sabato 22 gennaio 2022

Quel "treno della Piedimonte, pigrone e ciondolone come un tramvai"...!

Treno della Piedimonte in viaggio, foto tratto da video
Di testimonianze di viaggi a bordo dei convogli della poetica "Ferrovia Napoli Piedimonte d'Alife" ne abbiamo trovati tanti e diversi sono stati già inseriti nell'Appendice del Libro, "C'era una volta la Piedimonte" (S. Fioretto, ed. Atena, 2014), ma, tra quelli trovati recentemente, questo è quello che ha attirato di più la nostra attenzione, per l'entusiasmo che traspare dal racconto e per i particolari con il quale l'autore descrive i paesaggi attraversati dal treno, soprattutto le campagne; uno stile che possiamo dire particolarmente poetico e verista...!

Il racconto, del quale ci piace qui condividere alcuni paragrafi, è tratto dalla rivista di Enologia “Enotria - Rivista dell'industria e del commercio del vino in Italia", dell'anno 1940 (ed. Unione Italiana Vini), mentre l'autore del testo è il cronista Pietro Girace.

Stazione terminale di S. Maria C.V. - S. Andrea, anno 1972

Nel racconto si descrive, nel complesso, il metodo di coltivazione e di produzione del vino Asprino, presente nella vasta zona aversana (Agro), osservato nell'anno di visita: 1940.
Il viaggio inizia da Napoli (Piazza Carlo III), a bordo del treno della ferrovia Piedimonte d’Alife. L'andamento lento del trenino consente di osservare e così poter descrivere come appariva tutto il territorio attraversato: da Capodichino, passando per Secondigliano, Miano, Piscinola, Mugnano, e cosi via, fino ad Aversa, dove il cronista scende dal treno e prosegue la sua esplorazione, visitando campagne, vigneti e cantine.

Ecco il racconto, buona lettura a bordo della mitica Piedimonte...!

"L’Asprino: Il più frizzante della Campania Felice

I Vino di origine greca – Lo bevevano i pontefici nei mesi caldi – Garibaldi alla vigilia della battaglia del Volturno – Centomila ettolitri di vino.

Prima di intraprendere il breve viaggio per le terre dell’Aversano, terre fertili, pianeggianti, dove si susseguono a gara, in file sparse, i meli, i susini, i noci, e soprattutto i pioppi, che di qualunque età, di qualunque statura si sposano alla vite e se ne stanno fermi per lunghi anni a difenderla dalle folate di vento, ho pensato molto, e con una certa invidia, alla scienza enologica del senatore Arturo Marescalchi, il quale conosce vita e miracoli dei vini italiani.

Stazione di Mugnano - Calvizzano (anni '30-'40)

Il treno della Piedimonte d’Alife, pigrone e ciondolone come un tramvai, si è messo in moto al suono di una trombettina, e arrancando sotto il costone di Poggioreale, coronato di cipressi, si è a mano a mano inoltrato nella campagna, in mezzo a un popolo di pioppi, alti, bianchi, rugosi, bozzuti, che si allontanavano su i prati verdi in corse matte, sgomitolando come fili telegrafici a cinque a sei per volta; l’uno sovrapposto all’altro, i tralci della vite.

Disposizione classica delle viti di Asprino, "maritate" a Pioppi

Pioppi annodati e congiunti da centinaia di chilometri di tralci nel vasto territorio dell’Aversano, a Vico di Pantano, dove l’asprino si irrobustisce nel terreno argilloso, prende il colore dell’oro, raggiunge tredici gradi alcolici, aumenta di potenza, e diventa l’”asprino grosso” come dicono quelli del luogo.
Le case di Aversa si avvicinano, balza dai tetti una vecchia torre normanna, grigia, merlata. Il treno si ferma. Scendono dalle vetture contadini e fattori.
Le vie antiche, strette s’incrociano, passano sotto archi medioevali e vanno a finire nella campagna, sotto gli alti tralci della vite. La cittadina è accerchiata da una rete di tralci, né può sfuggire a questo assedio che dura da secoli. Attraverso le vie ed esco nei campi a sentir sotto i piedi la terra morbida, umida, leggermente arenosa, che il sole incomincia ad asciugare.

Vendemmia dell'uva Asprino

Il contadino ora è tutto intento alla natura e ascende lunghe scale portatili per raggiungere i tralci; come un acrobata si regge sugli ultimi pioli, le cesoie alla mano: taglia, annoda, aggiusta, e sembra a vederlo così intento, così in alto fra quell’apparato di fili, non un contadino, ma un elettricista che ripari un corto circuito e rimetta in efficienza la corrente. I contadini da queste parti sono arguti e frizzanti come il vino della loro terra; sanno che questa è una terra fertile, capace di dare un doppio raccolto, e nulla trascurano affinché il miracolo si verifichi."[...]

Disposizione classica delle viti di Asprino, "maritate" a Pioppi
"Mi trovo in questi luoghi, percorro questi vigneti, scendo nelle grotte di queste case coloniche per conoscere tutta la famiglia dell’asprino, che il senatore Marescalchi nei suoi scritti agrari ha dimenticato e che il dottore accademico cruscante Francesco Redi ha avuto il torto di diffamare. L’asprino è l’orgoglio dei contadini dell’antica Liburia: vino spiritoso frizzante leggero e gaio come certe donne, veramente donne, che hanno la virtù di alleggerire, senz’accorgersene, la vita dell’uomo.
Può gareggiar con i migliori vini d’Italia, con il bianco di Prosecco e Verdiso, con il Sangiovese, con il rosso Lambrusco di Sorbara, con il Chianti classico, “maestoso, imperioso che passeggia dentro il core che ne scaccia ogni affanno ogni dolore”.

La tradizione lo vuole di origine francese per le sue affinità con i vini di Champagne. Le viti di questi vigneti sarebbero venuti di Francia, sotto Carlo d’Angiò. Ma il professor Corrado, che mi accompagna in questo mio vagabondaggio, sostiene con argomentazioni erudite, persuasive, che esse sono di origine greca".
[...]
"Molti sono i fasti dell’Asprino. Figurò alla mensa dei conquistatori normanni, lo predilessero specialmente nei mesi estivi, i Pontefici. I vescovi, i canonici di Aversa allevavano nei poderi della chiesa la vite dell’asprino; bevevano di questo vino dissetante e leggero nei loro conviti durante la celebrazione del Divino Sacrificio, forse per meglio ottemperare alle sacre funzioni perché al dire di Rabelais, da buon vino non si può trarre cattivo latino. La notte della vigilia della battaglia del Volturno Garibaldi, passando con i suoi per Aversa, stanco, assetato, si soffermò presso un casale, ed i contadini scesero giù nelle grotte, spillarono dai fusti l’asprino giovane e l’offrirono al Generale.[...]"

Stazione di Mugnano - Calvizzano, anno 2008

Dalla lettura del racconto di Pietro Girace sicuramente si sarà notata l'enfasi con la quale l'autore descrive le eccellenze della nostra campagna, esaltandone le caratteristiche di fertilità e di feracità, come l'aver sottolineato il doppio raccolto annuale che se ne ricavava per la produzione di ortaggi e di cereali. Quindi viene esaltato l'antico vino campano dell'Asprino, vino nostrano di origine greca, che forse non ha avuto nei decenni seguenti una giusta e degna valorizzazione oltre i confini regionali, come avrebbe ben meritato, per le sue qualità di freschezza e di sapore, che non sono da meno dei più fortunati vini, da spumante e da dessert, italiani ed europei.
L'Asprino è un vino autoctono del territorio aversano che andrebbe oggi rivalutato e riproposto, su larga scala, soprattutto agli estimatori e al mercato enologico: un mercato oggi particolarmente fiorente, ma anche particolarmente esigente, che sicuramente esalterebbe
le sue eccellenti doti di qualità e di sapore. Prosit!

Salvatore Fioretto 

 

domenica 16 gennaio 2022

Un naturalista accademico, rinnovatore delle scienze naturali: Filippo Cavolini...

Tra i numerosi personaggi che sono originari o che hanno vissuto parte della loro esistenza nel nostro territorio, riteniamo meritorio inserire anche la splendente figura dello scienziato napoletano Filippo Cavolini, celebre naturalista, zoologo, botanico e anche avvocato, vissuto a cavallo dei secoli XVIII e XIX.
Nacque l'8 aprile del 1756, ma incerto è il luogo di nascita, per alcuni a Vico Equense, per altri nella stessa città di Napoli; i suoi genitori furono l'avvocato Nicola e la nobildonna Angela Auriemma, originaria di Sorrento. Di famiglia agiatissima, Filippo mostrò, fin dalla tenera età, la straordinaria perspicacia, la curiosità per la conoscenza e una dedizione per l'apprendimento, soprattutto delle materie scientifiche, anche se era desiderio del padre far seguire al figlio le sue orme nelle aule del tribunale, come avvocato. Gli furono affidati i migliori precettori di studio dell'epoca, ricordiamo Domenico Cirillo per la Botanica
e poi Cotugno,  Petagna, Macrì, Amantea, Della Torre e altri.
I suoi studi nel diritto ugualmente fornivano i primi frutti attesi dal padre Nicola, infatti nel 1779 Filippo pubblicò l'opera di filosofia del diritto: "Progymnasma in veterum iureconsultorum philosophiam".
Alla morte del genitore, avvenuta intorno al 1780, Filippo poté abbandonare la carriera forense, alla quale aveva avuto accesso con il conseguimento del titolo accademico di avvocato e finalmente dedicarsi alla sua passione: la ricerca e la sperimentazione per le scienze naturali.
Si ritirò in una villa che la famiglia possedeva ai piedi della collina di Posillipo. La  villa, che poi ereditò, disponeva di un accesso diretto alla costa del mare di Napoli, cosa che gli permetteva di stare a diretto contatto con quel mondo naturale dal quale trasse tante scoperte, frutto delle sue numerose e approfondite ricerche. Nella villa posillipina attrezzò un laboratorio di biologia marina, con la raccolta di numerosi esemplari di flora e fauna, marina e terrestre. Filippo ebbe il possedimento di un vastissimo fondo agricolo situato nel Casale di Piscinola, nel quale sicuramente avrà eseguito le sue ricerche nel campo della zoologia terrestre, con la pubblicazione di numerosi studi scientifici, come quello sulle lucertole, nel campo della Zoologia e quello sulla cosiddetta "caprificazione dei fichi", nel campo della Botanica.
Giovanissimo, all'età soli 20 anni, nell'anno 1776, pubblicò il suo primo lavoro di scienziato: "Memorie sopra il pulce acquaiolo", nel quale mostrò subito le sue doti di divulgatore scientifico e il suo innovativo metodo di indagine fisiologica, tanto che in seguito fu soprannominato "Lo Spallanzani napoletano", in similitudine alla fama e al metodo del celebre scienziato.
Nello stesso anno pubblicò ancora il trattato: "Memoria per servire alla storia compiuta del fico e della caprificazione".
L'opera raccoglie l'esperienza sperimentata inconsapevolmente dai contadini, come quelli piscinolesi, di utilizzare insetti chiamati volgarmente "profichi", per fecondare i fiori dei fichi e accrescerne la produzione annuale. Dimostrò scientificamente che i processi di fecondazione del fico e del "caprifico" erano effettivamente compiuti da parte di due insetti (Ichneumon psenes nero e Ichneumon ficarium rosso), descrisse i processi, oltre a fornire un'accurata descrizione delle piante e degli insetti. L'opera fu subito un successo italiano ed europeo, tanto da ricevere l'invito a collaborare con il Museo delle Storie Naturali Firenze, per l'inserimento di modelli in cera. Cavolini ebbe anche la pregevole attitudine di essere un bravissimo disegnatore: riusciva a riprodurre fedelmente in disegno, animali, insetti e piante, oggetto delle sue ricerche; questi disegni, grazie all'aiuto di amici cesellatori, venivano poi trasferiti su lastre di rame, per la successiva stampa nelle sue opere.
Nel 1785 pubblicò la sua massima opera:  "Memorie per servire alla storia dei Polipi marini", con la quale riuscì per primo a fornire una descrizione completa sulle abitudini alimentari, sugli habitat e sui comportamenti sociali di questi molluschi marini, di cui fino a quel momento si sapeva ben poco a livello scientifico.
Nel 1787 fu la volta del trattato: "Memoria sulla generazione dei pesci e dei granchi", nel quale in veste di Zoologo, prese ad esaminare il comportamento sessuale di alcune specie di pesci e anfibi, dimostrando alcune tesi di Spallanzani sugli anfibi, e dimostrando che le specie di pesci ovipari avevano una fecondazione esterna e non interna come si supponeva. Esaminò, nella seconda parte, alcuni crostacei, descrivendo i loro sistemi interni, gli organi di riproduzione e i loro comportamenti di riproduzione e di muta. La sua opera ebbe un riscontro mondiale, ricevendo encomi e riconoscimenti da parte di numerosi scienziati famosi dell'epoca, tra cui il celebre Spallanzani. L'opera venne venne anche tradotta in tedesco, dal celebre scienziato Zimmermann (1792).
Filippo Cavolini fu socio delle più prestigiose accademie e società scientifiche dell'epoca, ricordiamo: l'Accademia Pontaniana di Napoli, l'Accademia delle Scienze di Torino,
l'Accademia delle Scienze di Mantova, l'Accademia de' Georgofili di Firenze, l'Accademia delle Scienze Naturali di Napoli, il Real Istituto di Incoraggiamento di Napoli, la Società dei Naturalisti di Napoli, la Linnear Society di Londra e tante altre ancora...
Nel 1791, lo scienziato Petrus Abildgaard C. denominò,
in suo onore, la conchiglia Argonauta, con il termine di "Cavolinia natans".
Nell'anno 1808 gli venne assegnata la cattedra di: "Teoria generale della storia naturale" alla Regia Università degli Studj di Napoli.
Altri trattati pubblicati furono: "Zosterae Oceanicae Linnei", "Phucagrostidum Theophasti" e "Tavola sul Citino Iposistide".
Aveva in programma la stesura di un trattato sulla "Geologia de' monti del Cratere di Napoli", ma l'opera purtroppo è rimasta incompiuta. Ci è giunta solo l'introduzione, con la dedica al conte Giuseppe Zurlo e, con essa, alcune tavole di pesci fossili e pietre.
Purtroppo la morte improvvisa lo colse prematuramente il 15 marzo 1810, a soli 53 anni; impietosi per lui furono i postumi di una improvvisa caduta in mare (febbre, verosimilmente da polmonite)
, avvenuta dalla sua barca, con la quale si apprestava ad esplorare, come era solito fare, alcune grotte presenti nel golfo di Napoli. Si racconta che la caduta fu causata da un soldato armato, che volle salire a tutti i costi sulla piccola imbarcazione, che aveva già tre persone a bordo! Fu sepolto nella chiesetta di San Michele Arcangelo, a piazza Dante.
A distanza di 43 anni dalla sua morte, per interessamento dell'ordinario di Anatomia dell'Università di Napoli, il prof. Stefano Delle Chiaje, furono raccolti, ordinati e pubblicati postumi, molti lavori di ricerca, che erano sparsi e inediti, nell'opera intitolata: "Memorie postume sceverate dalla schede autografe di Filippo Cavolini", Benevento, tip. delle Streghe, 1853.
Altre due sue opere pubblicate postume furono: "Animali molluschi indigeni o esotici del cratere napolitano" e "L'Appendice sulla generazione dei pesci cartilaginosi, ossiano amfibi respiranti per mezzo delle branchie al modo dei pesci spinosi".
Nell'anno 1910, in occasione delle celebrazioni del centenario della scomparsa dello scienziato napoletano, la Società dei Naturalisti di Napoli eseguì solenni commemorazioni, ripubblicando alcune sue opere e un necrologico nel Bollettino periodico della società.
Per quanto riguarda i beni posseduti da Cavolini, non avendo contratto matrimonio, furono ereditati dall'unica sorella, che fu la baronessa Olimpia Cavolini De Mellis. Sappiamo che l'ultimo erede della famiglia fece donazione delle proprietà di Piscinola e di Posillipo alla Società dei Naturalisti di Napoli, nell'anno 1911. Altri lasciti furono fatti all'Accademia Pontaniana di Napoli, la quale provvide a istituire un premio a concorso, intitolato alla memoria di Filippo Cavolini.
Nell'anno 1940 il possedimento agricolo di Piscinola e la villa di Posillipo furono venduti dalla Società dei Naturalisti, intanto divenuta Ente Morale. Purtroppo non siamo ancora riusciti a conoscere l'esatta estensione e l'ubicazione del possedimento agricolo piscinolese del Cavolini. Ci piace però pensare, come sicuramente accadde, che il Cavolini era solito portarsi periodicamente nel suo fondo, a Piscinola, per eseguire ricerche e sperimentazioni di botanica e di zoologia. Sappiamo che tra le opere inedite ci sono alcuni studi riguardanti le lucertole e altri insetti terrestri, oltre a piante.
A Filippo Cavolini il Comune di Napoli ha intitolato, in occasione del centenario dalla scomparsa, una strata in prossimità dell'Orto Botanico di Napoli, mentre una lapide marmoria in ricordo è stata collocata sulla facciata della sua casa, che fu a Posillipo.

Ecco, abbiamo voluto così ricordare un altro grande personaggio che ha reso onore e lustro al mondo scientifico napoletano, che è stato anche motivo di orgoglio per il suo contributo reso alla botanica e alla agricoltura del nostro territorio. L'abbiamo voluto ricordare particolarmente per il suo operato di ricercatore e di autore di trattati scientifici, senza entrare in merito alla discussione scientifica delle sue scoperte e trattazioni, che sono ugualmente meritorie.

Salvatore Fioretto

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