domenica 15 marzo 2015

Piscinola, Secondigliano, Miano e Marianella: il giardino di caccia di Sua Maestà, il Re!


Carlo di Borbone
Carlo Sebastiano di Borbone, meglio conosciuto col nome di Carlo di Borbone, nacque a Madrid nel 1716 (era il figlio del re Filippo V di Spagna sposato in seconde nozze con la duchessa Elisabetta Farnese), fu in origine duca di Parma e Piacenza, con il nome di Carlo I, ma grazie all’abile diplomazia e alle intercessioni politiche messe in atto da sua madre, Elisabetta Farnese, riuscì, nel 1734, a diventare il monarca di una nuova e autonoma dinastia nel Regno di Napoli e di Sicilia; trono che resse fino al 1759, con il nome di Carlo di Borbone (o Carlo VII), quando dovette partire per la Spagna; chiamato a reggere quel Regno, per la prematura morte del fratellastro Ferdinando VI. In Spagna divenne Carlo III e rimase in carica fino alla sua morte, avvenuta a Madrid, nel 1788.
Carlo fu un sovrano illuminato, perché riuscì nel corso del suo breve regno napoletano a realizzare imponenti riforme e opere pubbliche, riportando il Regno di Napoli nel novero dei più importanti Stati d’Europa. Ma, oltre ai suoi pesanti impegni politici e di governo, Carlo aveva diverse passioni e la sua via è stata un continuo interesse, diremo quasi maniacale, nel coltivarle o praticarle, ricordiamo: la musica, la pittura, la scultura, l’archeologia, le porcellane, la seta, ma di più su tutte prevalse la caccia: la sua passione per eccellenza, passione che esercitava fin dalla gioventù, quando era ancora duca di Parma e Piacenza.
Reggia e Parco di Capodimonte visti da una foto aerea
Quando Carlo divenne Re di Napoli e di Sicilia, nel 1734, diede subito l’incarico di far realizzare alcuni siti dove poter praticare questa sua “innocente passione” venatoria insieme alla sua vasta corte…. Il primo sito ad essere realizzato fu proprio il Real sito di caccia di Capodimonte, pensato per prima forse per meglio sfruttare questo enorme polmone verde sito alle porte della capitale e vicinissimo alla Reggia, dove risiedeva la Sua corte.
Il Real sito di caccia di Capodimonte fu completato in soli quattro anni e comprendeva anche una residenza per rinfrancare i partecipanti (la corte reale e gli ospiti), nel corso delle faticose scorribande di caccia. Ben presto, però, maturò in Carlo il progetto di una grande reggia da realizzare a Capodimonte, per dare una degna sede alla ricca Collezione Farnese, ricevuta in dono da sua madre Elisabetta. L'incarico per la costruzione della Reggia venne affidato a Giovanni Antonio Medrano, mentre la parte antistante alla futura Reggia fu attrezzata con un giardino all’inglese, progettato dal botanico Friedrich Dehnhardt.
Il Real sito di caccia di Capodimonte fu poi oggetto di imponenti lavori di perimetrazione, con innalzamento di una cortina di tufo, lavori che risultarono già ultimati nel 1736. Il Sito risultò sempre indipendente dalla Reggia e accessibile da questa solo attraverso la cosiddetta “Porta di Mezzo”.
Casina Vanvitelliana di caccia al Fusaro
Passarono altri anni, ed ecco che nel 1742 Carlo di Borbone affidò all’architetto Ferdinando Sanfelice l’incarico di progettare e organizzare l'enorme estensione del sito di caccia, in un parco per la corte. Nel nuovo parco sarebbero stati piantumati alberi pregiati, come Lecci, Tigli, Querce, Castagni e Olmi, ecc., e realizzati tanti viali, sentieri, larghi con fontane, statue e delle piccole architetture. All’opera di Capodimonte, oltre al Sanfelice, lavoreranno anche gli arch. Domenico Antonio Vaccaro e Antonio Canevari.
Nella parte settentrionale del parco fu costruito il Casino della Regina e in questa zona del giardino vennero piantumate piante esotiche, in modo da creare l’atmosfera migliore per l’edificio che era destinato ad ospitare i reali durante la caccia e le feste “private” dei vari personaggi che animavano la vita di corte; poco distante fu piantato anche un agrumeto.
Ai confini con il Cavone di Miano, poi, fu realizzata la Fagianeria, mentre un’altra zona fu delimitata e chiamata “Caccietta delli Beccafichi”, per la prevalente presenza di questa specie di uccelli.
Nella Fagianeria fu realizzato un edificio, denominato “Casa dei Fagiani forestieri”, in quanto destinato alla schiusa e al ricovero dei fagiani provenienti dall’estero (Cina, America, ecc.) e anche dei Pavoni. La caccia ai Fagiani era però quella prediletta da Carlo, infatti l’allevamento di questi volatili era molto praticato nelle varie riserve reali campane.
Carlo di Borbone con l'abito di Cavaliere dell'Ordine di S. Gennaro
Il Bosco di Capodimonte risultava per estensione, vegetazione e conformazione del territorio, ideale come sito di caccia e, poi, il contado circostante, disseminato di Casali, di campi, di pianure, di valloni e di colline, con acquitrini, canneti, torrenti e lagni, era il luogo ideale per poter sviluppare l’allevamento e la pratica venatoria.
Al completamento dei lavori, i numeri del Parco di Capodimonte erano imponenti, infatti presentava (come presenta ancora oggi), un’estensione di circa 134 ettari di verde, coltivati con diverse varietà e specie arboree, molte esotiche e rare (Qui sono rappresentate circa 400 entità vegetali, classificabili in 108 famiglie e 274 generi, di cui il 14% sono specie esotiche, quasi tutte impiantate tra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento). All’interno del suo perimetro erano stati realizzati sedici edifici architettonici, tra residenze, casini, fabbriche per  artigianato, depositi e chiese, oltre a fontane, statue, dispositivi per la caccia, orti e frutteto (quest'ultimo chiamato Giardino delle Delizie). La Porta di Mezzo conduceva a un grande emiciclo, dal quale si apriva un ventaglio costituito da lunghi viali alberati. Queste scenografie naturalistiche, abilmente studiate dal Sanfelice e dagli altri architetti, con l'aggiunta di statue, di fontane e di altri elementi decorativi, conferivano al sito un tocco di originalità e di squisita raffinatezza, che esaltava e rendeva lustro alla corte, agli occhi dei visitatori stranieri. La diversificazione botanica del parco era scelta in relazione al tipo di caccia praticata dal re, per cui, a zone sistemate "a boscheto", con l'impianto di alberi ad alto fusto, come castagni, carpini, lecci ed olmi, si alternavano altre zone sistemate con bassi cespugli, con l'uso di essenze della flora mediterranea rappresentate dal Lauro, dal Mirto, dall’Olivella e da altre specie arboree; non mancavano poi acquitrini con rane e ampie distese a prato o in battuto. Completavano l'impianto del sito reale le aree coltivate per la produzione di alimenti per gli animali domestici e per la selvaggina, quest'ultimi erano allevati in appositi recinti e ricoveri. I prodotti orticoli e la frutta, ricavati anch'essi dalle coltivazioni presenti nel parco, erano utilizzati per le necessità della corte. 
Forse per il preesistente sito di caccia o forse per la densità della vegetazione lussureggiante, l’area verde di Capodimonte è stata sempre chiamata dai napoletani con il toponimo di “Bosco”.
Dipinto equeste del re Carlo
Non è da escludere che le battute di caccia si spostassero anche al di là del recinto del Bosco di Capodimonte, per interessare anche il contado e le campagne dei Casali posti all’interno del “Miglio” reale, come Miano, Piscinola e Secondigliano. Il Bosco di Capodimonte, farà poi parte di una moltitudine di siti di caccia che la dinastia reale dei Borbone di Napoli volle realizzare nel corso dei decenni successivi alla partenza di Carlo in Spagna, siti sparsi soprattutto tra il circondario di Napoli e di Terra di Lavoro; citiamo ad esempio: il parco della Reggia di Portici, il parco della Reggia di Caserta, il Lago di Agnano, la tenuta di Licola, Capriati al Volturno, la Tenuta degli Astroni, la real tenuta di Carditello, la Real tenuta di Persano, la Selva di Caiazzo, il Casino del Fusaro, il Casino di Quisisana (Castellammare), Mondragone, il Demanio di Calvi e altri siti reali ancora.
Questi siti non erano solo destinati ad essere luoghi per lo svago per la corte, ma furono anche utilizzati come delle vere e proprie aziende agricole o centri manifatturieri; essi rappresentavano una sorta di sperimentazione della nascente imprenditorialità, secondo le nuove idee illuministiche che incominciavano ad affermarsi ai tempi di Re Carlo. La produzione della seta a San Leucio, la pesca al Fusaro, gli allevamenti della Tenuta di Persano e gli allevamenti della Fagianeria di Caiazzo, rappresentano un validissimo esempio.
La selvaggina è stata sempre nei secoli scorsi oggetto di attività di bracconaggio e certamente quella di "proprietà reale" non poteva essere meno ambita e priva di attenzione...! Probabilmente, nei decenni successivi alla realizzazione del real sito di caccia di Capodimonte, la zona ad esso adiacente fu spesso imperversata da ladruncoli e da cacciatori fuorilegge che praticavano il bracconaggio e la caccia indiscriminata agli animali in transito per il real Bosco, alcune volte erano i nobili e gli aristocratici, proprietari delle tenute circostanti, a cacciare senza autorizzazione, ma spesso erano gli stessi contadini a catturare gli animali e gli uccelli, per difendere il raccolto dei loro campi oppure i loro allevamenti. Più volte re Carlo era stato costretto ad intervenire, emanando bandi e provvedimenti con sanzioni, indirizzati ai contravventori. Questi provvedimenti reali, per quanto severi, non avevano raggiunto l'effetto desiderato, e gli animali continuavano a scomparire...!
Ma ecco che nell’anno 1756 il Re Carlo passò a un’operazione di dissuasione più energica ed efficace, facendo disegnare una mappa e delimitando un’ampia area attorno al Bosco di Capodimonte, di raggio pressappoco un miglio, onde vietare qualsiasi attività venatoria illecita. Oltre a sancire il divieto (anche per scoraggiare i soliti distratti…), fece rendere visibile la linea di confine, apponendovi dei cippi dissuasori in pietra, posti con un certo intervallo, lungo le vie pubbliche e vicino ai monumenti e agli edifici.
Carlo di Borbone, statua nel Palazzo Reale di Napoli
L’Editto Reale, che è contenuto nella cosiddetta “Prammatica V”, del 20 settembre 1756 (che qui alleghiamo per intero), risulta essere un documento storico eccezionale, perché riporta una descrizione dettagliata di chiese, residenze nobili, osterie, masserie, strade regie e limitoni, presenti all’epoca dei fatti, spiegando chiaramente la successione di queste strutture, via via incontrate nel percorso e il nome dei suoi proprietari. Purtroppo non abbiamo trovato il grafico allegato, ma abbiamo eseguito una ricostruzione abbastanza attendibile su altre mappe, più o meno coeve.
Seguendo il percorso nel territorio di Piscinola, risulta che la confinazione divide l’abitato del Casale praticamente in due parti, anche se nel bando viene precisato che i Casali di Piscinola e quello di Secondigliano, insieme alle masserie e alle abitazioni rientranti in quella zonizzazione, erano da considerarsi esclusi da tale divieto. Interessante è la citazione della Chiesa del Salvatore e della Chiesa della Madonna delle Grazie, come rilevanze architettoniche di riferimento, sono anche citate la Cappella e il Palazzo de Luna, le masserie di Donna Romita, S. Giovanni a Carbonara e di S. Agostino Maggiore (detta "della Zecca"). Altro riferimento importante risulta essere il tenimento posto di fronte alla chiesa del Salvatore, che era denominato “Supportico dei PP. Gesuiti”.
Battuta di caccia sul lago Fusaro
Nel 1817, la Fagianeria di Capodimonte fu in parte trasformata da re Ferdinano IV per realizzare l’“Eremo dei Cappuccini”, mentre la restante parte della struttura sopravvisse fino al 1943, quando fu distrutta dai bombardamenti alleati.
Fino agli anni '50 del secolo scorso non era raro incontrare nel circondario del Bosco di Capodimonte, anche nei campi di Piscinola, alcune Volpi in fuga, oppure ammirare, sul bordo del muro del Bosco, i Pavoni che mostravano la colorata ruota, mentre ancora oggi qualche raro esemplare di Upupa, Barbagianni, Poiana o Civetta, sono i frequentatori di questo straordinario polmone di verde cittadino a Capodimonte.




Prammatica V (Pragmaticae edicta decreta interdicta regiaeque sanctiones Regni Neapolitani….) Anno 1756

 Siccome i molti, e diversi Bandi finora pubblicati per lo divieto di cacciare così nel Real Bosco di Capodimonte, come nel miglio di circonferenza che il cinge, non solo per gli equivochi sorti intorno alla circonferenza suddetta, ma per la varietà eziandio delle pene non hanno incontrata la dovuta ubbidienza, e vien tuttavia colà disturbata la caccia, ch’è riserbata all’innocente piacere della Maestà del Re N.S., così rimanendo i medesimi affatto aboliti, in esecuzione di più Sovrani ordini pervenuti a questa Superiore Delegazione della sua Real Casa, e  Corte promulghiamo questo Bando in istampa, che contiene non meno la precisa esattezza della suddetta confinazione disegnata eziandio, e circoscritta con termini di pietra, che la distinzione ancora delle pene dovute a contravveggenti.
Ricostruzione grafica della confinazione del "Miglio" con divieto di caccia
I.          Il giro della suddetta confinazione del miglio prende il suo cominciamento dalla Fabbrica del Reclusorio de’ Poveri, e proseguendo per la strada Regia alla Gabella degli Otto Calli, ed a Capodichino piega sulla sinistra della strada parimente Regia, che passando per mezzo le due Masserie l’una del Marchese Pollice a destra, l’altra di D. Francesco de Auxiliis a sinistra, mena a Secondigliano. Nell’ultima parte del qual Casale lasciandosi la suddetta strada Regia si volge per l’altra pubblica, il cui piegandosi sempre sulla sinistra s’incontra, la Masseria di Donna Romita, il Territorio del Monte della Misericordia, nel mezzo del quale territorio è il Limitone, che conduce diritto verso il Termine del Territorio de’ PP. Gesuiti, donde comincia, e continua l’altro Limitone, che conduce fino al Supportico detto de’ medesimi PP. Gesuiti rimpetto alla Parrocchia del Casale di Piscinola. Quivi rivolgendosi a sinistra, o sia verso Oriente si prende la strada che conduce alla Cappella della Madonna delle Grazie, dalla quale piegandosi a destra o sia verso Occidente s’entra nell’altra strada che conduce alla Casa con Cappella de Luna. Si prosegue quindi per lo Limitone che cominciando in faccia alla suddetta Cappella, passa per mezzo della masseria di San Giovanni a Carbonara, dalla qual s’imbocca nell’altro Limitone, che passa entro la masseria di Sant’Agostino Maggiore, e termina nel mezzo della strada innanzi l’Osteria detta del Sambuco, ove vedersi uno de’ termini lapidei apposti per disegnare la detta confinazione. Dalla suddetta strada si passa in un altro Limitone, che radendo la masseria del Principe di Belvedere giunge fino alla Valletta o sia il Cavone chiamato Saliscendi, e proseguendo verso la masseria del Marchese Valva, che rimane alla destra, indi l’altra di D. Cristoforo d’Onofrio, ch’è chiusa sulla sinistra, poscia la masseria di S. Giuseppe de’ Ruffi, ch’è sulla destra, s’entra nella strada pubblica, che conduce verso l’Osteria dello Scutillo, e continuando guida fino all’altra Osteria detta de’ Celsi o sia Taverna Nova. Dalla detta Taverna Nova si prende la strada, che passa innanzi a la cappella, e la Casa di D. Carlo Mauro, e si continua fino al principio del muro del Giardino di S. Vincenzo, e volgendo a sinistra si passa innanzi la porta maggiore della Chiesa di S. Gennaro de’ Pezzenti, indi si prende la strada, che mena alla Casa di D. Alesio Fasuli, dal portone della quale Casa la suddetta strada piega verso la Casa del Sarto Domenico Vicidomini, la quale rivolge verso la Chiesa di S. Severo. Dal largo, ch’è innanzi la quale Chiesa s’imbocca nel Vicolo, che diritto mena alle Case del Principe Salernitano, e dall’angolo delle medesime Case si passa nell’altro vicolo, che cala alla Casa di Andrea d’Andrea. Dall’angolo della quale casa si volge diritto verso la Casa, detta il Palazzo Cento Gradi, onde si entra nel Vicolo, che conduce fino alla Chiesa della Pacella, a cui succede l’altro detto la Scesa de’ Saponari, e poscia l’altro, che direttamente conduce fino alla porta della Chiesa di S. Maria degli Angioli. Quivi il confine vien dinotato dalla filza delle Croci che sono nel largo ch’è innanzi la suddetta Chiesa, in modo che quello spazio, che rimani fuori delle suddette Croci, sulla destra è libero. Secondo la direzione delle medesime Croci si cala alla strada  Regia,  si perviene al suddetto Reclusorio de Poveri, in cui viene a compiersi il di sopra cominciato giro del miglio.

Particolare del "Miglio" nei Casali di Secondigliano, di Piscinola e di Miano
II.       Il medesimo giro oltra dell’essersi confinato co’ termini di pietra, per chiarezza maggiore si è tutto disegnato col cammino delle Strade, e de’ limitoni, che vi s’incontrano, nel corso delle quali secondo il confine di sopra additato rimane sempre vietata la parte sinistra, libera, e sbandita la destra. In ispiega della quale generale regola, a troncare qualunque sotterfugio si dichiara, che rimangono fuori del divieto la Masseria del Marchese Pollice, il Casale di Secondigliano, la Masseria di Donna Romita, il Casale di Piscinola, la Casa e la Cappella de Luna, la Casa del Marchese di Valva, la Masseria di Auxiliis,  l’Osteria de’ Celsi, la Casa di D. Carlo Mauro ed il Giardino di S. Vincenzo; i quali luoghi tutti rimangono unicamente nominati per meglio individuare il giro medesimo.

III.      Le pene, che s’incontreranno solo le seguenti. Qualsivoglia persona, di qualunque grado, o condizione, anche dell’ordine Militare ch’entrando nella disegnata estensione del giro del miglio porti lo Schioppo, dal cui fucile non abbia tolta la pietra, oltra la perdita dello Schioppo, e di qualunque altro genere di Arma di Caccia (la qual perdita sarà sempre sicura in ogni caso di contravvenzione), essendo benestante, pagherà dieci ducati di pena; essendo povero e di bassa condizione, soffrirà un mese di carcere. Se nella medesima estensione del suddetto giro ardirà sparare, essendo benestante, pagherà 24 ducati di pena; essendo povero, e di bassa condizione, soffrirà tre mesi di carcere. Se finalmente oserà sparare, non già nell’estensione suddetta, ma dentro il chiuso del Real Bosco di Capodimonte, essendo Nobile sarà condannato a tre anni di Presidio; essendo di bassa condizione sarà condannato a tre anni di Galea. Tutte e tre le narrate specie di pene saranno nel caso della seconda contravvenzione duplicate, e nel caso della terza triplicate; e le pecuniarie esigendosi, coll’intelligenza di S. M., saranno applicate alla Fabbrica ed Opera Pia del Reclusorio de’ Poveri.

IV.      Siccome nella più volte nominata estensione del giro del miglio s’incontrano oltra la Strada Regia che per Capodichino mena in Aversa molte altre o pubbliche o vicinali, in cui può taluno trovarsi in viaggio portando lo Schioppo colla pietra al fucile senza il disegno di cacciare, così comanda S. M., che, rimanendo affatto immune, libera, e sbandita la suddetta Strada Regia, nelle altre strade pubbliche solamente sia lecito ad ognuno il portarlo anche con la pietra al fucile, purché però non ne faccia uso della quale così limitata facoltà sarà egli ammonito ancora dalle lapidi, che a tal fine saranno affisse a’ lati delle suddette strade. Essendo a’ Padroni delle Masserie necessario tenere gli Schioppi per la custodia delle biade, o de’ frutti, S. M. il concede, purché li tengano carichi di palle, e no di pallini, sotto pena di ducati dieci a ciascuno contravvegnente parimenti da duplicarsi nel caso della seconda, e di triplicarsi nel caso della terza contravvenzione. 

  Dalla Delegazione della Real Casa, e Corte il dì 20. Settembre 1756. D. Placido Principe Dentice. Bernardo di Ambrogio Segretario. Pubblicata a dì 20 Settembre 1756 Pasquale Moccia. Attesto io sottoscritto Scrivano Ordinario della Suprema Delegazione della Real Casa, e Corte essersi conferito in Capodimonte, Capodichino, Secondigliano, Arzano, Miano, Mianella, Polleca, Piscinola, ed in altri luoghi vicini, e quivi da’ Servienti delle rispettive Corti aver fatto pubblicare questi Bando. Napoli il dì di 20. Settembre 1756. Cristoforo Cordella Scivano.

Salvatore Fioretto

(Tutti i diritti per la pubblicazione dei testi del blog sono riservati all'autore, ai sensi della legislazione vigente)


N.B.:     Le foto riportate in questo post sono state liberamente ricavate da alcuni siti web, ove erano pubblicate. Esse sono state inserite in questa pagina di storia della città, unicamente per la libera divulgazione della cultura, senza alcun secondo fine o scopo di lucro.
Dipinto raffigurante una battuta di caccia, con personaggi della corte reale


   





















Scene di caccia ai tempi di re Carlo, in due dipinti

















venerdì 6 marzo 2015

Ciaurri, Ciaurrielli e Conocchie, le antiche testimonianze del passato...!


Il recupero e la salvaguarda delle strutture antiche presenti nel territorio costituiscono i principi fondamentali della cultura, che concorre altresì a promuovere la conoscenza e la fruizione pubblica, quali testimonianze di “storia vivente” di un popolo!
Stampa ottocentesca, con il mausoleo de "La Conocchia" (Napoli)
Pur tra distruzioni, modifiche e depauperazioni, intervenute nel corso dei secoli, l'area a nord di Napoli conserva ancora diverse e importanti testimonianze del mondo romano, che sono sopravvissute fino ai nostri giorni, anche se in molti casi in condizioni non proprio eccellenti. La loro significativa presenza è il risultato di una complessa stratificazione storica, subita dal territorio, che risulta essere stato “antropizzato” prima dagli Osci e, poi, più incisivamente, con l’avvento romano, quando furono realizzati insediamenti più o meno stabili e diffusi. Il processo di popolamento, quindi, ha favorito lo svolgersi delle attività umane e contestualmente l’edificazione di variegati manufatti architettonici: a uso pubblico e privato. Oltre ai reperti archeologici riconducibili alle ville rustiche romane (ad esempio a Scampia, a Marianella (Carduino), a Calvizzano, ecc.), oltre agli edifici pubblici più o meno articolati (cisterne, acquedotto augusteo, ecc.), oltre alle strade, molte ancora presenti e utilizzate (via Consolare Campana, via Antiniana, strada dello Scudillo, via Antica Chiaiano, ecc.), troviamo anche diversi monumenti funerari, che sono sopravvissuti fino ai nostri giorni, sparsi in quelle che furono le campagne ed i fondi rustici di un tempo. Complici della conservazione sono stati i contadini e i conduttori dei fondi, i quali, adattando queste strutture ai vari usi agricoli, come forni, depositi di derrate, cantine e altri utilizzi, ne hanno favorito la conservazione.
Sezione del "Ciaurro" di Marano (ricostruzione)
Singolari risultano essere quelle strutture architettoniche adibite alla custodia delle urne cinerarie di alcuni membri di famiglie notabili del posto o anche di soldati di alto grado; quest'ultimi morti in prossimità del sito di edificazione. Parliamo dei "mausolei cinerari", che potevano avere forme e collocazioni diverse, dipendenti principalmente dal periodo della loro costruzione e dal ceto delle famiglie committenti; ma le sepolture più evidenti sono quelle cosiddette ad “Edicola”, ossia quei mausolei con sviluppo prevalente in altezza, terminanti quasi sempre con una "cuspide". Forse in Campania troviamo la più alta concentrazione di questi tipi di sepolture, almeno per quanto è sopravvissuto fino ad oggi; infatti nella sola provincia di Napoli troviamo ben sette testimonianze di queste tipologie di mausolei: ben quattro nella sola area della periferia nord di Napoli: quali i mausolei dei Colli Aminei, di Mugnano, di Quarto e di Marano (e forse di Chiaiano). Ma se ci spostiamo verso le province di Caserta e di Avellino, troviamo altre strutture interessanti, della stessa tipologia. 
Con il trascorrere dei secoli alcuni di questi monumenti sono stati identificati dalla popolazione con dei toponimi molto singolari, come: "Conocchia, "Ciaurro", “Torricello”, “Fescina”, ecc... Si suppone che questi mausolei, edificati tra il I secolo a.C e il II secolo d.C., siano stati costruiti in adiacenza a delle ville rustiche romane oppure lungo lo sviluppo di importanti assi stradali extraurbani (come avvenuto, ad esempio, lungo la via Appia, a Roma e la via dei Sepolcri, a Pompei).


I termini “Ciaurro” e "Conocchia"

Mappa ottocentesca, con evidenziata la Conocchia allo Scudillo
Come evidenziato da G. Barbarulo, la denominazione Conocchia deriverebbe dal latino medievale Conuccla, che significherebbe letteralmente “rocca” (attrezzo per filare); probabilmente il termine, in uso fin dal Medioevo, è stato utilizzato per denotare la particolare forma geometrica del manufatto edile, a forma di “fuso”, e quindi per  indicare una certa tipologia di mausolei detti “a edicola” o “a cuspide”, la cui forma affusolata ricordava quella dello strumento tessile. Il termine di Ciaurro, invece, secondo alcuni storici, deriverebbe dall’arabo Tdjiaurr, che significa “Luogo degli infedeli”; anche questo termine potrebbe essere stato conferito dagli antichi abitanti del posto per indicare l’inconsueta pratica di conservare le ceneri dei defunti in queste strutture, dopo averli bruciati; usanza che era ritenuta, con disprezzo, non consona al rito cristiano della inumazione, a quel tempo largamente esteso.
Il Mausoleo “La Conocchia”

La rivista "Napoli Nobilissima" diretta da Roberto Pane
La Conocchia era situato presso i Colli Aminei, lungo l'antico percorso della salita dello Scudillo, ubicato in posizione sopraelevata rispetto alla sede stradale. L'imponente struttura, che era stata ridotta a stalla, venne barbaramente distrutta nel 1965, nel corso dei lavori di sbancamenti nella zona, finalizzati alla realizzazione di un progetto di lottizzazione, poi non portato a termine. Purtroppo il monumento non era stato sottoposto fino a quel momento al vincolo archeologico e quindi la sua demolizione non costituì un reato punibile.
Nel Medioevo il mausoleo napoletano diede il nome alla zona, che si disse "ad illa Conuccla", tale toponimo subì una degradazione nei secoli, per diventare “la Conocchia”. Durante l'epoca del Grand Tour, tra il XVII e il XIX secolo, il mausoleo della Conocchia comparve in numerose guide turistiche, fu riprodotto in diverse vedute panoramiche della città, e fu anche preso in riferimento per indicare il punto di osservazione di alcuni dipinti celebri, che ritraevano la classica veduta di Napoli con il Vesuvio sullo sfondo. Solo agli inizi del XX secolo il mausoleo della Conocchia fu al centro di seri studi archeologici. Negli anni '50 apparve in vari libri specializzati sull'architettura romana sepolcrale, in particolare nella guida “Mausolei romani in Campania”.
Una foto della "Conocchia" ai Colli Aminei (Napoli)
Ecco quanto denunciava, cinquanta anni fa, lo storico dell’architettura Roberto Pane, nella celebre rivista da lui fondata e diretta (nella terza serie) "Napoli Nobilissima" (ediz. marzo-aprile del 1965, fasc. V e VI):
"È accaduto a Napoli, nel mese di aprile, un fatto che anche il più immaginoso pessimista non sarebbe stato capace di prevedere, e cioè la demolizione pura e semplice e quindi la totale scomparsa di un monumento insigne: il mausoleo romano dello Scudillo, comunemente noto con il nome di Conocchia.
Assolvo il compito di darne circostanziata notizia in questa rubrica anche perché il fatto è stato reso pubblico esclusivamente da un comunicato di Italia Nostra, e, malgrado la sua eccezionale gravità, non ha suscitato sinora alcun commento ma solo un curioso equivoco. Infatti, essendo, con lo stesso nome, indicata una scuola dei Gesuiti in prossimità della zona in cui sorgeva il monumento, si è ritenuto che l'edificio demolito non fosse il mausoleo ma la scuola stessa, e si è quindi concluso che essa non era poi un edificio di tale importanza da motivare pubbliche denunzie e deplorazioni. […]
Le fotografie ed i rilievi del mausoleo, pubblicati nel volume Mausolei romani in Campania, dimostrano con ogni evidenza che si trattava di una struttura eccezionale e preziosa. Già la sola presenza di una complessa cornice di cotto e le cinque nicchie della rotonda cella, coperta a cupola, potevano lasciare indifferenti soltanto le bestie che vi erano ricoverate e non degli esseri umani, per quanto eccezionalmente sprovveduti."

Secondo alcune testimonianze, da verificare, dei ruderi del basamento della Conocchia sarebbero ancora conservati nel Parco del Poggio ai Colli Aminei. 

Il “Torricelli” a Mugnano

(Di questo mausoleo e della masseria omonima abbiamo già dedicato un post l’anno scorso)

Il mausoleo del "Torricelli" a Mugnano di Napoli
Attestata sin dal 1628, quale proprietà dei duchi di Melito, i nobili De Juliis-Caracciolo, la masseria del Torricelli contiene inglobata nelle sue strutture murarie il mausoleo romano risalente al I secolo d.C. La masseria è ubicata ai confini tra Mugnano e Chiaiano e si erge ai margini dell'antica strada consolare romana, di origini osche, oggi denominata col toponimo di "via Antica Chiaiano". L'arteria è stata nei tempi antichi una delle poche strade di collegamento esistenti nel territorio a nord di Napoli, capace di assicurare le comunicazioni tra la Neapolis greco-romana è le Ville o Vicus esistenti nell'ampio circondario settentrionale. Anche in questo caso non si conosce il nome della famiglia o delle persone di cui si sono conservati i resti, ma è lecito supporre che il mausoleo fu realizzato per accogliere le ceneri di qualche valoroso combattente o di un notabile della gens romana morto in quel luogo.
Il mausoleo del "Torricelli" a Mugnano di Napoli

La struttura è in opus reticolatum a forma di torre cilindrica, un tempo era sormontata da una volta a catino, poi purtroppo crollata nel corso dei secoli. A partire dal XVI secolo alla torre romana vennero ad aggiungersi diversi corpi di fabbrica, fino a formare una masseria fortificata, chiamata appunto Masseria Torricelli (o Torricello), chiaramente in riferimento al preesistente mausoleo romano. La struttura e gli ambienti interni al mausoleo sono stati modificati e utilizzati per molto tempo dagli abitanti per la panificazione e la cottura del pane, con la realizzazione di un grande forno a legna.

La “Fescina” di Quarto

Il mausoleo di Quarto, detto "la Fescina"
Un altro esempio poco noto di mausoleo “a cuspide” è situato nelle residue campagne di Quarto, in provincia di Napoli ed è indicato con il toponimo di “la Fescina”. Questo monumento, sito in via Brindisi, è oggi purtroppo poco valorizzato e quasi nascosto dalla vegetazione e dal degrado. Il nome potrebbe derivare dalla sua particolare forma geometrica, molto simile a quei contenitori pensili (detti anche panari), utilizzati dai contadini per la raccolta delle ciliege e dell'uva, chiamati in dialetto "'a Fèscena". Il mausoleo de la Fescina è realizzato in opus reticulatum e si compone di due livelli, terminante con una caratteristica copertura “a cuspide” a forma conica. Ai suoi lati contiene due ingressi ad arco. L'accesso al livello superiore probabilmente in origine avveniva attraverso una scala interna, oggi scomparsa. All'interno dei due vani sono presenti nicchie scavate nelle pareti e tracce d’intonaco. Nell’area circostante al mausoleo sono state rinvenute negli anni trascorsi diverse tombe ipogee ed anfore funebri.






Il “Ciaurro” di Marano

Il mausoleo detto del "Ciaurro", a Marano di Napoli
Di notevole importanza storico-architettonico, per la struttura e lo stato conservativo, è certamente il mausoleo maranese del Ciaurro. La storia di questo monumento è stata alquanto travagliata, poiché la struttura fu riportata alla luce diverse volte e altrettante volte fu sepolta; fu segnalata dallo storico Chianese, nel 1924, ma i primi lavori di scavo sistematici iniziarono solo agli inizi degli anni ’30 del secolo scorso. I lavori di scavo, però, non diedero ulteriori sorprese, pur confermando che il sito era già stato depredato delle sue numerose lapidi un tempo presenti. Il Ciaurro fu definito dallo storico Roberto Pane, “…il più importante mausoleo campano…”, mentre finanche Benedetto Croce lo volle visitare, quando si diffuse notizia del suo rinvenimento.
Il mausoleo, che si erge lungo l’antica via San Rocco, in contrada Vallesana (oggi parco comunale con accesso da via G. Pepe, traversa del corso Europa), si compone di un poderoso basamento a pianta quadrata e di una cupola sostenuta da un tamburo cilindrico. Gli interni sono divisi in due livelli. Nel livello inferiore si trova una camera sepolcrale, a pianta rettangolare, che termina con una volta “a botte”, mentre il livello superiore, delimitato dal tamburo circolare e dalla cupola, presenta alle pareti diverse piccole nicchie, un tempo adibite al contenimento di urne cinerarie. Tre finestre illuminano la camera sepolcrale, mentre due rampe di scala, comunicanti con l’accesso al piano campagna, collegano internamente i vari livelli della struttura. C’è da dire, però, che le due scalette sono dei rifacimenti posteriori, eseguiti negli anni ’30, per ottemperare ai precedenti crolli.
Il mausoleo detto del "Ciaurro", a Marano di Napoli
La particolarità e la bellezza di questo monumento sta nel rivestimento esterno, che con la importante composizione geometrica, ottenuta dall’alternanza di mattoni rossi e di conformazioni in opus reticolatum, di tufo giallo e grigio, conferisce un effetto cromatico/estetico, non comune, a tutto il monumento. Il tamburo e la cupola sono suddivisi in due parti da un anello in opus latericium, color rosso e una serie di tufelli rettangolari di colore giallo; essa poi presenta il paramento esterno in opera reticolata bicromatica, anche qui per l’uso alternato di blocchetti di tufo di color giallo e grigio. La cupola, che risulta parzialmente conservata, perché gran parte crollata nei secoli scorsi, è in opus caementicium e, nella cui base, presenta annegati nel calcestruzzo elementi lapidei più pesanti (mattoni e frammenti tufacei); si suppone che dei materiali più leggeri, quali blocchetti di tufo e scaglie di lava alveolare sia stata la sua struttura della parte terminale superiore. 

I “Ciaurrielli” di Marano

Il "Ciaurriello" presso Marano di Napoli
Con questi termini gli abitanti di Marano identificano alcuni resti archeologici, in opus reticolatum, presenti in località Vallesana, i quali, però, non hanno niente a che vedere con i sepolcreti romani, ma forse sono riconducibili ai resti di ville rustiche o di strutture adibite in epoca antica a depositi di derrate agricole.


L’ipotesi di un Ciaurro al Tirone

Il mausoleo detto del "Ciaurro", a Marano di Napoli
Una leggenda, ancora in auge, asserisce che il Ciaurro di Marano sia appartenuto a Marco Tullio Tirone, liberto e poi discepolo, tanto caro allo scrittore, filosofo e statista Marco Tullio Cicerone e qui siano state consevate le sue ceneri. Tirone avrebbe trascorso gli ultimi anni della sua vita in una villa di Pozzuoli, nella quale si sarebbe ritirato, dopo che i componenti del Triumviato fecero uccidere il suo maestro, autore delle famose Filippiche. A sostegno di questa leggenda, qualcuno indica che non molto lontano dal luogo del Ciaurro, c’è ancora oggi il borgo di Chiaiano che porta il suo nome, forse in ricordo di un’altra antica villa lì posseduta da Tirone. Il Borgo infatti è denominato “o Tirone”. Tutt’altra ipotesi, invece, meno fantasiosa, ancora da dimostrare, asserisce che il toponimo Tirone deriverebbe dalla presenza in questa zona di un altro Ciaurro romano, che per la sua forma veniva detto “o torrione”, da qui la denominazione di “o Tirone”. Pura divagazione?! Potrà essere un argomento di ricerca per i futuri archeologi…!

Gli altri mausolei del circondario napoletano e campano
Il mausoleo di Casapulla (Caserta), detto la Conocchia
Anche quella che viene indicata come la “tomba di Virgilio”, posta sopra un basso costone tufaceo, all’ingresso della Crypta Neapolitana, rappresenta in effetti un mausoleo romano adibito ad accogliere delle urne cinerarie; qui, da tempo immemorabile, la tradizione o meglio la leggenda, vuole attribuire questo monumento al contenimento delle ceneri dell’autore dell’Eneide, Publio Virgilio Marone. Realizzata interamente in scaglie di tufo, la struttura ha la classica conformazione dei monumenti ad “edicola”, ossia un tamburo cubico e la parte soprastante tronco-conica. Altra testimonianza di monumento "ad edicola" è presente vicino a Santa Maria Capua Vetere, nei pressi di Casapulla; questo monumento è anch'esso chiamato "la Conocchia, anche se, purtroppo, è stato pesantemente rimaneggiato nel corso di antichi restauri. Ad Abella (Avella), in provincia di Avellino, è presente un altro mausoleo che appare in buono stato conservativo; a San Prisco (Caserta) si trova un mausoleo denominato “Le Carceri”, il quale non presenta la caratteristica cuspide, ma si compone soltanto di un grande tamburo cilindrico, sormontato da un piccolo catino.
Il mausoleo all'ingresso della Crypta Neapolitana, dedicato a Virgilio
Termina qui quest’altra bella testimonianza storica sull’Area Nord di Napoli, scritta su questa nobile terra ricca di tradizioni, di storia e di stratificazioni antropiche che, tutte insieme, costituiscono un bene culturale unico, appartenente a un popolo che deve sentirsi per questo fiero e orgoglioso. Tuttavia, oltre all’opera di ricerca, di divulgazione, di rievocazione storica, questa breve trattazione ha come obiettivo la sensibilizzazione dell’opinione pubblica, affinché si possano mettere in atto le necessarie e non più procrastinabili opere di recupero, di conservazione e di divulgazione di queste testimonianze, perché esse rappresentano un patrimonio storico-culturale unico ed irripetibile che appartiene alla collettività e alle future generazioni, così come enunciato in premessa. 
Salvatore Fioretto

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Si ringraziano Marco Barone, Biagio Palumbo e Pasquale Ferraro per la loro collaborazione.


Due Dipinti, con veduta panoramica di Napoli, ripresi da "La Conocchia"









            
ll mausoleo detto "la Conocchia", situato a Casapulla (CE)






































Il monumento cinerario a San Prisco (Caserta), conosciuto come "le Carceri"
Il mausoleo di Avella


Il mausoleo della "Tomba di Virgilio", nei pressi della Crypta Neapolitana (Napoli)

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