domenica 27 settembre 2020

La tradizione equestre a Napoli e i tornei ippici dedicati ai centri dell'Area Nord di Napoli...

Testa di cavallo in bronzo, conservato nel museo archeologico di Napoli


Il rapporto tra l'uomo ed il cavallo si perde nella notte dei tempi....! Sicuramente nell'antichità il cavallo fu elemento importante e determinante per lo sviluppo della civiltà dei popoli, come avvenne per tante comunità antiche: i Fenici, i Sumeri, gli Egiziani, i Greci. E per quanto ci riguarda, in occidente: gli Opici, i Volsci, gli Osci, i Sanniti, ecc.,... fino a giungere ai coloni greci, che raggiunsero nel VIII-VII secolo a.C. le coste dell'Italia meridionale, portando al seguito le loro razze equine. Questo popolo ellenico eseguì una paziente e costante selezione di razze, giungendo a tipologie di cavalli molto docili e facilmente addomesticabili per tutti i loro utilizzi, sia in guerra che in pace, nelle città e nei campi, per i mezzi di trasporto e per le attività lavorative. Gli Etruschi e i Romani continuarono questa tradizione, migliorando la selezione di razze equine, soprattutto quelle utili al servizio delle loro armate, durante le varie guerre ed espansioni nel mondo allora conosciuto.
Con la caduta dell'Impero Romano d'Occidente e con l'invasione dei popoli nordici, ci fu una commistione tra le razze equine: conseguenza fu che i cavalli ebbero connotati dell'uno e dell'altro "ceppo"... I vari invasori (mongoli, germanici, vandali, goti, saraceni, ecc.), "sovrapponendo" i loro cavalli a quelli romani, non fecero altro che protrarre nel tempo, inconsapevolmente e disordinatamente, quanto i Latini e loro discendenti avevano consciamente e razionalmente saputo selezionare.
Du
rante la conquista bizantina in Italia e con l'istaurazione di amministrazioni locali dipendenti dall'impero di Bisanzio, come il Ducato a Napoli, l'incrocio con le razze di cavalli provenienti dall'Oriente, apportarono nuove caratteristiche genetiche ai cavalli nostrani. Dopo l’anno 1000, le armate cristiane reduci dalle Crociate in Palestina, furono artefici di altre commistioni di razze, soprattutto a seguito dei contatti avvenuti con i vari popoli, durante le attraversate verso la Terra Santa.
Nell'Alto Medioevo, con  l'avvento nell'italia meridionale della dominazione Sveva (XII-XIII secolo), fu preferito selezionare una razza di cavallo agile e veloce, adatta al tipo di caccia, molto in auge all'epoca, chiamata "Falconeria". Di questa pratica di caccia, un esempio luminoso fu il grande sovrano Federico II di Svevia, detto Stupor Mundi.
S
uccessivamente  (XIV-XVsecolo), con la venuta degli Angioini prima e degli Aragonesi dopo, si riuscì a selezionare nuova razze di cavalli, sempre più corrispondenti alle esigenze dei tempi, che andavano mutando con diversi stili di vita, verso l'Era Moderna.
Fu, poi, con l'occupazione spagnola, nel XVI secolo, e l'istaurazione  del Vicereame di Napoli, che si provvide a incrociare le varie razze prevalenti, anche con quelle provenienti dal modo arabo, giungendo a selezionare un'eccellente razza di cavallo, che divenne subito un esempio di perfezione equina, tanto che fu richiesta ed esportata in tutta Europa, e anche oltre, per realizzare altri incroci locali. La nuova magnifica razza fu chiamata del "Corsiero Napolitano".

Tanto fu importante per gli spagnoli e l'aristocrazia locale l'importanza del cavallo, che
a Napoli intorno al 1534, nacque per opera di Giovan Battista Ferraro e Federico Grisone, la prima Accademia equestre d’Europa, mentre nelle scuderie imperiali spagnole andavano aumentando il numero ed il prestigio dei Corsieri Napolitani. Lo stesso imperatore Carlo V d’Asburgo, "… hauendo ottima conoscenza, e prattica di tutte le specie di caualli, e di tutte l’arti Caualleresche, sempre elesse per seruigio di persona i caualli Napolitani, come idonei ad ogni essercitio, e fattione." (Pasquale Caracciolo, La gloria del cavallo, Venezia, 1589).
L'appellativo di Corsiero (o corsiere) fu dato alla nuova razza per esaltarne le proprie attitudini naturali, che erano corrispondenti a un tipo di cavallo adatto al combattimento, data la proprio andatura che risultava essere più veloce (il corso, cioè il galoppo) delle altre razze di cavallo e lo differenziava dal "portante", ossia dal cavallo usato prevalentemente per lunghi e comodi trasferimenti in sella. Il termine napolitano, poi, ne caratterizzava prettamente la sua origine geografica, che però non si limitata esclusivamente alla città di Napoli e dintorni, ma si intendeva estesa all'intero Regno di Napoli.
Il periodo nel quale la razza del Corsiero Napolitano assurse il suo massimo splendore, anche in tutta Europa, fu quello compreso tra il XVI ed il XVIII secolo. Non vi fu monarca o principe che non ambisse ad ospitare, nelle proprie scuderie, corsieri napolitani. Durante tutto il XVIII secolo e nel primo quarto del successivo, anche la monarchia asburgica ottenne numerosi cavalli Corsieri Napolitani. Celebri sono i dipinti del pittore inglese George Hamilton, che nell'anno 1725 immortalò sulle tele di alcune sue opere di scene e paesaggi, i cavalli napolitani.
Prendendo ancora spunto dal celebre trattato equestre "La gloria del cavallo (1589), ecco la descrizione di altri pregi di questo celebre cavallo: "Ma se di tutti i cavalli rarissimi sono quelli, che di tutte le conditioni necessarie adornati, e à tutti gli essercitij siano idonei; di tal lode i Napolitani soli veramente al più generale si trovan degni; perché al caminare, al passeggiare, al trottare, al galoppare, all’armeggiare, al volteggiare, e al cacciare hanno eccellenza, e sono di buona taglia, di molta bellezza, di gran lena, di molta forza, di mirabile leggierezza, di pronto ingegno, e di alto animo; fermi di testa, e piaceuoli di bocca, con ubbidienza incredibile della briglia; e finalmente così docili, e così destri, che maneggiati da un buon Cavaliere, si muovuono à misura, e quasi ballano…" .
Nella Relazione delle persone, governo e Stati di Carlo V e di Filippo II, letta nel Senato della Repubblica di Venezia, nel 1557, dall’ambasciatore Federico Badoero, i cavalli napolitani furono definiti non vaghi come li giannetti, ma più belli che li frisoni, forti e coraggiosi…
La cavalleria del Re di Napoli Ferdinando IV di Borbone godeva, nella seconda metà del XVIII secolo, buona fama per numero e qualità di razza. La casa borbonica dedicò molte attenzioni all'allevamento dei cavalli e del Corsiero in particolare. Tanti erano i siti nel Regno di Napoli dove esistevano delle importanti strutture e scuderie dedite all'allevamento e alla sua selezione, almeno fin dal 1750: a Carditello (in Terra di Lavoro - CE), a Persano (in Principato Citra - SA), a Ficuzza, in Sicilia (dal 1799) ed a Tressanti, (in Capitanata - LE, almeno fin dal 1815). è noto che i cavalli del Real sito di Persano transumavano a primavera sui vicini monti Alburni, dove potevano godere, sino all’inizio dell’autunno, di un clima più fresco e più salubre e di pascoli d’alta quota abbondanti di essenze preziose per l’armonico sviluppo dei puledri nati nell’anno che venivano chiamati "carusi".
Dopo il 1860, con l'Unità d'Italia, l'allevamento del cavallo Corsiero Napolitano subì un durissimo contraccolpo e fu quindi condannato ad un rapido ridimensionamento di capi, fino alla sua estinzione completa in Italia. Causa determinante di ciò fu l'effetto delle scelte di politica economica, poco favorevoli al mantenimento e allo sviluppo del settore ippotecnico e di questa razza in particolare.
Veniamo ora alla storia della tradizione ippica
in Città,  nell'era moderna.
Con il trascorrere dei decenni del XIX e del XX secolo, i nobili, gli aristocratici e i borghesi di Napoli e provincia, tenevano a cuore di riservare stalle e spiazzi nei loro tenimenti e ville, per l'allevamento dei cavalli. Nel lungomare di via Caracciolo, fin dalla realizzazione delle opere di "colmata a mare", nei pressi dell'attuale piazza Vittoria, era presente un piccolo galoppatoio transennato, dove i napoletani solevano far galoppare i loro cavalli, specie durante le giornate festive e nei loro tempi di svago.
Ma anche nel campo sportivo, nelle gare che vedevano il cavallo come protagonista, ossia nell'Ippica, la città di Napoli e i napoletani non furono da meno rispetto al resto d'Italia, anzi...!
Il Campo di Marte, a Capodichino, oltre alle parate militare, fu utilizzato per eseguire esibizioni equestri durante gli ultimi anni del periodo borbonico e anche in quello sabaudo. In altri punti della città erano presenti campi e piccoli ippodromi locali condotti da privati, come ad Agnano, nella proprietà Ruggiero, dove si eseguivano allenamenti e pratiche sportive, seppur in forma dilettantistica.
Negli anni '30 del secolo trascorso, fu Raffaele Ruggiero, a dare un'impronta decisiva all'ippica nella città di Napoli. Infatti Egli provvide a donare al Municipio di Napoli, l'intera area di sua proprietà, sulla quale nei secoli pregressi esisteva un vasto lago, di origine termale, chiamato il lago d'Agnano. La donazione avvenne a un preciso patto: che il Comune di Napoli costruisse e amministrasse con proprie risorse e spese un nuovo e bellissimo ippodromo, che fosse vanto e lustro per la nobile Città, oltre che in Italia, in tutta Europa e nel mondo; richiamando in città per le gare e i tornei decine di giocatori e di appassionati di questo antico sport.

Monumento a R. Ruggiero, Ipp. di Agnano

L'ippodromo di Agnano fu quindi realizzato su un'area complessiva di 48 ettari, a spese del Comune di Napoli, tra la tenuta degli Astroni e le Terme di Agnano e fu subito adibito a disputare le gare di corse di trotto e di galoppo. Le piste furono inaugurate nell'anno 1935.
Nel corso della sua esistenza, ultraottantennale, l'impianto di Agnano ha ospitato, nelle varie gare organizzate, i cavalli e i fantini più famosi del mondo. Tradizione, storia ed uno scenario di incomparabile bellezza, conferiscono ad Agnano il titolo di uno degli ippodromi più rappresentativi della storia dell’ippica italiana!
Le gare ebbero subito un forte richiamo cittadino, sia di sportivi e sia di amanti delle scommesse sportive. Gli spalti dell'Ippodromo di Agnano furono invasi da migliaia di napoletani, tra sportivi e curiosi, e tanti provenienti da ogni angolo d'Italia e dell'Europa, spesso per seguire i propri beniamini o per semplice turismo sportivo. Furono instituite delle lotterie, celebre era la cosiddetta Lotteria D'Agnano, che veniva organizzata annualmente, abbinata alla corsa di cavalli che era chiamata Gran Premio Città di Napoli. Ma nei primi anni di esercizio dell'ippodromo tante erano le gare a premio, molte erano intitolate in omaggio ai luoghi del circondario di Napoli, che sicuramente avranno avuto una valenza significativa nella storia dell'Ippica e nell'allevamento dei cavalli di razza.
Abbiamo rinvenuto, nel corso delle nostre ricerche storiche, un'importante testimonianza risalente all'anno 1937. Dalle pagine dell'"Annuario Ufficiale delle corse al Trotto" (edito nell'anno 1938), risulta che venivano organizzate a Napoli delle gare di Trotto, con premi per i quattro primi classificati, intitolati (come per dedica), a diversi luoghi della Città e della sua Area Nord, tra questi: Piscinola, Miano, Capodimonte e Mugnano.  Con molta probabilità, le gare si disputarono nell'Ippodromo di Agnano, dato che l'impianto fu inaugurato, come si è detto, nell'anno 1935. La scelta dei titoli dei premi riferiti a Piscinola, Miano, Capodimonte e Mugnano, lascia pensare che fu una desiderio chiesto e ottenuto dal benefattore dell'Ippodromo, ossia dal Ruggiero, il quale come è noto possedeva a Piscinola un vasto tenimento, e  frequentava con assiduità il territorio dell'Area Nord di Napoli; ma al momento non abbiamo la certezza di questo. A Piscinola, come è noto, Ruggiero realizzò, dal nulla, una fondazione, tuttora esistente che porta il suo nome (Fondazione "Raffaele Ruggiero"), dedicata alla cura e all'assistenza delle fanciulle con problematiche neuropsichiatriche.
Nel seguito riportiamo le varie tabelle dei risultati finali delle singole corse al trotto disputate nell'anno 1937, pubblicate sulle pagine dell’”Annuario Ufficiale delle Corse al Trotto", edito dall’Ente Nazionale delle Corse al Trotto,  e della Unione Nazionale Dilettanti, 1937/1938, Volume I, Roma, aprile 1938.

Alcuni anziani hanno reso testimonianza sul torneo di cavalli che si svolgeva a Piscinola, negli anni '50, nel giorno di festività dedicata al santo patrono degli animali: Sant'Antonio Abate, il 17 gennaio. Ogni anno, dopo il rito della benedizione di tutti gli animali domestici, tra cui tanti cavalli, eseguito sul sagrato della chiesa parrocchiale del SS. Salvatore in Piscinola, si disputava nel luogo dove oggi esiste via Giovanni Antonio Campano, un torneo dilettantistico di galoppo, organizzato da appassionati piscinolesi di corse ippiche.
All'epoca la strada doveva essere ancora in fase di cantiere, e comunque ancora in terra battuta. I cavalli venivano fatti gareggiare ornati di decorazioni e nastri rossi, come erano stati preparati per la benedizione precedente. Il campo di gara, corrispondente all'attuale via G.A.Campano, era lungo pressoché un chilometro.
Ritornando alla passione per i cavalli della razza Corsiero Napolitano, è confortante apprendere che c'è una flebile speranza di ripresa di questa bella e nobile razza di cavallo originario del meridione d'Italia... Dall'anno 2004 alcuni appassionati allevatori stanno realizzando un complesso programma zootecnico che tende al recupero genealogico e morfologico del Corsiero Napolitano, attraverso l’individuazione di  alcune popolazioni equine dell’Italia meridionale risalenti a capostipiti di origine autoctona, da incrociare con le linee generazionali estere, discendenti da quelle napoletane nei secoli XVII e XVIII.
A questi valorosi, non ci resta che augurare un buon lavoro e un simpatico: "in bocca al cavallo"...!
Salvatore Fioretto

Molte notizie sulla storia del "Corsiero Napolitano" sono state tratte dal sito web:" http://www.cn-corsieronapolitano.it/pages/1/3/il-corsiero-napolitano/", a cui rimandiamo il lettore interessato per gli approfondimenti.






sabato 12 settembre 2020

"Divus Januarius",... San Gennaro... nella storia e nella tradizione... !

Cappella S. Gennaro, De Ribera, Gennaro esce illeso dalla fornace

Il giorno 19 settembre, come è noto, ricorre l'anniversario del martirio di San Gennaro, patrono principale della città di Napoli e della Campania; Santo celebre e conosciuto in tutto il mondo e oltremodo simbolo della napoletanità.

Su San Gennaro sono stati scritti fiumi di inchiostro e pubblicati migliaia di libri...  Una ricerca bibliografica condotta dal sacerdote Antonio Bellucci, nel 1925 e nel 1950 e poi aggiornata recentemente, annovera più di 2500 pubblicazioni!  Quasi tutte riguardanti il mistero della liquefazione del sangue conservato nella Cattedrale di Napoli, le opere artistiche e monumentali conservate nella Real Cappella del Tesoro nel Duomo, le Catacombe di  Capodimonte, nonché il celebre "Tesoro", accumulato a seguito delle cospicue donazioni avvenute nei secoli, da parte dei regnanti sul trono di Napoli; tuttavia della vita di San Gennaro, della sua biografia, si è scritto veramente pochissimo!

Ma chi è stato veramente Januarius, quello che oggi noi chiamiamo San Gennaro? Dove nacque e a quale famiglia apparteneva? E, soprattutto, come ha trascorso la sua breve vita, prima della sua conversione al cristianesimo?

L. da Orvieto, Madonna del Principio e S. Gennaro in abiti pontificali, 1323 (part)

Del vescovo Gennaro, ovvero di San Gennaro, della sua infanzia ed adolescenza si conosce quasi niente, e ancor meno della sua vita di sacerdote. Sappiamo che probabilmente fu nobile di nascita, qualcuno ha visto in lui origini romane, vicine alla famiglia della Gens Januaria (dal dio Giano), ovvero vicina alla stirpe dalla quale discendevano gli imperatori romani, ma non ci sono prove di tutto questo. Fu giovanissimo sacerdote, divenuto presto vescovo nella nascente comunità cristiana di Benevento, nel periodo a cavallo tra il III e il IV secolo. Fu pastore zelante, che aveva a cuore l'amore per il prossimo, per la comunità della quale era vescovo e per i suoi amici. Morì nella terza decade della sua vita, intorno a 35 anni, subendo il martirio per decapitazione, avendo dichiarato di essere cristiano; era dunque il 19 settembre del 305, come è riconosciuto dalla Chiesa Universale, nelle Passio o Atti e nei vari Calendari antichi.

Cappella di S. Gennaro,  Sossio e Gennaro, Domenichino
Dove nacque? San Gennaro è stato sempre considerato napoletano per nascita. Purtuttavia, da tempo immemorabile, è sempre in atto una specie di controversia tra le città di Napoli e di Benevento, circa l'attribuzione della cittadinanza di Gennaro. Entrambe le città mostrano, tra le proprie mura, dei luoghi antichi, con abitazioni identificate come essere quella natale del Santo, dove risiedeva anche la sua famiglia. Probabilmente l'unico indizio che possa aiutare ad attribuire la cittadinanza di Gennaro, è la frase contenuta nella Passio degli Atti Bolognesi, dove si riporta: "[...] Di notte, poi, mentre ciascun popolo premurosamente si preoccupava di rapire i propri Patroni, i Napoletani meritavano dal Signore di prendere il beato Gennaro come Patrono." Questa decisione dei napoletani, di prendere il corpo di Gennaro, mentre i beneventani si preoccupavano di recuperare quelli dei propri concittadini: Festo e Desiderio, potrebbe essere scaturita da un bonario accordo siglato tra i due popoli, probabilmente proprio per la cittadinanza vantata dalle rispettive comunità sui rispettivi martiri. Altri indizi non sono stati finora trovati. 

S. Gennaro e Santo Benedettino, affresco delle catacombe di S. Gennaro

Si apprende dalla Passio che, al momento del martirio, l'anziana madre di Gennaro, viveva con Lui a Benevento e che, avendo avuto la predizione del martirio del figlio, morì subito di crepacuore.

Gennaro era amico di Sossio, diacono della chiesa di Miseno (chiamato negli atti, Sosio), e si recava spesso a fargli visita a Miseno. Nell'ultimo incontro, avvenuto in un momento di pace, ebbe la visione di una fiammella che ardeva sul capo dell'amico Sossio. Fu interpretata dal vescovo come un segno premonitore dell'imminente suo martirio. Avendo saputo, tempo dopo, che Sossio era stato arrestato, perché denunciato di essere cristiano, e condotto nel carcere di Pozzuoli, Gennaro decise di fargli visita, per consolarlo. Il viaggio da Benevento a Pozzuoli fu compiuto assieme ai suoi due presbiteri: Festo e Desiderio, entrambi della chiesa di Benevento. Una volta giunto in carcere, Egli dichiarò apertamente ai carcerieri il proprio disappunto sulla carcerazione ingiusta subita dal suo amico Sossio, ritenuto un uomo buono, seguace di Cristo. Questa dichiarazione fu raccolta dai soldati romani come una autodenuncia e, quindi, essi furono tutti arrestati e incarcerati insieme a Sossio. Pochi giorni dopo, Gennaro, Sossio, Festo e Desiderio, assieme a Procolo, Eutiche, Acuzio (il primo diacono della chiesa di Pozzuoli e gli altri due laici, sempre di Pozzuoli), furono giustiziati tutti insieme, mediante la decapitazione, che avvenne in un luogo vicino alla Solfatara di Pozzuoli.

Ma quali sono le fonti di queste notizie?

Gli ultimi giorni vissuti da San Gennaro e compagni sono descritti nelle cosiddette "Passio", ovvero delle antiche biografie scritte il latino. Per la descrizione del martirio di San Gennaro esistono principalmente due Passio o Atti: quella chiamata "Atti Bolognesi", risalenti al VI-VII secolo (chiamati così perché rinvenuti nella biblioteca dell'Università di Bologna) e gli "Atti Vaticani", risalenti al VIII-IX secolo. Delle due "Passio", quella più attendibile, perché più antica e anche più sobria e meno enfatizzante, è sicuramente quella "Bolognese", che riportiamo nel seguito, per descrivere gli ultimi momenti di vita ed il martirio di San Gennaro.

Ecco la traduzione alquanto letterale degli "Atti bolognesi" riportati da L. Parascandalo, in "Memorie Storiche, critiche, diplomatiche della Chiesa di Napoli", anno 1848, Tomo I, pp. 222-234.

 Gennaro vede la fiammella sul capo di Sossio

I. Al tempo dell'imperatore Diocleziano, nel quinto consolato di Costantino (diminutivo di Costante) Cesare e nel quinto di Massimiano Cesare, vi era persecuzione contro i cristiani. Nella Chiesa poi di Miseno c'era un diacono di nome Sosio, uomo di spiccata prudenza e santità di circa trent'anni, come egli stesso si degnò rilevare a un certo vescovo Teodosio venuto durante la persecuzione e che affermava che il venerabile Sosio non si faceva vedere in pubblico per timore dei pagani.
Questi conobbe i beatissimi Gennaro, vescovo della Chiesa beneventana, Festo, suo diacono, e il lettore Desiderio che venivano nella Chiesa (di Miseno) nella quale, col vescovo della città, con Sosio e con diversi cittadini si visitavano occultamente. Loro scopo era parlare della legge divina in edificazione degli uomini che vedevano di credere in Cristo. E poiché in quella località, cioè Cuma, vi era un accorrere di nobili personaggi pagani per la grande Sibilla divinatrice, di cui ancora si mostra il tumulo ai nostri giorni, i Santi, che dicemmo, difficilmente apparivano in pubblico.

II. Trovandosi dunque nella città di Miseno il beato Gennaro, avvenne che leggendo il beato Sosio nella propria chiesa i santi Evangeli di Dio e subito sorgendo una fiamma dal suo capo che nessuno vide tranne il beato vescovo Gennaro, questi il segno visto predisse che Sosio sarebbe stato martire e con gioia baciò il suo capo che doveva patire per il Signore Gesù Cristo, ringraziando il Signore.

III. Dopo non molti giorni avvenne che il loro agire fu denunciato a Draconzio Giudice della Campania. Ciò udito, il giudice Draconzio comandò che, secondo l'ordine imperiale, fossero ricercati e condotti a lui. Gli inquirenti rintracciarono il beato Sosio, e lo condussero al giudice Draconzio che comandò di rinchiuderlo in carcere in attesa dell'interrogatorio. Il beato Sosio, chiuso in stretta custodia nel carcere, era vigilato dai soldati.
Avendo il beato Gennaro saputo la cosa, cioè che il beato diacono
Sosio era detenuto in carcere, subito si diresse al carcere col diacono Festo e il lettore Desiderio per consolarlo, ed entrando dove era imprigionato, diceva: "Perché senza colpa è tenuto in carcere un uomo di Dio?". Subito i soldati che custodivano il carcere lo denunciarono al Giudice, dicendo: "Ecco che quegli uomini che vostra grandezza ci avete comandato di ricercare e arrestare, venendo al carcere dicono: "Perché senza ragione è tenuto in carcere un uomo di Dio?" Appena il Giudice ebbe udito ciò, comandò di fermarli e portarli alla sua presenza.
Trovati, non si opposero a venire dinnanzi al Giudice; presentati a lui, il giudice Draconzio, sedendo nel pieno della sua carica, con le seguenti parole interrogò il beato vescovo Gennaro: "Qual'è la tua religione?" S. Gennaro rispose: "Sono cristiano e vescovo". Il Giudice: "Di quale città?". S. Gennaro rispose: "Della Chiesa di Benvento". Il giudice disse: "E che dici di costoro, sono tuoi?". S. Gennaro rispose: "Uno è il mio diacono, l'altro è il lettore". Il giudice disse: "E anch'essi si dichiarano cristiani?". S. Gennaro rispose: "Certamente, infatti se li interroghi, spero nel mio Signore Gesù Cristo che non negheranno di essere cristiani". E interrogati dal Giudice dissero: "Siamo cristiani e siamo disposti a morire per amore di Dio". Allora il Giudice pieno d'ira disse al beato vescovo Gennaro: "Avvicinatevi e offrite le libazioni secondo il decreto dell'Imperatore, e andatevene liberi". S. Gennaro rispose: "Noi offriamo ogni giorno all'onnipotente nostro Signore Gesù Cristo un sacrificio di lode, non ai vostri dei vani". Ciò udito, il giudice comandò che fossero rinchiusi in carcere e venisse preparato l'anfiteatro per il giorno seguente perché fossero esposti agli orsi insieme a S. Sosio. 

IV. Il giorno seguente, secondo il comando del Giudice è preparata l'arena nella città di Pozzuoli e i Santi vengono condotti all'anfiteatro. Il Giudice è atteso per lo spettacolo, ma trattenuto per pubblici affari e tardando la sua venuta nell'anfiteatro, l'addetto all'arena disse al Giudice: "E' troppo tardi, signore, non puoi ormai ascoltare". Allora il Giudice Dragonzio comandò che in tribunale emanò la sentenza dicendo: "Condanniamo alla pena capitale il vescovo Gennaro, Sosio e Festo diaconi, e il lettore Desiderio che dichiaratisi cristiani disprezzarono i nostri decreti".

Affresco nell'arcosolio interno alle catacombe di S. Gennaro a Capodimonte, V secolo

V. Mentre i condannati venivano condotti al supplizio della decapitazione era presente tra il popolo circostante, Proculo, diacono della Chiesa di Pozzuoli, con due laici, Eutiche e Acuzio; questi tre dissero: "Che male hanno commesso questi uomini per cui il Giudice li ha condannati a morte?". Subito le loro parole furono riferite al Giudice che avendole udite, immediatamente, con grandissima fretta, comandò che fossero trattenuti e decollati con i santi martiri.

Particolare dell'affresco con immagine di S. Gennaro, in tunica e pallio

VI. Mentre tutti ugualmente erano condotti al martirio, un vecchio molto povero, sperando d'essere aiutato dalla bontà dei santi, andò incontro al beato Gennaro pregandolo, inginocchiato ai suoi piedi, di concedergli benevolmente qualche parte delle sue vesti. Il beato Gennaro disse al vecchio: "Dopo che sarà deposto il mio corpo, sappi che io stesso ti darò il fazzoletto che avrà bendato i miei occhi.


 

VII. Anche la madre di S. Gennaro che era nella città di  Benevento, tre giorni prima, in sogno ebbe la visione del vescovo Gennaro che volava per l'aria verso il cielo. Svegliatasi ed avendo chiesto il significato della visione, da un tale le fu annunziato che il figlio Gennaro per amore di Dio era trattenuto in carcere; la donna atterrita, prostrandosi in preghiera rese l'anima santa [a Dio].

Catacombe, affresco, Gennaro tra il Vesuvio e Somma

VIII. Frattanto pervenuti al luogo della decapitazione, cioè alla Solfatara, S. Gennaro inginocchiandosi in preghiera diceva: "Signore, Dio onnipotente, nelle tue mani raccomando il mio spirito". Alzandosi e preso il suo fazzoletto, si bendò gli occhi, poi inginocchiatosi, poggiò la mano sul collo e pregò il carnefice perché colpisse.
Il carnefice con un gran colpo recise insieme al capo un dito della mano del santo martire Gennaro. Similmente gli altri santi furono decapitati ricevendo la divina aureola del martirio.
S. Gennaro, dopo la sua decollazione, apparve a quel vecchio, gli diede il velo che gli aveva promesso e con cui aveva bendato i suoi occhi e gli disse: "Ecco prendi ciò che dovevo darti secondo la mia promessa". Il vecchio ricevuto il velo, lo nascose nel seno con grandissimo onore. Poiché il carnefice e soci, vedendo il vecchio, lo deridevano dicendo: "Hai ricevuto ciò che ti aveva promesso colui che è stato decapitato?". Il vecchio disse: "Certamente", e mostrò il velo. Essi lo riconobbero e ne furono meravigliati.



Museo S. Gennaro, Francesco Solimena, S. Gennaro benedicente

IX. I cristiani delle varie città vigilarono sui corpi dei Santi per rapirli di notte e seppellirli nelle proprie città. Occultamente erano in attesa. Calata la notte, mentre tutti dormivano, nel silenzio notturno, S. Gennaro apparve ad uno di loro che erano pronti a prendere il suo corpo e gli disse: "Fratello, quando sarai per prendere il mio corpo, sappi che in quel luogo si trova anche il dito della mia mano. Ricercatelo e ponetelo insieme al mio corpo". Fu fatto come lo stesso Santo aveva indicato. I corpi dei Santi giacquero  presso la Solfatara, dove in seguito fu costruita una degna basilica al beato martire Gennaro. Di notte, poi, mentre ciascun popolo premurosamente si preoccupava di rapire i propri Patroni, i Napoletani meritavano dal Signore di prendere il beato Gennaro come Patrono.

X.  Dapprima lo nascosero in una località chiamata Marciano (forse nei dintorni di Fuorigrotta), poi, calmatisi i tempi [delle persecuzioni] un venerabile vescovo, insieme al popolo santo di Dio, presero il suo corpo con inni e lodi, lo trasportarono presso Napoli e lo deposero nella Basilica dove ora riposa (Catacombe di Capodimonte e Cattedrale Stefania). Il Santo, con l'aiuto del Signore nostro Gesù Cristo, fino ad oggi non cessa di elargire  innumerevoli benefici per i suoi meriti. Il suo giorno natalizio si celebra il 19 settembre."

T. Malvito, cappella del Succorpo, Duomo di Napoli

Dalle ricognizioni scientifiche eseguite negli anni scorsi sui resti di San Gennaro, conservati nella Cattedrale di Napoli, condotte dal prof. Gustavo Lambertini (1964) e, poi, dal prof. Baima Bollone (1989), si apprende che il soggetto era di giovane età; al momento del martirio aveva circa trentacinque anni; poi era molto alto rispetto alla statura media dell'epoca, almeno 1 metro e 90 cm, presentava una struttura scheletrica normale, eccetto una lieve imperfezione dell'osso del piede. In una carie molare, poi, sono state trovate delle tracce di graminacee, ossia i residui del suo ultimo pasto, avvenuto verosimilmente in tarda estate, quando sono diffusi questi cereali: essi rappresentano un indizio compatibile con il periodo attestato nel quale si compì il martirio.

Altre fonti sangennariane sono:
- il Calendario Geronimiano, composto in Italia nel V secolo;
- il Calendario Cartaginese, scritto agli inizi del VI secolo (il culto di S. Gennaro era già diffuso in terra africana);
- l'Evangelario di Lindisfarne, conservato presso il Britisch Museum, VIII secolo;

- la Passio di Giovanni Diacono, (inizio X sec.), anche se l'autore si limita a descrivere la vita di S. Sossio e a "scopiazzare" gli Atti Vaticani e gli Atti Bolognesi;
- gli Atti di Ranieri (sec. X), chiamati anche Strenuissime, dalla parola iniziale riguardante la traslazione delle reliquie dei SS. Eutiche e Acuzio da Pozzuoli a Napoli, e quelli di S. Gennaro a R
eichenau.
- il Calendario Marmoreo, risalente intorno al XI secolo.

Argentieri francesi, busto reliquario San Gennaro, lega oro-argento, 1305

Un'altra fonte antica che attesta l'esistenza di S. Gennaro, è la lettera "De obitu Paulini ad Pacatum", risalente presumibilmente all'anno 432, scritta sicuramente poco posteriore alla morte di S. Paolino da Nola e della traslazione delle reliquie di S. Gennaro da Pozzuoli alle Catacombe di Capodimonte. In esso si racconta che il prete Uranio, venuto da oltre mare e amante della navigazione, forse di origini spagnola, africana o gallica, fattosi discepolo del vescovo di Nola, scrive a un certo Pacato, rettore di Aquilea, confidando che desiderasse mettere in versi la visione dei santi Gennaro e Martino avuta da San Paolino prima che spirasse. Di San Gennaro scrive: "Gennaro...che illustra la Chiesa di Dio, che è a Napoli".

Veniamo ora ai "falsi storici"... Nell'anno 1713, un sacerdote, di nome Nicolò Carminio Falcone, s'inventò il ritrovamento di un antico testo, scritto in greco, dal titolo "La vita greca" che, a suo dire, narrava in dettaglio tutta la vita di San Gennaro, nonché molti aspetti del suo culto. Pubblicò l'opera: "L'intera Istoria della Famiglia, Vita, Miracoli, Traslazioni e Culto del Glorioso Martire S. Gennaro Vescovo di Benevento":  un libro voluminoso, che ebbe all'epoca un notevole successo per tiratura di copie. Ovviamente questo risultò essere un gigantesco falso storico!  Purtroppo c'è ancora oggi qualcuno, specie nel campo dell'informazione, che fa riferimento a questo testo fantasioso...

Cattedrale Napoli, cappella del Succorpo, vaso longobardo con reliquie di S. G.

Dal luogo della primitiva sepoltura del corpo di San Gennaro, identificata nella località Marcianum, oltre un secolo dopo al martirio, in un anno compreso tra il 413 e il 431, un vescovo di Napoli, probabilmente Giovanni I, con un corteo di chierici, condusse solennemente le reliquie di San Gennaro, fino alle Catacombe di Capodimonte.
Ma a questa parte della storia del culto di S. Gennaro abbiamo già dedicato un racconto,
sulle pagine di questo blog, scritto in occasione  della festa di San Gennaro, dell'anno 2014:

http://piscinola.blogspot.com/2014/09/capodimonte-e-quando-sicone-rubo-il-suo.html.

Buon San Gennaro a tutti! Auguri a Napoli, alla Campania, ai napoletani residenti all'estero, specie quelli d'America, che lo festeggiano con passione e a tutti i lettori che si chiamano Gennaro!

Salvatore Fioretto

Lello da Orvieto, Madonna del Principio, tra S. Gennaro e S. Restituta d'Africa, 1323 (Cattedrale di Napoli)