venerdì 4 giugno 2021

Il ricordo di Antonio Amato... di Daniele Buonpane

Piscinola è una terra che ha dato i natali a vari personaggi illustri, che sono rimasti impressi nei nostri ricordi e nei nostri cuori. Quando mi si chiede di parlare della mia terra, non posso fare a meno, di citare alcune persone che hanno fatto la storia, portando, ognuno a loro modo, la bellezza di Piscinola nel mondo. Molte persone, che vivono nei quartieri e comuni limitrofi di Piscinola, negli anni, hanno avuto il piacere di conoscere da vicino, persone del calibro di Mario Musella, Beppe Lanzetta, Agostino Cossia, Antonello Cossia, Salvatore Nappa, Pierino Delisa, Salvatore Fioretto, Don Severino, Padre Bianco e tanti altri ancora che ora mentre scrivo mi sfuggono dalla mente, ma di sicuro voi lettori conoscete meglio di me. Di questi appena citati, alcuni, sono ancora vivi e ho avuto la fortuna di conoscerli. Ma oltre loro, io porto nel cuore tante altre persone comuni, che sono per me speciali.
La persona che oggi voglio raccontare è quella che più di tutti ha un'originalità unica. Lui aveva una prerogativa, quella di camminare tantissimo a piedi. Se dovessimo paragonarlo a un personaggio cinematografico, io lo definirei il nostro Forrest Gump, tutti conoscono il personaggio di Forest, di questo significativo film del regista Robert Zemeckis, che ha preso vita con una bellissima interpretazione di Tom Hanks. Questo è uno dei miei film preferiti, non a caso, ha vinto il Premio Oscar e tanti altri premi importanti. Orbene, io sto introducendovi alla persona di Antonio Amato, forse quasi nessuno che sente questo nome e cognome capisce subito di chi sto parlando. Ma se vi dico un suo soprannome, capirete subito di chi si tratta. Sì, sto parlando di lui, alias Antonio "'O luffaiolo". Per chi non lo sapesse, si usa definire “luffiero” una persona che cammina molto.
Dite tutto quelle che volete, ma
Antonio è per me un pezzo importante di Piscinola che non si può non ricordarlo. Io l'ho preso così a cuore, che gli ho scritto una poesia, che stesso lui lesse e gradì molto, e ricordo ancora che mi disse: questo che hai scritto sono proprio io. Vi anticipo, che in un nuovo libro che sto scrivendo, introdurrò un personaggio, che sarà proprio Antonio.
Non so se ora vi ricordate del suo incidente... Qualche anno fa, quando lui ebbe un incidente, fu costretto a camminare con una stampella, questa cosa lo rendeva impedito nelle sue lunghe camminate, ma nonostante questo non rinunciava mai a camminare. Credo che questa poesia che condivido qui non necessiti di spiegazioni, perché riesce a sintetizzare tutta la sua splendida persona e il suo pensiero.

Daniele Buonpane

 

Ad Antonio Amato                                                

Quando inizia la mattina verso le cinque

lo trovi  già in mezzo alla piazza,

cammina e parla da solo …

forse quella è solo riflessione.

Oramai la vecchiaia l’ha investito,

ora cammina con una stampella

che non è in grado nemmeno di portare,

forse perché il suo cuore non l’accetta,

perché non merita questa sofferenza.

Poverino, sai che dolore sente,

lui che ha fatto tanti chilometri a piedi

 ora si vede castigato all’ improvviso.

Per strada ti ferma e ti dice sempre qualcosa

una parola, una parolaccia, una perla di saggezza.

Si racconta che da ragazzo era assai intelligente,

a scuola era uno dei primi della classe,

ora che mi vede mi fa spesso scuola.

Io ho incontrato grandi intellettuali,

persone erudite, ma quando lo sento  parlare

 potrei prendere carta e penna e segnare tutto,

 quelle meraviglie che racconta  sono filosofia.

E’ un uomo che si informa di tutto!

Ogni tanto lo vedo leggere anche giornali vecchi,

conosce  sport, politica e cultura.

Io lo conosco da quando ero piccolo

e vi dico che è sempre lo stesso del passato,

oggi ha  qualche ruga in più e qualche dente in meno.

Chiede sempre una sigaretta ai passanti,

e se la fuma fino al filtro giallo.

Sta ore intere seduto silenzioso e buono

forse perché la solitudine gli dà pace.

Ogni tanto qualcuno del quartiere

gli chiede la gentilezza di comprare qualcosa,

in cambio non cerca mai niente, solo sigarette;

è uno che della vita ha capito veramente tutto,

non pensa al vestito firmato e pulito,

non ha nemmeno idea della tecnologia,

ma pensa solo a ridere e campare.

Percepisce una pensione gestita dalla sorella,

a lui non arriva mai niente di denaro…

solo qualche vestito e un taglio di capelli,

sono le cose che a quest’uomo spettano.

Per me potrebbe recitare sermoni,

perché quando ti arriva ricchezza da una persona

che non ha soldi, passioni e cattiveria,

allora capisci il senso della vita e dell’amore.

Data e luogo del componimento poetico Piscinola -Napoli 08/07/2012

In Fede Daniele Buonpane

Tempo fa, il caro amico e scrittore Luigi Sica, incontrandolo per strada un giorno, mi chiese di ricordare tra i personaggi di Piscinola, Antonio Amato, uomo saggio, abbastanza incompreso dalla comunità. E' trascorso un po' di tempo da allora, fin quando ho letto per caso questa poesia dedicata ad Amato e composta da Daniele. Ho quindi pensato che dovesse essere un giovane della Piscinola di oggi, a celebrare la figura del caro personaggio, scomparso alcuni anni fa.
Daniele è poeta e scrittore, ragazzo molto preparato culturalmente e laureato in Filosofia.
Ringrazio Daniele Buonpane per questo suo primo intervento a "Piscinolablog", lo ringrazio anche per aver inserito tra i nomi dei piscinolesi illustri, indegnamente anche la mia persona, e lo invito a scrivere in futuro altri post per "Piscinolablog". 

S. Fioretto

domenica 30 maggio 2021

Carissimi amici...., di Vincenzo Capuozzo

Carissimi amici della redazione di "Piscinolablog", riprendendo l'argomento dedicato alla "Masseria Splendore" e ai suoi personaggi, vi racconto altri particolari dei personaggi.
Del suonatore di tromba che abitava nella masseria con la sua famiglia, e che fu allievo del maestro Santoro, purtroppo non ho più notizie, da quando sono state distrutte le masserie di Piscinola. L'unica notizia datami da mia madre, quando era ancora in vita, è quella che alcuni membri della famiglia de "ll'Aglio", si erano trasferiti a Miano.

R
itornando ai miei ricordi di Piscinola di un tempo, in questi giorni mi sono venuti alla mente alcuni personaggi che hanno in qualche modo attraversato la mia adolescenza e questo mi ha fatto pensare alla vostra raccolta di personaggi locali.

Il primo era un uomo da noi conosciuto con il soprannome di "Picchiriniello". Picchiriniello attraversava via del Plebiscito in direzione Perillo (non so se provenisse da Via Vittorio Emanuele o da altra zona di Piscinola.

Lo ricordo sempre vestito in pantaloni corti, con ai piedi un paio di gambali e con al fianco una roncola.

Arrivato all'altezza dei nostri cortili era sempre fatto oggetto del cattivo scherzo da parte di qualcuno che ad alta voce lo chiamava per soprannome e faceva seguire una pernacchia... A quel punto tutti noi scappavamo a nasconderci, perchè Picchiriniello era solito brandire la roncola e agitarsi alla ricerca del responsabile.
Questa persona, ora lo so, era additata ingiustamente come una persona "strana" di cui farsi scherno, oggi diremmo che era fatta oggetto di bullismo, ma forse aveva solo bisogno di un po' di aiuto da tutti.

La seconda è una donna da me conosciuta come "Teresina 'e lluoglio".

Teresina arrivava a piedi dalle parti di Melito portando sulla testa una stagnera di 20 litri di olio che rivendeva al minuto. Teresina, faceva sosta presso persone amiche, casa mia era fra queste, dove avveniva il suo piccolo commercio. Se finiva tutto l'olio ritornava sempre a piedi e con la stagnera vuota che altrimenti lasciava in gestione per eventuali clienti fossero venuti in sua assenza. Evidentemente aveva tutto un suo "calendario" e "ordinativi" per evitare viaggi inutili.

Un altro personaggio noto nel circondario era "Giuvanno 'o parulano". Veniva con un carretto trainato dal cavallo, proveniente forse dalle parti di Afragola.

Era a quei tempi il fruttivendolo di via del Plebis
cito, perchè ricordo che quasi ogni giorno si aspettava il suo passaggio. Una volta ho fatto un viaggio sul suo carretto, da Marano fino a casa mia.
Ero ragazzino, avevo intorno a dieci o dodici anni ed era andato al mercato di Marano per vendere alcune cassette di pesche. All'andata ero con mio zio, il quale poi ricordo che mi affidò a Giovanni, che sarebbe passato fuori al mio cortile. Altri tempi di fiducia e responsabilità.

Vincenzo Capuozzo


Ringraziamo ancora l'amico Vincenzo Capuozzo per quest'altra "perla" di racconti che ci ha voluto donare, appartenente ai ricordi della sua infanzia a Piscinola. Invitiamo Vincenzo a non fermarsi qui e a raccontarci altri aneddoti e storie belle come queste

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sabato 29 maggio 2021

La "Cappella dei Cangiani".... un toponimo, un luogo storico...

Chissà quante volte abbiamo sentito e anche menzionato questo luogo molto popolare dell'Area Nord di Napoli, un tempo situato nel territorio del Comune di Chiaiano e Uniti e oggi incluso nella cosiddetta zona ospedaliera e, spesso, ci siamo domandati da cosa derivi la sua denominazione, ma non trovando una risposta. Ci riferiamo a "Cappella dei Cangiani" e suoi dintorni. Fu don Camillo Degetto, nella sua opera: "Santa Croce ai Camaldoli - Napoli, 1688-1988 - Ieri, oggi, domani", a farne chiarissima menzione. Oggi ci piace, per divulgazione culturale, qui riportare integralmente il testo storico-letterario menzionato, per risalire alle origini storiche del luogo. Precisiamo, tuttavia, che le denominazioni dei luoghi citati nel testo (nomi di strade) e altri riferimenti, risalgono all'anno di pubblicazione (1988) e alcune cose sono cambiate in questi 33 anni trascorsi.

A pag. 39 del libro, si legge:

"Cappella dei Cangiani si trova nel punto di depressione della collina dei Camaldoli, dove inizia l'altopiano di Capodimonte: divenne "luogo abitato" per l'attraversamento della antica via Miano-Fuorigrotta-Agnano e per il fatto che da qui, per la "via della lava" (l'attuale via S. Ignazio di Loyola) si raggiungeva Nazareth e, quindi, la vetta dei Camaldoli.
Il luogo è antico e faceva parte del territorio dell'antica Ianula: subito dopo, verso Orsolone, vi era il luogo detto "Coniolo", cioè il Cognulo, cui si accedeva per la strada che da Cappella Cangiani portava a S. Croce e dalla quali si saliva ai Camaldoli.
Il nome deriva dalla famiglia dei "Cangiani" che a Napoli possedeva diverse proprietà immobiliari (ancora oggi, al Mercato (quartiere Mercato) vi è il vico Cangiani).
Il luogo acquistò, col tempo, sempre maggiore importanza in quanto vi convergevano ben "otto strade". In prossimità della cappella di S. Maria di Costantinopoli - eretta nel 1614 da Gian Vincenzo Cangiani - vi era un ponte, detto "ponte di San Martino", e ancor prima  Ponte Vecchio, perché da esso, per chi proveniva dall'Arenella attraverso la via del Cognulo per S. Croce, poteva raggiungersi l'Orsolone, dove i Martiniani (monaci di San Martino) avevano una loro "grancia" (fattoria convento).
Il ponte di San Martino copriva il corso di lava e trovasi menzionato in una lapide esistente nella cappella di S. Maria di Costantinopoli, accosto alla attuale nuova chiesa parrocchiale di Cappella dei Cangiani.
Quando, nel 1688, la cappella di S. Croce fu eretta a parrocchia, la cappella di S. Maria di Costantinopoli entrò a far parte del territorio curato dalla nuova parrocchia.
Dalla Santa Visita del Card. Cantelmo, del 13 maggio del 1692, risulta che la stessa era ben ordinata e provvista di tutto il necessario per il culto divino. E poiché il percorso dalla parrocchia  di S. Croce ai Cangiani era un po' lunga e bisognava attraversare una antica cupa (via) tortuosa, incomoda e poco praticabile, la cappella dei Cangiani divenne chiesa succursale, così come divenne, per lo stesso motivo, quella dei Cangiani. In queste succursali si celebrava la Messa domenicale, si confessava e si insegnava il catechismo ai bambini.
Con provvedimento della Curia Arcivescovile del 21 dicembre del 1884, che erigeva la nuova parrocchia di S. Gennaro ad Antignano, si dovette procedere alla rettifica dei confini, per cui il rione Cangiani venne staccato dalla parrocchia di S. Croce e unito a quello dell'Arenella, lasciando a Santa Croce il lato destro salendo dalla via Camaldoli (via S. Ignazio di Loyola) e precisamente dalla masseria "Pastore" esclusa, fino all'Eremo dei Camaldoli incluso con tutti i caseggiati che si trovano nel Villaggio di Nazareth e Guantari e che fino allora erano stati assoggettati alla cura dell'Arenella.

Se il parroco del tempo, don Verrusio, accettò la decisione della Curia, anche perché soddisfatto del territorio ottenuto in cambio, i parroci successivi non si rassegnarono alla perdita del rione Cangiani: dopo che il Comune di Chiaiano e Uniti costruì la strada  che da Cappella Cangiani porta all'Orsolone e da qui a S. Croce, fecero rilevare che erroneamente nel 1885 la Curia Arcivescovile nella rettifica dei confini aveva ritenuto che il rione Cangiani fosse più vicino all'Arenella che a S. Croce, senza considerare le cupe tortuose ed impraticabili.
Per raggiungere l'Arenella gli abitanti dei Cangiani dovevano affrontare un lungo e disagiato cammino, per strade tortuose ed impraticabili.
Proprio di fronte alla Cappella dei Cangiani vi era una lunga strada detta "Cupa dei Cangiani" al cui termine si aprivano due strade: a destra "Cupa Montedonzelli" era assai lunga, alpestre e disastrosa, tanto che danneggiava persino gli animali obbligati ad attraversavi, anche a causa della eccessiva pendenza.
A sinistra "Cupa delle due Porte" anch'essa lunga e alpestre, era praticamente impercorribile con mezzi su ruote per la forte pendenza che, all'altezza dei Gerolomini, era addirittura impressionante. Al termine della discesa si raggiungeva la chiesa di Santa Maria delle Grazie alle Due Porte. Per raggiungere l'Arenella, invece, si prendeva altra strada , anch'essa tutta curve e in discesa (l'attuale via Arturo Rocco, dove è ubicato il Commissario di P.S.).
Per siffatte strade, come è da immaginarsi, dopo il tramonto era difficile incontrare anima viva, poiché gli stessi contadini che tornavano dalla campagna avevano paura di attraversarle.
Quando il Municipio di Chiaiano costruì la nuova strada (oggi via Quagliariello) S. Croce-Orsolone-Cangiani, il rione Cangiani venne a trovarsi vicinissimo a S. Croce. Il parroco dell'epoca non esitò a inviare alla Curia un memoriale teso a riottenere il rione nel beneficio parrocchiale, facendo presente che con la nuova strada il percorso da S. Croce ai Cangiani era divenuto breve, agevole e pianeggiante, sicché, per il bene delle anime, il rione doveva tornare alla primitiva parrocchia. E così effettivamente avvenne, fino a quando nel 1925, la Cappella dei Cangiani fu a sua volta eretta in autonoma parrocchia."

Il testo, con le sue accurate e precise descrizioni, con le citazioni storiche contenute, dimostra ancora una volta le antiche origini del territorio dell'Area Nord di Napoli, una terra pregna di storia e di cultura, dove l'antropizzazione millenaria ha avuto luogo ancor prima che le colline dell'Arenella e quella del Vomero diventassero dei popolari e rinomati quartieri, come li osserviamo ai nostri giorni.
Salvatore Fioretto 

venerdì 21 maggio 2021

A Miano c'è una Madre che "risorge" ogni anno...!

Colpisce al visitatore, durante la visita alla bellissima chiesa di Miano antica, dedicata alla Madonna Assunta, durante il periodo che segue la solennità di Pasqua, di osservare che la bellissima immagine, della Madonna Addolorata, che si trova tutto l'anno nella sontuosa cappella ad essa dedicata, sul lato sinistro dell'altare maggiore, viene riposta su un tronetto ai piedi dell'Altare e rivestita di un abito bellissimo, tutto sfolgorante di ricami di oro e argento, simbolo di festa e della resurrezione pasquale, che la fanno compartecipe. Dopo tale periodo, la Madonna viene poi ricollocata in alto, nella nicchia del suo altare e rivestita con i suoi abiti scuri, di colore nero, con la "sette spade" nel petto, simbolo del dolore per la morte del Figlio.
Questa bellissima statua, che colpisce per la bellezza del suo volto, fu fatta realizzare per interessamento del parroco della Chiesa Madre del Casale di Miano, don Giosué Miranda, verso la metà Ottocento, mentre la cappella che conserva la statua sull'altare è stata abbellita da stucchi e capitelli realizzati da maestranze mianesi, a inizio '900, su interessamento del parroco dell'epoca, don Pasquale Nardi. In questa chiesa San Gaetano Enrico ha condotto diverse prediche e Sante Missioni ai piedi dell'Addolorata, di cui era molto devoto.
Nei primi giorni di aprile dell'anno 1906, questa venerata immagine dell'Addolorata fu oggetto di un evento prodigioso: le cronache del tempo riportarono l'evento della comparsa delle lacrime che segnavano il viso della statua. Il fenomeno straordinario fu interpretato dal popolo di Miano come un segno prodigioso di protezione, avvenuto proprio mentre il Vesuvio dava origine a una violenta eruzione, con intensa caduta di ceneri sulla città di Napoli.
Si può dire che questa bella e commovente tradizione di cambiare l'abito alla Madonna per manifestare la gioia per la Resurrezione di Gesù, cambiando l'abito scuro, segno di lutto, con quello della festa, appartengano a poche altre comunità.
Alcune similitudini sono registrate nel corsi delle funzioni celebrate nella mattina della Pasqua, svolte però in luoghi affollati e all'aperto, come piazze e strade. Ricordiamo le "funzioni sacre" che si celebrano ogni anno nella piazzetta di Antignano (quartiere Arenella/Napoli) e in quella di Frattamaggiore, nel corso delle quali si simula l'incontro tra la Vergine Addolorata, in cerca del Figlio, e l'immagine del Cristo risorto. Nel momento imminente dell'incontro tra le due sacre immagini, accompagnato dallo squillo di una tromba, la statua della Madonna viene scoperta del velo nero che la copre ed emerge un abito bellissimo e una chioma di capelli ben raccolti e curati, adornata di tanti fiori e con delle tortorelle tra le mani. Della particolare devozione che riserva il popolo mianese per la "sua" Madonna Addolorata, ci piace riportare la poesia in lingua napoletana, scritta dal caro amico, poeta di Miano, Mario Vastarella, che abbiamo trovato dietro a una foto, ai piedi dell'altare della chiesa, e si intitola: 

'A Maronna
Passe 'a Maronna pe' Miano antica
Cu' sette spade nbietto e 'o sguardo ncielo
Véna purtata ncuolla d''e fedele
P''e strade ndruppucose 'e pe' sti viche.
'E 'Addulurata, 'a mamma e tutt''e Mamme,
Che préga 'a sempe, cu' chill'uocchie 'e chianto,
Pe' chi cerca n'aiuto spisso 'a chiamma,

E' sempe pronta chesta Mamma Santa:
Ascite 'a d'int''e case c'aspettate,
Nunn''a cercata pe' ce fà nu vuto,
'O desiderio suoio è che 'a pregata,

Cu 'o stesse core quanne cercate aiuto;
E si 'a pregate, vo' sentì 'sti vvoce,
Pe' sullievo, 'e sette spade 'o core,

Pe' Giesucriste che sta mise 'nCroce.
E soffre pecché sape che le more.
Pregate pe' 'sta Mamma Addulurata,
Ascite 'a d'int''e ccase, ascite fore,
Nunn''a lassamma sola stì ghiurnate,
E sette spade nbiette 'e tene ancora,
Ave bisogna 'e nuie, Addulurata,
Ascite 'a d'int''e ccase, a chi aspettate.

La sensibilità del popolo delle cosiddette periferie di Napoli si percepisce da questi sentimenti di pietà devozionali, che sono retaggio di una storia secolare, composta di stratificazioni di generazioni e di culture, che hanno impresso alla storia del territorio un'improta significativa di armonia e di bellezza. La speranza, che sempre auspichiamo, è quella che queste belle tradizioni della nostra terra vengano consegnate alle giovani generazioni e che questi possano conservarle e rinnovarle con la loro freschezza ed il loro entusiasmo. Ci contiamo!

Salvatore Fioretto

Si ringraziano don Francesco Minervino, per il prezioso contributo alla stesura di questo post e il poeta Mario Vastarella, per la bella poesia scritta.

domenica 16 maggio 2021

Quel senso umano della solidarietà e del “condividere”, di Pasquale di Fenzo

Mia madre nell’immediato dopoguerra era una giovane sposa in attesa della prima figlia e abitava in un appartamentino a Piscinola.
Sotto al suo balconcino abitava donna Carmela e la sua poverissima famiglia formata dal marito disoccupato e da una dozzina fra figli e nipoti. Mio padre era fortunato, perché era un bravo elettricista e lavorava con gli americani nell’aeroporto. Di tanto in tanto portava come aiutante il marito di donna Carmela o uno dei suoi figli più grandi. Era un determinante contributo alla sopravvivenza, in casa di donna Carmela si mangiava una sola volta al giorno. Però mia madre diceva che la sua vicina il primo piatto lo metteva da parte per destinarlo a lei: “Tanto tu stai sola, è inutile che appicci i fornelli e poi, dove mangiano in quattordici possono mangiare in quindici”. Mia madre lasciava che uno dei bambini più piccoli rimanesse a dormire da lei, altrimenti non tutti avrebbero potuto trovare posto la notte.
Donna Carmela non l'ha mai saputo, ma quel "primo piatto" che donava con tanti sacrifici, mia madre non l'ha mai mangiato, lo conservava per uno dei figli di donna Carmela, quando andavano a dormire da lei la sera... Mia madre e donna Carmela non avrebbero potuto immaginare che "condividere" avrebbe assunto il significato che oggi gli diamo!
Scrivendo mi è venuta in mente un'altra cosa che mi raccontava mia madre. Durante la guerra, quando c’era la fame più nera…, nel palazzo detto de' Manduline, in vico Primo del Plebiscito, c’era Filuccella d’’e Manduline, una contadina molto benvoluta dal vicinato, perché a turno regalava ai vicini le scorze dei piselli e delle patate che loro poi cuocevano e mangiavano. Suo marito, chiamato Meniello d’’e Manduline, "faceva i vermi", cioè pronunciava delle parole misteriose, mentre toccava la pancia dei bambini; una pratica che, secondo le credenze dell’epoca, serviva a liberarli dai vermi intestinali.
Suo concorrente era “Ummonone”, così chiamato per la sua mole imponente. Lo vedevi per Piscinola con una strana carriola di legno che si era costruito con le sue mani e raccoglieva gli escrementi che asini e cavalli lasciavano per strada. Possiamo dire che, questa pratica del tempo, è stata un’antesignana della cosiddetta “Raccolta differenziata”, che cerchiamo di praticare oggi. Il letame era successivamente venduto e utilizzato come concime nelle campagne dell’epoca.
A quell'epoca, la pratica "dei vermi" era molto diffusa, così pure c’era una vecchietta che abitava nel palazzo di fronte alla cantina Di Guida, che curava le contusioni con il bianco dell’uovo e delle ragnatele. Era conosciuta come “La Pizzallini” ed io stesso una volta fui portato da lei dopo una caduta.
Mi curò con bianco d’uovo e ragnatele, però con scarsi risultati, perché mi ero rotto la clavicola e stetti un mese ingessato. Per fortuna mio padre, quando tornò dal lavoro, mi portò all’ospedale dei Pellegrini. Ai Pellegrini mi ingessò un infermiere piscinolese, che si chiama Vittorio Andreozzi, amico di mio padre, che poi mi veniva a controllare l’ingessatura, quasi tutti i giorni.
Ma da noi c’era la cultura contadina della solidarietà e gli episodi di cronaca erano veramente pochi. Uno che ricordo riguardò Mimì soprannominato “‘o carcerato”, che poi era il primogenito di Teresa ‘a cacaglia. Secondo le cronache dell’epoca, Mimì uccise il suo compare di battesimo per una controversia su un terreno coltivato. Mimì era colono di quel terreno, che coltivava da anni assieme ai fratelli e alla madre vedova. L’omicidio fu compiuto perché alla morte del capofamiglia, il padrone intendeva portare via il podere che Mimì e famiglia gestivano come coloni, e quel terreno era la loro unica fonte di sostentamento.
Chi era determinato a comprarlo, forse non sufficientemente consapevole di compiere un danno alla famiglia di Mimì, fu proprio il compare di battesimo di quest’ultimo.
Dopo l’omicidio, il calesse, trainato dal cavallo, con sopra il corpo dell’ucciso, tornò alla stalla dell’abitazione d’origine, autonomamente, cioè senza guida, attraversando mezza Piscinola, proprio come era stato descritto nella poesia del Pascoli, ”la Cavallina Storna”. I giornali dell’epoca, tra i quali il celebre settimanale illustrato “La Domenica del Corriere” (Ed. n. 19, anno 58, del 6 maggio 1956), scrissero nei loro titoli: “L’episodio della Cavallina Storna si rinnova dopo settant’anni”.
Mimì era poco più grande di me, scontò circa trenta anni di carcere. Ricordo quando, durante il processo, accompagnato dalle guardie, lo portarono a Piscinola per il sopralluogo; lo condussero nel palazzo del Municipio. Io e molti ragazzi ci arrampicammo sulla cancellata che allora era attorno alla chiesa del Salvatore, cercando una posizione alta, per meglio osservare la scena. Addirittura fu applaudito da gran parte della gente che si era accalcata davanti al Municipio, tuttavia tra la folla fu ascoltata anche qualche voce isolata di dissenso.
Forse oggi potrebbe risultare difficile comprenderlo, anche in ragione della nostra etica, ma bisognerebbe immedesimarsi in quel contesto storico, di piccolo borgo rurale, dove regnavano in prevalenza i principi arcaici della società contadina, fatta di sensi di rispetto e del concetto dell'onore; pertanto, il fatto significativo di quell’episodio, fu quello che gran parte del "paese" si schierò dalla parte del più debole, cioè con la famiglia povera, a cui il più ricco voleva portare via il “pane”. I fratelli di Mimì erano tutti bambini e sua madre era una povera contadina, senza istruzione e pure un poco intontita dalla precoce vecchiaia e dalla tragedia della prematura morte del marito. Talmente che erano rari i casi di cronaca nera a Piscinola, che gli fu dato il soprannome di "'O carcerato". Uno dei fratelli più piccoli, Totonno è stato mio amico di infanzia.
Ricordo anche Maria 'a Ceccia, che era una specie di mediatrice, che interveniva quando si doveva ricomporre la pace tra due famiglie contrarie al matrimonio dei loro ragazzi.
La sua numerosa famiglia abitava nel basso all’inizio di via del Plebiscito, che si intravede nella foto della processione del SS. Salvatore, dove poi si mise il negozio "Emporio", proprio di fronte alla scuola. Era una persona molto sentita e apprezzata. Molti la ricorderanno, così come si ricorderanno di suo marito, don Giovanni, apprezzato imprenditore edile ed alcuni suoi figli, molto conosciuti a Piscinola come Tonino 'o Mmericano e Cicciariello, quest’ultimo grande appassionato di automobili antiche; fino a pochi anni fa, prima di morire, girava per le strade con una bellissima "Topolino" fiammante e completamente ristrutturata. La stessa funzione "riparatrice di matrimoni", la svolgeva Donna Emilia, che aveva il bar di fronte alla sala cinematografica all’aperto in via Vittorio Veneto, che all’epoca si chiamava “Arena Azzurra. Sala che diventò negli anni seguenti il Cinema “Selis”. Donna Emilia, anche lei era molto conosciuta a Piscinola, si dice di lei che in gioventù fosse stata una ragazza bellissima e avesse calcato con successo le tavole del teatro di varietà ma, purtroppo, non ci è dato di sapere altro.
‘O Barone era un altro personaggio caratteristico di Piscinola di un tempo, che abitava però al “Capo e Coppa”, di lui si diceva che avesse una forza da Ercole…! Io lo ricordo già molto vecchio, quindi non saprei dire se la cosa fosse vera. Aveva le labbra molto pronunciate, tanto che tra noi ragazzi ci si minacciava esclamando la frase: “te faccio ‘o musso comm’’o Barone!”
Altro personaggio mitico del "Popolo", è stato don Vicienzo, soprannominato proprio "'O Popolo". Era un modesto ciabattino, che si barcamenava per sopravvivere con un piccolo "bancariello" ambulante, proprio come si vede nel film di Totò: "San Giovanni Decollato". Alla guisa del celebre personaggio comico, don Vicienzo si posizionava sovente a lavorare, seduto al suo "bancariello", nel cortile di vico Primo Plebiscito, e là trascorreva intere giornate a riparare scarpe e a inchiodare tomaie e tacchi. La caratteristica che lo contraddistingueva, però, era quella che era dotato di uno spirito e di una dialettica al di fuori del comune, conoscendo a memoria tanti aneddoti e cunti, che ritualmente esibiva a voce alta. Addirittura, pur non avendo studiato, si gloriava di conoscere a memoria l'intera Divina Commedia e spesso recitava alcune strofe di Canti, accompagnate dalla mimica e da martellate ritmate... Il suo negozietto era sempre affollato di bambini e di ragazzi che, durante le sue loquaci ed esileranti esibizioni, si fermavano ad ascoltarlo per ore intere, senza mai stancarsi e ridendo spesso... Ebbe nove figlie femmime, e un solo maschio, Costantino. Le ultime figlie (l'ottava e la nona figlia), le chiamò Ottavia e Nona... Il figlioletto Costantino, purtroppo, morì prematuramente in un terribile incidente, causato dallo scoppio di un ordigno bellico.

La Piscinola che ricordo, era una grande famiglia allargata...!

Pasquale di Fenzo

Ringraziamo il caro amico Pasquale di Fenzo che ci fa sempre deliziare con i suoi racconti; pero' dobbiamo dire che, questa volta, questo racconto sulla solidarieta è stato eccezionalmente bello e commovente. Grazie Pasquale!
E' opportuno evidenziare, a margine del racconto di Di Fenzo, soprattutto per ragioni di cronaca, che il racconto di "Donna Carmela", riportato nella prima parte del post, è stato pubblicato anche sulla rubrica “Lettera del giorno”, del quotidiano "Il Mattino di Napoli", l'11 giugno 2016.

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