sabato 12 settembre 2020

"Divus Januarius",... San Gennaro... nella storia e nella tradizione... !

Cappella S. Gennaro, De Ribera, Gennaro esce illeso dalla fornace

Il giorno 19 settembre, come è noto, ricorre l'anniversario del martirio di San Gennaro, patrono principale della città di Napoli e della Campania; Santo celebre e conosciuto in tutto il mondo e oltremodo simbolo della napoletanità.

Su San Gennaro sono stati scritti fiumi di inchiostro e pubblicati migliaia di libri...  Una ricerca bibliografica condotta dal sacerdote Antonio Bellucci, nel 1925 e nel 1950 e poi aggiornata recentemente, annovera più di 2500 pubblicazioni!  Quasi tutte riguardanti il mistero della liquefazione del sangue conservato nella Cattedrale di Napoli, le opere artistiche e monumentali conservate nella Real Cappella del Tesoro nel Duomo, le Catacombe di  Capodimonte, nonché il celebre "Tesoro", accumulato a seguito delle cospicue donazioni avvenute nei secoli, da parte dei regnanti sul trono di Napoli; tuttavia della vita di San Gennaro, della sua biografia, si è scritto veramente pochissimo!

Ma chi è stato veramente Januarius, quello che oggi noi chiamiamo San Gennaro? Dove nacque e a quale famiglia apparteneva? E, soprattutto, come ha trascorso la sua breve vita, prima della sua conversione al cristianesimo?

L. da Orvieto, Madonna del Principio e S. Gennaro in abiti pontificali, 1323 (part)

Del vescovo Gennaro, ovvero di San Gennaro, della sua infanzia ed adolescenza si conosce quasi niente, e ancor meno della sua vita di sacerdote. Sappiamo che probabilmente fu nobile di nascita, qualcuno ha visto in lui origini romane, vicine alla famiglia della Gens Januaria (dal dio Giano), ovvero vicina alla stirpe dalla quale discendevano gli imperatori romani, ma non ci sono prove di tutto questo. Fu giovanissimo sacerdote, divenuto presto vescovo nella nascente comunità cristiana di Benevento, nel periodo a cavallo tra il III e il IV secolo. Fu pastore zelante, che aveva a cuore l'amore per il prossimo, per la comunità della quale era vescovo e per i suoi amici. Morì nella terza decade della sua vita, intorno a 35 anni, subendo il martirio per decapitazione, avendo dichiarato di essere cristiano; era dunque il 19 settembre del 305, come è riconosciuto dalla Chiesa Universale, nelle Passio o Atti e nei vari Calendari antichi.

Cappella di S. Gennaro,  Sossio e Gennaro, Domenichino
Dove nacque? San Gennaro è stato sempre considerato napoletano per nascita. Purtuttavia, da tempo immemorabile, è sempre in atto una specie di controversia tra le città di Napoli e di Benevento, circa l'attribuzione della cittadinanza di Gennaro. Entrambe le città mostrano, tra le proprie mura, dei luoghi antichi, con abitazioni identificate come essere quella natale del Santo, dove risiedeva anche la sua famiglia. Probabilmente l'unico indizio che possa aiutare ad attribuire la cittadinanza di Gennaro, è la frase contenuta nella Passio degli Atti Bolognesi, dove si riporta: "[...] Di notte, poi, mentre ciascun popolo premurosamente si preoccupava di rapire i propri Patroni, i Napoletani meritavano dal Signore di prendere il beato Gennaro come Patrono." Questa decisione dei napoletani, di prendere il corpo di Gennaro, mentre i beneventani si preoccupavano di recuperare quelli dei propri concittadini: Festo e Desiderio, potrebbe essere scaturita da un bonario accordo siglato tra i due popoli, probabilmente proprio per la cittadinanza vantata dalle rispettive comunità sui rispettivi martiri. Altri indizi non sono stati finora trovati. 

S. Gennaro e Santo Benedettino, affresco delle catacombe di S. Gennaro

Si apprende dalla Passio che, al momento del martirio, l'anziana madre di Gennaro, viveva con Lui a Benevento e che, avendo avuto la predizione del martirio del figlio, morì subito di crepacuore.

Gennaro era amico di Sossio, diacono della chiesa di Miseno (chiamato negli atti, Sosio), e si recava spesso a fargli visita a Miseno. Nell'ultimo incontro, avvenuto in un momento di pace, ebbe la visione di una fiammella che ardeva sul capo dell'amico Sossio. Fu interpretata dal vescovo come un segno premonitore dell'imminente suo martirio. Avendo saputo, tempo dopo, che Sossio era stato arrestato, perché denunciato di essere cristiano, e condotto nel carcere di Pozzuoli, Gennaro decise di fargli visita, per consolarlo. Il viaggio da Benevento a Pozzuoli fu compiuto assieme ai suoi due presbiteri: Festo e Desiderio, entrambi della chiesa di Benevento. Una volta giunto in carcere, Egli dichiarò apertamente ai carcerieri il proprio disappunto sulla carcerazione ingiusta subita dal suo amico Sossio, ritenuto un uomo buono, seguace di Cristo. Questa dichiarazione fu raccolta dai soldati romani come una autodenuncia e, quindi, essi furono tutti arrestati e incarcerati insieme a Sossio. Pochi giorni dopo, Gennaro, Sossio, Festo e Desiderio, assieme a Procolo, Eutiche, Acuzio (il primo diacono della chiesa di Pozzuoli e gli altri due laici, sempre di Pozzuoli), furono giustiziati tutti insieme, mediante la decapitazione, che avvenne in un luogo vicino alla Solfatara di Pozzuoli.

Ma quali sono le fonti di queste notizie?

Gli ultimi giorni vissuti da San Gennaro e compagni sono descritti nelle cosiddette "Passio", ovvero delle antiche biografie scritte il latino. Per la descrizione del martirio di San Gennaro esistono principalmente due Passio o Atti: quella chiamata "Atti Bolognesi", risalenti al VI-VII secolo (chiamati così perché rinvenuti nella biblioteca dell'Università di Bologna) e gli "Atti Vaticani", risalenti al VIII-IX secolo. Delle due "Passio", quella più attendibile, perché più antica e anche più sobria e meno enfatizzante, è sicuramente quella "Bolognese", che riportiamo nel seguito, per descrivere gli ultimi momenti di vita ed il martirio di San Gennaro.

Ecco la traduzione alquanto letterale degli "Atti bolognesi" riportati da L. Parascandalo, in "Memorie Storiche, critiche, diplomatiche della Chiesa di Napoli", anno 1848, Tomo I, pp. 222-234.

 Gennaro vede la fiammella sul capo di Sossio

I. Al tempo dell'imperatore Diocleziano, nel quinto consolato di Costantino (diminutivo di Costante) Cesare e nel quinto di Massimiano Cesare, vi era persecuzione contro i cristiani. Nella Chiesa poi di Miseno c'era un diacono di nome Sosio, uomo di spiccata prudenza e santità di circa trent'anni, come egli stesso si degnò rilevare a un certo vescovo Teodosio venuto durante la persecuzione e che affermava che il venerabile Sosio non si faceva vedere in pubblico per timore dei pagani.
Questi conobbe i beatissimi Gennaro, vescovo della Chiesa beneventana, Festo, suo diacono, e il lettore Desiderio che venivano nella Chiesa (di Miseno) nella quale, col vescovo della città, con Sosio e con diversi cittadini si visitavano occultamente. Loro scopo era parlare della legge divina in edificazione degli uomini che vedevano di credere in Cristo. E poiché in quella località, cioè Cuma, vi era un accorrere di nobili personaggi pagani per la grande Sibilla divinatrice, di cui ancora si mostra il tumulo ai nostri giorni, i Santi, che dicemmo, difficilmente apparivano in pubblico.

II. Trovandosi dunque nella città di Miseno il beato Gennaro, avvenne che leggendo il beato Sosio nella propria chiesa i santi Evangeli di Dio e subito sorgendo una fiamma dal suo capo che nessuno vide tranne il beato vescovo Gennaro, questi il segno visto predisse che Sosio sarebbe stato martire e con gioia baciò il suo capo che doveva patire per il Signore Gesù Cristo, ringraziando il Signore.

III. Dopo non molti giorni avvenne che il loro agire fu denunciato a Draconzio Giudice della Campania. Ciò udito, il giudice Draconzio comandò che, secondo l'ordine imperiale, fossero ricercati e condotti a lui. Gli inquirenti rintracciarono il beato Sosio, e lo condussero al giudice Draconzio che comandò di rinchiuderlo in carcere in attesa dell'interrogatorio. Il beato Sosio, chiuso in stretta custodia nel carcere, era vigilato dai soldati.
Avendo il beato Gennaro saputo la cosa, cioè che il beato diacono
Sosio era detenuto in carcere, subito si diresse al carcere col diacono Festo e il lettore Desiderio per consolarlo, ed entrando dove era imprigionato, diceva: "Perché senza colpa è tenuto in carcere un uomo di Dio?". Subito i soldati che custodivano il carcere lo denunciarono al Giudice, dicendo: "Ecco che quegli uomini che vostra grandezza ci avete comandato di ricercare e arrestare, venendo al carcere dicono: "Perché senza ragione è tenuto in carcere un uomo di Dio?" Appena il Giudice ebbe udito ciò, comandò di fermarli e portarli alla sua presenza.
Trovati, non si opposero a venire dinnanzi al Giudice; presentati a lui, il giudice Draconzio, sedendo nel pieno della sua carica, con le seguenti parole interrogò il beato vescovo Gennaro: "Qual'è la tua religione?" S. Gennaro rispose: "Sono cristiano e vescovo". Il Giudice: "Di quale città?". S. Gennaro rispose: "Della Chiesa di Benvento". Il giudice disse: "E che dici di costoro, sono tuoi?". S. Gennaro rispose: "Uno è il mio diacono, l'altro è il lettore". Il giudice disse: "E anch'essi si dichiarano cristiani?". S. Gennaro rispose: "Certamente, infatti se li interroghi, spero nel mio Signore Gesù Cristo che non negheranno di essere cristiani". E interrogati dal Giudice dissero: "Siamo cristiani e siamo disposti a morire per amore di Dio". Allora il Giudice pieno d'ira disse al beato vescovo Gennaro: "Avvicinatevi e offrite le libazioni secondo il decreto dell'Imperatore, e andatevene liberi". S. Gennaro rispose: "Noi offriamo ogni giorno all'onnipotente nostro Signore Gesù Cristo un sacrificio di lode, non ai vostri dei vani". Ciò udito, il giudice comandò che fossero rinchiusi in carcere e venisse preparato l'anfiteatro per il giorno seguente perché fossero esposti agli orsi insieme a S. Sosio. 

IV. Il giorno seguente, secondo il comando del Giudice è preparata l'arena nella città di Pozzuoli e i Santi vengono condotti all'anfiteatro. Il Giudice è atteso per lo spettacolo, ma trattenuto per pubblici affari e tardando la sua venuta nell'anfiteatro, l'addetto all'arena disse al Giudice: "E' troppo tardi, signore, non puoi ormai ascoltare". Allora il Giudice Dragonzio comandò che in tribunale emanò la sentenza dicendo: "Condanniamo alla pena capitale il vescovo Gennaro, Sosio e Festo diaconi, e il lettore Desiderio che dichiaratisi cristiani disprezzarono i nostri decreti".

Affresco nell'arcosolio interno alle catacombe di S. Gennaro a Capodimonte, V secolo

V. Mentre i condannati venivano condotti al supplizio della decapitazione era presente tra il popolo circostante, Proculo, diacono della Chiesa di Pozzuoli, con due laici, Eutiche e Acuzio; questi tre dissero: "Che male hanno commesso questi uomini per cui il Giudice li ha condannati a morte?". Subito le loro parole furono riferite al Giudice che avendole udite, immediatamente, con grandissima fretta, comandò che fossero trattenuti e decollati con i santi martiri.

Particolare dell'affresco con immagine di S. Gennaro, in tunica e pallio

VI. Mentre tutti ugualmente erano condotti al martirio, un vecchio molto povero, sperando d'essere aiutato dalla bontà dei santi, andò incontro al beato Gennaro pregandolo, inginocchiato ai suoi piedi, di concedergli benevolmente qualche parte delle sue vesti. Il beato Gennaro disse al vecchio: "Dopo che sarà deposto il mio corpo, sappi che io stesso ti darò il fazzoletto che avrà bendato i miei occhi.


 

VII. Anche la madre di S. Gennaro che era nella città di  Benevento, tre giorni prima, in sogno ebbe la visione del vescovo Gennaro che volava per l'aria verso il cielo. Svegliatasi ed avendo chiesto il significato della visione, da un tale le fu annunziato che il figlio Gennaro per amore di Dio era trattenuto in carcere; la donna atterrita, prostrandosi in preghiera rese l'anima santa [a Dio].

Catacombe, affresco, Gennaro tra il Vesuvio e Somma

VIII. Frattanto pervenuti al luogo della decapitazione, cioè alla Solfatara, S. Gennaro inginocchiandosi in preghiera diceva: "Signore, Dio onnipotente, nelle tue mani raccomando il mio spirito". Alzandosi e preso il suo fazzoletto, si bendò gli occhi, poi inginocchiatosi, poggiò la mano sul collo e pregò il carnefice perché colpisse.
Il carnefice con un gran colpo recise insieme al capo un dito della mano del santo martire Gennaro. Similmente gli altri santi furono decapitati ricevendo la divina aureola del martirio.
S. Gennaro, dopo la sua decollazione, apparve a quel vecchio, gli diede il velo che gli aveva promesso e con cui aveva bendato i suoi occhi e gli disse: "Ecco prendi ciò che dovevo darti secondo la mia promessa". Il vecchio ricevuto il velo, lo nascose nel seno con grandissimo onore. Poiché il carnefice e soci, vedendo il vecchio, lo deridevano dicendo: "Hai ricevuto ciò che ti aveva promesso colui che è stato decapitato?". Il vecchio disse: "Certamente", e mostrò il velo. Essi lo riconobbero e ne furono meravigliati.



Museo S. Gennaro, Francesco Solimena, S. Gennaro benedicente

IX. I cristiani delle varie città vigilarono sui corpi dei Santi per rapirli di notte e seppellirli nelle proprie città. Occultamente erano in attesa. Calata la notte, mentre tutti dormivano, nel silenzio notturno, S. Gennaro apparve ad uno di loro che erano pronti a prendere il suo corpo e gli disse: "Fratello, quando sarai per prendere il mio corpo, sappi che in quel luogo si trova anche il dito della mia mano. Ricercatelo e ponetelo insieme al mio corpo". Fu fatto come lo stesso Santo aveva indicato. I corpi dei Santi giacquero  presso la Solfatara, dove in seguito fu costruita una degna basilica al beato martire Gennaro. Di notte, poi, mentre ciascun popolo premurosamente si preoccupava di rapire i propri Patroni, i Napoletani meritavano dal Signore di prendere il beato Gennaro come Patrono.

X.  Dapprima lo nascosero in una località chiamata Marciano (forse nei dintorni di Fuorigrotta), poi, calmatisi i tempi [delle persecuzioni] un venerabile vescovo, insieme al popolo santo di Dio, presero il suo corpo con inni e lodi, lo trasportarono presso Napoli e lo deposero nella Basilica dove ora riposa (Catacombe di Capodimonte e Cattedrale Stefania). Il Santo, con l'aiuto del Signore nostro Gesù Cristo, fino ad oggi non cessa di elargire  innumerevoli benefici per i suoi meriti. Il suo giorno natalizio si celebra il 19 settembre."

T. Malvito, cappella del Succorpo, Duomo di Napoli

Dalle ricognizioni scientifiche eseguite negli anni scorsi sui resti di San Gennaro, conservati nella Cattedrale di Napoli, condotte dal prof. Gustavo Lambertini (1964) e, poi, dal prof. Baima Bollone (1989), si apprende che il soggetto era di giovane età; al momento del martirio aveva circa trentacinque anni; poi era molto alto rispetto alla statura media dell'epoca, almeno 1 metro e 90 cm, presentava una struttura scheletrica normale, eccetto una lieve imperfezione dell'osso del piede. In una carie molare, poi, sono state trovate delle tracce di graminacee, ossia i residui del suo ultimo pasto, avvenuto verosimilmente in tarda estate, quando sono diffusi questi cereali: essi rappresentano un indizio compatibile con il periodo attestato nel quale si compì il martirio.

Altre fonti sangennariane sono:
- il Calendario Geronimiano, composto in Italia nel V secolo;
- il Calendario Cartaginese, scritto agli inizi del VI secolo (il culto di S. Gennaro era già diffuso in terra africana);
- l'Evangelario di Lindisfarne, conservato presso il Britisch Museum, VIII secolo;

- la Passio di Giovanni Diacono, (inizio X sec.), anche se l'autore si limita a descrivere la vita di S. Sossio e a "scopiazzare" gli Atti Vaticani e gli Atti Bolognesi;
- gli Atti di Ranieri (sec. X), chiamati anche Strenuissime, dalla parola iniziale riguardante la traslazione delle reliquie dei SS. Eutiche e Acuzio da Pozzuoli a Napoli, e quelli di S. Gennaro a R
eichenau.
- il Calendario Marmoreo, risalente intorno al XI secolo.

Argentieri francesi, busto reliquario San Gennaro, lega oro-argento, 1305

Un'altra fonte antica che attesta l'esistenza di S. Gennaro, è la lettera "De obitu Paulini ad Pacatum", risalente presumibilmente all'anno 432, scritta sicuramente poco posteriore alla morte di S. Paolino da Nola e della traslazione delle reliquie di S. Gennaro da Pozzuoli alle Catacombe di Capodimonte. In esso si racconta che il prete Uranio, venuto da oltre mare e amante della navigazione, forse di origini spagnola, africana o gallica, fattosi discepolo del vescovo di Nola, scrive a un certo Pacato, rettore di Aquilea, confidando che desiderasse mettere in versi la visione dei santi Gennaro e Martino avuta da San Paolino prima che spirasse. Di San Gennaro scrive: "Gennaro...che illustra la Chiesa di Dio, che è a Napoli".

Veniamo ora ai "falsi storici"... Nell'anno 1713, un sacerdote, di nome Nicolò Carminio Falcone, s'inventò il ritrovamento di un antico testo, scritto in greco, dal titolo "La vita greca" che, a suo dire, narrava in dettaglio tutta la vita di San Gennaro, nonché molti aspetti del suo culto. Pubblicò l'opera: "L'intera Istoria della Famiglia, Vita, Miracoli, Traslazioni e Culto del Glorioso Martire S. Gennaro Vescovo di Benevento":  un libro voluminoso, che ebbe all'epoca un notevole successo per tiratura di copie. Ovviamente questo risultò essere un gigantesco falso storico!  Purtroppo c'è ancora oggi qualcuno, specie nel campo dell'informazione, che fa riferimento a questo testo fantasioso...

Cattedrale Napoli, cappella del Succorpo, vaso longobardo con reliquie di S. G.

Dal luogo della primitiva sepoltura del corpo di San Gennaro, identificata nella località Marcianum, oltre un secolo dopo al martirio, in un anno compreso tra il 413 e il 431, un vescovo di Napoli, probabilmente Giovanni I, con un corteo di chierici, condusse solennemente le reliquie di San Gennaro, fino alle Catacombe di Capodimonte.
Ma a questa parte della storia del culto di S. Gennaro abbiamo già dedicato un racconto,
sulle pagine di questo blog, scritto in occasione  della festa di San Gennaro, dell'anno 2014:

http://piscinola.blogspot.com/2014/09/capodimonte-e-quando-sicone-rubo-il-suo.html.

Buon San Gennaro a tutti! Auguri a Napoli, alla Campania, ai napoletani residenti all'estero, specie quelli d'America, che lo festeggiano con passione e a tutti i lettori che si chiamano Gennaro!

Salvatore Fioretto

Lello da Orvieto, Madonna del Principio, tra S. Gennaro e S. Restituta d'Africa, 1323 (Cattedrale di Napoli)

martedì 4 agosto 2020

Piscinola è la "Terra del Salvatore": un'indagine storica su uno straordinario legame millenario!!

Prefazione:
“I paesani di esso Villaggio avuto avessero un culto speciale verso il Santissimo Salvatore”…, è la deduzione che fece il celebre storico Antonio Chiarito, nella sua opera “Commento Istorico-critico-diplomatico sulla costituzione de Istrumentis conficiendis per curiales dell’imperador Federico II” (ed. anno 1772), quando descrisse il Villaggio di Piscinula, riferendosi a una “carta celebrata” il 20 agosto dell’anno 1323.
Basilica di S. Restituta, Cristo Pantocratore (VI e XVI sec.)
Partiamo da questa bella attribuzione, che riconosce ed evidenzia l’antico culto dei Piscinolesi per il loro Protettore, ossia per il Santissimo Salvatore, per eseguire questa trattazione storica a riguardo, che ha l’intento di cercare di ricomporre e di ordinare, a livello storico e antropologico, quanto oggi conosciamo dalle fonti storiche certe e quanto, invece, sia ancora avvolto nel mistero e nella leggenda addensate nei secoli trascorsi…! 
E' proprio vero che questa volta la nostra storia si perde nella notte dei tempi..., d'altra parte il sito ecclesiale di Piscinola, su cui si erge la chiesa parrocchiale del SS. Salvatore, conta ben 1000 anni di storia!  Vedremo che per ricostruire le vicende storiche che ci interessano,  dobbiamo attraversare buona parte della storia di Napoli, fino a lambire le origini del cristianesimo in città...! 
Ma procediamo per gradi, e con calma...
 
Piscinola è la "terra del Salvatore"...:
Nella summenzionata carta, celebrata nel 1323, sono descritti i confini di un appezzamento di terreno detenuto da un certo Pietro di Fiore, detto l’Amalfitano, dato in fitto dal monastero di San Pietro a Castello; in particolare questo terreno era situato nella Villa di Piscinola e confinante con la "Terra del S. Salvatore"… Ecco l'estratto del testo, in latino:“l’Udex Petrum de Flore dictus Amalfitanus tenet a Monasterio S. Petri ad Castellum quamdam terram modiorum trium, fitam in Villa Piscinule pertinentie Neapolis, cujus fines hii, cum terra Sancti Salvatoris de predicto loco Piscinule & cum terra...”.
Facciata della cattedrale angioina, prima della trasformazione ottocentesca
Risulta evidente che la carta presa in riferimento dal Chiarito non rappresenti la testimonianza storica più antica che descrive il legame di Piscinola con il SS. Salvatore, dell’esistenza della “Villa di Piscinola” e della sua Chiesa, ma bisogna andare molto più indietro nei secoli. Per trovare testimonianze più antiche dobbiamo far scorrere almeno altri quattro secoli..., fino a giungere intorno alla metà del X secolo d.C.!
Nella carta celebrata nell'anno 941, per mano del "curiale" (era figura di notaio dell'epoca) Anastasio, si legge: “Die 20 m. augusti ind. XIX Neapoli (Anno 941) Imperante d.n. Costantino m.i. an. 33 et Romano m.i. an. 20. Gregorius filius d. Sergii vendit et tradit d. Ihoanni cognato suo, filio d. Andreae quatur pectias de terra positas in loco nominatur Piscinulae, qui est in marzano Massa belenzanense, quartum una que vocatur Custaneu, coheret cum terra dicti Iohannis, cum terra de illi Langubardi, cum terra dicti Iohannis Rannusi; alia terra que vocatur ad illum Felicem coheret cum terra Iohannis Toccatocca, cum terra Iohannis  filii Gaudiosi Vicedomini, cum terra Drose uxoris Pituli, alia terra que nominatur Fracta coheret cum terra monasterii Insule Salvatori et cum terra d. Gregorii Sparharii; alia terra que dicitur Marilianum coheret cum terra de illu Langubardi, cum terra ecclesie S. Severini, et ab uno capite est paludis…; pro pretio auri taren sex et pena controventionis statuta est in auri solidos sex bizanzios.
Actum per Anastasium culialem et testes subscripti sunt omnes caractere greco.” [...].
Questo documento risulta essere il più antico (al momento conosciuto) che menziona la villa di Piscinola e con essa una terra posseduta dal monastero del Salvatore; la pergamena viene denominata Notam istrum. S. Gregori, n. 297. 
Basiliche di Santa Restituta e della Stefania, stampa contenuta in un libro
In sintesi esso sancisce una compravendita eseguita tra un certo Gregorio, figlio di Sergio e Giovanni, suo cognato, riguardante quattro appezzamenti di terreno situati nella villa di Piscinola, nella località antica, chiamata Marzano Massa Belanzanese. Sono quindi descritte le quattro parti. La "terza parte" di terreno venduta viene chiamata “Fratta” e confina con la terra dei Longobardi, con i Toccatocca, con la terra del Monastero del Salvatore, e con Gregorio Spataro.
Si deduce che nel X secolo (941), dei monaci del monastero del Salvatore possedevano una “grancia” di terreno, ovvero un appezzamento di terreno coltivato, nella Villa (o Vicus) di Piscinula
All’epoca erano numerosi i monasteri di Napoli che avevano in dote terreni nei territori suburbani alla città, come il citato monastero di S. Severino.
Questa zona di Piscinola, posseduta dal monastero del Salvatore, prenderà con tempo il nome dei proprietari. Lo storico dott. Franco Biagio Sica, nel suo libro, "Viaggio nella mia terra" (tip. Cortese, 1989), sostiene che "la Terra del Salvatore", rappresenta un appellativo “Prediale”, ovvero un toponimo che la gente userà per indicare il luogo, attraverso i proprietari del terreno che erano, appunto, i monaci del monastero del Salvatore
Forse su questo appezzamento di terreno era già presente o sorgerà da lì a qualche decennio dopo, una primitiva edicola o cappella e, poi, una chiesetta dedicata al SS. Salvatore, che potrebbe essere stata l'antesignana struttura dell'attuale chiesa parrocchiale. Probabilmente il continuo contatto dei monaci del Salvatore con gli abitanti del posto, e la loro continua opera missionaria, avrebbero condizionato e favorito la nascita del culto verso Gesù Salvatore. Di queste evoluzioni storiche, purtroppo, non abbiamo ancora la certezza documentale, ma possiamo solo presentarle come deduzioni, risultanti però alquanto fondate...almeno come una delle ipotesi possibili.
Affresco del Cristo Pantocratore, altare magg. basilica di S.Restituta. Il tondo con testa del Cristo è in legno ed è il più antico
A questo punto è legittimo chiedersi: dove si trovava questo monastero dedicato al Salvatore, dal quale provenivano questi monaci, chiamati "Monaci del Salvatore"? E una volta individuato che tale sito sia stato su un'isola napoletana: quale è quell'isola del golfo di Napoli che all'epoca era anche chiamata "Isola del Salvatore" e, poi, perché essa fu chiamata così?
Il monastero di cui parliamo si ergeva sull'isola del Salvatore, fondato in quel luogo almeno fin dal VI-VII secolo. L’"Isola del Salvatore" (o insula Sancti Salvatoris), era la denominazione medioevale che identificava l’isola di Megaride: l'attuale sito del Castel dell'Ovo.
Su questa isola esisteva in epoca romana la lussuosa e vasta villa di Lucio Lucullo, da cui prese il nome e, poi, anche un castrum (luogo fortificato), nel quale fu rinchiuso prigioniero e vi morì (intorno al 476), l'ultimo imperatore romano d'occidente, il povero Flavio Romolo Augusto, chiamato Augustolo. In tale periodo l'isola prese il nome di “Castrum Lucullianum”, e andava trasformandosi gradualmente in fortezza.
Altare maggiore della basilica di S. Restituta (Basilica del Salvatore)
Nei secoli successivi (VI-VII secolo ca.) la villa di Lucullo andò in rovina e sui suoi resti fu edificato un cenobio, costruito dai monaci basiliani, i quali, in fuga dall'oriente, a causa delle persecuzioni che imperversano, attraversavano il Mediterraneo e qui approdavano, sentendosi al sicuro sull'isola. Qui si fermò, dopo la fuga da Costantinopoli, anche la nobile principessa Patrizia, e vi morì dopo essersi fatta monaca. 
I monaci basiliani ricavarono le loro celle nelle cavità naturali di tufo presenti nell'isola e poi adattarono alcuni ambienti superstiti della villa di Lucullo, come ad esempio il refettorio, utilizzando la cosiddetta sala delle colonne. Con il tempo questi monaci intrapresero anche intensi scambi commerciali con la terraferma. Organizzarono una  biblioteca, forse in parte derivata da quella sopravvissuta dalla villa di Lucullio ed esercitarono l'arte amanuense, per la duplicazione dei testi antichi e rari. L'isola nei secoli fu chiamata anche "Insula Maris".
Non si sa bene il periodo preciso in cui all'isola di Megaride fu dato l'appellativo di Isola del Salvatore (insula Sancti Salvatoris).
Partiamo col dire che non sempre la ricostruzione storica e l'identificazione dell'isola del Salvatore fu precisa e immediata... Purtroppo nel corso dei secoli, soprattutto nel XVIII secolo, si è fatta una certa confusione tra gli storici per la sua identificazione, i quali male interpretarono i documenti e le testimonianze antiche che menzionano l'isola e il suo cenobio. Si è spesso confuso l'isola di Megaride con quella di Nisida, per una serie di errori banali d’interpretazione... 
Nisida, prima della costruzione del collegamento alla terraferma
Fu lo storico Alessio Simmaco Mazzocchi (conosciuto con l'appellativo di "Canonico Mazzocchi") a indentificare tra i primi, ma erroneamente, l’isola, confondendola con Nisida. La fonte di riferimento, da cui partiva Mazzocchi per l'identificazione dell'isola, fu la cronaca che descriveva la traslazione del corpo di S. Attanasio, uno dei primi vescovi della chiesa di Napoli. Nella testimonianza scritta si parla di "Insula Maior", distante dalla sede episcopale napoletana, XII stadia; quest'isola fu poi affidata dall'imperatore Costantino il Grande, all’Episcopio di Napoli, ovvero all'antica basilica edificata grazie al suo intervento, chiamata "Sanctis Salvatoris" (odierna basilica di Santa Restituta). 
La citata testimonianza è contenuta nel Liber Pontificalis. E' da precisare che questa cattedrale costantiniana fu dedicata inizialmente (IV-V secolo) al SS. Salvatore e agli apostoli, e solo verso l'inizio nel IX secolo cambiò nome in Santa Restituta d'Africa, quando vi furono traslate le reliquie di questa Santa. Anche la primitiva denominazione dell'antica cattedrale costantiniania, dedicata al Salvatore, potrebbe aver esercitato una certa influenza sull'attribuzione del nome dato all'isola del Salvatore e quindi al cenobio di cui parliamo... 
Nisida, prima della costruzione del collegamento alla terraferma
Quindi il Canonico Mazzocchi, nella sua opera che descrive la cattedrale di Napoli, affermò, senza riserve, che l'isola Maior, ovvero l'isola del Salvatore, era l'isola di Nisida.
Ma in realtà l’Insula Maior (isola maggiore), contrariamente alle sue più ridotte dimensioni rispetto all'isola di Nisida, era identificabile correttamente nell'isola di Megaride, come poi dimostrato dallo storico Antonio Chiarito, il quale ebbe modo di smentire pubblicamente il Canonico Mazzocchi per l’errore commesso, nei capitoli del già citato compendio: "Commento Istorico-critico-diplomatico sulla costituzione de Istrumentis conficiendis per curiales dell’imperador Federico II”, nel 1772. 
Più recenti opere e testimonianze hanno fatto chiarezza anche sull’appellativo di "Isola Maggiore" (Insula Maior) conferita a Megaride, deducendo che esso derivi dalla maggiore estensione dell'isola rispetto al vicino isolotto (non più esistente) chiamato Isola di San Vincenzo, sul quale pure sorse un cenobio di monaci.
Ecco due brevi passaggi estratti delle conclusioni del Chiarito:
"Che l'istessa Isola (Megaride) detta ancora si fosse: Insula maris domini, et Salvatori nostri Iesu Xpi, apparisce da un copiosissimo numero di carte, [...]. 
Castel dell'Ovo, in un dipinto
"Si conchiude, che l'Isola di Megari detta si fosse del Salvadore, a cagion del Monistero quivi esistente sotto detto titolo - A lumi recati finora ben si deduce, che punto non regga ciocchè si è scritto dal Signor Canonico, che labente XII seculo Salvatori, nomenetiam Megaridi tributunn reperiri (2), poichè abbiam fatto vedere che non solo l'isola di Megari ne' mezzi tempi chiamata si fosse del Salvadore, a cagion del Monistero ivi eretto dedicato al SS. Salvadore, e che questo in una tal Isola stato fosse fin dal tempo della venuta di S. Patrizia ne' nostri lidi; ma ben anche, che il Monistero sotto l'istesso titolo, che il Signor Canonico lo vuole nell'Isola di Nisida, sia una pura sua immaginazione, non avendosene veruna memoria. Per l'opposto del vero ed effettivo Monistero del Salvadore in Megari se ne han da ogni dove certissime ed indubitate notizie assai prima del labente XII. seculo, [...]
La conferma che le due isole napoletane, Megaride e Nisida, fossero state distinte, con propri nomi, è ben evidente del documento che sancisce un patto di pace (1128), tra il duca Sergio VII (ultimo duca di Napoli) con i rappresentanti della repubblica di Gaeta: Il Duca Sergio promette pace per la durata di dieci anni, a nome suo e dei suoi sudditi; fra essi sono menzionati gli abitanti dell’”Arx (o Arce) Sancti Salvatoris” (Isola di Megaride) e quelli di “Gipeo” (forse analogo a Zippio), che è il nome dato a Nisida. La presenza di una comunità nisidiana è confermata anche dallo storico Capasso, che individua sull'isola di Nisida, ai tempi di Federico II (1240), un “monasterium Sancti Archangeli de insula Gipei”.
Castel dell'Ovo (particolare da una stampa dell''800)
L'"Arx o Arce dell'isola del Salvatore" citata, si riferisce a una sorta di cittadella abitata sull'isola del Salvatore. In questo periodo l'isola si era fortificata, inglobando anche il convento. 
Nel 1140, con l'arrivo dei Normanni, tutta la cittadella dell'Arce dell'isola del Salvatore divenne residenza fortificata ad uso di re Ruggiero e dalla sua corte: nasce quindi il celebre Castel dell'Ovo.
Ritornando all'etimologia dell'isola del Salvatore e del monastero dei monaci del Salvatore, possiamo avanzare al momento solo due ipotesi: o i monaci basiliani giunti a Napoli, importarono il culto del Salvatore dall'Oriente, dove esso era fiorente già dal IV-V secolo, e intitolarono il loro cenobio sull'isola, dedicandolo al Gesù Trasfigurato e per tale dedica anch'essa verrà chiamata Isola del Salvatore oppure, a seguito della citata donazione dell'isola di Megaride, fatta dall'imperatore Costantino alla chiesa cattedrale di Napoli (basilica chiamata del Salvatore), l'isola e il monastero prenderanno lo stesso titolo della basilica proprietaria, ovvero Sancti Salvatoris. 
Al momento non siamo in grado di indirizzare il lettore verso l'esatta verità storica su questo punto, ma una delle due deduzioni potrebbe essere quella corretta...
Sala delle Colonne, interna al Castel dell'Ovo
Ma continuiamo con le vicende legate al monastero del Salvatore.
Attanasio, vescovo di Napoli, intorno all’anno 850, edificò nel cenobio dell'isola, la chiesa di S. Salvatore in “Castro Luculliano” e concesse il culto quotidiano ai monaci di San Benedetto.
Nell'anno 861 lo stesso Vescovo Attanasio qui si rifugiò, con tutto il clero napoletano, venendo perseguitato dal nipote Sergio III (duca di Napoli), che produsse dei tumulti contro di lui, e promosse l'assedio con dei Saraceni che teneva assoldati.
Sala delle Colonne, interna al Castel dell'Ovo
Verso il 1137 il monastero del Salvatore, detto poi anche “in insula maris” venne aggregato a quello cittadino, chiamato di San Pietro a Castello, presente anch'esso sull'isola e, successivamente, quando l'isola di Megaride fu fortificata per difendere la città di Napoli dagli attacchi nemici provenienti dal mare, i monaci furono aggregati al convento cittadino dei SS. Pietro e San Sebastiano e quindi trasferiti sulla terraferma.
Tutte queste vicende storiche, quindi, potrebbero aver caratterizzato nei secoli il toponimo di una parte del territorio di Piscinola che fu, come si è detto, chiamato “La terra del Salvatore”. Come già asserito, non sappiamo con certezza se tale "terra" sia identificabile con quella che poi sarà sede della costruzione della primitiva cappella o della chiesa dedicata al Santissimo Salvatore e il periodo nel quale questo avvenne, ma sicuramente tutto ciò dovrà essere avvenuto gradualmente e molto lentamente nei secoli lontani. 
Dalla descrizioni dei confini dei terreni e delle proprietà contenute nelle carte antiche menzionate, sembra che gli appezzamenti o "grance" citate, siano state tutte vicinissime tra loro, ma in realtà bisogna considerare che all'epoca le proprietà terriere erano poche e molto estese, e le abitazioni stanziali non erano molto diffuse nel territorio, quindi c'era anche difficoltà da parte nei "curiali" di trovare dei punti di riferimento fissi e inequivocabili per descrivere i confini e, quindi, anche se oggi le zone appaiono lontane, in quell'epoca dovevano essere tra loro confinanti. 
 Carta de Evirnos de la Ville de Naples, anno 1778
Come pure non sappiamo se la chiesa di Piscinola nacque per volere dei monaci proprietari terrieri oppure furono gli abitanti stessi dell'epoca ad accogliere e ad accrescere nella loro primitiva comunità il culto verso Gesù Salvatore, tanto da dedicargli la chiesa che divenne sempre più grande, fino a essere quella principale del Villaggio.
Partic. mappa, con indicazione della chiesa del SS. Salvatore
Sicuramente, come è facile dedurre, il continuo contatto di questi monaci con gli abitanti, forse anche con opere missionarie e di carità, avrebbero potuto stimolare il culto.
L'altra chiesa esistente a Piscinola era la chiesa dedicata a San Sossio diacono, anch'essa citata nelle carte antiche, fin dal X secolo, era però situata in un luogo decentrato rispetto all’attuale centro del quartiere, verso la zona dello Scampia.

La chiesa del SS. Salvatore in Piscinola:
Di sicuro nell’anno 1033 la chiesa del Salvatore in Piscinola era già stata edificata ed era officiata, perché è menzionata in un altro documento rogato, da parte del curiale Sergio; nel quale si sancisce che il presbitero Martino custode della chiesa dei Santi Cosma e Damiano, vende a Stefano Ferrario, chiamato Bonisculo, un appezzamento di terreno detto at Nipititum, sito presso S. Sossio a Piscinola, e che questa terra confina con la terra di Pietro Presbitero detto Patrizio, con la terra di quella ”estaurita plevischiamata S. Sossio, con la terra di Leone Luppari e con la terra che appartenne a Maria Russo di Donna Agata, dove sorge la “Staurita plevischiamata chiesa del Salvatore in Piscinola.
[...] coherente sivi ab uno latere terra qui fuit domini petri presbyteri qui nominatur patricii: seum et terra de illa staurita plevi memorata ecclesia sancti sossii et terra domini leoni luppari: sicuti inter se sepis exfinat: et de alio latere coheret terra qui fuit memorati domini petri parametiomeno: sicuti inter se sepis exfinat: et de uno capite coheret terra qui fuit domina maria russa de domina aghathe que modo detinet stauritas plevis ecclesie salvatoris nostri ihesu christi de memorato loco piscinule sicuti inter se sepis exfinat et de alio capite terra heredes quondam domini sergii cognomento gruccaanima [...]
Altare maggiore, e pulpito a lato, prima delle modifiche, foto cartolina, anni '50
Da quest'anno in poi altri atti menzionano e confermano l’esistenza della chiesa di Piscinola dedicata al Santissimo Salvatore, come l’atto rogato il 23 dicembre 1058, per mano del curale Giovanni, nel quale si tracciano i confini di un terreno: da un lato con la terra della staurita della parrocchia della predetta chiesa di san Sossio e dall'altro lato confinante con la terra che fu di signora Maria Russa de donna Agata che detiene la staurita della parrocchia della chiesa del Signore e Salvatore nostro Gesù Cristo dell’anzidetto luogo Piscinola:
[...] comparatio de memoratis iugalibus genitoribus nostris continet in presentis aput vos remisi pro vestra vestrisque posteris et de memorata ecclesia salbatione: Coherente sibi ab uno latere terra qui fui quondam domini petri patricii et presbyteri seu et terra staurita plevis memorate ecclesie sancti sossii et terra domini leoni iuppori: sicuti inter se sepis exfinat: et de alio latere coheret terra qui fuit de domino petro parametiomino sicuti iterum sepis exfinat: de uno capite coheret terra qui fuit domina maria russa de domine agathe quem detinet staurita plevis ecclesie domini et salvatoris nostri ihesu christi de memorato loco piscinule sicuti sepis exfinat: et de alio capite terra heredum quondam domini sergii gruccianima sicuti iterum sepis exfinat [...].
Calvizzano, chiesa di S. Giacomo Apostolo
Il dott. Franco B. Sica considera che se la chiesa del SS. Salvatore di Piscinola, già esisteva ed era officiata nell’anno 1033, tuttavia la sua fondazione dovette avvenire almeno 100 anni prima, considerando anche che la chiesa di Piscinola risulta essere la più antica tra quelle suburbane della Archidiocesi di Napoli, quindi ancora più antica di quella di Calvizzano, che è ritenuta di antichissima fondazione. Ad avvalorare tale tesi, infatti, è l’opera del notaio Antonio Sirleto: “Platea…”. In questo libro il Sirleto asserisce che la chiesa di San Giacomo a Calvizzano era antichissima, ed era seconda solo a quella del Santissimo Salvatore di Piscinola. Mentre, in un altro documento, celebrato per conto del Duca di Napoli, si menziona la chiesa di Calvizzano, che era già presente nell’anno 951. 
Quindi la chiesa di Piscinola, per semplice deduzione, dovrebbe essere stata fondata almeno del decennio 930-940… Ma qui il condizionale è fortemente d’obbligo! 
Altare della chiesa del SS. Salvatore, durante i festeggiamenti, anni '50
A conferma di questa teoria, ossia del primato dell’antichità della chiesa del SS. Salvatore di Piscinola su tutte le altre parrocchie e quindi anche su S. Giacomo di Calvizzano, c’era l’antica consuetudine o cerimoniale, in vigore nei secoli scorsi nella Cattedrale di Napoli, durante l’atto di conferma dell’obbedienza all’arcivescovo, che ogni anno i parroci diocesani eseguivano nella prima domenica di maggio. Durante tale manifestazione religiosa, i parroci delle chiese cittadine e quelli delle chiese suburbane (ossia della parte extramoenia di Napoli) venivano ordinati e disposti nella chiesa cattedrale, secondo un preciso ordine, dettato sia dalla ubicazione geografica e sia dall’antichità della chiesa parrocchiale di appartenenza. Quindi, negli scanni della Cattedrale, per primi, sedevano i parroci cittadini e, a seguire, sempre in ordine di precedenza, quelli del suburbio, secondo l’età di fondazione della loro chiesa. Con lo stesso ordine di sequenza si eseguiva la chiamata dei parroci all’atto dell'obbedienza all'Arcivescovo ("rito del baciamano").  Dopo quelli delle parrocchie e diaconie cittadine, il primo parroco suburbano ad essere chiamato al rito di obbedienza era quello della chiesa del SS. Salvatore di Piscinola e, a seguire, quello della chiesa di San Giacomo di Calvizzano. Questa testimonianza è un altro riscontro importante per dimostrare l’antichità assoluta della parrocchia del SS. Salvatore di Piscinola nel comprensorio dell’Archidiocesi di Napoli, fuori le mura cittadine.
Immagine del SS. Salvatore donata alla chiesta in India, anni '50
La chiesa del SS. Salvatore di Piscinola non fu subito "parrocchia", ossia "chiesa rettoria", nella quale il parroco oltre alla gestione del culto provvedeva anche alla gestione amministrativa e conservativa del tempio, così come avviene oggi; infatti fino alla prima metà del XVI secolo, come avveniva per altre chiese dei Casali, anche nella chiesa del SS. Salvatore, il sacerdote non risiedeva stabilmente nella canonica e vi si recava in chiesa solo quando doveva celebrare la messa. Il parroco più antico, del quale si hanno notizie, è stato don Antonio Ristaino, che resse la parrocchia del SS. Salvatore, dal 1538 fino al 1576.
Si può dire che, fino a pochi decenni fa, la secolare chiesa parrocchiale di Piscinola sia stata l’unica chiesa parrocchiale dell'Archidiocesi di Napoli ad avere la titolarità del suo nome, del SS. Salvatore. Infatti dopo le antichissime basiliche di S. Restituta e della Stefania, solo la cinquecentesca chiesa dell’Abazia dei Camaldoli di Napoli, che non è mai stata una parrocchia, è dedicata al SS. Salvatore; quest'ultima fu costruita nel 1585, sulle vestigia della più antica cappella ivi presente, intitolata: San Salvatore al Prospetto, che secondo alcuni fu fondata dal vescovo di Bitinia, san Gaudioso, intorno al V secolo. Quest'ultimo aspetto storico, alquanto vicino geograficamente a noi, è un altro tassello che pure dovrebbe essere considerato per la nostra ricerca...
Non sappiamo in quale periodo fu ufficialmente affidato il patronato del Casale di Piscinola al Santissimo Salvatore. Forse non c’è mai stato un atto solenne, come avvenuto in altre comunità, ma sarà stato un processo lento e graduale. 
Chiesa SS. Salvatore prima del restauro, anni '50 (foto R. P.alladino)
Sicuramente nel periodo in cui scrisse il Chiarito, ossia nella seconda metà del XVIII secolo, il SS. Salvatore era già considerato il "patrono" di Piscinola, vista l’enfasi con cui il Chiarito scrive il suo commento.
Dopo le testimonianze del X secolo, della chiesa di S. Sossio non si hanno più notizie, probabilmente l'edificio sacro andò in rovina e la chiesa del SS. Salvatore rimase l’unica ecclesia attiva sul territorio, perché viene continuamente menzionata nelle carte successive. 
Nel XIII-XIV secolo la nostra chiesa avrà avuto le fattezze di un tempio in stile Gotico, come dimostrerebbe l'unico suo reperto sopravvissuto, che è il frammento di un affresco della Madonna della Misericordia, oggi incastonato sopra l’altare maggiore. L'immagine del volto della Madonna è realizzata con uno stile pittorico, definito: "giottesco napoletano", perché eseguito da qualche allievo o seguace del grande maestro (Giotto fu attivo a Napoli diversi anni).
Nei secoli seguenti avvenne la trasformazione della chiesa nello stile Barocco; sicuramente questo avvenne prima dell'anno 1688, perchè sappiamo dai diari della parrocchia che in quell'anno un violento terremoto distrusse il tetto della chiesa barocca.  L'unica testimonianza pittorica sopravvissuta della chiesa barocca, di autore ignoto, è un frammento della scena della Trasfigurazione, che si trova ancora conservato nella parete retrostante l’antico organo della chiesa. 
L'attuale immagine in legno del Salvatore risalirebbe al XIX secolo. Un tempo, quando sopra l’altare maggiore della chiesa era collocata la tela della Sacra Famiglia (opera perduta), la statua del SS. Salvatore era esposta, come ci testimoniano gli anziani, nella nicchia dell’altarino, situato sul lato sinistro della chiesa, dove oggi è collocata la statua dell’Addolorata
Processione del SS. Salvatore, in via del Plebiscito a Piscinola, foto anni '50
La chiesa conserva anche alcune statue settecentesche e ottocentesche, appartenenti ai santi compatroni, l'organo del settecento e quello che resta degli altari laterali e di quello maggiore, che pure sono antichi.
Della presenza di una statua in argento del SS. Salvatore posseduta dalla chiesa nei secoli scorsi, abbiamo ricevuto solo testimonianze lacunose e quasi leggendarie, raccolte dai racconti degli anziani piscinolesi. Purtroppo non abbiamo trovato testimonianze scritte di questa opera in argento e non sappiamo come questa, a un certo punto, scomparve dalla scena... Su questo aspetto la leggenda fa ovviamente la sua parte... 
Tuttavia ipotizzare che in passato, anche nella nostra chiesa esisteva un’immagine del Santo Patrono cesellato in argento, non sarebbe un fatto tanto azzardato, considerando che sia Miano e sia Chiaiano hanno oggi le statue argentee dei rispettivi santi patroni. Confidiamo sulla futura ricerca storica...

Postfazione:
Immagine su locandina di festa, 1968
Il lettore avrà certamente percepito l'importanza e la complessità della materia storica che qui è stata oggetto d'indagine e di analisi: una gran varietà frastagliata di episodi, di personaggi, di luoghi, di testimonianze, che interagiscono tra loro, nei secoli; e, come per una predestinazione o forse per pura casualità, hanno condizionato la vita degli abitanti di un piccolissimo borgo, quello di Piscinula medioevale; borgo antico, abitato da semplici e poveri contadini, i quali, nel corso della storia, sono stati però aperti alla "contaminazione" degli eventi e con questi hanno interagito, accogliendo positivamente gli influssi cittadini che hanno condizionato la loro cultura, le loro tradizioni, le loro usanze e quindi il loro credo.

Conclusioni:
Il culto per il SS. Salvatore, per "Gesù Trasfigurato", che ha singolarmente attecchito nell'antico borgo di Piscinola, circa 1000 anni fa, perviene dai primi secoli della cristianità, per una serie di collegamenti storici e di coincidenze logistico-temporali, che potrebbero essere: 
1) dalla possibile donazione al clero dell'Episcopio napoletano, intitolato al Salvatore, del possedimento dell'Isola di Megaride e di un castrum, che  per questo forse prenderà il nome di "Isola del Salvatore", diffondendone il nome ai cespiti ed opere collegate;
2) dalla venuta dall'oriente, di un gruppo di monaci basiliani, i quali probabilmente importeranno a Napoli il culto di Gesù Salvatore (VI-VII secolo) e lo diffonderanno a Napoli;
3) dalla realizzazione sull'isola di Megaride di una chiesa dedicata al Salvatore, all'interno del cenobio retto da un gruppo di monaci, che già si chiamavano "Monaci del Salvatore" e il convento intitolato "Monastero del Salvatore". Il convento e la chiesa saranno successivamente affidati ai monaci Benedettini,
4) dalla presenza di un appezzamento di terreno (grancia) posseduto a Piscinola dal "Monastero del Salvatore", che per tal motivo, esso fu chiamato: "Terra del Salvatore",
5) dall'azione missionaria che probabilmente ebbero a svolgere i monaci nella villa (borgo) di Piscinola, portando all'edificazione di una primitiva cappella o chiesa dedicata al SS. Salvatore e promuovendone il Suo culto tra gli abitanti.
6) da una possibile altra motivazione o influenza, al momento a noi ancora ignota, ma da tener conto nelle future ricerche, che potrebbe far risalire la nascita del culto del Salvatore a Piscinola ad un periodo ancora più indietro nei secoli (come il riferimento alla vita di S. Gaudioso, V secolo).

Successivamente, nei secoli più recenti, al SS. Salvatore è stato affidato il patronato della comunità parrocchiale di Piscinola, mentre la chiesa è stata riedificata diverse volte e quindi ingrandita, diventando parrocchia. Almeno fin dal XVII secolo, al SS. Salvatore è stato affidato anche il patrocinio civico dell'Università e del successivo Comune di Piscinola
Speriamo in futuro di raccogliere altre notizie e conferme di quanto qui assunto, e di chiarire con fonti affidabili quegli argomenti avvolti ancora nel velo dell'incertezza e della leggenda.

Dedica:
Con questo post abbiamo voluto omaggiare Piscinola e i suoi abitanti, in occasione della prossima festa patronale. Dedichiamo questo lavoro di ricerca alla "presenza" storica millenaria del Santissimo Salvatore che, come dimostrato, è "venerato" e adorato a Piscinola, almeno fin dal IX-X secolo.
L'abbiamo scritto con umiltà e con la consapevolezza di affrontare un argomento gravoso e ricco di insidie. Alcune fonti sono lacunose e poi mancano ancora delle testimonianze più precise sull'edificazione e sulle varie trasformazioni subite dalla chiesa parrocchiale, oltre le relative tracce monumentali e archeologiche, il cui rinvenimento potrebbero chiarire diversi dubbi e aspetti. Lo abbiamo scritto con la volontà e la passione, e con lo scopo principale di diffondere, soprattutto tra i giovani di oggi, la grandezza della nostra storia e la profondità della nostra cultura, affinchè questi possano raccogliere il "testimone" (e lo speriamo vivamente), possano appropriarsi della loro storia e possano promuovere ulteriori indagini storiche e opere di divulgazione: perché queste testimonianze rappresentano le radici fondamentali del nostro essere cittadini di oggi..., del nostro essere piscinolesi del terzo millennio! 

Auguri Piscinola, e auguri a tutti i lettori che si chiamano "Salvatore"! 
Viva Gesù Salvatore, protettore di Piscinola!
Salvatore Fioretto

Il presente approfondimento storico è da considerarsi una integrazione di ricerca al capitolo contenuto del libro "Piscinola, la terra del Salvatore", in merito all'identificazione dell'"Isola del Salvatore" e sulle origini del culto a Piscinola per il SS. Salvatore.