sabato 30 aprile 2016

'O cap''a Chianca, il borgo nel borgo... un'umanità perduta...! di Luigi Sica



Come è noto la strada denominata via del Plebiscito viene da tutti gli abitanti originari di Piscinola indicata con il toponimo di "'o Cap’' a Chianca", questo perché, molto probabilmente in tempi remoti, in questo luogo doveva esserci una rinomata macelleria, da cui Chianca, che sta per "Panca", ossia un asse o un bancone di legno usato per esporre le carni; d'altra parte tutt'oggi nell'idioma napoletano il macellaio viene denominato "Chianghiero". Dal libro di Fioretto si apprende anche che all'inizio del secolo scorso in questa zona si realizzò un piccolo macello comunale, per scoraggiare la ricorrente abitudine dei piscinolesi di macellare in proprio i maiali e altro bestiame, senza nessun controllo veterinario... ma forse all'epoca non c'era tanto bisogno...

Chiesetta Madonna della Pietà, via del Plebiscito, foto Fioretto, 2014

Il nostalgico ricordo di 'o Cape 'a Chianca mi porta a considerare che per la sua vivacità non era da meno dell'altro "capo" di Piscinola, più famoso, già ampiamente descritto in questo blog, ovvero de "O cap''e Coppa".
Il nostro Cap''a Chianca era uno straordinario posto con tanti negozi e negozietti, con un pullulare di ambulanti e c'era anche una rinomata trattoria.
Molti di questi negozianti li ho ricordati nel mio libro "Il borgo perduto" ed. Marotta e Cafiero, tuttavia mi piace qui descrivere questi esercizi seguendo il percorso stradale, che si sviluppa dalla Piazza B. Tafuri verso il ponte della Piedimonte, lato Scampia.

Tatonno ‘o gassusaro 
Don Antonio Ronga era un uomo assai intraprendente, invece di commerciante si potrebbe definirlo un "industriale antesignano", del perché lo capirete seguendo la lettura... In un locale che oggi posizioneremmo tra l’attuale tabaccheria Biancardi e il fioraio Sica, donn’Antonio approfittando di una fontana pubblica posta all’inizio di Via Acquarone, aprì una fabbrica di ghiaccio; con un grosso macchinario di refrigerazione, produceva enormi parallelepipedi a sezione quadrata di ghiaccio e bacchette di ghiaccio della lunghezza di un metro con lato di circa 15 cm. 
Foto panoramica, lato via del Plebiscito, di C. Pernice, anno 2013
Questo ghiaccio che serviva a pescivendoli, venditori di meloni e angurie e di gelati garantiva una attività esclusivamente estiva. Ma il buon donn’Antonio per lavorare tutto l’anno associò a quest’attività la produzione di ‘gazzose’. Tanto di acqua gratuita ne aveva a volontà, zucchero (saccarina), acido citrico e anidride carbonica, acquistati a livelli industriali, costavano poco o niente. Ma donn’Antonio completò la sua piccola impresa con un piccolo impianto di imbottigliamento ed etichettatura con il nome di ‘RONGAssosa’.
La gassosa di donn'Antonio si comprava nelle cantine o nella stessa fabbrica produttrice e serviva per diluire o dolcificare vini pesanti o ‘spunti’ in processo di acidificazione. Tempo dopo lo stabilimento sparì ed al suo posto sorse un bellissimo bar con un ampio saloncino vetrato d’ingresso, arredato con tavolini e sedie. Oltre al locale del bar vero e proprio, all’interno c'era una sala biliardo e una sala per guardare la nascente televisione in bianco e nero...

Nannina ’a malamente 
Il negozio di Nannina, detta 'a malamente, si trovava esattamente dove ora c’è il fioraio Sica. Nannina vendeva stoffe in quel locale che si presentava come un antro buio, con un nauseabondo odore di naftalina e canfora, sostanze usate allore per allontanare tarme, cocciniglie e altri insetti che potevano danneggiare le stoffe. In quel tempo le stoffe erano realizzate prevalentemente con filati di origine animale o vegetale.
Cartolina anni '40
Nannin’a’malamente vendeva tela per i sarti (taffetà per camiciai, orbace, panno casentino o toscano, panno grosso, mussola, georgette in seta, chiffon, organza, cretonne bianco o stampato, batista leggera in lino o cotone, gabardine di lana o seta, stoffe di lana per vestiti e cappotti (pied de poule e spina di pesce), tela di lino per lenzuola, federe), cotoni d’ogni tipo e infine bottoni di variegati colori, dimensioni e qualità. Caratteristico e molto richiesto in quei tempi era il fustagno, una stoffa nera detta “pell’e’riavulo”, per la sua resistenza agli strappi e all’usura, adatta per i pantaloni dei contadini. I suoi figli, si alzavano di buon ora la mattina e uscivano di casa con enormi sacchi di panno nero sulle spalle. Praticavano l’ambulantato a piedi, recandosi nei paesi vicini: Marianella, Chiaiano, Marano, Mugnano, Arzano, Grumo Nevano, Secondigliano, Casandrino ecc...

Don Mario Sica (fioraio)
Veduta aerea del Cap''a Chianca...
Il negozio di don Mario Sica (mio zio) era (e resta tuttora) la fioreria più accorsata di Piscinola. Il retro del negozio sbucava in un cortile attraverso il quale, tramite una breve scalinata, s’accedeva in un giardino che aveva del fantastico, perché conteneva un'immensa varietà di specie vegetali: rose, camelie (bianche e rosse), palme, philodendron, garofani, phicus semplici e benjamin variegati, cespi di capelvenere ed orchidee difficili da coltivare, insomma era una foresta di specie indigene ed esotiche! 
Non c’era festa d’onomastico, di nascita, di battesimo, di comunione o uno sposalizio che non fosse addobbata da Mario Sica il fioraio e, ovviamente, nemmeno una cerimonia funebre. 
Tra le tecniche di addobbo floreali utilizzate da zio Mario ricordo l'utilizzo di particolari arbusti che crescevano spontanei ai lati del binario della Piedimonte, chiamati 'e fetienti, a causa dell'odore nauseabondo emanato dal fogliame. Nel nostro territorio si trovavano da per tutto; ricordo che da ragazzo mi fermavo a guardare i lenti treni della Piedimonte che, avanzando, aprivano spazi tra i folti cespugli di questi arbusti... Avevano uno stelo dritto, alto anche più di un di un metro, che venivano sezionati e servivano da supporto per sostenere i delicati fiori e poter comporre cuscini oppure corone (ghirlande) sorrette a loro volta da grandi foglie di palma, che diventavano l’emblema d’ogni funerale o delle ricorrenze storiche.

Felice ’e po' parlamme,
Portale della proprietà Del Forno, foto Fioretto, 2004
Felice era un ciabattino che amava intrattenersi a parlare con la sua clientela. Sovente quando  iniziava a raccontare un fatto, improvvisamente interrompeva il racconto, chissà se per mancanza di memoria o per sua tattica, dicendo la proverbiale frase finale "po' parlamme’" (poi ne riparliamo). Se Felice avesse solo voluto mantenere fede a tutti quei numerosi rimandi, non gli sarebbero bastate altre tre vite...
Ebbe un solo figlio molto dedito allo studio, che divenne esempio e scorno di tutti i ragazzi svogliati, me compreso. Talvolta, quando frequentavo le medie, mi mandavano da lui a ripetizione; con gli anni ho capito che quel ragazzo, laureando in lettere e filosofia, era, almeno in quel tempo, un ragazzo molto timido e riservato, con un gran desiderio di affermarsi nella vita e compensare i genitori dei sacrifici che avevano compiuto per sostenerlo.
Pascalino d''a lavanderia’ (sig. Pasquale di Vaia),

quando Nannin’a’ malamente chiuse il suo esercizio commerciale, sorse sul lato opposto della strada la lavanderia di Pascalino, dove oggi c’è il bar Scopato. Pascalino vendeva tutti gli articoli di merceria e per sartoria che in precedenza erano venduti da Nannina e in più esponeva: shampoo, deodoranti, smalti per unghie, rossetti ed altri articoli per donne. Iniziò a svolgere il servizio di lavanderia, ritirando coperte e capi di vestiario sporchi, che provvedeva a portare in una lavanderia industriale che si trovava in centro, nei pressi di Piazza Carlo III.
La cantina don Vincenzo Di Guida

Festeggiamenti del SS. Crocifisso, processione in via del Plebiscito, anni '50
Era la più grande cantina trattoria di Piscinola. Dalla "sala di mescita" dei vini si accedeva ad una sala trattoria e da qui ad un retrostante spazio all’aperto con annessa pista per il gioco delle bocce. Questa cantina, alla pari di quelle di Don Lurenzo e dei Sarnacchiaro, offriva alla clientela ciò che si preparava giornalmente, direi in maniera molto casereccia, ma a differenza delle prime era frequentata da numerosi cacciatori che tornavano dalle battute di caccia che si tenevano nelle terre delle lontane masserie oppure a Scampia. Essi si ritrovavano qui per gustare il pollo o il coniglio alla cacciatora, gli antipasti con affettati di formaggi e salami, prodotti dalle stesse mani dell’oste, don Vincenzo, che era anche uno stimatissimo cuoco, e offriva altri piatti forti, come: i funghi, fritti o arrostiti, i rinomati risotti e le famose pappardelle, preparate in casa dalle anziane contadine del posto...
La salumeria di donna Giulia Biancardi

La salumeria era posta quasi alla fine di via del Plebiscito e vendeva gli stessi prodotti delle ‘puteche’ piscinolesi, solo che all’interno del cortile retrostante disponeva di un forno, che era attivo tutta la notte per produrre un pane ricercato da numerose famiglie di Piscinola e anche da fuori contado. Erano in tanti a preferire "'o ppane 'e onna Giulia a putecara, abbascio 'o Capa 'a Chianca...!"
Portale ad arco della proprietà Del Forno, foto Fioretto, 2014
Il tenimento di Don Mimì del Forno

Sulla via del Plebiscito si trovava (e si trova tutt'oggi) il caratteristico doppio portale di tufo che fungeva da arco di ingresso della proprietà di don Mimì del Forno, famoso imprenditore agricolo, abitante a Materdei.
In questo luogo, infatti, Don Mimì aveva il suo tenimento agricolo, che era molto vasto e soprattutto curato, dove erano selezionate pregiate varietà di pesche che venivano presentate nei vari congressi specialistici italiani, ricevendo spesso dei riconoscimenti e premi, con recensioni su riviste specializzate del campo. Della varietà di pesca di Mimì del Forno e di altri aneddoti legati alla figura di questo apprezzato imprenditore a Piscinola, sono stati dedicati altri post all'interno di questo blog.

Tra i tanti venditori ambulanti ricordo: don Silvestro, che d’estate vendeva la "rattata" (granita di limone), in primavera, caramelle e d’inverno castagne lesse; don Vicienzo e don Rafele ’o caramellaro, che vendevano caramelle con dei caratteristici banchetti di legno muniti di lastre di vetro scorrevoli; don Ciro 'o piattaro, che vendeva piatti, bicchieri, posate in alluminio, pentole, bacili e bagnarole di stagno; Donn’Eugenio ’o pulezzastivali, che lucidava scarpe con tinture e cere di sua produzione. C'erano altri ambulanti che ora non ricordo molto bene il nome, che ormai sono entrati nell’immaginario collettivo piscinolese.
Portale ad arco e cortile palazzo "Staviano", foto Fioretto, 2014
Desidero infine ricordare tra gli antichi contadini di Piscinola, che spesso si incontravano per strada, quelli che mi sono rimasti impressi nella mente con i loro caratteristici soprannomi: Palle ’e Cercula (forse originario del territorio di Cercola), zì Cicchella, e’ Vizze, Rafiluccia ’a Mossa, Senz’ossa.

Senz'ossa era un contadino, abbastanza in carne, che abitava nel palazzo posto a confine con il giardino di Villa Vittoria. Era molto bravo a crescere polli, conigli e soprattutto maiali, che ingrassava al punto che non erano più capaci di stare sulle proprie zampe. Sapeva fare un vino apprezzatissimo e produrre salami, capicolli, prosciutti e salsicce di un sapore ricercato e non più gustato.
Altri tempi!

Luigi Sica



Ringrazio l'amico, Luigi Sica, per aver contribuito con quest'altro suo bel racconto alla ricostruzione di un altro pezzo della storia recente del nostro amato Borgo. S.F.
Chiesetta Madonna della Pietà, via del Plebiscito, foto Fioretto, 2014
Tutti i diritti per la pubblicazione dei testi del blog sono riservati agli autori, ai sensi della legislazione vigente.
N.B.: Le foto riportate in questo post appartengono a una collezione privata, è severamente vietato il loro utilizzo senza la preventiva richiesta di autorizzazione a chi detiene i diritti di copyright.

sabato 23 aprile 2016

Curiosità, aneddoti, storielle divertenti, per un popolo che amava ridere...!


L'uscita dal periodo nero della Guerra, che segnò tanti lutti e sciagure, non solo nel nostro territorio, ma in tutta l'Italia e nell'Europa intera, destò una sorta di ventata di ottimismo e di entusiasmo tra la popolazione per la libertà riconquistata, anche se si doveva pur sempre affrontare il pesante fardello della ricostruzione materiale e morale del Paese.
La gente aveva trovata la serenità e il piacere di vivere, senza avere più il terrore di ricoverarsi nel corso dei bombardamenti anglo-americani o nascondersi durante i rastrellamento dei Tedeschi. Tanti uomini ritornavano dai "campi di concentramento" dove erano stati deportati, riabbracciando dopo anni le proprie famiglie. La vita ritornava a scorrere semplice e tranquilla come un tempo...
Foto panoramica su Piscinola durante la nevicata del 1973, foto di Giuseppe Iovine
In questo clima di riappacificazione sociale la gente riprese il gusto di divertirsi e di ritornare a ridere. Ed erano soprattutto le storielle divertenti, le curiosità e gli episodi singolari a destare l'ilarità collettiva, fatto però senza cattiveria e malizia.
Alcuni di questi aneddoti li abbiamo raccolti in questo post utilizzando dei nomi di fantasia o poche indicazioni, per proteggere la privacy delle persone coinvolte.
L'episodio più curioso, che avvenne nell'immediato dopoguerra, fu quello capitato a un giovane curato del territorio. Come consuetudine dell'epoca, in occasione di un funerale, il curato doveva recarsi a rendere la benedizione funebre presso la casa del defunto, prima di organizzare il corteo verso la chiesa.  In una di queste circostanze l'abitazione del defunto era posta nel centro storico del paese. Singolare a raccontarsi, proprio al momento della benedizione, si verificò il crollo istantaneo del solaio, fatto di vecchi travi e assi di legno (detti 'e chiancarelle) e così tutte le persone presenti in quel momento della stanza, compreso il mobilio e il povero defunto, finirono per precipitare rovinosamente nella sottostante stalla...!
Tra la nube di polvere e la concitazione scaturita ognuno si ritrovò in una posizione malconcia e diversa, chi sopra una botte, chi seduto dentro un tinello e chi appeso a una trave, ma la cosa che fece ridere a molti fu quella che il povero curato si ritrovò in groppa a un povero somarello, che si trovava in quell'istante legato alla sua mangiatoia, ignaro della imminente catastrofe...
L'episodio fece molto scalpore nel circondario e sicuramente aiutò a far crescere le entrate del "Bancolotto".... La cosa importante fu quella che non ci furono, per fortuna, feriti gravi tra le persone coinvolte, ma solo qualche graffio o contusione. Non sappiamo come se ne uscì il povero asinello.... e se dopo questo incidente si ebbe la forza di continuare lo svolgersi del funerale, oppure si decise di rimandare il rito di qualche ora.
Si racconta che una signora, abitante in via Vittorio Emanuele (‘O cape ‘e coppa), un giorno si mostrò infastidita dal passaggio della processione, forse a causa del suono della banda e del frastuono delle voci emesse dalle persone e dagli scugnizzi che seguivano il corteo. Invece di esporre al balcone la solita coperta colorata e lanciare petali di fiori, la signora chiuse stizzita i battenti del balcone e si ritirò in casa. L'aneddoto popolare, forse un po' leggendario, vuole che, dopo tale fatto, alla donna crebbe una vera e propria coda...!! Molte persone, dichiaratisi testimoni dell’avvenimento, erano pronte a giurare di aver veramente visto questa “appendice” anatomica, non comune per un essere umano…!! L'episodio divenne presto elemento di ilarità nella memoria collettiva e viene ricordato come: “‘A signora cu’ ’a coda"!
C'era un personaggio a Piscinola che è stato amato per la sua semplicità, ma viene ricordato anche per alcuni episodi molto divertenti: tutti lo chiamavano con il nomignolo bonario di “‘o Barone”. Non si conosce precisamente il vero motivo, forse a causa del suo portamento un po’ bizzarro e trascurato, forse parafrasando il suo stato di povertà con il titolo previsto per una persona ricca e blasonata. Una volta, nell’immediato dopoguerra, fu preso in giro anche dai soldati americani, che marcando la sua nomea di nobile, lo scortarono fino a casa, con tanto moschetto e di picchetto...!
Dal fisico apparentemente normale, anche se non proprio bello nell’aspetto e forse anche un po’ sciatto nel vestire, il "Barone" è entrato a far parte nell’immaginario collettivo della nostra gente per un’altra caratteristica che lo distingueva: vale a dire l’eccezionale forza posseduta. Egli sembrava un uomo dal fisico normale, ma era dotato di una forza straordinaria. Secondo le testimonianze raccolte, riusciva a sollevare e trasportare sulle sue spalle, mobili o sacchi pesanti, anche oltre il quintale, senza l’aiuto di nessuno. Ironia della sorte, spesso si riduceva anche in stato di ubriachezza e si vedeva brancolare nei pressi di qualche “vineria” di Piscinola.
Il "Barone" prese moglie in tarda età. Per molti anni abitò in un “basso” di Piscinola, non ebbe mai un lavoro fisso e visse soprattutto grazie al sostegno e alla generosità della gente di Piscinola. Quando morì, furono in molti a compiangerlo, perché in fondo si era fatto volere bene da tutti, per la sua semplicità e umanità. (*)
Altri aneddoti divertenti sono i tanti ricordi che accompagnano la storia della banda musicale di Piscinola.
Il maestro della banda, che si chiamava Gaetano, era un personaggio alquanto severo e affrontava con serietà e metodo il suo ruolo di direttore musicale della banda; pretendeva dai suoi allievi musicisti la massima dedizione nello studio della musica, oltre la costante loro presenza alle prove settimanali. Certe volte, quando perdeva la pazienza, commentava con delle battute sarcastiche le modeste esibizioni di alcuni suoi allievi...
Un giorno, un suo allievo si mostrò alquanto incerto e altalenante nella esibizione musicale, si chiamava Pietro ed era anche un po' balbuziente...; il maestro dopo varie prove e controprove, ormai spazientito, esclamò tra il serio e il faceto: "Pietro, tu come parli così suoni...!!". E tutti giù a ridere a crepapelle...
Ad un altro musicista di nome Pasquale, che si era dimostrato anche lui alquanto insufficiente nell'esibizione, gli disse: "Pasquale, quando suoni il trombone sembri che dai i calci nel portone!". Altre risate!
Ma anche tra i componenti della storica banda musicale si ebbero alcuni episodi esilaranti, spesso raccontati da mio padre. 
Vincenzo, che suonava il tamburo, era soprannominato Sarchiapone per il suo ruolo nella Cantata dei Pastori; un anno, durante la processione della festa di Miano, litigò con un altro musicista, forse per una questione di rivalità artistica. Sarchiapone sfogò la sua ira in una forma che oggi diremo autolesionista! Nel corso della concitata discussione che ne scaturì, assalito dall'ira, buttò il suo tamburo a terra e lo sfondò irrimediabilmente con i piedi. Poi abbandonò di punto  la banda in quella esibizione, senza giustificarsi!
Un altro componente della banda musicale, soprannominato Pallino, un giorno si posizionò alla finestra di casa sua, intento a pulire lo strumento che suonava; tra una lucidata e una strofinata di cera, gli scivolò lo strumento dalle mani e rovinò sulle dure pietre di basalto della strada ('e vasule); ovviamente il curioso episodio destò le risate dei vicini e dei viandanti... perché, purtroppo lo strumento riportò vistose ammaccature... Fu portato a riparare presso un negozio specializzato che si trovava all'epoca in via San Sebastiano: ci misero una pezza, ma lo strumento rimase seriamente compromesso, sia nella forma che nel suono...
Spesso gli aneddoti e i racconti costituivano il repertorio di curiosi personaggi popolari, che si divertivano a raccontarli ad amici e soprattutto ai bambini, durante lo svolgersi dei loro mestieri ambulanti: uno di questi personaggi caratteristici di un tempo è stato “Don Vicienzo”, detto “‘O popolo”, di professione ciabattino, il quale con un suo “repertorio” di centinaia di storielle e aneddoti ha incantato diverse generazioni di piscinolesi.
"Don Vincenzo" si posizionava con il suo banchetto di “solachianiello” nel cortile antistante alla sua abitazione in vico Plebiscito, sempre circondato da bambini e ragazzi incantati ad ascoltare i suoi affascinanti racconti e a osservare le sue espressioni colorite. Specie in estate, iniziava di buon mattino e finiva all’imbrunire, raccontando, come in una recita senza sosta, i suoi numerosi “fattarelli”. Si esprimeva sempre in italiano, con una prosopopea da letterato e per tale motivo la gente gli coniò il nomignolo di “‘o popolo”. Si racconta che egli ricordava tutta la Divina Commedia a memoria. Era un concentrato di filosofia di vita e di simpatia! (*)
Anche nell'epoca recente abbiamo conosciuto personaggi che hanno contribuito con la loro simpatia e il loro spirito divertente, a donare un sorriso, una risata, anche nei momenti seri della vita...
Un noto professionista del territorio, tra una pratica e l'altra, intratteneva spesso i suoi clienti con aneddoti e "fattarielli" divertenti; incominciava un nuovo racconto sempre con lo stesso preambolo: "Voi non ci crederete, ma...".
Nel suo studio, tra i vari titoli, ritratti e onorificenze ricevute, aveva in bella nostra due piccoli quadri alquanto singolari, che la dicevano lunga sul suo spirito ironico.
In uno dei quadri era riportata una foto a colori di un gruppo di 6-7 maiali ripresi in un porcile e a margine della foto, in una didascalia era riportata la scritta "Amici miei"!
Raccontava, a chi glielo domandava, che quella foto aveva fatto vincere una scommessa che una sua cliente aveva fissata con un incredulo amico americano. Un giorno i due si presentarono allo studio in questione e l'americano ebbe la dimostrazione che effettivamente il noto professionista napoletano mostrava una foto del genere, con la curiosa scritta a margine...  La scommessa comportò per pegno una cena in un famoso ristorante di Napoli, a cui fu ovviamente invitato anche il nostro concittadino.
Nell'altro quadro era riportato un componimento scolastico di un fanciullo frequentante la scuola elementare, che rispondeva al tema dato in classe: "Parlate di un giorno vissuto con vostro padre". Il componimento, scritto in un linguaggio incerto e approssimato, misto tra l'italiano e il napoletano, raccontava di un viaggio effettuato al mercato assieme al padre, utilizzando il proprio carro (carretta) trainato dall'asino. In poche parole il racconto descriveva che il povero asino, durante la strada di ritorno, si impuntò e non voleva proseguire il cammino, il padre, arrabbiato, colpì il povero animale con una pertica di legno (straccariello), con molta veemenza, fino a quasi tramortirlo e a fargli cambiare "idea"... Il racconto riportava in maniera colorita anche gli epiteti e le bestemmie pronunciate dal genitore alla presenza del ragazzo ... !
Salvatore Fioretto 

Alcuni racconti sono stati tratti dal libro "Piscinola, la terra del Salvatore - Una terra, la sua gente, le sue tradizioni" di S. Fioretto, ed. The Boopen, 2010. I racconti con la nota (*) sono stati forniti da Pasquale Di Fenzo.

Foto panoramica su Piscinola, dalla biblioteca comunale "D. Severino", foto di Giuseppe DiVaio

Tutti i diritti per la pubblicazione dei testi del blog sono riservati agli autori, ai sensi della legislazione vigente.
N.B.: Le foto riportate in questo post sono state tratte liberamente dai siti web dove erano state pubblicate, il loro utilizzo in questo post è stato fatto senza scopo di lucro o altri fini, ma solo per la libera divulgazione della cultura.

venerdì 15 aprile 2016

Agatino...Un muratore a Melbourne: Piscinola entra nei cerchi olimpici...!

Melbourne Australia -1956- XVI Olimpiade. 
L’evento per motivi climatici non può essere celebrato nel tradizionale periodo estivo, che ha sempre caratterizzato questa importante manifestazione. Il periodo scelto per la disputa di tutte le altre gare è dal ventidue novembre all’otto dicembre. L'Ungheria per protesta contro l’invasione dei carri armati sovietici, sembra intenzionata a rinunciare all'Olimpiade, poi vi prende parte con una ridotta rappresentativa e ciononostante conquisterà 26 medaglie. L’Ungheria sfila durante la cerimonia di apertura dei giochi accolta da un lunghissimo applauso. L’Unione Sovietica viene accolta dal silenzio totale e surreale di tutto lo stadio Cricket Ground. 
Centotremila gli spettatori stimati, settantadue nazioni partecipanti. Tremila trecento quarantadue atleti in totale, duemila novecento cinquantotto uomini, trecento ottanta quattro donne, venti sport, cento cinquantuno competizioni. Le due Germanie sono in campo sotto la stessa bandiera. Mancano l’Olanda, la Spagna e la Svizzera, che boicottano i Giochi in segno di protesta per l’invasione sovietica. 
Cerimonia di inaugurazione delle olimpiadi in Australia, 1956
Qualche giorno per smaltire le fatiche del viaggio. Gli allenamenti riprendono intensi sul ring. Vengono annunciati gli esiti dei sorteggi per gli incontri. Al primo turno, Agatino incontrerà il temutissimo russo Safronov. Agatino il caposquadra per disciplina. Ragazzo schietto, generoso, pronto al sacrificio per un compagno, per un amico. Amato da tutta la sua squadra per queste doti. Agatino ragazzo di campagna, che faceva il muratore nella sua città. 
Il primo pugile a rappresentare la sua regione alle Olimpiadi. Agatino quell’anno, il ventuno di dicembre mille novecento cinquantasei, compie ventisei anni. Agatino si batterà con il favorito della sua categoria, al primo turno degli incontri. Il roccioso, irsuto, rude, ‘o mangiacristiani, il russo Safronov, è lo sfidante agli ottavi di finale. Al suono del primo gong, le gambe di Agatino tremano per l’emozione. Ma è subito pronto. 
Foto della squadra italiana di pugilato in partenza per l'Australia, Agostino Cossia è il terzo da sinistra, anno 1956
Allunga la destra in avanti, che incontra quella dell’avversario, per una stretta di mano appena accennata. I due avanzano rapidamente verso il centro. Il russo si scaglia in avanti selvaggiamente, sinistro – destro.  
Agatino scatta all’indietro saltellando leggero. Il russo rotola come un macigno, veloce verso di lui, su di lui, intorno a lui. Il combattimento è cominciato. Picchia come un dannato il russo, non solo picchia forte, ha anche una buona scuola il russo. Un guantone contro l’altro, un guantone contro una spalla, un guantone contro la figura, si ode il tonfo dei colpi. Agatino tiene duramente. I due si uniscono in una stretta, “corpo a corpo” - “break!”. 
Si riprende.
Agatino poggia la punta del guantone sulla bocca del russo, spinge indietro la testa di lui, balza via. Muscoli del corpo tesi, testa incassata tra le spalle, mani in posizione pronte ad attaccare o difendere ginocchia leggermente flesse, Agatino tiene duramente. Il russo è su di lui, i colpi piovono, le urla del pubblico lasciano intendere che Agatino si sta comportando molto bene. 
Picchia come un dannato il russo, non solo picchia forte, ha anche una buona scuola il russo. Nella prima ripresa, due destri, forti, di rimessa centrano Agatino. GONG! 
Il round termina in difficoltà. 
La testa ferma in avanti a guardare fisso l’avversario. Il torace si espande a recuperare il fiato, le braccia larghe appoggiate sulle corde. In faccia, sulle spalle, sul petto, l’acqua spremuta da una spugna lo rinfresca. 
Nelle orecchie i consigli dei secondi, un minuto di seduta sullo sgabello. 
Seconda ripresa. Al centro del ring, Agatino rinfrancato risponde per le rime agli attacchi. Balza in avanti, destro - sinistro, un pugno del russo gli manca per un pelo la nuca, un sinistro potente sta per abbattersi ancora, Agatino con velocità incalcolabile schiva, un destro sferrato in avanti saetta nell’aria, Agatino si lancia in una stretta, tregua, Break!
Si riprende. 
Agatino approfitta di un’ottima occasione, un sinistro potente si abbatte sulla bocca del russo, la testa di lui si piega all’indietro, il pubblico esulta, Agatino dà fondo a tutte le sue energie, lo eguaglia in velocità ed efficacia, un pugno del russo manca per il margine di un capello il mento di Agatino! GONG. 
Una foto del match olimpico
Un minuto, terza ripresa. Agatino sfrutta tutte le risorse a disposizione. Riesce a controllare gli attacchi di Safronov. Colpi veloci come fulmini piovono da una parte e dall’altra, uno, due, tre, quattro, uno/due, uno/due, uno/due, il pubblico con un grugnito segnala la sua apprensiva presenza. 
Un diretto, un gancio, schivate, pugni che passano nel vuoto, che atterrano sul collo, che si assestano nei fianchi. Agatino gli dà filo da torcere, cerca di coglierlo di sorpresa, riesce a controllare gli attacchi del macigno sovietico, inarrestabile, ribatte tutti i colpi, lo attacca, si difende. Ribatte tutti i colpi, lo attacca, si difende. Ribatte tutti i colpi, lo attacca, si difende, si difende, si difende. Si difende, si difende, ribatte tutti i colpi, si difende, si difende, si difende…. 
Suona il gong! 
Fine dell’incontro. 

Il russo Safronov “wins no easily on strong italian Agatino”. 
Alla premiazione di campione italiano di "Pesi Piuma"
Agatino perde ai punti, con scarto minimo. 
Safronov, il russo Vladimir Safronov, vola verso la medaglia d’oro. Vince per knoch out tutti gli incontri successivi. 
Dopo la trionfale vittoria, in una intervista, Safronov affermò che un solo incontro lo aveva infastidito, preoccupato. Un solo sfidante non finì al tappeto. Un solo, ostinato, generoso combattente terminò l’incontro non cadendo. Uno solo quando suonò l’ultima e definitiva campana, aveva la fronte alta nei confronti del vincitore. Uno solo era pronto a combattere ancora. 
Ventisei anni, cinquantasette chili di peso. Peso piuma, combattente indomabile, ragazzo di campagna, che faceva il muratore nella sua città. 
Il primo pugile della Storia a rappresentare la sua regione alle Olimpiadi.  
Agatino, non deluse. 
Agatino, aveva mantenuto la promessa. 
Agatino, mio padre. Aveva mantenuto la promessa.

                                                              ---------------  0 --------------- 


Villa M. Musella - Piscinola - Antonello Cossia recita "A fronte alta", durante la kermesse di "O_Maggio a Piscinola 2014"

"Ho scritto questo testo procedendo per accumulo di suggestioni, ricordi personali, resoconti di persone a me care. In un secondo momento si è delineata una forma più definita, si è chiarito dentro di me il senso di tale tensione e l’obiettivo che intendevo raggiungere. 
Ho cominciato una ricerca che man mano si espandeva e di cui rischiavo di perdere il controllo, sembrava ad un dato momento che tutto fosse accaduto in un solo anno dalla fine della II guerra mondiale in poi, il mille novecento cinquantasei.
Era periodo di blocchi mondiali contrapposti, di braccianti che affrontavano dure lotte per la propria autodeterminazione, di uomini che per guadagnarsi da vivere scendevano nel ventre delle montagne a metri e metri di profondità, di uomini che ricostruivano case distrutte dalla guerra, di uomini che sfidavano altri uomini con le mani coperte da guantoni per cercare di trasformare la propria condizione. Non si rifugiavano nei sogni, li inseguivano, se ne appropriavano, li rendevano spesso realtà.
"A fronte alta", opera rappresentata in teatro
E’ grazie a ciò che il paese si è trasformato, uscendo, almeno in apparenza dal disastro della seconda guerra. Uomini che probabilmente in maniera inconsapevole, davano corpo ad un’idea di utopia come qualcosa che non si è ancora realizzata, piuttosto che come qualcosa che non si realizzerà mai. 
Una cosa di cui fortemente si sente la mancanza. In questi tempi di Età della Grande Paura, una passione, un sogno, un ideale sono concetti pressappoco inesistenti, se non inquadrati nell’ottica e nel riconoscimento di un successo o una popolarità televisiva che dà diritto all’esistenza in questa nostra società. [...]”

Antonello Cossia


Il pugile piscinolese Agostino Cossia è stato campione d’Italia nella categoria dei ”Pesi Piuma”, per ben due volte, negli anni 1955 e 1956.
Ringrazio l'attore e mio caro amico, Antonello Cossia, per questa bellissimo post di ricordi e passioni che ha voluto dedicare su questa pagina di "Piscinolablog" al suo caro papà, Agostino Cossia.
Il racconto è contenuto nel libro "A fronte Alta", scritto da Antonello, da cui è stato anche tratto un lavoro teatrale, con debutto in scena nell'anno 2007.
Antonello mi ha poi spiegato che il nome di Agatino derivò da una errata interpretazione dei cronisti australiani, deformando il nome "Agostino", in "Agatino", senza mai correggerlo durante il torneo olimpico.


Tutti i diritti per la pubblicazione dei testi del blog sono riservati agli autori, ai sensi della legislazione vigente.
N.B.: Le foto riportate in questo post appartengono a una collezione privata, è severamente vietato il loro utilizzo senza la preventiva richiesta di autorizzazione a chi detiene i diritti di copyright.
Antonello e Agostino Cossia, foto di famiglia
Agostino Cossia premia sul ring il pugile piscinolese Pasquale De Stasio