venerdì 21 aprile 2023

Una Deputazione laicale e civica per il "Tesoro di San Gennaro": la storia dal 1527 a oggi...

Dopo il voto fatto a San Gennaro dagli "Eletti della Città", nel 1527, per salvare Napoli dai tre mali che l'attanagliavano in quel momento: "Guerra, Pestilenza e Vesuvio", passarono diversi decenni affinché si iniziasse l'opera della nuova Cappella del Tesoro. Il 5 febbraio del 1601, gli "Eletti della Città" nominarono una commissione laica di dodici membri, denominata "Deputazione", composta da due rappresentanti per ognuno dei Seggi cittadini (Sedili) ed a cui venne affidato il compito di promuovere e curare la costruzione e la decorazione della nuova cappella di San Gennaro.
Il finanziamento dell'opera inizialmente prevedeva lo stanziamento di 10.000 scudi; tuttavia il fondo raggiunse, a conclusione dell'opera, la cifra di oltre 480.000 ducati...! Questa Deputazione ha avuto una storia molto articolata e per descriverla abbiamo consultato il bel libro:
Saggio di storia civile del Municipio Napolitano, dal tempo delle colonie greche ai nostri giorni. Per Roberto Guiscardi, avvocato presso la Corte d’appello in Napoli, dedicato all’Eccellentissima città di Napoli - Napoli tipografia F. Vitale – anno 1862”, dal quale estrapoliamo e riportiamo la parte d'interesse.
Precisiamo, per coloro che non lo sapessero, che gli "Eletti" erano i rappresentanti del "Tribunale di San Lorenzo" (paragonabile a un odierno consiglio comunale), composti da 7 deputati e da un presidente chiamato "Grassiere". Gli Eletti erano nominati dai 6 Sedili (Montagna, Nido, Capuana, Porto, Portanova e Popolo), un eletto per ciascun Sedile, eccetto Montagna che ne nominava due (per l'inglobamento del vecchio sedile di Forcella, tuttavia questi due deputati potevano esprimere un solo voto
nell'assemblea di S. Lorenzo).

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[...] "Accennammo in fine del Capitolo XIII che il Sindaco di Napoli ai poteri giurisdizionali aggiungeva quello di essere di diritto Presidente della Deputazione del Tesoro di S. Gennaro, e come subbietto tutto speciale riserbammo ragionarne in questo Capitolo XV, dedicato alle specialità del nostro Municipio.
Specialissimo argomento costituisce questo Tesoro di S. Gennaro, e che secondo particolari vedute ha meritato l’attenzione de’ Napolitani e degli stranieri. Noi ne ragioneremo solo per quanto può riguardare il Municipio. Lasciamo agli archeologi e ai cultori delle belle arti la descrizione della singolare Cappella del Duomo, che la Città di Napoli nel 13 gennaio 1527 votava a S. Gennaro suo principale Patrono, e della quale fu cominciata la fabbrica nel 1608.

Nulla diremo delle immense spese fattevi, e della straordinaria ricchezza delle suppellettili, e de’ sacri arredi arricchiti di tali e, tante gemme, che questa cappella meritamente per antonomasia dicesi il Tesoro. Venne sostituita a quella ove anticamente si conservavano le dette reliquie. E che esisteva nella torre quadrata presso la porta minore della facciata principale dal lato del battistero, cappella oggi data alla congregazione de’ Neri di S. Restituta, e per tal cause chiamata il Tesoro vecchio. Fondata dalla città di Napoli questa cappella è di suo patronato (ossia la proprietà è della città di Napoli - n.d.r.).
L’istromento d fondazione stipulato il 13 gennaio 1527 dal notaio Vincenzo de Bossis presenta il voto fatto dalla Città di Napoli di edificare al Santo una cappella, erogandovi la spesa di ducati diecimila, oltre il dono di mille ducati mille in oro per un ciborio. Nello istromento dicesi che la città era travagliata da pestilenza; ma sul frontone della cappella si legge:

Divo Januario
E fame peste bello
Ac Vesevi igne
Miri opre sanguinis
Erepta Neapolis
Civi patrono vindici.

("A San Gennaro, al cittadino, al protettore e al salvatore della patria, Napoli salvata dalla fame, dalla guerra, dalla peste e dal fuoco del Vesuvio, per virtù del suo sangue miracoloso, consacra" n.d.r.)

Il voto della Città con una speciale pompa descritto nell’istromento medesimo, fu presentato dagli eletti di quel tempo, cioè Mario Tomacelli pel sedile di Capuana, Galeazzo Cicinelli e Antonio Sanfelice per Montagna, Francesco d’Alagni per Nido, Antonio d’Alessandro per Porto, Alberico de Liguoro per Portanova, e Paolo Calamazza pel Fedelissimo Popolo.
L’amministrazione delle cose temporali e spirituali fu riservata agli Eletti, ai quali spettava il diritto di presentare e nominare i cappellani, ed anco rimoverli; liberi ed esenti da ogni superiore giurisdizione, anche ordinaria.
Prima però che nel dì 8 gennaio 1608 si fosse gettata la prima pietra da Fabio Maranta vescovo di Calvi, in nome di Ottavio Acquaviva Cardinale arcivescovo, i Napolitani nel parlamento generale tenuto nel 1591, essendo Vicerè il Conte de Miranda, con la grazia 6^, fra le altre, chiesero istituirsi un ordine cavalleresco nazionale col titolo di S. Gennaro, e con la stessa regola dell’ordine spagnuolo di S. Giacomo circa i quattro lati di nobiltà da provarsi da coloro, che vi si volessero ascrivere, sborsando centomila ducati, da impiegarsi in compra di annue entrate sopra i Fiscali per formarsene delle commende.
Rispose il re: Sua Majestatis, re mature pensata, curabit supplicationi justissimae petitionis satisfacere. Ma nulla fu praticato all’uopo; e solo dopo circa un secolo e mezzo a 3 luglio 1738 fu soddisfatto il desiderio della Città, essendosi allora istituito l’insigne Real Ordine di S. Gennaro, unico nazionale in quel tempo.
La Città esercitava il suo patronato sulla Cappella del Tesoro per mezzo della Deputazione del Tesoro di S. Gennaro; la quale in antico era composta di dodici Deputati; due di ciascuna Piazza nobile, e due della Piazza del Popolo. I dieci Deputati nobili errano eletti dalle rispettive piazze per un biennio; mutandosene uno ogni anno, affinché si trovasse sempre uno antico dell’anno precedente, ed uno nuovo; se eleggevano ne’ mesi di febbraio, aprile, ottobre e dicembre. I deputati della piazza popolare duravano nell’uffizio a piacere dell’Eletto del Popolo che li nominava (l'"Eletto del Popolo" era nominato dai 29 "Capitani di Strada", eletti a loro volta dalle 29 "Ottine" (ovvero 29 contrade) con le quali era all'epoca era divisa la città Napoli - n.d.r.).
Le Reliquie del Santo si custodivano (come tuttora si costuma) in due appositi armadii, serrati con doppie e differenti chiavi; due per ciascuno. Due di esse, una di ciascun armadio, si conservano dall’arcivescovo, e le altre due dai Deputati per giro; cioè dal Deputato di maggiore età fra i due di quel sedile, nel quale (come diremo) si doveva recare la processione delle Reliquie nel primo sabato di ciascun maggio Quante volte questo Deputato per particolari ragioni avesse dovuto lasciare l’uffizio passava le chiavi all’altro Deputato, che diventava anziano per nomina rispetto a quello che i creava in sostituzione del primo. Le chiavi si custodivano da un primo sabato di maggio all’altro sabato del seguente anno; e nella sera di passavano al Deputato del Sedile cui spettava per giro.
Così passavano le chiavi da Deputato a Deputato, e da Sedile a Sedile. Questi patti furono stipulati con l’istromento del 2 maggio 1648, dopo grandissime dispute suscitate dall’Arcivescovo in occasione della processione di queste Reliquie, fatta a 5 maggio 1646, e di cui ragioneremo più innanzi. Tra le Piazza e l’Arcivescovo dovette interporsi l’autorità di Innocenzo X; ragione per la quale fra i sottoscritti a questo istromento vedesi il Nunzio apostolico. Lo sottoscrissero - Ascanio Filomarino arcivescovo di Napoli – Emilio Altieri (poi papa Clemente X) vescovo di Camerino, Nunzio apostolico – E i Deputati della cappella e tesoro di S. Gennaro – Annibale Capuano e Antonio Gattola per Portanova – Fabrizio Capece Bozzuto Tomaso Caracciolo per Capuana – Fabrizio Macedonio e Giovanni F. D’Alessandro per Porto – Giovan Battista Spinello principe di S. Giorgio per Nido – Carlo Rocco principe di Torre di Padula per Montagna – Andrea Nauclerio per lo Fedelissimo Popolo. Un Segretario-razionale ed un Cerimoniere -archiviario erano e sono addetti agli uffizii della Deputazione.
Costituitosi il Governo Repubblicano nel 1799, abolita la nobiltà, e come di conseguenza aboliti i Sedili, i Deputati del Tesoro non potevano più essere scelti fra i patrizii ascritti ai Sedili; tutto doveva essere Popolo; e invece di dodici, si ebbero sei Deputati. Furono essi i cittadini - Luigi Galeota – Pietro di Transo – Vincenzo Spinelli – Giuseppe Colonna - Vincenzo Severino – Giovanni Mastrillo.
La distruzione de’ Registri dell’Archivio di questa Deputazione circa il 1799, lascia ignoto, come e da chi fossero stati nominati all’uffizio questi Deputati; ed io non potrei spiegare, come in tempi eminentemente democratici, i sei Deputati del Tesoro fossero tutti nobili; almeno congetturando dai loro cognomi.

Gli stemmi dei Sedili affissi al Campanile di S. Lorenzo Maggiore

Il volume delle Conclusioni apparentemente completo è stato mutilato e rilegato novellamente; lo indica la qualità, e lo stato della carta. Abbiamo tratto questa notizia circa il numero e i nomi de’ Deputati dal volume del Cerimoniale da 1793 al 1802. Fol. 47. Ove con la data 4 maggio 1799 si descrive l’ordine della processione delle Reliquie, di cui diremo in appresso.
Abolita la nobiltà, aboliti i Sedili, non pare possibile, che si fossero nominati sei deputati in memoria delle cinque Piazze nobili e della Piazza popolare; sebbene in quell’epoca di universale democrazia non mancò il malvezzo di scriversi ex Duca, ex Principe, ex Cavaliere. Credo piuttosto, che si ebbero sei Deputati, quali fossero stati nominati dalli sei Cantoni, nei quali fu divisa la Città di Napoli, come dicemmo altrove. E chi sa che nol furono? La distruzione delle carte non permette una certezza.
Caduta la Repubblica, con Ordine del 13 luglio 1799, fu istituita una Regia Deputazione provvisoria, preposta all’annona, sostituendola a tutti gli uffizi del Tribunale di S. Lorenzo, e delle Deputazioni. I componenti di essa nel riunirsi la prima volta il 17 luglio divisero fra loro tutti gli incarichi municipali; e il Duca d’Atri Girolamo Acquaviva Presidente di questa Deputazione provvisoria s’incaricò della Deputazione del Tesoro.

Interno cupola della Cappella del Tesoro, "Paradiso" di Lanfranco

Poscia con l’Editto del 25 aprile 1800 istituito il Regio Senato per la parte municipale, e contemporaneamente il Supremo Tribunale Conservatore della Nobiltà, con dispaccio del 30 dicembre detto anno questo Tribunale fu incaricato supplire all’abolita Deputazione del Tesoro.
Nel 1809 fu abolito il Tribunale Conservatore della Nobiltà, e vi fu sostituito il Consiglio de’ Majoraschi. A questo Consiglio non venne affidata la Deputazione del Tesoro, come si era praticato pel Tribunale Conservatore; però i già componenti di questi Tribunale continuarono di fatto nell’uffizio di Deputati del Tesoro, che con ordine del 14 ottobre 1806 si era determinato fossero cinque; poi accresciuto a sette.
Nel proseguo il decreto del 23 gennaio 1811 dispose che il Sindaco di Napoli fosse di diritto Presidente della Deputazione del Tesoro. Il re si riserbò di approvare egli spesso lo stato discusso di questa Deputazione, che per maggiore dignità fu messa alla dipendenza del Ministero degli affari esteri; come stette anche dopo la restaurazione del 1815, essendosi con decreto del 29 agosto di questo anno, soltanto riportato a nove il numero dei Deputati, che era stato ridotto a sette.
Istituito poi col decreto del 15 ottobre 1822 il Ministero della Presidenza, per grado superiore a quello degli affari esteri, la deputazione del Tesoro passò alla dipendenza di quel Ministero.
Preseduta dal Sindaco, e con nove Deputati del Libro d’oro, si è retta la Deputazione fino ai nostri giorni; allorché il Luogotenente di Re Vittorio Emmanuele, col decreto del 5 gennaio 1861, credette poter riportare le cose alla loro primitiva istituzione.

Al Sindaco fu conservata la presidenza della Deputazione; ed a questa furono nominati dodici Deputati; dieci nobili, e due del popolo, cioè un avvocato e un negoziante. Ma con questa arbitraria creazione non fu restituito al Popolo il diritto di nomina, che molto meno di poteva restituire alla nobiltà, dopo l’abolizione dei Sedili. Che nel tempo antico si avevano dieci Deputati nobili e de del Popolo, allora non vi era presidente di sorta alcuna: e siccome il Municipio rappresenta oggi esclusivamente il Popolo, (non essendovi altro che il Popolo), si avrebbe due deputati ed il presidente tolti dal Popolo istesso. E che il Municipio oggi rappresentati Nobiltà e Popolo in siffatte materie lo rileviamo nella processione del Corpus (l'annuale e solenne processione del Corpus Domini cittadina all'epoca svolta - n.d.r.), nella quale gli Eletti portano le sei aste del baldacchino, che per lo innanzi erano portate, una dall’Eletto del Popolo e cinque dai cavalieri de’ Sedili.

Allorquando si erigeva la cappella, Paolo V vi destinò sei canonici della cattedrale per celebrarvi i divini uffici. Poi Urbano VIII a 10 marzo 1645 vi concesse dodici cappellani, uno dei quali tesoriere, capo e prefetto, da nominarsi dalle sei Piazze, incluvasi la popolare. La città assegnava ad essi, ed a quattro chierici ducati 1614. Ciascuna cappellania era in origine di ducati dieci al mese; poscia fu stabilito a ducati ventiquattro; ed al tesoriere si fissarono prima ducati quindici, poi trenta.

Cappella di S. Gennaro, altare maggiore, paliotto d'argento e Imbusto

Vacando una piazza di cappellano fra quelle che appartenevano ai Sedili nobili si doveva coprire da un prete dello stesso Sedile; in mancanza si sceglieva nel Sedile, che secondo l’ordine indicati seguiva. Aboliti i Sedili, e sostituitovi il Libro d’oro, il re nominava i cappellani di suo arbitrio sopra terne fra gli ascritti a quel registro di nobiltà. Ma come talvolta le Piazze non sempre serbavano nelle nomine l’ordine di precedenza fra esse, così una volta si vide nominato cappellano per vacanza di Piazza nobile, uno che tale non era.

Per decreto del 5 ottobre 1808 i cappellani del Tesoro vennero costituiti in dignità di Capitolo, arricchiti di una badìa di ducati duemilaseicento annui, oltre gli antichi assegnamenti, e decorati di una medaglia d’oro con cinque raggi, da portarsi sospesa al collo con nastro scarlatto orlato di azzurro. La medaglia da una parte presenta la protome del Santo fra le palme del martirio con la leggenda: Pater et custos patriae; nel rovescio fra due rami d’alloro la iscrizione – Tutela religionis suscepta; nel giro Jochinus Napoleo Siciliarum Rex; e nell’esergo Die nona octobris 1808. La nomina era fatta sulla proposta del Tribunale Conservatore della nobiltà come incaricato della Deputazione: e poi dalla Deputazione istessa, perché come detto al Consiglio dei Majoraschi, successore del Tribunale Conservatore, non venne affidata la Deputazione. (Segue nel testo la descrizione dell’organizzazione della festa della traslazione delle reliquie nelle varie Piazze dei Sedili della città di Napoli - n.d.r.)."

Come si osserva dalla lettura del testo storico, la storia della Deputazione del Tesoro di San Gennaro ha seguito un po' tutte le vicende del Regno e del Viceregno di Napoli, attraversando il Decennio Francese, la Restaurazione Borbonica e fino all'Unificazione d'Italia, variando il suo ordinamento più volte, a seconda del sistema politico vigente, sia come composizione dei membri e sia come criterio della loro designazione. Dal 1862 a oggi la storia d'Italia (e quella della città di Napoli) ha avuto ancora altre metamorfosi: l'Italia è una Repubblica, molti comuni autonomi che circondavano la città di Napoli (Piscinola, Secondigliano, Chiaiano, ecc.) sono diventati parte integrante della Municipalità (Municipio), i Sedili continuano a essere aboliti, come pure è stato abolito il riconoscimento della "nobiltà", il sindaco di Napoli è anche presidente della Città Metropolitana... Tuttavia la designazione della Deputazione avviene ancora secondo un regolamento molto prossimo a quello antico (12 deputati, di cui 10 attinti dalle famiglie originarie, appartenenti ai 5 Sedili nobili e 2 del Popolo). Sarebbe opportuno iniziare a intraprendere un percorso di revisione del sistema di designazione dell'Organismo cinquecentesco, per attualizzarlo alla realtà di oggi e renderlo "specchio" della Città. Come pure è necessario dare la possibilità ai cittadini napoletani interessati, vuoi per passione e amore verso San Gennaro e vuoi per attaccamento alle tradizioni napoletane, di esprimere la propria candidatura, liberamente, sperando di essere valutati e designati. Noi lo chiediamo, semplicemente nel nostro piccolo, con la speranza che una semplice richiesta a volte possa diventare, come per un seme, un elemento di crescita della nostra bella Città.

Salvatore Fioretto


Ponte della Maddalena, Edicola con statua di S. Gennaro, rivolta verso il Vesuvio in segno di protezione della città

sabato 15 aprile 2023

I racconti della Piedimonte: Storia di un operaio napoletano...

Ecco un altro bel racconto ambientato sul treno della ferrovia Napoli Piedimonte d'Alife, tratto dal romanzo: "Storia di un operaio napoletano”,  di Salvatore Cacciapuoti –Editori Riuniti – I^ edizione, Luglio 1972.

Il viaggio di ritorno” (pag. 103-107)


Era il 20 agosto, dopo il “23 luglio”. Uscimmo dalla Badia di Sulmona. Nel grande cortile del vecchio monastero i carabinieri ci vennero incontro manette alla mano. Volevano i polsi. Protestammo: niente da fare, dovevamo andare in città ammanettati. Ci rifiutammo di porgere i polsi, poi accettammo il compromesso, un polso legato e uno libero. Così una manetta per due compagni. Arrivammo dopo una mezz’ora circa al carceretto giudiziario di Sulmona e là ci ammucchiarono in piccole cellette soffocanti, senza aria, con piccole “bocche di lupo”, e il caldo si agosto, si boccheggiava. Ma era cosa da ridere per noi, all’indomani saremmo ripartiti ognuno per le nostre case.
Dopo due lunghi giorni, il foglio di via. Finalmente libero alla stazione di Sulmona! Ero vestito non so come, ai piedi avevo un paio di zoccoli, non sapevo camminare e non per via degli zoccoli; avevo perduto l’abitudine a camminare. L’aria libera, mi rendeva euforico. Mi sentivo quasi ubriaco, mi girava la testa. Il treno che mi doveva portare verso Napoli non arrivava mai. Chissà quanto tempo dovetti aspettare, forse poco, ma per me l’attesa fu lunga. Finalmente il treno arrivò. Piccolo assalto. Con grande sforzo riuscii a salire. Ero in treno! Il corridoio della carrozza era affollato di uomini e valigie. Spinto dalla calca, mi trovai in uno scompartimento. Non c’era posto né per me, né per la mia valigia che avevo legato con una corda. Potevo mettere la valigia nel corridoio su altre valigie ma avevo paura che me la rubassero. Le cose che c’erano dentro mi erano molto care: alcuni stracci di biancheria, un pullover, un paio di pedaline una cuffia da notte multicolore fatta ad uncinetto, ricavata da fili di lana di vecchi indumenti, che a loro volta erano stati ricavati da altrettanto vecchi indumenti… in carcere niente si distrugge!
La cosa che più mi preoccupava erano alcuni libri sui quali avevo “studiato” per anni. Quella valigia doveva arrivare a casa ad ogni costo. Decisi di passarmi la corda sulla spalla. Nello scompartimento non c’era spazio per tutti e due i piedi, dovevo cambiare piede continuamente. I piedi incominciavano a gonfiarsi, la corda sulla spalla con il peso della valigia sospesa produceva i suoi danni alla mia povera spalla. Gli occhi dei passeggeri erano rivolti alla mia persona, così come ero vestito, con la testa rapata a zero e con quella valigia custodita come un tesoro. Forse pensavano chissà chi è, cosa avrà in quella valigia. I loro sguardi non erano ostili, c’era fastidio in qualcuno, ma gli altri mi guardavano con commiserazione, qualcuno con pietà. Ero penoso per me. Come potevo badare a quella valigia, al dolore della mia spalla, al piede che si gonfiava, al fastidio che arrecavo ai passeggeri e ai loro sguardi? Non potevo uscire dallo scompartimento, non potevo neanche cadere; se avessi potuto, l’avrei fatto, ma non c’era un centimetro di spazio.
Il controllore mi salvò. Tutti mostrarono il biglietto, io il foglio di via, lo esaminò, mi guardò dalla testa ai piedi e disse:
- Politico?
-
Sì, comunista.
Il ferroviere mi sollevò la valigia dalla spalla e mi domandò per quanti anni mi avevano tenuto dentro. Mentre lui parlava, i viaggiatori cercavano di farmi un po’ di spazio, era impossibile. Il controllore prese la valigia e, scavalcando pacchi, valigie e uomini accoccolati, mi condusse nella cabina del vagone postale. Finalmente potei sedere e distendermi, senza neanche la preoccupazione di guardarmi la valigia, era con me, e io ero solo nella cabina. Mi sdraiai, fui colto da un sonno profondo. Mi svegliai all’alba, il treno era fermo, mi affacciai dal finestrino, la mia carrozza era su un binario morto, non so dove. Dopo qualche ora l’agganciarono al treno per Napoli. Il treno si mise in moto, io mi godevo la cabina e il paesaggio. Venne un nuovo controllore, mi parlò di bombardamenti su Napoli e mi portò in uno scompartimento dove c’era un comodo posto per me e per la mia valigia.
Il treno correva come una lumaca. Ad un certo momento si fermò del tutto, ma non c’era nessuna stazione, era in mezzo alla campagna a qualche chilometro da Capua. I ferrovieri dissero che tutti dovevano scendere ed arrangiarsi, era stata bombardata Capua e colpito il ponte della stazione; il treno non poteva proseguire. Capii, dal vociare di alcuni viaggiatori diretti a Napoli, che bisognava raggiungere a piedi la stazione della Piedimonte d’Alife, e che bisognava percorrere qualche chilometro. Mi misi in cammino con la valigia sulle spalle, cecando di seguire alcuni che dovevano raggiungere Napoli, ma non avevo la forza. Gli zoccoli avevano prodotto ai calcagni delle vesciche che si erano rotte e mi producevano un dolore atroce. Restai solo sulla lunga strada che conduceva alla stazione della Piedimonte. Camminavo come potevo, con fermate continue.
Mi avevano detto che l’ultimo trenino per Napoli sarebbe partito ad una certa ora, non so a che ora: perduto quello sarei rimasto la notte sul marciapiedi della stazione. Dovevo camminare, ma i piedi non obbedivano, la volontà non riusciva a farli camminare, mi sdraiai a terra e poggiai la testa sulla valigia. Da dove io venivo, cioè dalla stessa strada che avevo percorso, vidi che arrivavano centinaia di persone. Era arrivato un altro treno diretto a Napoli e anche questo dovette fermarsi prima del ponte della stazione. Decisi di accordarmi, c’erano due che camminavano con fatica, avevano uno zaino sulle spalle e una valigia per ogni mano. Andavano a Napoli, mi dissero. Questa volta riuscii a seguirli perché portavano un grosso peso e si fermavano continuamente per riposarsi. Cosa che facevo anch’io. Mentre camminavo per percorrere un’altra piccola tappa, vidi la gente che incominciò a scappare e buttarsi nella campagna. Io non capivo niente. Poi grandi boati. Stavano bombardando Capua (a Capua c’era lo spolettificio mi dissero); mi buttai in un fosso laterale alla strada senza lasciare la mia valigia. Rimasi lì accovacciato per alcuni minuti quindi mi rimisi in cammino. Vedevo del fumo in lontananza, sentivo ancora spari della contraerea. Ma io ero come un bambino che non conosce il pericolo.
All’imbrunire arrivai a questa famosa stazione della Piedimonte, in tempo per prendere l’ultimo treno per Napoli. Era la stazione di S. Maria Capua Vetere! C’erano anche i due con le valigie e lo zaino a tracolla. Uno di loro mi domandò guardando la mia valigia: “Paisà, cosa sei riuscito a trovare? Hai trovato i fagioli?”, “Sì. Qualche chilo”. “Noi anche l’olio”, disse. Il treno arrivò, c’erano anche posti a sedere mi piazzai seduto, avevo un posto tutto per me. Tirai un gran respiro, mi sentivo quasi a casa. Dopo alcuni minuti di corsa il mio treno si fermò, si vedevano grandi riflettori che esploravano il cielo. I viaggiatori lasciarono le carrozze e scapparono nella campagna. Stavano bombardando Napoli. Io rimasi immobile al mio posto, non avevo più forza, guardavo quello spettacolo, per me nuovo, di quei riflettori che si incrociavano. Passo del tempo e la luce dei riflettori scomparve dal cielo, i viaggiatori tornarono nelle vetture. Il treno si rimise in moto. Camminava con le luci spente e lentamente. I viaggiatori parlavano soltanto di bombardamenti, di quartieri distrutti e di contrabbando. Io avevo l’indirizzo di casa, ma non sapevo dove fosse “salita” Pontenuovo, durante la mia permanenza il carcere, i miei avevano fatto il 4 maggio tre volte. E’ una vecchia tradizione napoletana cambiare casa il 4 maggio, in quel giorno a Napoli, si incontrano per tutte le strade camions, camioncini, carretti, carrettini, ecc. pieni di masserizie che si spostano da un punto all’altro della città.
Mi spiegarono che si trovava verso la metà di via Foria, verso S. Giovanni a Carbonara. Gran pasticcio. Ma il problema era arrivare a Napoli, poi avrei pensato a trovare la casa dove abitavano i miei.
Mezz’ora ancora e il treno si riferma.
- Si scende, siamo a Napoli, - disse il manovratore.
- Ma questo non è il capolinea! – disse qualcuno.
- Sì, è lo scalo merci della Doganella, il treno non arriva al capolinea, (piazza Carlo III, angolo Via Foria) disse questa volta il controllore. Iniziai, con la mia valigia in spalla, l’ultima tappa. Napoli era al buio e c’era il coprifuoco. Discesi l’ultima rampa della Doganella e mi trovai a Piazza Carlo III. Qui fui fermato da un “alt” e subito un ufficiale mi esaminò con una pila. Dovetti dare spiegazioni del perché a quell’ora ero in strada. Quindi mi chiese i documenti, gli mollai il foglio di via. Nuovo esame con la pila dalla testa ai piedi, poi la luce della pila cadde sulla valigia che nel frattempo avevo poggiato a terra. “Vediamo in quella valigia”, disse. Io agii con la massima sollecitudine, ma impiegai più del necessario ad aprirla con tutte le corde e cordicelle da sciogliere. Guardò nei miei stracci, lesse il titolo di qualche libro, e, rivolto ai suoi della ronda disse: “è istruito il signorino. Puoi andare”. Rilegai alla meglio la valigia e di nuovo mi misi a camminare; un piccolo tratto e una fermata, un piccolo tratto e una fermata. Arrivai così all’altezza dell’Orto Botanico. Lì mi sdraiai a terra, i piedi erano gonfi, non ce la facevo più. E poi come potevo indovinare dove si trovava questa benedetta salita Pontenuovo. Non avevo a chi domandare, non circolava anima viva. Sarei rimasto ancora per un pezzo se non avessi capito che dopo non avrei avuto più la forza di rialzarmi. Mi alzai di scatto e camminai fino al distretto militare. All’angolo girai a sinistra, a caso. Mi sentii sbattere forte il cuore. Avevo visto, illuminato dalla luna, un uomo seduto sulla soglia del suo basso. Prima di raggiungere l’uomo mancavano alcuni metri, incominciai a salutarlo per timore che si ritirasse nel basso. Lo raggiunsi, mi fermai, e, con un fare cortese e umile, gli domandai dove fosse salita Pontenuovo. Mi disse: “Alle monacelle, girate alla prima traversa e siete arrivato”. Lo ringraziai. La traversa era in salita, niente di male, ormai le forze m’erano venute. La strada era quella ma dovevo trovare il numero civico. Decisi di entrare in tutti i portoni e gridare il mio cognome. Gridai parecchie volte, come un pazzo, nel primo e nel secondo palazzo. Niente, nessuno rispondeva. Rischiavo di ripetere questa storia molte volte, c’erano portoni a destra e a sinistra. Entrai nel terzo, e facendo imbuto davanti alla bocca con le mani, mi misi a gridare più forte, l’unico mezzo a mia disposizione era quello di chiamare “famiglia Cacciapuoti”. Dopo aver chiamato alcune volte, la voce di mio fratello Raffaele dall’alto pronunciò il mio nome. […]"

Come sempre capita, dalla lettura di questi racconti, tratti da storie realmente accadute, traspaiono in essi tutte le sofferenze e l'umanità di un periodo molto buio della storia di Napoli (anno 1943), ma anche molto commoventi ed edificanti. Rimandiamo il lettore appassionato a continuare la lettura di questo romanzo, che troviamo molto bello e appassionato.

Salvatore Fioretto

mercoledì 5 aprile 2023

Quei mitici "110" e "22": ricordi di viaggio dei lettori di Piscinolablog...

Alcune settimane fa, dopo la pubblicazione sulla pagina rivista di "Amici di Piscinolablog", di due foto storiche, che riprendevano gli autobus delle linee "110 e "22", abbiamo registrato una piacevole mole di racconti e ricordi scritti dai lettori della pagina, che condividevano loro esperienze di viaggi a bordo dei due autobus. Abbiamo quindi deciso di raccoglierli in un post dedicato a loro, selezionando quelli contenenti i commenti più significativi, che permettono di realizzare un racconto. Sono stati inseriti i nomi degli autori dei commenti.
Ecco gli scritti, buona lettura:

Vittorio Selis: "Al Museo Archeologico, dondolandosi sulle grandi catene mentre si dava l'ultimo morso alla pizza a portafoglio presa alla pizzeria di via Costantinopoli, si attendeva il 22 che veniva da Piazza Dante o il 110 da Piazza Cavour, sperando di trovarvi su qualche ragazza corteggiata. Due volte, promettendogli una pizza, si riuscì a convincere l'autista del 22 a fare il giro Pessina, Bellini, Costantinopoli tra l'ilarità di tutti i passeggeri. Nessuno a lamentarsi. Ma il vero tifo da stadio era la gara tra 22 e 110 sulla salita Capodimonte. Con gli autisti ci si accordava al Museo.
La gara iniziava alla rotonda e finiva davanti Porta Piccola. Finestrini aperti anche d'inverno e tutti a sbeffeggiare se si era fatto il sorpasso o a essere sbeffeggiati se si era stati sorpassati. A Napoli questi innocenti passatempi erano abbastanza comuni e servivano ad accantonare preoccupazioni vere o presunte. A volte mi chiedo, riuscendo a "corrompere" due autisti dell'ATM per una gara a via Torino o sui Navigli, cosa direbbero i passeggeri milanesi".
Donato Marano: "Il "22" fu istituito nella primavera del 1963. Alcuni mesi prima, delle 2 linee di autobus che partivano da Piscinola il 110 nero (per piazza Garibaldi) non aveva più un capolinea di arrivo ma tornava indietro dalla fine di via Costantinopoli girando a sx anziché andare a dx; il 110 rosso fu abolito.
Lo stesso destino toccò a tutte le linee che collegavano il centro con le zone collinari e le periferie. Per consentire agli utenti (migliaia nelle prime ore del mattino) di proseguire per raggiungere le scuole e i posti di lavoro furono istituite le cosiddette circolari CD, CS (destra e sinistra) che su poche fermate di via S. Teresa, via Foria e via Pessina, dovevano accogliere di persone.
Fu subito caos e, fortunatamente, si fece marcia indietro riprolungando il percorso di alcune vecchie linee e istituendo altre nuove (22, 23, 24, 25, 26, 27, 137 ecc.).
Qualcuno si chiederà: perché non fu ripristinato il 110 rosso (e simili)? Secondo me fu una furbata dell'ATAN, così si chiamava allora l'azienda municipale dei trasporti.
Infatti gli abbonamenti feriali mensili consentivano ad operai e studenti, al modico prezzo di L. 800, di usufruire di entrambe le linee (per i primi dalle 5 alle 8.30 e dalle 16 alle 20, per i secondi dalle 5 alle 20 ininterrottamente). Le nuove linee portarono al gestore un significativo aumento degli introiti. Confermo la notazione di Roberto, sull'apprezzabile frequenza del 110. Penso però che pochi ricordino che tale caratteristica fu "certificata" dalle strofe di una canzone del noto cantante melodico napoletano Mario Abate, habitue' delle feste patronali piscinolesi del tempo che fu. Abate cantava di un innamorato che aveva dato appuntamento alla sua ragazza alla fermata dell'autobus, ma lei tardava di parecchio e lui contava le ore che passavano: "... arriv' e pass' nat' 110...".
Al mattino nel giro di mezz'ora e dopo le 13 per un paio di ore quanti ragazzi ci ritrovavamo per la maggior parte nel 110 nell'andare e nel tornare da scuola. Io dal '60 al' 68 (sc. medie e liceo), poi l'università fino al '73".
Luciano Granato: (che è autista di autobus pubblici): "Quanti di voi ho portato al centro". 
Gennaro Brancaccio: "C'era il 23 la 126 il 21 che tempi belli che non torneranno più ma io ci faccio un pensierino son tornati di moda i dischi in vinile vuoi che non tornano anche le linee sopra citate ? Mah, Io ci credo! Ciao a Salvatore B. e a tutti quelli di Piscinola e Marianella. A presto! Facciamo risorgere questa zona a nord di Napoli questo quartiere rendiamolo, facciamolo, quello di una volta!".
Giovanbattista Mele: "Non mi ricordo l'anno, alle elementari facemmo il tema: ...è arrivato il 110 a Piscinola".
Giovanni Lanzuise: "Quello delle 7:20 per 40 anni..." Alle 7:20 partivano insieme gli autobus delle due linee, sia del "22" che del "110".
Amedeo Amedeo: "Che spettacolo".
Dora Russo: "Quanti bellissimi ricordi mitico.......110".
Marco Troise: "Vero, lo prendevo per andare alla stazione, anni 80".
Vincenza Palladino: "Che ricordi: il 22 per andare al Vittorio Emanuele, da piazza Dante, ma spesso si scendeva al Garrittone per il traffico bloccato e ....a piedi fino a scuola; era il 1975".
Mary Gala: "Anch'io lo prendevo con il mio fidanzatino".
Pasquale Di Fenzo: "Solo noi vecchietti ricordiamo che in effetti il 22 era figlio del mitico 110 rosso".
Giuseppe Sivio:"Il 23 invece girava per San Rocco e se ricordo bene stazionava proprio in piazzetta San Rocco". Risponde Pasquale di Fenzo: "In piazzetta San Rocco stazionava il 23 barrato..il 23 arrivava a Marianella ed era molto più raro del 22".
Lucia Di Maro:"Ciao sono nata a Piscinola 74 anni fa e sono vissuta fino a 17 anni, poi siamo andati a Cavalleggeri Fuorigrotta e ora sono 52 anni che vivo a Orte provincia di Viterbo. Ho bellissimo ricordo quanto mi piacerebbe rivedere il mio paese. Ciao piscinolesi".
Capolinea di Piscinola (in ricordo di Raffaele, Salvatore e Giovanni)
Gennaro Silvestri: "Prendevo il 110 nero alla fermata sotto casa mia in via Vittorio Veneto per andare all'avviamento industriale A. Volta a via Galileo Ferraris. Anni 1961-'65".
Vincenza Palladino: "Tempi belli, che nostalgia!".
Chiara Di Giacomo: "Tornerei indietro, ma purtroppo non si può".
Pina Riccio: "Che nostalgia di quei tempi".
Giulia Biancardi: "Quanti ricordi".
Giuseppe Vitale:
"Quante volte l'ho preso per andare all’istituto d’arte alle spalle di piazza Municipio dal 70 al 75".
Margherita Chiaromonte: "Io prendevo il 110 al ritorno da scuola (ero al Salvator Rosa) quando non arrivava in tempo il 137, poiché abitavo in via Regina Margherita, scendevo alla fermata alla fine di via Ianfolla, di fronte al Parco Ice Snei e poi me la facevo a piedi fino a casa, a due metri dalla fermata della Piedimonte, quando c'era ancora il passaggio a livello".
Alfonso Severino: "Una vita nel 22".
Salvatore Cuozzo: "Modello Sofer".
Andrea Esposito: "Anche il mio era il 110 nero".
Giovanna Basso: "Che spettacolo! Quanti ricordi."
Salvatore Cuozzo:"Che frequenza aveva il 22?", risponde Pasquale Di Fenzo: "Quannno teneva genio...". 

Ringraziamo i cari lettori per i loro commenti, in ricordo dei due mitici autobus delle Linee "22" e "110", che avevano il loro capolinea a Piscinola. Si ringraziano anche tutti quei lettori che hanno scritto dei brevissimi commenti di apprezzamento che per problemi di spazio non abbiamo potuto inserire tutti.
Buona Pasqua a tutti!
Salvatore Fioretto 
 

venerdì 31 marzo 2023

Caro pioppo, considera la tua presenza un poco straniera...!

E' questa una considerazione un po' personale, tra il fare poetico e un'analisi verista di un mondo che è risultato profondamente cambiato negli ultimi 40 anni... Un amaro sfogo, tra tristezza e rabbia, dove il desiderio di riscatto non vuole cedere il posto alla rassegnazione...!

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Quando passiamo lì vicino, ti osserviamo e con mal celata ilarità, consideriamo un poco intrusa la tua isolata presenza in questo lembo di quartiere che un tempo era "campagna viva" e oggi è avido di verde..., ma tu essendo Pioppo della varietà "Cipressino"... lo sai bene che non sei autoctono del nostro territorio, bensì diffuso e tradizionalmente legato alla grande Pianura Padana e alle vicine zone lacustre e fluviali settentrionali...
Sarà che "menti illuminate" hanno fatto seguire anche a te il passo dei tempi di questo effimero progresso che, ignorante dei valori storici del territorio, come già fatto per caseggiati, cortili ecc., con l'utilizzo del cemento armato, sei stato utilizzato per sostituire il millenario nostro "Pioppo Nero", e quello che gli antichi piscinolesi chiamavano "Chiuppo Cutolino", perché prolifico a fornire loro legacci per la potatura delle viti ("cutoli"), e poi pali tutori ("spalatruni"), "furcine", "ancille per panari", pali per recinzioni, assi per i forni, ecc. ecc.

"Pioppo nero" , foto da una campagna di Piscinola
Nel mentre, ancor di più, ironia della sorte, diffusamente degli elementi di pioppo nostrano nascono oggi spontanei lungo i bordi degli assi stradali a scorrimento veloce... e tutti li possono osservare, come percorrendo le rampe di immissione all'asse perimetrale di Scampia...!
La loro presenza rappresentano una eloquente ribellione della natura!!
Queste cose si avvertono perchè nel nostro DNA c'è ancora traccia di quella sensibilità per la natura, che ci faceva parte integrante di un ecosistema antico. Purtroppo si è alterato quel rapporto millenario, senza definire un limite di conservazione, che era pur necessario, il tutto eseguito sempre per far fronte alle continue emergenze sociali.

Pioppo "cutolino" , foto da una campagna di Piscinola
Alla fine, l'emergenza più grave che è stata creata è "l'anomia", ovvero rendere tutto senza storia e senza memoria. 
Qui, a Piscinola, il rapporto degli abitanti con la natura era veramente qualcosa di bello, potremmo dire "fantastico...!"
Purtroppo siamo riusciti a gustare ed assimilare solo l'ultimo decennio di vita di quel "mondo" e, poi, abbiamo sofferto per aver visto tutto lo scempio di una metamorfosi scellerata, senza margini di confini e senza pietà...!

Che gli antichi piscinolesi, soprattutto quei sapienti contadini di una volta, abbiano pietà di noi, cittadini del XXI secolo...!

Salvatore Fioretto