo, fin dal 1631, dal vicerè di Napoli Conte di Monterrey a Giovan Battista Salernitano. Nei decenni seguenti passerà di mano ad altri sette diversi feudatari, l’ultimo di questi fu il marchese Carlo, dopo che la nobile famiglia Mauri lo ebbe acquisito, a partire dall'anno 1761.

La spiagga di Miliscola (Bacoli)
Già prima dell’arrivo dei napoleonici, il giovane Carlo, sebbene giovanissimo, sposato e padre di due bambini, percepì le lusinghe e la nobile causa del vento rivoluzionario che arrivava dalla Francia e partecipò con abnegazione ed estro giovanile a varie cospirazioni, messe in atto per il desiderio di libertà. Quale fervido patriota, legò intese con molti ufficiali inquadrati nell’esercito borbonico che, patteggianti per la Repubblica, anche loro cospiravano contro il re. Ben presto venne sospettato e poi condannato. Fu rinchiuso nelle carceri napoletane, dal 1795 fino al 28 luglio 1798.
Quando venne proclamata la Repubblica Partenopea, il marchese Carlo divenne prima tenente di Compagnia e poi capo di battaglione della “Guardia Nazionale”, al cui interno favorì la formazione della Milizia Civica.
L'Albero della Libertà in una stampa antica
Entrò a far parte della municipalità napoletana, nei periodi più pericolosi della repubblica. In quel periodo rivoluzionario, coerente alle sue idee professate, si mosse ad abiurare le sue condizioni di feudatario del marchesato di Polvica e, recandosi come semplice e libero cittadino, vi organizzò l'innalzamento dell’Albero della Libertà, secondo l'usanza giacobina, proprio nella località che tutt'oggi è chiamata “Arco di Polvica”. Seguitò a festeggiare pubblicamente la Repubblica, assieme ai rivoltosi di Polvica e Chiaiano, banchettando nell'osteria che fu di sua proprietà, detta “Taverna del Portone”. La taverna si trovava in prossimità dell'attuale Largo San Rocco.
All’avanzata reazionaria dei sanfedisti, guidata dal cardinale Ruffo, vide approssimarsi il pericolo della disfatta e il rischio della perdita della libertà; quindi abbandonò le cariche degli uffici pubblici e, assieme a trecento valorosi combattenti, si portò a presidiare la spiaggia di Miliscola a Bacoli, luogo nel quale si temeva l'arrivo e lo sbarco delle forze navali inglesi. Le navi e i marinai della flotta inglese in quel frangente già occupavano le isole del golfo di Napoli. Il 13 giugno, la città di Napoli fu occupata dai Realisti, i quali subito si spinsero oltre, verso le località di Pozzuoli e di Baia. Carlo, con i suoi seguaci, percependo l'imminente pericolo, si rifugiarono all’interno del Castello di Baia, all'epoca fortificato e presidiato dal capitano Antonio Sicardi.
Castello di Baia
Ci fu l'assalto dei filoborbonici e la stenua difesa della fortezza da parte dei giacobini, ma il giorno 16 giugno i difensori della Repubblica si arresero, anche perché ricevettero in cambio della loro capitolazione la promessa di un salvacondotto da parte del Conte Giuseppe de Thurn che, dalla nave fregata “Minerva”, comandava le forze navali assedianti. I fatti però non si misero bene per i soldati filogiacobini, perchè ci fu l'alto tradimento degli inglesi. A nulla valse il salvacondotto assicurato dall’ammiraglio del re. Tutti i militari della brigata e quindi Carlo Mauri, vennero fatti prigionieri e nel seguito processati.
Così scrive lo storico di Chiaiano, Domenico De Luca, nella sua opera "Il Marchese Carlo Mauri feudatario di Polvica giustiziato nel 1799":
"Carlo Mauri fu giustiziato il 14 dicembre 1799 nella storica piazza Mercato di Napoli per impiccaggione (come usanza, accompagnarono il condannato al patibolo i confratelli della Compagnia dei Bianchi).
Nel Diario del De Nicola è detto: "Giovedì 5 (dic.) Si è intesa quest'oggi la condanna del P. Granata ex provinciale dei Carmelitani, di don Nicola Fiorentino, già giudice Regio, e del marchese Mauri". Ma verrà riportato nell'elenco a parte. Infatti nel martedì 10 (dic.) il De Nicola rimanda: "Sono passati in cappella il marchesino Mauri, d. Nicola Fiorentino, il p. Granata".

Lapide sulla facciata di Palazzo S. Giacomo,
con i nomi dei patrioti del '99 (all'8^ fila c'è Mauri)

Ma al Mauri il 12 risultava sospesa l'esecuzione, chi dice perchè abbia detto di aver cosa da scovrire in utile allo Stato, chi che sia stato per le più parti fatte dai parenti, giovandosi di una capitolazione particolare da lui fatta col comandante inglese. Per tale capitolazione ci fu frode da parte di Nelson sull'ambiguo suo comportamento verso i lazzari e i giacobini napoletani, prima che verso i nobili.
Il De Nicola continua: "Sabato 14 Mauri è stato seguito quest'oggi, come vada  ciò che è una arcano almeno per me". Figuriamoci, lui che era un avvocato, che cosa doveva pensare il popolino dei lazzari, oggi si dice di massa". Invece Giustino Fortunato cosi riporta: "Carlo Mauri marchese di Polvica giustiziato". Tra tanta storia ogni autore di saggi su quell'infelice '99 gli ha dedicato almeno un ricordo. Ed è importante accennare ora che sulla Repubblica Napoletana del 1799 esiste una ricca e varia letteratura storiografica e documentaria, come i manoscritti all'Archivio della Soc. Nap. di Storia Patria, alla Naz. di Napoli (Biblioteca) e la preziosa mostra. Ma la maggior parte dei fasci della Suprema Giunta di Stato del Ruffo e quella successiva del re, al suo rientro dalla Sicilia, furono dati alle fiamme di proposito per non far ricordare ("Dannate memorie" ndr.) che mentre lui era fuggito dalla patria, da lontano, oltre che a provvedere a far liquidare fisicamente chi l'aveva anche difeso e credeva alla patria, lui la patria l'aveva abbandonata, senza essere in prima linea."
Tra i vari capi di accusa per i quale Mauri fu sottoposto a  processo e quindi condannato alla pena capitale, ci furono quelli di aver cospirato contro il re, aver aderito alle idee giacobine e per le azioni che aveva condotto in campo, quali: aver piantato l'Albero della Libertà all'Arco di Polvica e aver fatto festa alla Taverna del Portone, come era consuetudine dei rivoltosi. Fu particolamente incolpato dalla Suprema Giunta di Stato. Non ricevette mai il perdono dal re.
Tormentate sono le vicende che, secondo alcune testimonianze, si svolsero tra la sentenza di condanna a morte del Mauri e la sua esecuzione. Secondo alcune fonti, la moglie, gli amici e i feudatari di Polvica ricorsero a tutti i tentativi per salvarlo, chiedendo l’intervento a suo favore di persone influenti. Le lettere di corrispondenza intercorse con la moglie, durante il periodo di prigionia, delineano quello stato di profondo sconforto e i vani tentativi di salvataggio, con l’alternanza di speranze e cocenti delusioni, che si faranno sempre più cupe.  L'unico beneficio estremo che fu concesso al Marchesino Mauri fu la magra consolazione di vedere tramutata la pena di morte, da decollazione ad impiccaggione, che fu eseguita pubblicamente nella piazza del Carmine.
I confratelli della Compagnia dei Bianchi provvidero alla sua pietosa sepoltura nella chiesa di San lazzaro al Lavinaio.
Dopo la condanna capitale, la dimora nobile di Polvica della famiglia Mauri fu depredata di tutto quanto contenuto; secondo alcune fonti ad opera degli stessi servitori del marchese..., mentre i beni posseduti dalla famiglia Mauri furono tutti confiscati dal Regio Demano. Ecco l'elenco dei beni e rendite confiscate pubblicati nell'opera citata di Domenico De Luca:

Beni del reo di Stato Carlo Mauri confiscati. 

Beni siti in Buccino

Case:
-Una casa palaziata in più appartamenti dentro l'abitato vicino alla Chiesa Madre con comodi per riporre generi, cellari ed altro, pochi membri terrane in affitto della rendita di annui due.

Castrello del Carmine in una mappa antica
- Un tappeto per macinare olive sistente sopra la Piazza affittato a Domenico Figliuolo per quarantini 31, d'oglio di Nuzzo.

- Diversi corrispondono per censi sopra case anni due.

Territori:
-Diversi corrispondono per censi sopra territori anni duc. 96.30 Oltre la corrisponsione in oglio.

-Territorio alli Sambuci di tom.10 affittato in danaro a Giov. Caio per an. duc.52.

-Vigna moggia 2 1/4 con alberi di olive a S. Mauro affittata ad Angelo Pucciariello per an. duc. 9 Oltre l'oglio.

-Territorio di tomola 400 tra boscoso, seminabile con alberi di olive nel luogo detto Moncelli, o sia Feudo rustico affittato a Giuseppe di Stasio per tom. 126. Oltre le olive, e la ghianda.

Castello del Carmine, che fu ultima prigione di Mauri

-Territorio seminatorio di tom. 40 con alberi di olive, e di quercie nel luogo  alla Caprignola per tomola 14.03.

-Territorio di tomola 12. con alberi di olive nel luogo detto Mariomeo affittato a Nunzio di Gio:Battista Trimarco per annui tomola 19.

-Territorio con olive di tom. due in circa nel luogo detto Pietrelate affittato ad Onofrio Montesano per tom. 2.04. Orzo tomola .04.

-Territorio detto delle Piante alla Petrosa affittato a  Giuseppe de Jorio per tom. 3 Oltre l'oglio.

Piazza Mercato, in una foto antica

-Territorio a Campanile, ossia Pisciarelli, spanditura e Giardino di D. Carlo affittato  a Gioacchino Volpe, a Giacomo Chiariello per 15. Orzo tomola 15.

-Territori in contrada  di S. Mauro denominati  Calancone, Terre Danze, Sterponi, e le Noci affittate ad Angelo Pucciariello per duc.100. Oltre l'oglio.

-Territori allo Scuorzo, Cotine, e Noci, di tom. 60. affittati ad Onofrio e Luca Policastro, per tom. 40 Orzo tomola 10.

-Territori di moggia 41, alle Pedicare della Montagna, Auriglio, Vallone di Mauro, Lavinaro della Teglia, ed il Forluso con Grotta, affittati a Gregorio di Diego Moniello per tom. 32.

-Chiusa di tomola 15. con masseria di fabbrica ed alberi di Olivenella contrada Carmine, o sia Pellegrini, affittata a  D. Gio. Marasco. 31.04

-Territori di tomola 15 con alberi di olive, e querce nella contrada di Marcellino affittato a Nicola Graziano e Camilla Pisierchio. 7.

Censi in grano:

- Eredi di Agostino Bastardo per censo del territorio alla fontana di Frattamane. tom.5 

- Agostino Pucciariello per Catarina Morrietto per censo del territorio a Vallocupo tomola 12, oltre l'oglio. 5.42.

Fiscali:

L'Università di Buccino corrisponde annui 7.14

Istrumentari:

Eredi di D. Michele Cippaluni per capitale di duc. 30 - 1.80.

Seguono l'elenco di numerosi altri Censi e Benefici siti a: "S. Marina", "Santa Maria Maddalena" e "S. Nicola a Piazza", che omettiamo riportare per questioni di spazio.


(Beni posseduti nel) Feudo di Polvica:

Il castello del Carmine, su via Marina

Case:

-Il Palazzo Marchesale e la Cappella. Tre comprensori di case, uno detto "Case Nuove all'Arco", altro detto: " Degli Orefici alla Piazza" ed il terzo "Il cortile della Monica", affittati a D. Ferdinando de Conciliis per an. duc. 109.

-Il forno con due centimoli col diritto di non potere altri panizzare e vendere farina, e l'Ingegno de'maccaroni, affittato al suddetto de Conciliis per an. duc. 480.

-Tre taverne una luogo detto l'Arco, altra detta del Portone e la terza detta la Piazza

Territori:

-Moggia 9 territorio nel luogo  detto la Vignitella affittata a D. Ferdinando de Conciliis per an. duc. 110.

-Altro comprato da Salemme affittato al detto De Conciliis per an. duc. 220

-Territorio di moggia 4. murato accosto al Palazzo Baronale, affittato a Crescenzo Sarnella per an. duc. 110.

-Giardino di moggia 2 1/4 affittato a Salvatore Riccio per an. duc. 50.

Dopo questo racconto alquanto triste, ci piace onorare la memoria del marchesino Carlo Mauri, "libero cittadino" di Polvica, con le stesse belle parole scritte da Ugo Foscolo nei Sepolcri, ricordando Ettore: "E tu onore di pianti, ... avrai, ove fia santo e lagrimato il sangue per la patria versato, e finchè il sole risplenderà su le sciagure umane"!

Salvatore Fioretto


lunedì 3 ottobre 2022

Quella volta che il tesserino dell'Associazione ci salvò dal baratro…! (parte III)

Foto di H. Rohrer
Trascorrevano spensierati gli anni tra il 2008 e il 2012 e io, con la mia partecipazione al forum dell’Associazione G.A.F.A. (Gruppo Amici della Ferrovia Alifana), continuavo a rinverdire i ricordi della mitica Piedimonte, tuttavia iniziai anche a programmare delle escursioni organizzate sul territorio, in cerca di testimonianze sopravvissute della bella ferrovia. Posso dire che all'inizio della mia esperienza Alifana, nessuno conosceva bene la storia della Tratta Bassa della ferrovia Piedimonte, ed io rappresentavo a tutti gli effetti come un "pioniere" che portava le testimonianze di questo ramo di ferrovia abbandonato, soprattutto ai più giovani. Nell’Associazione inizialmente c’erano molti soci che erano appassionati di modellismo ferroviario e misero in cantiere la costruzione di un plastico sociale, in scala H0, vale a dire in scala 1:87, riproducendo stazioni e tratti di ferrovia della cosiddetta Tratta Alta nuova dell'Alifana, altri erano solo simpatizzanti della storia, degli impianti e dei treni.
Dopo poco tempo riuscii a creare una specie di sottosezione all'interno dell'Associazione (anche se informale), a cui aderirono un manipolo di soci, che presero a condividere con me la stessa passione per le vicende storiche della "Tratta Bassa" della "Ferrovia Napoli - Santa Maria - Capua", che come è noto fu sospesa al servizio nell'anno 1976.
Gli amici erano Pasquale, Biagio, Sabatino e, ultimi arrivati,
Marco e Mariano. Anche se Mariano, causa il suo lavoro, riuscì a partecipare solo a un paio di eventi in sede.
Iniziammo a studiare in dettaglio il territorio attraversato dalla Tratta Bassa, dapprima attraverso la consultazione delle cartine geografiche e delle immagini dall'alto e, poi, passammo a programmare delle vere e proprie escursioni con dei rilievi in campo, anche per cercare di recuperare dei cimeli sopravvissuti.
Foto di H. Rohrer
Nel corso di queste escursioni, mi divertivo a sbalordire gli amici, mostrando come riuscissi facilmente a trovare dei particolari ferroviari, che apparivano nascosti alla vista dei più, aiutandomi solo con il mio intuito....; una sorta di sesto senso posseduto...! (un "fiuto alifano" come dicevano gli amici, prendomi bonariamente in giro...).
La prima nostra "avventura", per la ricerca delle tracce della Piedimonte, capitò in una località tra il napoletano e il casertano, che per ovvie ragioni di riservatezza non dirò il nome, ma che conservava ancora il rudere di una stazione della ferrovia. Con Biagio e Pasquale ci recammo un sabato mattina a visitare questo sito, dove sapevamo che si trovava la stazione, con molti particolari originari ancora al loro posto, come la scritta, i lampioni, ecc. Giunti sul posto, notammo che fuori all’edificio abbandonato della stazione, alcuni uomini erano presi a fare dei lavori, credo per la sistemazione del piazzale e anche al collocamento di alcuni pannelli da applicare sulle finestre e sulle porte...
Biagio, incurante della situazione un po’ critica..., iniziò con la sua fotocamera a fare delle foto alla facciata della stazione, pensando che forse non sarebbe stata più visibile da quel momento in poi. Eravamo posizionati sul marciapiede della strada, sul lato opposto alla stazione, distanti da questa almeno una ventina di metri. A un certo punto queste persone notarono la nostra presenza e forse sospettarono che fossimo delle spie... Quindi, con atteggiamenti minacciosi, iniziarono a venire verso di noi, imprecando e minacciando…! Quando ce li trovammo addosso, a quasi a un palmo dal naso, uno di questi cominciò a strattonare Biagio, pretendendo che gli consegnasse la sua fotocamera, per distruggerla...! Ci fu un brutto parapiglia, che durò diversi minuti...! Biagio, ovviamente, non voleva saperne di consegnare la sua fotocamera! Iniziai a preoccuparmi per gli amici e, sotto sotto, iniziai anche ad aver paura... Mi sentivo un po’ responsabile di questa incresciosa situazione, che inconsapevolmente si era venuta a creare mio malgrado… L’idea di andare in ricognizione era stata tutta mia…
Passavano lentamente i minuti... Altri strattonamenti, altre minacce degli individui e altri dinieghi da parte di Biagio…! La situazione stava sull'orlo per precipitare... e poco mancava che degenerasse...! A un certo punto, uno di costoro iniziò a chiedere ad alta voce, rivolto verso di me (che ero anche il più anziano del gruppo): “…Ma chi site?! Ma chi v’ha mannato?!” A questa domanda, che poi rappresentava una vera e propria provocazione, con prevedibile reazione, in base alla risposta che davo..., ebbi un vero guizzo...
Non so’ chi mi ispirò e nemmeno quale santo mi aiutò; conservai la calma e misi con cautela una mano in tasca, dove avevo il cartellino dell’Associazione del G.A.F.A., lo estrassi e con risolutezza glielo misi sotto al muso, dicendo con fermezza e autorità: “Siamo questi…!!
Il cartellino aveva, oltre la mia foto in evidenza, con il nome e cognome, anche il simbolo dell’Associazione, che era formato da un fascio di colori graduali, dal celeste al blu, e aveva in evidenzia, a caratteri marcati, la scritta: “Amici della Ferrovia Alifana”.
Non so cosa pensarono, ma credo che forse compresero il grande "abbaglio" che avevano preso...; tuttavia, so solo che la mia determinazione nel mostrare con un piglio di autorità il tesserino associativo, fu decisiva ed efficace, tant’è vero che queste persone rimasero per un attimo immobili, senza fiatare e, poi, cambiarono completamente l'espressione dei volti e anche negli atteggiamenti nei nostri riguardi... Divennero rapidamente: sorridenti, cordiali e ospitali,... anche il tono della voce si fece dolce e calmo...! Praticamente erano diventati l'opposto di quello dimostrato poco prima...!
Ci dissero: “Ma pecché non ce l’avite ditto primma?! Jamme, venite con noi, venite a vedere la stazione, state a casa vosta…!” Noi ovviamente, avevamo l’adrenalina a mille…, eravamo impauriti per quella insolita avventura e soprattutto per le minacce ricevute pochi minuti prima... Credo che eravamo diventati tutti "viola nel viso"…!
Ci guardammo bene di non aggiungere altre spiegazioni, che potevano far causare altri capovolgimenti... e accogliemmo l'invito ricevuto, anche se con residua e naturale diffidenza…
Ci portarono a visitare la stazione o meglio di quello che rimaneva della stazione.
Fu per me e per i miei amici un’esperienza bellissima: un brutto sogno che tutto a un tratto si era trasformato in un momento di pura gioia…!
A volte le situazioni che ci propongono la vita e il caso sono veramente impensabili e imprevedibili…! Ed è curioso constatare come esse evolvano in maniera velocissima...!
Vedemmo il locale biglietteria, anche se in gran parte modificato. Salendo la scala in muratura, che era ancora quella originaria, visitammo i locali superiori che furono l’alloggiamento del capostazione. Uscimmo
di nuovo all’aperto e entrammo nel magazzino, attraverso l’apertura posta sul lato posteriore, dove c’erano un tempo i binari. In questo locale, che si trovava in uno stato molto fatiscente, senza l’intonaco alle pareti e con la presenza di tanta umidità che affiorava dal solaio, c’erano dei cumuli di detriti a terra e tra questi notammo delle vecchie carte ammuffite, ma ancora integre. Ci accostammo per leggerle, estraendole, delicatamente con le mani, dal mucchio di detriti. Sgranammo gli occhi..., perché erano proprio tre "orari ufficiali" della ferrovia, risalenti al periodo di esercizio: due tra gli anni '50 e '60 e il terzo, più antico dei primi, risalente forse agli anni '30... Chiedemmo ai nostri interlocutori se potevamo prenderli; ci risposero senza esitare: "Si, prendeteli pure...", forse per farsi perdonare del loro discutibile comportamento di pochi minuti prima...! Notammo, poi, che era stato asportato uno dei lampioni in stile liberty che erano posti sulla parete della stazione che dava sui binari, mentre gli altri due erano miracolosamente ancora al loro posto. Pensammo che si doveva salvare almeno uno di questi preziosi cimeli...
Al termine della visita, ci congedammo da queste persone che ci avevano fatto inizialmente tribolare ma che, poi, stranamente, erano diventate amiche, con la promessa di ritornare per recuperare gli altri cimeli. Intanto eravamo contentissimi per i preziosissimi "orari" recuperati miracolosamente; i quali, grazie alla nostra avventura, sarebbero stati conservati al sicuro, per dare una testimonianza ai posteri della storia della ferrovia. Furono i primi tre cimeli ad essere recuperati dall’Associazione G.A.F.A.
Non siamo più ritornati sul luogo della stazione, un po’ anche per paura. Ci hanno riferito, tempo dopo, che anche gli altri lampioni hanno avuto la stessa sorte del primo scomparso...
Morale del racconto, che non è una favola, ma realtà: "...il male a volte può portare anche del bene" ... Provare per crederci...!

Salvatore Fioretto 

Al termine di questo racconto ci piace inserire il link di un raro anche se breve filmato a colori del nostro mitico trenino (cliccare con il mouse il link  sottolineato che segue): Filmato a colori nelle campagne anni '60

 
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