venerdì 17 febbraio 2023

La Masseria de La Scampia... quella misteriosa effigie sulla facciata... (seconda parte)

(segue dalla prima parte)

Come abbiamo indicato nella prima parte del post dedicato alla masseria dello Scampia, il lato sinistro del corpo di fabbrica risulta disarticolato e non omogeneo rispetto all'ampia facciata, ma appare come un contraltare, simmetrico in volumetria (forse in antico tempo anche per forma), alla cappella che si trova sul lato opposto.
Questa parte dell'edificio sembra essere stata realizzata come ambiente adibito per essere abitato in maniera straordinaria oppure per ospitare una persona speciale, come se riservata a dei familiari ospiti oppure ad una persona cara, che poteva essere un genitore, un figlio o un parente bisognevole di riposo, di aria salubre, di un ambiente soleggiato e, quindi, arricchita di finiture, diciamo di pregio, che donano un aspetto più riposante all'abitazione e ai suoi abitanti.
Con tale ipotesi si può spiegare la presenza dell'unico balconcino nell'edificio, assieme agli alberi ed essenze piantumati alla sua base, che immaginiamo possano essere stati preesistenti, fin dalle origini, oppure integrati.
Questo lato della struttura (come già detto nella prima parte del post), è privo del tetto a capriata, ma ha un lastrico di copertura solare piano, mentre il bugnato, disegnato con intonaco in leggero rilievo sullo spigolo della facciata principale, è delimitato al suo margine destro. Tutti questi particolari architettonici lascerebbero pensare che esso sia stato un volume aggiunto, realizzato a diversi decenni di distanza dalla primitiva fondazione, forse per una necessità contingente, capitata a uno dei proprietari dell'epoca, ma sicuramente prima del XX secolo.
Curioso, poi, è la presenza di un particolare disegno realizzato a rilievo, in stucco, che si vede ben delineato sull'intonaco della parte alta della facciata, nella parte sovrastante la finestra balconata. In pratica esso consiste in una grossa cornice, con all'interno l'effigie di un fiore incrociato con un oggetto a forma tubolare.
Osservando con attenzione il particolare architettonico, possiamo dedurre che:
-La grande cornice: La particolare forma della cornice, con dei fiori ai quattro vertici, che imitano i suoi punti di inghisaggio, vuole essere una riproduzione di una "Tabula ansata", molto usata in antichità. Essa è costituita da una parte rettangolare, adibita a contenere al suo interno il testo di un'epigrafe, mentre alle due estremità presenta due "anse" (triangoli): una nell'ala destra e una in quella di sinistra. Questo tipo di cornice aiutava a sottolineare il contenuto dell'iscrizione, un po' come se le due frecce (anse), poste ai lati, lo evidenziassero. I quattro punti di inghisaggio simbolici sono stati inseriti come a significare l'intenzione di rendere perenne il suo messaggio (a futura memoria).
- Non è uno stemma: I due elementi simbolici, raffigurati all'interno della cornice, sicuramente non rappresentano l'emblema di uno stemma nobiliare (perché manca del consueto scudo di contorno e soprattutto del blasone), né un logo di un ente o di un'azienda e nemmeno vuole rappresentare un simbolo di un'attività o un messaggio pubblicitario. Propendiamo, invece, che esso intende racchiudere il significato di un messaggio oppure una dedica espressa in maniera figurata e simbolica...
Analizziamo gli elementi:
- Il fiore: La forma del fiore, raffigurato ancora chiuso, come un bocciolo, all'estremità di un ramo con le foglie filiformi, che si piegano in parte a metà, lasciano intuire che si tratti di un fiore di garofano, ancora chiuso o in fase di iniziale fioritura.
- L'oggetto cilindrico: L'altro oggetto raffigurato, a forma tubolare, con una cerchiatura verso il bordo superiore, ci rimanderebbe alle fattezze di una "faretra", ossia al contenitore usato dai cacciatori o dai guerrieri antichi per contenere le frecce dell'arco. La vetustà dell'intonaco e l'interferenza di un "porta isolatori elettrico", installato in epoca recente (che nel particolare della foto imprime un'ombra spuria), non lascia inquadrare limpidamente, a distanza, i particolari del bordo dell'oggetto, ma la sua forma terminale, rastremata a gradino, lascia intuire che risulterebbe pieno del contenuto di frecce.
Particolare in BN
-Analisi su un possibile significato: Analizzando tutti gli elementi raccolti, interpretiamo il simbolismo usato, che appare impresso come una sorta di un messaggio cifrato, come una specie di dedica fatta realizzare dal proprietario (forse dopo il suo restauro o dell'ampliamento o dell'acquisto) e sarebbe rivolta a una persona a lui cara, come poteva essere il primogenito della casata, appena nato, per mostrare il proprio affetto e l'auspicio di una futura vita vittoriosa e con prosperità... A spiegazione di questa interpretazione: il fiore di garofano è per tradizione usato per esprimere l'amore, l'affetto, la riconoscenza, mentre la faretra "impersonifichebbe" il significato della speranza di una vittoria. Esso intenderebbe essere un augurio a centrare tutti gli obiettivi mirati, che potevano essere: il coronamento del successo economico, l'acquisto di altri titoli nobiliari, l'amore, altri progetti di vita, progenie... Il simbolo si adatterebbe, per analogia, a un guerriero che, disponendo di molte frecce, ha speranza di mirare e colpire più traguardi importanti, per lungo tempo e con diversi tentativi...
Il posizionamento della grande cornice immediatamente al di sopra del balcone finestrato, lascia facilmente desumere che l'anonimo messaggio è invece in rapporto strettamente dipendente con quanto contenuto di questa camera abitata all'estremità dell'edificio...
Particolare a colori
-Conclusione: Ovviamente la deduzione che abbiamo espressa risulterebbe alquanto romantica ed è sicuramente una delle possibili chiavi interpretative che si possono trarre dalla lettura dei due simboli; tuttavia, come è logico pensare, essa è anche molto soggettiva e quindi molto controvertibile, ma è l'unica che ci è sembrata verosimile ipotizzare, interpretando i due simboli in rapporto all'edificio.
Siamo del parere che in mancanza di una fonte dell'epoca certa, che riporti la storia di questa dedica e del suo autore, non si può fare altro che avanzare altre ipotesi, che potrebbero essere anche la dedica a una persona cara defunta, a una sposa, alla stessa residenza, alla campagna, ecc..
Salvatore Fioretto
 
Per leggere la prima parte del post, cliccare sul link qui a lato: Prima Parte
 
PS: Questo racconto è stato scritto con il precipuo scopo della libera diffusione della cultura e della nostra storia patria e con l'intento di dare un contributo alla rinascita e sviluppo sociale dell'Area Nord di Napoli. Le foto dell'edificio sono state liberamente inserite in rispetto della sua valenza storica, artistica e architettonica, che lo rendono un monumento di interesse storico-collettivo, da preservare e valorizzare.
Si richiede, infine, di riportare il nome di questo blog, qualora le notizie contenute risulteranno delle fonti di interesse ed utilizzate nei propri scritti e publicazioni.

giovedì 16 febbraio 2023

La Masseria de La Scampia... la sua storia e i misteriosi simboli sulla facciata... (prima parte)

Masseria "La Scampia", in una foto (fine anni '60 o inizi '70), tratta dal libro "Secondigliano" op. cit.
Quante volte abbiamo percorso la strada che da Secondigliano conduce a Melito, chiamata "Via Roma Verso Scampia" e spesso, stando in auto, fermi in attesa del semaforo rosso, abbiamo osservato l'antica struttura che ancora oggi mostra il suo fascino di antichità, ma anche un misterioso velo di anonimato che pare nascondere la sua storia...!
Non molti lo sanno, ma questa struttura è stata celebrata in passato come emergenza architettonica rilevante nel contesto del territorio, tanto da essere riportata in tutte le mappe del '700 e dell''800, accompagnata dalla dicitura "La Scampia" (o "Lo Scampia"), perchè è stata uno dei primissimi aggregati abitati che ha poi generato, con trascorrere del tempo, la presenza di alcune taverne e del primitivo "Borgo di Scampia" (XVIII - XIX secolo).

Essa fu una tenuta agricola, con annessa una masseria, ma probabilmente fu prima di tutto una residenza estiva della famiglia nobile che la possedeva.
Vescovo di Nardò, Hieronimo de Franchiis, nato a Capua
Abbiamo oggi pensato di dedicare questo post a questa antica struttura del territorio a Nord di Napoli, riportando tutte le notizie storiche che siamo riusciti a recuperare in questi anni, in modo da rendere edotti quanto vorranno, almeno lo speriamo, sulla sua valenza storica.
Nella seconda parte del post,
invece, svilupperemo un insolito anagramma, analizzando e cercando di interpretare il significato del messaggio simbolico che l'autore ha inteso trasmettere, attraverso una curiosa effigie in stucco, fatta imprimere sulla facciata...

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La masseria de "La Scampia" (o "Lo Scampia") si erge su quella parte di territorio che in antico tempo  apparteneva al Casale di Secondigliano.
Essa si trovava sotto la giurisdizione ecclesiastica della Chiesa "Parrocchiale dei Santi Cosma e Damiano", sita in Secondigliano; a conferma di questo status, diversi atti di nascita e di matrimonio che si celebrarono nell'annessa cappella padronale, dedicata a S. Antonio di Padova, furono registrati nella citata parrocchia di Secondigliano. La struttura era confinante con il territorio del Casale di Piscinola, che delimitava l'altra vicina e antica Masseria, chiamata "Masseria di Donna Romita". Non si hanno notizie certe sulla data della sua fondazione, indubbiamente essa è anteriore al 1793, in quanto
risulta riportata nella mappa, coeva, redatta dal topografo Antonio Rizzi Zannoni ("Carta del Littorale di Napoli dei luoghi più rimarchevoli di quei contorni..."). Sicuramente la sua posizione isolata e di rilievo sull'importante arteria di comunicazione, che in periodo antico era denominata "La via che mena alla Scampia", ma che poi fu ampliata dai monarchi borbonici e ridenominata "Strada Regia" e "Via Roma verso lo Scampia", ne ha conferito importanti caratteri di riferimento, sia antropologico che urbanistico.
Particolare della Carta del Littorale di Napoli, di A. R. Zannoni, 1793

Da una testimonianza scritta (riportata nel seguito del post), apprendiamo che la cappella, che si trova nel suo corpo di fabbrica, è stata edificata nell'anno 1647, e quindi la Masseria potrebbe essere coeva oppure essere stata costruita in un periodo antecedente.
Nel celebre libro "I Casali di Napoli", scritto da Cesare De Seta, ed. Laterza (a pag. 153, nel
capitolo dedicato a Secondigliano), così l'autore descrive questa costruzione antica: "La Masseria Scampia, o La Scampia, è sulla strada per Aversa; fu realizzata in posizione strategica rispetto alla masseria di Capodichino. Prende nome da "Campo" ed è indicata nella mappa di Rizzi Zannoni (1793), Vi fu annessa la cappella di S. Antonio, "Cappella pubblica a fronte della strada Regia". Nel 1784 nella camera adiacente alla cappella risiedeva ancora un eremita. Dalla masseria  prende nome la borgata Scampia che occupa tutto l'ultimo tratto, a nord di Secondigliano."
Da diverse altre fonti sappiamo che la masseria fu di proprietà della nobile famiglia del Marchese De Franchiis (o Di Franco) e, successivamente, passò alla nobile famiglia Caracciolo.
La famiglia dei De Franchiis ebbe modo di distinguersi tra le fila dell'aristocrazia napoletana, perché da essa uscirono diversi giuristi e vescovi (vedi stemma del vescovo Geronimo De Franchiis). I propri membri, oltre a Napoli, si diramarono in Capua, Piedimonte d'Alife e anche in Puglia (Nardò). Acquisendo il feudo di Taviano, si fregiarono del titolo di Marchese.
La cappella, che si trova inglobata nella facciata del palazzo, è dedicata, come già detto, a Sant’Antonio di Padova; per avere sue notizie abbiamo consultato il bel libro di "Secondigliano", scritto da Salvatore Loffredo (già descritto in questo blog), che offre diversi spunti per le nostre indagini. Infatti a pag. 151 si rileva che:
"Questa cappella di diritto patronato e grancia della parrocchia dei SS. Cosma e Damiano, eretta nel 1647, come si rileva dagli atti, ebbe la sorte di vedere tra le sue mura uomini illustri, che si unirono in matrimonio". - (Seguono quattro Testimonianze della cappella, tratte dalle Sante Visite dei Cardinali di Napoli n.d.r.) -
"Est Ecclesia S. Antonii, in qua celebratur missa, ubi dicitur la Scampia”.  “Nella chiesa de Ill.mo Marchese Tacciano de iure patronatus dove si dice Scampia, sotto il titolo di S. Antonio di Padova ci è necessario due corporali, al messale ci è necessario tutto il canone vi è necessario li candelieri e giarre, il panno avanti a l’altare è d’oro pella, vi sono due pianete una negra e una altra di colore misto e due camisi buoni il calice stà bene indorato” (dalla visita del Card. Innico Caracciolo del 23/1/1675).
"Il Marchese di Tacciano supplicando espone a V.E. come nella S. Visita locale della Cappella di S. Antonio della Scampia fu ordinato dalli Ministri di d.a S. Visita , che non si celebrasse in d.a Chiesa sin a tanto che non si fabricassero una porta di d.a Capp.la corrispondente  dalle case contigue di secolari in d.a Cap.a e perché d.a porta e finestra sono già state fabricate dall'oratore, pertanto prega V.E. voler concedere gratia di potersi celebrare in d.a Capp.a et il riceverà a gratia ut Deus (dalla visita del Card. Cantelmo, del 25/5/1698).
“… Nel luogo detto la Scampia, sotto il titolo di S. Antonio – jus patronatus – del Sig. Marchese Tacciano de Franchiis e proprio nella sua masseria (, luogo detto "la Scampia"), con l’obbligo  di una messa al giorno, il beneficiato di quello di casata Nepote, dicono che sia morto, e che (al presente) in mancanza di quello sia stato nominato al suddetto Beneficio il figlio del Duca di Tocco erede del suddetto Marchese di Tacciano, il 1° non faceva soddisfare messa alcuna, ne di festa ne di giorno di lavoro questo fa lo stesso, allegando che in un beneficio così pingue non vi sia dote, 150 ducati annui (dalla visita del Card. Spinelli,  del 24/12/1741).
“Vi è la cappella sotto il titolo della SS. Trinità e S. Antonio di Padova costruita nel luogo detto “La Scampia”, in cui è eretto il beneficio sotto il medesimo titolo de jure patronatus della famiglia de Franchis, si devono celebrare due messe in ciascheduna settimana “ad libitum”.
Il beneficiato in questa chiesa per la q.m. (fu) D. Isabella de Falconibus fondatrice di detto beneficio, come dal di lei testamento rogato per mano del Notaio Francesco de Colellis a 20 nov. 1647; è tenuto il beneficiato, che è al presente il P. Domenico Pinelli Teatino. E vedo che le suddette due messe si celebrano in questa cappella per comodo di quei filiani, che ivi dimorano, per cui il Card. Spinelli lasciò nella detta cappella il calice d’argento con patena nel piede del quale vi è la sua impresa. Ma o per lite insorta sulla nomina del beneficio tra il Duca di Tocco ed il Principe di Milipano, o per altro motivo, da lungo tempo le due messe non si celebrano in detta cappella; motivo, talché se il parroco mandasse dalla sua parrocchia il sacerdote ogni dì festivo a celebrare ivi la Messa, quei poveri filiani non saprebbero come fare, particolarmente, i vecchi, e quei che tengono officio soggetto, onde reca meraviglia come mai una cappella così pubblica a fronte di Strada Regia con un beneficio  così pingue non abbia alcuna dotazione;
Carta geografica della provincia di Napoli, primi decenni del '900
anzi il peggio si è, che al presente la soffitta di sopra è aperta in varie parti, per cui piove sempre dentro la cappella, la quale se non fosse aiutata dalle diligenze del Romito, saria interdetta, conforme merita, e perciò il tempo di visita feci osservare il tutto al con visitatore Canonico Brancaccio, il quale fece delle grandi promesse, delle quali non si è veduto ancora l’effetto.
Il Romito di oggi giorno è Fra Luca d’Ambrosio di anni 45 circa, di buoni costumi, il quale abita in una cameretta attaccata alla cappella, anche tutta aperta e ruinata (dalla visita del Card. G. Zurlo  del 1784)".
A pag. 273 del citato libro di Loffredo, sempre a riguardo della relazione della Santa Visita del cardinale Innico Caracciolo, si trova ancora scritto: "Cappella di S.to Antonio de Padua in loco detto alla Scampia, de Jure patronatus dell'ill.mo Sig. Marchese di Tacciano, al presente vi è il beneficiato, Fra Vincenzo de Franchiis, Cavaliere di S. Giovanni Battista, figlio del detto Marchese".
Secondo alcune fonti, che andrebbero però verificate, la cappella sarebbe stata dedicata a San Antonio di Padova, per celebrare la data del 13 giugno, giorno che diede inizio alla fase vittoriosa per le truppe di restaurazione Sanfediste, capeggiate dal card. Ruffo, sui difensori della Repubblica Napoletana, nell'anno 1799.
Partic.della Carta del Littorale di Napoli, di A. R. Zannoni, 1793
Purtroppo la facciata della chiesetta risulta essere stata sottoposta a continui e pesanti rifacimenti, che hanno fatto perdere ogni elemento o traccia che consentirebbero di risalire alla sua fondazione barocca. Essa conserva nella parte laterale una struttura aperta, con due arcate, un tempo deputate ad accogliere le campane. L'ingresso del tempietto si apre al termine di una brevissima scalinata in basolato vesuviano.
La cappella, come si vede dalle foto odierne, si trova in uno stato di apparente abbandono e non è possibile visionarla all'interno, anche perchè risulta perennemente chiusa. 
Lo stesso potremmo dire anche per la masseria dello Scampia, anche se la sua linea architettonica risulta alquanto conservata e appare in uno stile sobrio e lineare, e appare in parte abitata. L'edificio, che si affaccia sull'antica "Strada Regia" (oggi, via Roma Verso Scampia), presenta un lungo fronte stradale, con ben dieci finestre che si affacciano dal suo primo e unico piano; nove di esse, uguali nella forma, hanno piattabanda di legno con una semplice scossalina parapioggia (con mensole di ardesia), mentre l'ultima apertura, sulla parte sinistra della facciata, risulta essere diversa dalle altre, perchè è un balconcino, con due ante vetrate e presenta, nella parte superiore, oltre la scossalina, una piattabanda in muratura a sesto ribassato; essa appare come inserita in posizione simmetrica rispetto alla contrapposta facciata della cappella, che si trova sulla estrema destra. Il tetto piano, a lastrico solare uguale a quello della cappella, costituisce una conferma e lascia pensare a opere realizzate in epoche remote ma diverse.
Osservando
con attenzione le sue linee architettoniche si ha la conferma che essa sia stata una dimora gentilizia estiva della famiglia nobiliare proprietaria. La masseria risultava avere un annesso tenimento agricolo, con diversi depositi ed aree attrezzate, adibite alle lavorazioni agricole, in parte ancor oggi esistenti. La stessa organizzazione degli spazi li possiamo osservare anche in altre masserie del territorio, come, ad esempio, nella "Masseria Vulpes", a Mugnano.
Non è più presente l'appezzamento di campagna di pertinenza, che immaginiamo sia stato un tempo ampiamente esteso.
Il tetto del corpo principale di fabbrica è realizzato con un'elegante capriata di legno a due falde e coperto con un bel tegolato; l'intercapedine del tetto, all'interno della capriata, è areato attraverso delle apposite finestrelle, che sono sempre aperte sui due lati, disposte in asse con le finestre del sottostante piano abitabile.
I locali del piano terra hanno tutti l'apertura terminante con un arco ribassato (eccetto l'ultimo a destra, a piattabanda) e crediamo che forse in passato siano stati adibiti ad abitazioni per i lavoratori agricoli e degli inservienti, oppure a depositi di derrate.
Il portale d'ingresso dell'edificio presenta un architrave semplice, con una sottile decorazione di cornici multiple di stucco, mentre risulta allegoricamente sorretto ai lati da due lesene in stucco, di "ordine toscano". La sua parte superiore  risulta poi sormontata dalla finestra centrale del primo piano.
Non è più presente il portone di legno, che è stato sostituito con un cancello di ferro, mentre la luce d'ingresso è stata ridotta da una recente muratura di rinforzo.
Il varco principale dell'edificio, che è anche l'ingresso carrabile, presenta un bell'
arco a sesto leggermente ribassato, ma privo dello stemma nobiliare, anche se non si esclude che in passato ci possa essere stato. Completano il disegno del portale e del varco d'ingresso, la presenza di due blocchi cilindrici ornamentali in piperno, posti alla base (a ciascun lato), che fungevano anche da "pietre paracarro", come in uso in gran parte degli edifici antichi. Purtroppo quello un tempo esistente nel lato sinistro è andato perduto.            
Per leggere il continuo del post, cliccare il link qui a lato: Seconda parte

Salvatore Fioretto 

P.S. La fonte storica da cui è stato tratto il testo per la scrittura di questo post sono stati i libri: "Secondigliano", di Salvatore Loffredo, ed. Aldo Fiore - Napoli, 1972 e "I Casali di Napoli", di Cesare De Seta, ed. Laterza, 1984. Le foto pubblicate sono state tratte dal web, da alcuni siti dedicati oppure appartengono a collezioni o raccolte. A tal proposito si dichiara che essi (testo del racconto e foto) sono stati inseriti in questo blog senza fini di lucro, ma con il precipuo scopo della libera diffusione della cultura e della nostra storia patria. In ogni caso, si invitano i cari lettori a non diffonderli per utilizzi non culturali.
Si richiede, infine, di riportare il nome di questo blog, qualora le notizie contenute risulteranno delle fonti di interesse ed utilizzate nei propri scritti e publicazioni.

Facciata Cappella di S. Antonio a Scampia (anno 2023)

giovedì 9 febbraio 2023

Una "cronaca" della festa patronale dei santi Cosma e Damiano, a Secondigliano, nella letteratura ottocentesca...!

Abbiamo recuperato questa bella testimonianza storica sulla festa di Secondigliano, contenuta nel libro "Secondigliano - da documenti inediti" (ed. Aldo Fiore, Napoli anno 1972), scritto da don Salvatore Loffredo e che ci piace riproporre oggi ai nostri lettori, in omaggio al Quartiere a noi tanto vicino e caro...
Il racconto descrive alcuni particolari della festa patronale svolta in onore dei Santi Medici Cosma e Damiano, svolta il 27 settembre, in un anno imprecisato...
Nel racconto emerge una descrizione che potremmo definire "verista", riportante alcuni dettagli dell'evento, come la descrizione delle strade, della processione,  dei personaggi del popolo con i loro abiti e persino il piatto tipico della festa, preparato secondo la tradizione locale in omaggio ai due Santi protettori di Secondigliano. Una bella tradizione perpetuata ininterrottamente senza alcune modifiche, almeno fino ad alcuni decenni fa.
Ecco il testo:

"SS. COSMAE ET DAMIANI CAS. (casale)
SECUNDILJANI A.D. 1735"

"LA FESTA DEI SS. COSMA E DAMIANO, DA TESTIMONI OCULARI 

Domenica 27 settembre: festa dei Santi Cosma e Damiano.
Sono le ore 9 e '30 di un anno ormai lontano.
Si leggono sui volti di tutti i segni della gioia e dell'allegria.
Belli a vedersi, i Secondiglianesi, sono vestiti tutti a festa. Abiti neri, scarpe lucide, con calzettoni bianchi che stringono le imboccature dei calzoni alle ginocchia: giacche  con risvolti di merletti; cappelli a tuba.
Si cammina frettolosamente; la campana della parrocchia invita con il suo suono e par che dica: "E' festa: venite ad onorare i vostri Patroni!".

Tutti obbediscono, le abitazioni restano vuote, salvo qualche infermo che aspetta il passaggio dei Simulacri per impetrare la loro protezione.

Corso Umberto (odierno Corso Secondigliano) a lato la tramvia provinciale

La stessa voce spinge tutti: Cammina, avanza, corri, non ti fermare, perché potrai  non fare a tempo; devi indossare il saio, il priore è già vestito e sta ad aspettare!
Noi siamo della Confraternita del SS. Sacramento - dicono - quest'anno usciremo con i sai nuovi e le mozzette rinnovate.
Gli altri sono della Congrega dell'Assunta. Fanno a gara per farsi onore. Vi è stata sempre una grande emulazione.
Con questi discorsi che si sentivano si poteva fare un esatto esame dei tipi e caratteri di quei cittadini in quel giorno, ch'era diverso dagli altri.
I "Maestri" o "Governatori" sono pronti.
Un gruppo di uomini con abiti diversi per eleganza, ci dicono che sono il Sindaco con i decurioni. I valletti portano il confalone del Comune.

Corso Umberto (Corso Secondigliano) visto dall'alto

Si accendono i grossi torcioni, che pesando molto per gli anziani, vegono portati dagli aiuti. Che sacrificio! Il tragitto è lungo e ci vuol pazienza. Ma per S. Cosma si fa tutto!...
Le congreghe aprono la processione, seguono le statue dei SS. Michele, Vincenzo de' Paoli, Pasquale Baylon, Teresa, Maria Maddalena de' Pazzi, il Patriarca S. Giuseppe, che sono portate dai rispettivi devoti o padroni. Infine il Clero con la Croce ed il parroco. Dietro le statue dei SS. Cosma e Damiano con in mezzo quella della Madonna Del Rosario.
Seguono i decurioni con il Sindaco, il popolo che canta inni sacri. Tra questi si notano delle persone vestite con colori rossi e verdi: sono  da tutti ammirati  ed additati e sottovoce si dice da qualcuno: E' stato grave e S. Cosimo l'ha guarito; quell'altro è tornato sano e salvo a casa, era incappato  in un brutto affare. Beati loro!

Stemma del Comune di Secondigliano

S. Cosimo aiuta tutti, sono suoi devoti, venuti dai paesi vicini per sciogliere  i loro voti, e ringraziare i SS. Medici.
Col rientro della processione la festa continua ed adesso è lo stomaco che deve far festa, poiché nella prima mattinata s'era sensato allo spirito. La tavola è pronta, il pranzo è a base di "polpette" di carne suina.
Con la festa di S. Cosimo iniziano ad ammattare i maiali. E Secondigliano porta il primato per la macellazione e lavorazione delle carni suine."

Dall'analisi del contesto storico, che traspare dalla lettura del racconto sopra trascritto, soprattutto per la presenza del "Sindaco" e dei "Decurioni" del Comune di Secondigliano,  si deduce che esso è ambientato in un periodo compreso tra la prima decade dell''800 e gli ultimi anni del Regno delle due Sicilie (1860), in quanto le denominazioni dei "Decurioni" e del "Decurionato", per indicare quelli che erano chiamani "consiglieri" e "consiglio comunale" dell'epoca, sono rimasti in uso, anche dopo il "Decennio Francese", fino al termine della successiva "Restaurazione Borbonica".
A dimostrazione di tale ipotesi, abbiamo trovato, continuando la consultazione delle pagine dello stesso libro, diverse testimonianze che narrano l'iter di richiesta e l'ottenimento all'elevazione a status di "Santi patroni del Comune di Secondigliano", i due Santi Medici Cosma e Damiano, con l'istituzione della relativa festività civile, fissata, come quella liturgica, il 27 settembre; infatti per essa risulta più volte riportato a margine dei vari documenti, l'anno 1854. Per risalire all'anno preciso della festa, che nel racconto capita nel giorno di domenica (27 settembre), dobbiamo spostarci di tre anni avanti, fino al successivo anno 1857, che risulterebbe, quindi, l'anno cercato.

Salvatore Fioretto

P.S. La fonte storica da cui è stato tratto il testo per la scrittura di questo post è stata il libro "Secondigliano", di Salvatore Loffredo, ed. Aldo Fiore - Napoli, 1972.
Le foto pubblicate sono state tratte dal web, da alcuni siti dedicati oppure appartengono a collezioni o raccolte.
A tal proposito si dichiara che essi (testo del racconto e foto) sono stati inseriti in questo blog senza fini di lucro, ma con il precipuo scopo della libera diffusione della cultura e della nostra storia patria. In ogni caso, si invitano i cari lettori a non diffonderli per utilizzi non culturali.


sabato 4 febbraio 2023

I toponimi delle strade di Piscinola a inizio dell' '800... curiosità e nuove scoperte...

L'antico " 'O Capo 'e Coppa", angolo vico I Risorgimento

Oggi tutti conosciamo la toponomastica delle strade del Quartiere in cui viviamo, che comprende nomi di personaggi famosi, ma anche date o luoghi di storiche imprese o eventi della vita della Città e dello Stato. Molto interessante è stato consultare la toponomastica presente due secoli fa nell'allora Comune di Piscinola, che ovviamente riprendeva i modi di dire utilizzati dal popolino per indicare i posti del territorio e che poi l'amministrazione civica dell'epoca ha preso in uso e utilizzato per redigere i riferimenti degli atti pubblici, come registri, l'anagrafe, gli atti amministrativi, gli atti notarili, ecc.

Piazza B. Tafuri, angolo con Via del Salvatore
Molto curioso risulta il fatto che per indicare i domicili delle persone non erano utilizzati i numeri civici (crediamo che nemmeno fossero presenti sui cespiti), forse perchè, essendo contenuto il numero di abitati (nell'anno 1865 a Piscinola abitavano poco meno di 2000 unità), le residenze delle persone o delle famiglie erano facilmente individuabili.
Precisiamo che probabilmente, in coincidenza dell'Unificazione dell'Italia, le strade di Piscinola (all'epoca ancora un Comune autonomo), sono state ridenominate, intestandole a personaggi famosi della storia oppure ai nomi delle città, un po' come avvenuto in ogni Comune.
Quando poi Piscinola è stata annessa al Comune di Napoli (1 gennaio 1866), alcune strade sono risultate dei doppioni e si è quindi proceduto, per fare un doveroso distinguo con le altre strade omonime presenti nel Comune di Napoli, ad aggiungere a queste la dizione di "...a Piscinola".

Vico degli Operai (detto Vico "'Appagliare")

Ecco i nomi delle strade e dei luoghi che siamo riusciti a recuperare dalla ricerca storica intrapresa:

-"Capo 'e Coppa": oggi "via Vittorio Emanuele a Piscinola".

-"Capo della Chianca": oggi "Via Plebiscito a Piscinola".

-"Via Figuretta" o "strada della Figurella": tratto di "via Napoli a Piscinola", situato in prossimità dell'incrocio con "via Vecchia Miano". Il toponimo richiamerebbe, a nostro avviso, l'immagine della Madonna, presente ancora oggi in una cappellina situata sul tratto di strada.

Angolo di Via Napoli con Via V. Miano (detto "'a Fiurella")

-"Strada delle (o alle) Pagliaje" (o Capo): attuale "vico degli Operai". La denominazione è stata rinvenuta nei documenti risalenti al Decurionato Francese, e dimostrerebbe che la presenza nel luogo di numerosi pagliai, abbia condizionato il suo toponimo, infatti, ancora oggi nell'inventario collettivo popolare il luogo viene indicato come "'o Vico Appagliare".

-"Largo della Chiesa" (o Capo): riferibile all'attuale "Piazza G. Bernardino Tafuri"; un tempo denominata anche "Piazza della Chiesa" e anche "Piazza Municipio".

-"Strada della Chiesa" (o Capo): riferibile all'attuale "Via Del Salvatore" o "Via SS. Salvatore": le targhe affisse ai due capi della via riportano le due diverse dizioni, sicuramente la prima è più antica (nell'inventario popolare "Sott''a Cchiesa" e anche "Aret''a Cchiesa").

Via del Plebiscito a Piscinola (detta" 'o Capo 'a Chianca")

-"Capo Rovignano o Ruvigliano" (o strada), attuale "via Vecchia Miano a Piscinola". Non abbiamo trovato le fonti che giustificherebbero l'utilizzo di questo termine e neppure la sua etimologia, tuttavia un racconto popolare, tramandato di generazioni, indicherebbe che l'antica masseria ivi presente, che fu della famiglia napoletana "Altamura", era stata di proprietà della Marchesa di Ruvigliano. A dimostrazione di tale ipotesi, in un atto notarile del 1925, rogato per l'acquisto di un cespite esistente in tale zona, abbiamo rinvenuto il riferimento di "Tenimento Marchesa di Ruvigliano".

-"Dietro Vigna": l'attuale "Via Dietro la Vigna" (edificato che si ergeva sul lato appartenente a Piscinola), il cui toponimo deriverebbe dal nome che prendeva tale parte di territorio, in quanto confinante con un canale o lagno, chiamato fin dall'antichità "Canale di Vigna" (vedi foto mappa); l'attuale lapide stradale, affissa nella zona di Marianella, riporta la precedente denominazione di "già Cupa Canale", vedi foto (In effetti la "Via dell'Abbondanza" ricalcherebe un tratto dell'antico alveo del Canale di Vigna).

Canale di Vigna, in una mappa primi anni '800
-"Strada per Napoli", riferibile all'attuale "Via Napoli a Piscinola", probabilmente in antichità era la via diretta e maggiormente utilizzata per il collegamento del centro cittadino con Piscinola e viceversa.

-"La Scampia": La zona che attualmente è il rione Scampia era in passato una sconfinata piana agricola e come "puntellata" da antiche masseria; ovviamente ci riferiamo alla parte compresa nel soppresso Comune piscinolese. Interessanti anche i nomi delle masserie presenti, delle quali ne citiamo tre: "Masseria Carrasiello", "Masseria Cascella" e "Masseria Donnaromita" (vedi foto mappa). 

-"La Filanda": parte del territorio situato nel lato nord-ovest dello "Scampia", chiamato così, quasi sicuramente, per la presenza di diverse filande abidite alla tessitura del lino, della canapa e anche della seta. In aggiunta, sappiamo che molte donne dell'epoca dichiaravano all'anagrafe la loro professione di "filatrice".

-"L'Acquarone": oggi "via Cupa Acquarola"), la stradina consentiva il collegamento del centro edificato di Piscinola con i campi dello Scampia, ancora oggi esistente, anche se è diventata una strada cieca per i lavori di costruzione delle due ferrovie. Il toponimo richiama l'utilizzo della stada anche per far confluire le acque meteoriche attraversanti il territorio, durante le copiose precipitazioni, verso la piana di Scampia. Occorrerebbe ricollocare oggi la targa stradale, che è andata perduta.

-"Madonna delle Grazie", parte di territorio situato a meridione del centro edificato di Piscinola, chiamato così per la presenza secolare di una chiesetta o di una cappella dedicata alla Madonna delle Grazie (vedi foto mappa). Il toponimo è riportato nelle mappe sette-ottocentesche e anche negli "atti di morte", redatti durante i momenti di epidemia, come la peste, quando le salme degli appestati erano sepolte in questa località, secondo le vigenti disposizioni di sanità pubblica. Oggi il territorio in questione è attraversato dalla "Via Madonna delle Grazie".

-"Masseria San Giovanni a Carbonara": il toponimo, oltre alla masseria, era usato per indicare la parte del territorio circostante essa, situata a meridione dell'antico centro edificato di Piscinola (vedi foto mappa). La masseria si erge ancora oggi in posizione isolata, sulla strada di collegamento con Marianella, che prende il nome di "Cupa S. Giovanni a Marianella". Per quanto concerne la masseria, nel corso di un contenzioso sorto tra la Parrocchia di Piscinola e quella di Marianella (sec. XVII), fu sancita l'appartenenza del cespite coi suoi abitanti alla giurisdizione ecclesiastica della parrocchia del SS. Salvatore in Piscinola.

Ci piace aggiungere all'elenco alcune particolarità più recenti:

Il "Cancello" in una mappa di metà '800

"Via Vittorio Emanuele": la zona che viene ancora oggi chiamata "'o Capo 'e Coppa" fu inizialmente denominata "Via Del Risorgimento", desumiamo che fu poi cambiata dopo l'Unità d'Italia, intitolandola al re di casa Savoia (sempre se il nome del re si riferisce a Vittorio Emanuele II).
Tale deduzione è confermata dal nome, ancora esistente, per indicare le due traverse che da essa si diramano, denominate: "Vico I° e Vico II° Risorgimento". Queste due stradine (o vicoli)  erano chiamate
in antichità "Venelle", per la loro conformazione tortuosa e stretta; sappiamo anche che per la prima di esse, il toponimo locale utilizzato era di "Venella 'o Sagramento".

"Fore 'o Ttrentotto" e "Abbascio Miano": al completamento della costruzione della nuova via carrabile di collegamento per Miano, quella che oggi è chiamata "Via Vittorio Veneto" (inaugurata nell'anno 1913), fu deciso di denominarla inizialmente "Via Nuova Miano Piscinola"; desumiamo, per logica conseguenza, che l'antica strada parallela (collegante sempre Piscinola con Miano), fu ridenominata "Via Vecchia Miano Piscinola". Tale designazione è ancora in uso per quest'ultima strada (nell'inventario popolare è detta "Abbascio Miano o Abbascio 'a cupa e Miano"), mentre per la prima strada, Via Vittorio Veneto, è ancora in uso indicare la sua parte terminale col toponimo di "Fore 'o ttrentotto" (chiamata così per essere stata il capolinea del tram n.38).

Via del Plebiscito (detto 'o Capo 'a Chianca")

La strada che in antico tempo collegava la strada "Via Ferrovia Napoli Piedimonte d'Alife" con le campagne dello "Scampia", prendeva il nome di "Abbascio 'o Canciello"; diverse tesi sono state avanzate per spiegare l'etimologia del toponimo, alcune si riferirebbero a cancelli interpoderali presenti, mentre altre a barre ferroviarie di segnalazione del passaggio a livello pericoloso, tuttavia in alcune mappe risalenti alla metà dell' '800 abbiamo trovato scritto il toponimo di "Cancello" (vedi foto).


Salvatore Fioretto

 

Via Vecchia Miano a Piscinola (detta "Abbascio Miano"), in foto la Masseria abbattuta nel 2002


lunedì 30 gennaio 2023

Un poeta filosofo, Daniele Buopane, in "Aneliti poetici"...!

Il territorio dell'Area Nord di Napoli è uno scrigno di artisti, sia uomini che donne,
di qualsiasi età, che si dedicano alle varie forme dell'arte: musica, pittura, letteratura, poesia, scultura, recitazione, canto, composizione, lavori in miniatura, ecc. La cosa che più sorprende è quella che le lamentele che si sentono in giro, sostenendo che i giovani di oggi non seguirebbero la poesia e la scrittura, sono qui ampiamente infondate, come dimostreremo nello scritto di questo post, dedicato al giovanissimo poeta e filosofo piscinolese, che si chiama Daniele Buonpane.
Daniele Buonpane è nato a Napoli, nell'anno 1988. Vive a Piscinola, suo quartiere natio, a cui è legato particolarmente, come ha dimostrato in molte sue poesie e aforismi.
Buonpane si è laureato in Filosofia, alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Napoli "Federico II". Ha partecipato a diverse kermesse culturali e a convegni. Si dedica al volontariato, insegnando ai giovani sportivi del territorio i valori del rispetto e della condivisione della giustizia e dell'etica sportiva.
Ha già pubblicato diverse raccolte di poesie, tra le quali: Lo scrigno dei sogni (2011), "Siamo monete di poco valore" (2012), "Non riesco ad essere infelice" (2013) e una raccolta di aforismi intitolata "I miei pensieri" (2016).
Ultimo lavoro presentato a Marianella, alla fine dello scorso anno, è stato la raccolta di poesie intitolata"Aneliti poetici", Edita da LFA Publisher, novembre 2019, ricevendo un buon apprezzamento da parte dei lettori e degli appassionati del genere.
Per capire la sua letteratura e il suo spirito poetico, prendiamo in prestito il testo dell'"Introduzione", contenuta nel libro "Aneliti poetici":
"Per questa mia nuova raccolta di poesie, non sono partito dal primo gemito del bambino, ma dall’ultimo anelito dell’uomo. La vita è un soffio vitale, la poesia è un anelito poetico. La Poesia riesce a farci perdere il fiato, questo accade sia per il poeta che la compone e la libera fuori di sé, sia per il lettore che la legge e l’assorbe dentro di sé. L’anelito è un respiro pesante, affannoso, riflessivo, contemplativo, è dunque il punto più alto della massima espressione della poesia, il momento più forte per comporre. Poiché verso la fine della vita tutto assume un senso e diventa più chiaro. La Poesia è immortale; l’ unica cosa che si avvicina alla morte senza mai morire, ed è viva senza una vera vita. La Poesia è un anelito che ci toglie sempre il fiato senza mai farci morire. Questo è il compito del poeta: lasciarci anche per pochi momenti senza il fiato, dove in quei momenti di eternità viviamo qualcosa di infinito, questo infinito ansimare è la poesia. Tutto questo mio vivere e comporre sono aneliti poetici. Questa raccolta di Poesie non si chiama anelito poetico, non l’ho ridotto alla singolarità di un attimo, perché se fosse stato l’ultimo anelito, avrei raffigurato la morte della poesia, o almeno la fine del mio essere poeta; perciò, si chiama aneliti poetici perché il mio vivere è un perpetuo essere di stati spasmodici, definibile come una serie infinita di aneliti poetici. Spero dunque di regalare ancora negli anni, tante altre poesie per far respirare ai miei lettori qualcosa di bello. Negli anni ho forgiato e regalato tante poesie in tre raccolte, questa è la quarta, anche se non mi consacra come poeta, inizio a vivere da poeta. Con il passare dei miei anni, avverto il peso della mia esistenza come essere pensante nel mondo e condivido il mio vivere nei versi con una certa passione. Nonostante abbia scritto tante poesie, so bene che il vestito del poeta, per ora mi va ancora grande, devo ancora crescere per poterlo indossare, forse un giorno mi andrà bene e potrò portarlo, quindi, per rispetto della poesia e dei poeti, mi sento semplicemente un uomo abitato dalla poesia, ma ancora in perenne formazione poetica.
Per dirla in termini moderni, sono un apprendista poeta. Senza moralismo alcuno, mi sento di redarguire la nostra società, perché prima c’era una certa forma di riverenza nei riguardi dei poeti, oggi invece si ha una scarsa considerazione di essi. Tutto questo fa male non solo come poeta, ma come creatura sensibile alla vita e all’arte. Questa raccolta si presenta come una poesia che lascia senza fiato, un serie infinita di aneliti poetici, la poesia è l’ultima e unica speranza per un mondo migliore. La Poesia che toglie il fiato, ma che non muore mai, l’immortalità dei versi che si imprimono nella storia e nelle coscienze umane. Almeno interiormente con la poesia, avviene una modificazione del nostro essere, se poi i versi diverranno pratici, le parole dei poeti cambieranno anche l’esteriorità degli uomini. Questa raccolta di poesie oltre a porgere un messaggio umanitario e anche promotrice di valori e di bellezza. L’anelito è anche un desiderio ardente in qualcosa di importante. Una tensione dei nostri desideri verso l’inesauribile bellezza della vita. Ad ogni uomo, in punto di morte, si concede sempre un ultimo desiderio; la poesia, generoso ingegno dell’uomo, concede ai lettori nell’arco della loro vita tantissimi aneliti poetici. Adesso immergetevi pure nei miei versi, leggeteli e rileggeteli con calma, fate proprie le mie parole affinché vi regalino emozioni. Fatevi investire da tutti i sentimenti umani senza alcuna paura, vedrete che poi, un dolce anelito poetico vi agguanterà".

Trascriviamo nel seguito, tra le tante poesie contenute nel libro "Aneliti poetici", questa che ci ha particolarmente colpito:

L'Anonimo
"L'anonimo è il poeta che non conosci, ma che credi di conoscere davvero tramite le sue tante poesie.
Anonimo è il destino della nostra vita che è fatta da Dio e vissuta da noi, ma lui non si rivela mai a nessuno.
L'anonimo è il barbone sotto casa mia che dice che esiste ma nessuno lo sa, perché il suo vivere è solo sopravvivere.
Anonima è una qualsiasi prostituta, che vende il suo corpo senza anima agli uomini che sono in cerca di se stessi.
L'anonimo è il nascondersi della politica che spara le leggi folli in parlamento, ma quando poi combinano guai scappano via.
Anonima è tutta questa mia vita, che vivo tanto per doverla vivere, ma poi sono felice ma non capisco nulla.
L'anonimo è lo stato italiano che ci ha lasciato per sempre la mano, dove non si sa più come crescere.
Anonima è l'intera nostra esistenza, che la si vive senza alcun senso ma si cerca comunque di darne uno."

Salutiamo Daniele Buonpane, che conosciamo personalmente, augurandogli di coronare tutti i suoi sogni e passioni, letterarie, professionali e di vita.
Salvatore Fioretto