domenica 25 gennaio 2015

A Piscinola, il cotone o un acquedotto...!? I Meuricoffre


La Villa Fiorita costruita dai Meuricoffre ai Colli Aminei, in un ventaglio d'epoca (Da http://www.svizzeri.ch (§))
Fotoritratto di Tell Meuricoffre (§)
A partire dall’anno 1760, la famiglia svizzera dei Meuricoffre si era impianta nel Regno delle Due Sicilie, fondando a Napoli una propria banca, promuovendo soprattutto investimenti ed affari nel campo della finanza, dell’agricoltura e della navigazione (*). Dopo alcuni decenni e dopo la gestione di George Meuricoffre, fu la volta del rampollo Oscar, che era nato nel 1824. 
Ancora giovanissimo, Omar Meuricoffre prese nelle proprie mani la conduzione dell’eredità paterna, introducendo miglioramenti e trasformazioni nella Banca e nelle società possedute o controllate dalla ricca famiglia. I Meuricoffre elessero la loro dimora a Capodimonte, nella celebre Villa Fiorita (oggi Villa Domi), nella quale ospitarono celebri scrittori, musicisti e pittori europei in visita a Napoli, tra i quali Mozart, Goethe, Schliemann (archeologo che scoprì Troia), Huxley e Cottrau.
Il celebre scultore Francesco Jerace eseguì, su commissione dei Meuricoffre, diverse sculture che abbellirono le sale della prestigiosa residenza di Capodimonte.
Fotoritratto di Oscar Meuricoffre (§)
A seguito della Rivoluzione Americana (1780), le importazioni in Europa del cotone si erano drasticamente ridotte e Oscar pensò bene di attrezzare il suo terreno situato a Piscinola, con piantagioni di cotone. Tale progetto però richiedeva la costruzione di due capienti cisterne per l’irrigazione delle piantine di cotone, oltre che di un sistema di condotte per l’adduzione dell’acqua piovana.
L’investimento si presentava già al suo nascere assai costoso, perché era necessario assoldare maestranze specializzate e importare macchinari provenienti da fuori Napoli. 
Ritratto della famiglia Meuricoffre (disegno di A.J. Gros) (§)
A chi gli faceva notare l’enormità della spesa da affrontare in relazione al guadagno atteso, Oscar rispondeva che... l’acqua poteva essere utile anche ai contadini piscinolesi...

Dopo l’approvazione da parte del Comune di Piscinola, il progetto passò alla Deputazione Provinciale di Napoli.

Ecco il testo della delibera di approvazione: 
Tornata del 12 marzo 1864 (Ordine X - Atto 198)
Raccolta degli Atti della Dep. Provinciale di Napoli, 1863
“Il signor Meuricoffre, proprietario di un fondo adiacente la strada pubblica di Piscinola, domandò di aprire due fori nel muro che cinge il detto fondo, per farvi passare le acque piovane che scorrono per la strada medesima, e così andare in due cisternoni costruiti nel suo fondo senza alterare però il livello della strada. Il Consiglio comunale a maggioranza, nella tornata del 14 passato mese (14 febbraio 1864) ineriva alla domanda senza l’obbligo di pagamento da parte del Signor Meuricoffree, benvero con le dichiarazioni fatte dal Sindaco, e con le condizioni da lui proposte, e segnatamente:
- che i lavori da farsi saranno diretti dall’architetto del Comune e con l’assistenza dell’Appaltatore della strada;
- che il Municipio potrà in ogni tempo ritirare la concessione, sia per destinare quelle acque a vantaggio del Comune, sia per farne la concessione mediante compenso, senza obbligo d’indennizzare in modo alcuno il sig. Meuricoffre delle spese fatte.
La Deputazione - A proposizione del Deputato Barone Nolli:

Stralcio dell'art. 198, con la disposizione a favore dei Meuricoffre
Approva detta deliberazione con le dichiarazioni e le condizioni proposte dal Sindaco presidente del Consiglio comunale”.
Non sappiamo se l’investimento ebbe un buon rendimento, sappiamo solo che l’opera idraulica fu realizzata, come pensata da Oscar.

Le cronache registrano che, alla sua morte, il Comune di Piscinola si trovò in possesso di un piccolo acquedotto, per soddisfare i bisogni idrici e di sete della popolazione locale.
Portale d'ingresso Villa Fiorita (part. da riv. L'Illustrazione Italiana)
Omar Meuricoffre, oltre a distinguersi nel campo della finanza, fu sempre presente in tutte le sottoscrizioni o eventi sociali che pullulavano nella Napoli di fine Ottocento, specialmente nel capo scientifico, artistico e letterario. Finanziò la costruzione di diversi asili infantili, scuole serali, scuole elementari, ospizi e altre opere filantropiche. 
Oscar e la sua famiglia furono anche promotori di opere assistenziali e di aiuti materiali offerti in occasione delle calamità naturali, come durante l’eruzione del Vesuvio, che nell’8 dicembre 1861 colpì duramente la città di Torre del Greco e in occasione dell'altrettanto disastroso terremoto di Casamicciola.
Sala da pranzo della villa Fiorita (da una stampa ottocentesca)

Oscar Meuricoffre morì a Napoli il 4 gennaio 1880, a soli 56 anni. Ai suoi funerali parteciparono migliaia di napoletani, dai più umili ai più altolocati.
Dopo la morte di Oscar, il fratello Tell rilevò tutti gli affari di famiglia e la gestione della Banca, ma non riuscì ad arrestare l’inesorabile declino del patrimonio dei Meuricoffre. La Banca fu rilevata nel 1905, dal "Credito Italiano" e la ex sede dei Meuricoffre diventò la prima filiale di questa banca nella città di Napoli.
Via Capodimonte, in fondo  la primitiva Villa dei Meuricoffre, poi demolita
Tell Meuricoffre fu anche fondatore dell'Ospedale Internazionale in Via Tasso e ne fu il suo primo presidente; all'interno della struttura è ancora presente un busto in marmo a lui dedicato. 
Sotto la spinta dei Meuricoffre fu aperta a Napoli la Scuola Svizzera, ideata, in un primo tempo nel 1811, nella forma di centro educativo. La sede più prestigiosa era ubicata nella centrale Piazza Amedeo a Chiaia, dal 1933 fino al 1967 e poi trasferita a via Manzoni. La Scuola, purtroppo, è stata chiusa nel 1984. 
P.zza Amedeo-Villa Maria, sede della Scuola Svizzera, fondata dai Meuricoffre
La residenza dei Meuricoffre, la Villa Fiorita, è diventata un'importante struttura per ricevimenti, con il nome di Villa Domi.
C’è da aggiungere, a margine di questo curioso racconto storico, che l’idea di coltivare il cotone non era poi tanto una novità nelle nostre zone in quell’epoca. 
Coltivazioni di cotone erano diffuse nei primi decenni dell’800 in diverse provincie del Regno e oltre a Piscinola, soprattutto in alcune zone circostanti la città di Napoli, come a Torre del Greco. Infatti:
Articolo tratto dall'Annuario scientifico ed industriale, del 1863
Nell'Annuario scientifico ed industriale, scritto nel 1863, da F. Grispigni, G. Celoria, F. Denza, A. Usigli, A. Righi, viene riportato un prezioso riferimento sulla Esposizione di Cotoni Indigeni, tenutasi in quell'anno a Napoli, con l'appezzamento del cotone prodotto a Piscinola, a cura di Giovanni Stainer.
Busto in marmo di Tell Meuricoffre
Nel notiziario “Atti del Regio Istituto d’incoraggiamento alle scienze naturali”, si riporta una sostanziosa descrizione delle piantagioni di cotone e dei ricavi industriali attendibili, oltre ad uno studio del clima e della geomorfologia del territorio esistente attorno alla città di Napoli ed in altre terre del Regno delle Due Sicilie. 
In quest’opera si dimostrava, in effetti, la fattibilità tecnico-agraria della coltura del cotone anche nel nostro territorio, come poi sperimentata da Oscar.

Nel Cimitero degli Inglesi in Napoli (Piazza Santa Maria della Fede), oggi giardino pubblico, si trovano i sepolcri di Tell ed Oscar Meuricoffre, con delle belle decorazioni in marmo bianco, anche se purtroppo dimenticati troppo presto dai napoletani... 

Salvatore Fioretto
 
Mappa ottocentesca dei dintorni di Napoli, con evidenziato il tratto di acquedotto realizzato nel territorrio

(Tutti i diritti per la pubblicazione dei testi del blog sono riservati all'autore, ai sensi della legislazione vigente)

(*) Racconto tratto dal Libro "Piscinola, la terra del Salvatore" di S. Fioretto, ed. Boopen, anno 2010.
  
N.B.: Le foto riportate in questo post sono state liberamente ricavate da alcuni siti web, (tra cui http://www.svizzeri.ch), ove erano pubblicate. Esse sono state inserite in questa pagina di storia della città, unicamente per la libera divulgazione della cultura, senza alcun secondo fine o scopo di lucro.
 
 
 
Villa Meuricoffre a Capodimonte (poi demolita)

 
Busti celebrativi in marmo di Oscar e Tell Meuricoffre
 

Villa Fiorita, oggi Villa Domi



L'Illustrazione Italiana, copertina con il particolare della villa Fiorita dei Meuricoffre

domenica 18 gennaio 2015

Padre Rocco...E fu luce...!

Stampa con padre Rocco
Nei secoli scorsi era nota la pericolosità delle strade di Napoli: moltissimi dedali di vicoli e di stradine erano rese impervie e pericolose già all'imbrunire, soprattutto per la mancanza d'illuminazione; la situazione diventava critica, specie quando il cielo era coperto, anche se a volte, in alcuni posti, neppure i tenui raggi argentei della luna riuscivano a poter illuminare per quel poco che bastasse per la sicurezza... Le strade erano buie, ma soprattutto pericolose, perché erano imperversate dai banditi e dai ladruncoli, di ogni genere e destrezza che, approfittando delle tenebre, riuscivano a mettere a segno i loro piani per saccheggi e furti. Poi c'erano anche i sicari e gli assassini che, assoldati, colpivano a morte nobili e anche popolani, resi oggetto di rancori e azioni di vendetta da parte di loro nemici. 
Insomma, almeno fino al XVIII secolo, le strade di Napoli e del suo contado erano proprio insicure, tanto da invogliare i suoi abitanti a restare la sera al sicuro, tra le mura domestiche, specialmente per donne e bambini.
Questa situazione era stata affrontata alla buona da aristocratici e facoltosi che illuminavano, come potevano, le facciate dei loro palazzi nobili e gli ingressi dei loro sontuosi portoni, utilizzando grosse fiaccole o torce, ma la situazione rimaneva insostenibile per il resto della capitale, specie nei quartieri popolari, nei sobborghi e nei suoi numerosi Casali.
Più volte il governo cittadino aveva cercato di porre un rimedio, installando nel vasto territorio delle lanterne alimentate ad olio, ma, inutilmente, questa soluzione aveva avuto i benefici attesi, sia per la limitata diffusione dei punti luce e sia, soprattutto, per la sottrazione del prezioso olio da parte dei più poveri, che per le ristrettezze economiche lo utilizzavano per far fronte alle loro esigenze domestiche... 
Cappella del SS. Sacramento in via V. Emanuele a Piscinola (da"Suburbia e Metropoli")
Quindi i progetti di illuminazione fallivano uno dietro l'altro e non si vedeva proprio una via d'uscita...!
Come per tutte le cose, basta un'idea geniale, a volte semplicissima, per risolvere spesso dei problemi a prima vista insormontabili; questa idea l'ebbe un uomo che fu un personaggio popolare, conosciutissimo nel secolo dei lumi, un umile fraticello, che tanto fece per la città e per il popolo con sue opere di carità: quest'uomo si chiamava Gregorio Rocco ed era un frate dell'ordine di san Domenico. Per tutti i popolani era conosciuto semplicemente con il nome di "Padre Rocco".
Cappelline in vico II Risorgimento Piscinola (foto primi anni '80)
Padre Rocco era un personaggio importante e anche influente per il popolo nel periodo nel quale visse, in quanto persona credibile, carismatica e umile. Era famoso per il suo operato tra gli ultimi e per le sue prediche e i sermoni serali, spesso eseguiti all'ombra della lanterna che un tempo era presente sul molo del porto di Napoli. Consigliere del re Carlo III, fu tra i promotori e tra coloro che incoraggiarono l'opera di costruzione del Real Albergo dei Poveri (Palazzo Fuga in piazza Carlo III): struttura avveneristica per l'epoca dei Lumi, progettata da Ferdinando Fuga con l'obiettivo utopistico di raccogliere tutti i poveri del Regno: si calcola che il progetto originario incompiuto era capace di contenere oltre 8000 persone...! Padre Rocco rappresentava un ideale anello di congiunzione tra la corte reale e il popolo, ma spesso era anche chiamato dall'Arcivescovo di Napoli, in soccorso della Curia, specie quando la situazione si faceva critica in tema di ordine pubblico, quando la sicurezza pubblica diventava poco gestibile anche con la forza dei soldati. Era l'unica persona capace di placare gli animi turbolenti della plebaglia e di disperdere quei facinorosi in animo di guerriglia.
Cappella in ricordo delle S. Missioni in via M. delle Grazie
Padre Rocco constatò le difficoltà in tema di sicurezza delle strade cittadine e ben pensò d'incoraggiare moltissime persone ad edificare ad ogni vicolo e ad ogni angolo di strada della città e del contado, numerose edicole e cappelle votive e quindi a illuminarle ogni sera, come una pratica devozionale quotidiana. Così fu subito fatto...! Napoli divenne la prima grande città europea a possedere un impianto di illuminazione pubblico, grazie alla trovata geniale di un personaggio semplice e modesto, il domenicano Padre Rocco!
Quando Padre Rocco morì, tutto il popolo lo pianse amaramente e a lungo, perché capì che aveva perso un grande padre spirituale e una figura carismatica insostituibile. 
Ecco cosa scrisse il celebre Alessandro Dumas in quella circostanza: "Nel corso dell'anno 1782 morì a Napoli, in età di 82 anni, un monaco domenicano, più popolare, e più celebre pe' suoi sermoni, di quel che non sono stati in Francia Flechier, Fenelon, Bossuet, ed anche il piccolo Padre Andrea di faceta memoria. Questo monaco si chiamava Padre Rocco. Egli era più potente a Napoli del Sindaco, dell'Arcivescovo, ed anche del Re." 
Cappellina in via S. Maria a Cubito (nei pressi del Ponte di S. Rocco)
I primati di Napoli in tema di illuminazione pubblica non finirono con l'esperienza eclettica di Padre Rocco, ma continuarono nel secolo successivo, sulla scia del progresso e delle nuove invenzioni tecniche; infatti, un secolo dopo, Napoli fu una delle prime città europee ad essere illuminata in maniera capillare con un impianto di illuminazione a gas (la sperimentazione con un'impianto pilota fu eseguita al colonnato della basilica di S. Francesco di Paola). Nel 1839 la città già possedeva una rete con 350 punti luce alimentati a gas! Seguì, poi, l'illuminazione elettrica, il cui primo esperimento pilota in Italia fu realizzato proprio a Napoli, nei viali del parco di Capodimonte, quando regnava ancora la dinastia borbonica (1852).


Cappellina M. SS. Addolorata in via Napoli a Piscinola
Anche nel nostro quartiere sono state edificate nei secoli cappelle ed edicole votive, sia in cortili che in strade pubbliche, diffuse anche negli atri dei palazzi e sui pianerottoli delle scale. Non ci dimentichiamo che questa usanza di porre immagini sacre, considerate protettrici della comunità e dell'ambiente domestico, ha dei retaggi storici che risalgono ai tempi dei Romani, quando si edificavano altari dedicati ai dei Lari e si offrivano ad essi libagioni quotidiane e in determinate ricorrenze.
Le edicole sono state per secoli punti di riferimento nel panorama geo-antropologico cittadino e spesso hanno influenzato la denominazione di luoghi e strade; un esempio per tutte è l'incrocio di via Napoli a Piscinola con via Vecchia Miano, dove la presenza di una edicola votiva dedicata alla Madonna Addolorata ha condizionato, non solo il toponimo del luogo, infatti è ancora oggi indicato dagli abitanti come 'a Fiurella, ossia "luogo dell'immagine", ma anche la strada è stata riportata nella prima mappa castale, redatta a fine Ottocento, con la denominazione di Via Figuretta.  
Cappella della Madonna Immacolata in via Del Salvatore a Piscinola
Ricordo che fino a qualche anno fa, il 15 di settembre, giorno della festa liturgica della Vergine Addolorata, gli abitanti originari di 'Abbascio Miano (via Vecchia Miano), che nei decenni precedenti erano stati trasferiti e dispersi  nei vari rioni di Scampia, per il Programma di Ricostruzione del Dopoterremoto, si ritrovavano ogni anno ai piedi di quest'immagine, adottata come un luogo simbolo delle loro origini, come per non dimenticare il loro legame con il territorio, e qui solevano far festa tutti insieme, in maniera spontanea.
A queste cappelle si sono aggiunte anche steli e monumenti, pure essi illuminati di notte con candele e lumini, sormontati da croci di legno o in ferro, che ricordano le Sante Missioni popolari tenutesi nel territorio nei secoli precedenti, ad opera di ordini religiosi, come passionisti, gesuiti e redentoristi. Nel nostro territorio ne troviamo molte, anche se diverse sono state abbattute negli ultimi decenni. In via Madonna delle Grazie è presente una cappella con il crocifisso dipinto su tavola di legno, che ricorda le Sante Missioni tenute in quel luogo negli anni '50.
Cappellina di S. Rocco in via S. Maria a Cubito
Questa immagine sacra un tempo era posta in un'edicola, proprio sul margine della strada, tuttavia, con la costruzione dell'edificio privato adiacente, è stata amorevolmente inglobata in una cappella all'interno del palazzo, perché se ne conservasse la sua memoria. Altre stele si trovano in via Marco Rocco da Torrepadula, Piazza Chiesa a Marianella e in Via S. Maria a Cubito (ai confini con Mugnano). Mentre il crocifisso in ricordo delle Missioni, che un tempo era addossato alla base del campanile della chiesa parrocchiale del SS. Salvatore, è stato eliminato durante i lavori di ampliamento della facciata, realizzati intorno agli anni '50 del secolo scorso. Tra le missioni  eseguite a Piscinola, sono ancora ricordate dagli anziani quelle svolte negli  anni '50 da un umile sacerdote gesuita, che tutti chiamavano semplicemente Padre Juè.  
Nei secoli scorsi imponenti sono state le Sante Missioni organizzate nel territorio dai vari santi e beati, quali: S. Francesco Geronimo, Beato Gennaro Maria Sarnelli, S. Gaetano Errico. Dello stesso S. Alfonso Maria de Liguori è descritta nella sua biografia la dispendiosa Santa Missione da lui condotta a Marianella e a Porta Piccola di Capodimonte, quando aveva all'incirca 56 anni, prima di ammalarsi gravemente per l'esaurirsi delle sue forze...!
Cappellina di S. Antonio in via Vecchia S. Rocco
Il cardinale Spinelli fu uno stenuo promotore delle Missioni, convinto di far fronte, con questi eventi straordinari, allo stato di profondo abbandono spirituale e morale in cui versava la popolazione napoletana e quella del suo contado.
Tra le edicole artisticamente più belle presenti nel territorio sono da menzionare quella di Via del Salvatore, dedicata alla Madonna Immacolata, quelle in via S. Maria a Cubito, dedicate a S. Antonio (Chiaiano) e San Rocco (Frullone). Singolare poi è quella edicola presente in via Croce a Chiaiano, realizzata dentro ad un caratteristico arcosolio in terrapieno, con ingresso allineato al margine della strada. Molte edicole invece sono state abbattute per il Programma di Ricostruzione già accennato, come la cappella della Madonna del Carmine presente alla sommità della Carrara (vicoletto di via Vecchia Miano), l'edicola di S. Anna  nelle stessa strada precedente, la cappella del Sacramento, in via V. Emanuele e molte cappelle presenti nei vicoli del nostro antico Cape 'e coppe e Cape 'a chianca... come le due raffigurate in questa pagina, un tempo presenti al vico II Risorgimento.
Ruderi di antica cappellina in via Dietro la Vigna a Piscinola
Purtroppo all'epoca della distruzione non era ancora sviluppata la cultura della conservazione di queste opere, che oggi possiamo definire "opere d'arte spontanee e di devozione popolare", ma si è pensato che demolendo il "vecchio" e ricostruendo il "nuovo", con edifici in stile cosiddetto moderno, semplici, essenziali, funzionali..., si potesse migliorare la vivibilità del territorio, allora considerato degradato, ma in realtà la distruzione di un contesto antropico preesistente, assieme ai propri simboli, ai luoghi chiave e ai punti di riferimento, che erano radicati in una popolazione che si succedeva da secoli, di generazione in generazione, ha causato disaffezione, anonimia e distacco dei nuovi abitanti dal constesto urbano che li contiene, al quale non si sentono appartenenti e, forse, non hanno nemmeno gli stimoli per amarlo... 
Salvatore Fioretto 
(Tutti i diritti per la pubblicazione dei testi del blog sono riservati all'autore, ai sensi della legislazione vigente)  

 
Cappella della Deposizione in via Croce (Chiaiano)

Antico affresco di un santo (S. Francesco?) nella scalea del palazzo Chiarolanza (Piscinola)

giovedì 8 gennaio 2015

La storia della fanciulla con la capretta....(la Ciociara)


Siamo in pieno inverno; trascorse le festività del Natale e del Capodanno, il mondo si appresta a riprendere i suoi ritmi abituali e con essi riprendiamo anche il tran tran della nostra quotidianità.
Abbiamo purtroppo quasi del tutto perso quell'atmosfera quasi surreale, direi magico-primordiale, che un tempo ci legava alle antiche usanze e alle tradizioni che seguivano i ritmi della natura e della terra, usanze queste che erano tipiche espressioni della civiltà contadina...
Una volta, infatti, questo periodo dell'anno era vissuto con spirito di attesa e di speranza, perchè rappresentava la fine del periodo di raccolta, un momento quasi di stasi e di riflessione, in attesa del rinnovarsi della ciclicità delle stagioni, con l'imminente risveglio primaverile.
La mente ritorna però ai tempi dell'infanzia, quando le interminabili ore di buio favorivano la raccolta della piccola comunità familiare attorno al caldo ed accogliente focolare scoppiettante, che rappresentava una simbolica "agorà domestica", un luogo che permetteva, anzi favoriva, gli incontri generazionali tra vecchi e giovani; un luogo che consentiva il travaso di tradizioni e di ricordi, quasi un piccolo proscenio adibito alla narrazione e all'espressività popolare e contadina, attraverso la rappresentazione del “cunto”... Lo stare insieme attorno al focolare era un'occasione, per gli anziani, per narrare racconti ed antiche leggende, che potevano così essere tramandate di padre in figlio, secondo una consuetudine messa in atto chissà già da quanti secoli prima...!
Il ponte detto "delle Cesinelle", nella selva di Chiaiano
Quelle raccontate erano delle storie fantastiche, spesso animate da personaggi immaginifici, il cui operato rasentava il magico, ma spesso erano anche delle storie vere, che nel tempo avevano perso la reale appartenenza al contesto storico vissuto, per diventare solamente un racconto leggendario: una leggenda...! Questi “cunti” e leggende avevano anche uno scopo educativo, perché la morale che si celava dietro il lieto o triste finale del racconto, era finalizzata a fornire un esempio pratico ai ragazzi, da poter imitare durante la loro vita oppure serviva a trasmettergli un'esperienza negativa vissuta, onde evitare il loro ripetersi.
Negli ultimi anni tanti scrittori, molti appartenenti al nostro territorio, hanno lavorato con encomiabile spirito di ricerca, per raccogliere questi “cunti”, le storie di personaggi e i racconti, affinché potessero essere pubblicati in nuove opere. Molti di questi lavori risultano veramente belli... La loro attività è stata mirata a favorire la conservazione antropologica di questi valori, in quanto rappresentano dei beni culturali immateriali, appartenenti a tutta la collettività. Tra questi ricercatori/scrittori basterà ricordare Domenico De Luca, Giovanni Baiano, Salvatore Vacca, Carmine Cecere, Franco B. Sica, Luigi Sica, e tanti altri ancora.
Dei tanti "cunti" e leggende che ho letto o ascoltato in questi anni, mi piace riportare (il riassunto) di quella che mi ha particolarmente colpito, per la sua dolce e mesta storia e per la straordinaria umanità raccontata... Ho pensato d'intitolarla “La storia della fanciulla con la capretta”, poi si capirà il motivo...

Un disegno trovato in web, sorprendentemente corrispondente alla storia
Siamo nella Chiaiano dei tempi antichi, precisamente in aprile, quando nella sterminata Selva, disseminata di numerose masserie, si avvertiva già l'arrivo della primavera, tra lo sbocciare dei fiori selvatici del sottobosco e i canti delle numerose specie di uccelli che incominciavano a nidificare. Ad un certo punto, negli antri deserti della selva, apparve una giovane fanciulla, che andava in giro scalza, con lunghi capelli sciolti e vestita a malapena con un lenzuolo verde avvolto attorno al suo esile corpo. La ragazza era sempre accompagnata da una piccola capretta, spesso intenta a pascolare. Questa singolare presenza fu notata da molti chiaianesi e abitanti della Selva, che subito iniziarono a incuriosirsi e a formulare tante domande sulla provenienza. Molti si chiedevano, poi, il perché del suo andare solitario e della presenza di una capretta... La fanciulla trascorreva infatti le sue giornate portando a pascolare la sua capretta nei punti più selvaggi e impervi della Selva.
Qualche curioso tentò di inoltrarsi nella boscaglia per cercare di spiare i movimenti, della ragazza e della bestiola, ma ebbe modo di constatare, stupito, lo sparire nel nulla dell'insolita coppia, tanto che qualcuno incominciò anche a pensare che si trattassero di fantasmi... Dopo tanti appostamenti si riuscì ad appurare che di notte la strana coppia si riparava nelle grotte delle cave presenti nel territorio. Qualcuno sparse la voce che si trattasse di una ragazza sbandata, scappata dalla Ciociaria e che, girovagando a lungo, era giunta fino in quel luogo, e per tale motivo le fu affibbiato il nomignolo di "Ciociara".
Con l'avanzare della bella stagione la ragazza usciva di buon'ora dal suo nascondiglio, sempre per portare a pascolare la sua capretta; nei giorni di pioggia, invece, se ne restava al coperto, nelle grotte, attendendo che i sentieri si asciugassero dalla rugiada al ritorno del bel sole.
Ciclamini selvatici nella Selva
Il suo girovagare spesso si spingeva fino ai Camaldoli, percorrendo pendii, cupe, canaloni disseminati tra i boschi dei fitti castagneti della Selva. Intanto, dopo l'autunno caldo, sopraggiunse il gelido inverno e molti pensavano che la misteriosa fanciulla avrebbe fatto ritorno nella sua terra d'origine. Ma non fu così, perché anche con il gelo e la pioggia si vide la ragazza andare in giro a portare la sua capretta a pascolare, sempre a piedi scalzi e un lenzuolo verde per abito.
Molte contadinelle della zona, mosse da pietà, le portavano degli avanzi di cibo, deponendoli in scodelle all'ingresso delle grotte, dove si pensava che ella dimorasse la notte. Altri intanto, sempre in segno di pietà, pensarono di portare indumenti: chi un vecchio cappottino, chi una coperta, chi delle ciabattine o delle calze di lana. 
Questa storia intanto andava avanti da quasi un anno e a Chiaiano non tramontavano ancora i dubbi e i tanti perché sulle sue misteriose origini, e qualcuno incominciò a pensare che dovesse essere scappata dal suo paese dopo aver commesso qualche grave reato o  qualche malefatta imperdonabile.
Qualcuno raccontava di aver sentita la sua melodiosa voce, mentre parlava con la capretta: appariva quello come un colloquio tra due amiche o tra due sorelle..., altri invece dissero che l'avevano sentita cantare dolci e melodiose canzoni.
Fanciulla con capretta
Intanto le dicerie sul conto della ragazza andavano man mano crescendo e c'era chi era disposto a giurare che ella fosse una strega, che l'avevano vista saltellare qua e là tra alberi, tra burroni e canali e, chi, vederla prima scomparire e subito riapparire...! Altri raccontavano di averla seguita e di aver visto poi il suo volto, che era orribilmente brutto, altri invece affermavano che era molto bella, come un angelo, anzi come la Madonna..., con i capelli d'oro e gli occhi azzurri, oppure che l'avevano vista camminare, senza toccare terreno...! C'era pure chi contrastava i primi avventori, sostenendo, invece, che gli occhi della ragazza erano belli ma corvini, molto scuri. Insomma si era giunti al punto che ognuno, pur di parlare, diceva una qualsiasi sciocchezza, e spesso la più grossa possibile, solo per il piacere di far scalpore e stupire gli altri! Intanto la gente aveva paura, soprattutto le donne e i bambini piccoli...
Qualcuno addirittura arrivò a sostenere che la ragazza viveva di nascosto con un uomo, il quale si guardava bene dall'uscire dalle grotte dove si rifugiava, per non farsi scoprire.
Un bel giorno, verso febbraio, la ragazza non si vide per un po’ di tempo, mentre si poteva ancora osservare la sua capretta pascolare nella Selva, specie verso mezzogiorno, quando la bestiola usciva da sola dal nascondiglio. 
Furono in molti a temere per la salute della fanciulla. 
Si pensò di seguire la capretta per individuare il nascondiglio della fanciulla e prestare eventualmente dei soccorsi. Purtroppo non fu possibile, perché la capretta era solita scomparire tra i cespugli, facendo perdere subito le sue tracce.
In parecchi furono quelli che si misero alla ricerca della dolce fanciulla, rovistando tra le tante grotte della Selva, ma niente..., nessuna traccia fu trovata, sia della ragazzina che della capretta. 
Si iniziò allora a mormorare che la fanciulla potesse essere scappata... 
Intanto erano in molti che continuavano a portare del cibo depositandolo agli ingressi delle cave, dove la ragazza era stata vista in passato, pur sapendo che anche gli animali selvatici affamati potevano nutrirsi di quel cibo di notte, facendoli illudere... ma occorreva pur tentare...
Calda atmosfera domestica di un tempo...
La situazione andò avanti per alcuni giorni, finché un contadino diede finalmente la notizia che tutto il paese attendeva con trepidazione, ossia di aver visto verso mezzogiorno la pastorella far pascolare la sua capretta ai limiti della Selva, lì dove egli aveva il suo podere. 
Ovviamente tutto il paese emise un grosso sospiro di sollievo...!
La ragazza era ormai diventata parte integrante del territorio, era stata adottata dagli abitanti e la sua presenza non destava più la morbosa loro curiosità iniziale, anzi la fanciulla era vista come una specie di mascotte comunitaria rassicurante, addirittura come una persona di famiglia!
Ritornò la primavera ed era piacevole per tutti osservare, con il risvegliare della natura, questa giovane fanciulla saltellare con la sua capretta, in piena libertà, tra viole e ciclamini odorosi, tra colline e siepi, tra cupe e canaloni. Era una simbiosi perfetta con la natura incontaminata del territorio della Selva... La sua presenta gioiosa, i suoi canti melodiosi, le capriole che spesso si potevano osservare a distanza, destavano allegria e gaiezza nei cuori di tanti.
Il ponte detto "delle Cesinelle" nella Selva di Chiaiano
Orami gli abitanti avevano capito che occorreva rispettare la tranquillità della sua esistenza e la sua libertà, senza più cercare di avvicinarla.
Ad un certo punto, mentre tutto faceva sperare che la vita di questa ragazza continuasse in armonia con questo territorio, sparì nel nulla insieme alla sua capretta e non fu più vista...
Iniziarono di nuovo le ricerche e con esse, le ipotesi, i sospetti... L'assenza di quelle due figure misteriose portarono tristezza e malinconia tra gli abitanti della Selva e di Chiaiano. Non si udivano più il canto melodioso della fanciulla e il belare della sua piccola capretta, ma c'era solo tanta solitudine e i soliti rumori freddi e cupi della boscaglia...
Fanciulla con capretta
Il mistero si colorò di leggenda quando, a distanza di tanti anni, durante la costruzione del ponte di tufo, detto delle "Cesinelle", furono trovate durante gli scavi, vicino a un cippo con l'affresco di una Madonna col bambino, anche delle piccole ossa di una persona morta giovanissima e quelle di una bestiola. Tutti pensarono subito alla fanciulla e alla capretta che tanti anni prima erano scomparsi nel nulla... Molti ipotizzarono che la piccola fanciulla potesse essere stata vittima di un bruto o sia morta di stenti e di freddo.
Purtroppo non lo sapremo mai...!
Salvatore Fioretto
(Tutti i diritti per la pubblicazione dei testi del blog sono riservati all'autore, ai sensi della legislazione vigente)

La storia da me riportata in questo post è stata liberamente riassunta dal bel racconto scritto dal gen. Giovanni Baiano, dal titolo "La ciociara", contenuta nel libro di racconti "I figli della selva" (sottotitolo: "I personaggi della mia infanzia"), ed. Collana Poetica Campana, anno 2007. Il libro rappresenta, secondo me, un unicum di letteratura e di narrativa popolare, un vero esempio di ripresa e di conservazione culturale delle tradizioni, vanto del nostro territorio e per questo rimando i lettori alla sua approfondita e interessante lettura.

Scorcio della Selva di Chiaiano